Tema svolto corso carriera prefettizia 2013

CORSO ON LINE CARRIERA PREFETTIZIA

TEMA SVOLTO

INVALIDITA’ DERIVATA E TUTELA GIURISDIZIONALE NEI CONFRONTI DEGLI ATTI PRESUPPOSTI

Di Consuelo Cosco

In termini generali l’espressione invalidità del’atto giuridico sta ad indicare la difformità dell’atto stesso dalle regole giuridiche. La sanzione prescritta dall’ordinamento consiste nella perdita definitiva di efficacia dell’atto che in taluni casi opera automaticamente (nullità) in altri solo a seguito di una pronuncia giurisdizionale di annullamento (annullabilità). La disciplina positiva dell’invalidità dell’atto amministrativo è stata tuttavia una conquista solo recente del nostro ordinamento giuridico conseguita a seguito dell’entrata in vigore della L. 15/2005 che, intervenendo sulla L. 241/1990, ha introdotto due nuove importanti disposizioni, artt. 21 septies e 21 octies, ove viene cristallizzata la categoria della “nullità” dell’atto amministrativo ed integrata la scarna disciplina esistente in materia di annullabilità. In assenza di un paradigma normativo di riferimento dunque per lungo tempo la disciplina dell’invalidità amministrativa, la individuazione delle relative forme tipologiche, la questione del regime giuridico applicabile anche sotto il profilo della tutela giurisdizionale, sono state il frutto delle diverse elaborazioni dottrinarie e giurisprudenziali. E’ in questo contesto che pure si inserisce la problematica dell’invalidità derivata dell’atto amministrativo. Preliminarmente si osserva che l’atto può essere invalido “ab origine” nel senso che sin dall’inizio risulta difforme dal proprio schema normativo di riferimento in particolare dalle norme (di rango primario) che riconoscono il potere in capo alla PA in vista del soddisfacimento di un interesse pubblico, o delle norme (di rango secondario) che disciplinano le modalità di esercizio del poter. L’invalidità si traduce poi nella illegittimità dell’atto stesso nei termini di violazione di lex, eccesso di potere o incompetenza (relativa) provocando la annullabilità del provvedimento ovvero, nei casi di maggiore gravità quali la carenza degli elementi essenziali, il difetto assoluto di attribuzione, la violazione o elusione di un precedente giudicato (art. 21 septies L.241/90) determinando piuttosto la nullità dell’atto. L’invalidità derivata, invece, è una patologia conseguente al particolare collegamento esistente tra più atti amministrativi. In questo caso l’invalidità, meglio il vizio, dell’atto amministrativo precedente inficia la validità dell’atto successivo. L’impiego del termine precedente è volutamente menzionato per distinguerlo dal’aggettivo presupposto che invece occorre approfondire. Come attenta dottrina ha evidenziato, la relazione tra più atti amministrativi può essere “interna” o “esterna”. La relazione interna ricorre tra due atti emanati in seno alla stessa sequenza procedimentale (es. parere ed il provvedimento finale). In questo caso secondo parte della dottrina l’atto precedente, ove inficiato, investe inevitabilmente l’atto successivo che ne costituisce il logico antecedente nell’ambito dello stesso iter procedimentale. L’assunto su cui poggia tale teoria discende dal convincimento che l’atto endoprocedimentale non può essere autonomamente impugnato. La relativa invalidità può pertanto essere fatta valere solo in occasione del sindacato di annullamento sul provvedimento finale. Quest’ultimo è da considerare nullo per derivazione. Del resto, si osserva, diversamente opinando, nel senso di ammettere in questa ipotesi la semplice annullabilità del provvedimento finale, si finirebbe con il considerare la nullità dell’atto precedente come una “pseudo nullità” o nel convertirla in una forma di annullabilità. In contrapposizione a questa tesi, altri esponenti della dottrina hanno optato per l’annullabilità quale conseguenza indotta per derivazione dal vizio dell’atto endoprocedimentale. Quest’ultimo infatti, ove nullo, è privo di effetti giuridici e dunque irrilevante ai fini dell’emanazione dell’atto conclusivo del procedimento. Ricorre, al più, un caso di cattivo uso del potere amministrativo causa, a sua volta, di semplice annullabilità. La tesi da ultimo esposta, oggi maggiormente condivisa, conclude nell’escludere, almeno di regola, un’efficacia caducante dell’invalidità dell’atto endoprocedimentale. Diverso è il caso della “relazione esterna” tra atti. In questa ipotesi, e solo in questa, può a ragione discutersi di atti presupposti. Tali sono infatti quegli atti autonomi emanati nell’ambito di un distinto procedimento amministrativo ma tuttavia in rapporto di consequenzialità necessaria con l’atto conseguente. Le posizioni espresse in merito si attestano essenzialmente su due fronti: la nullità dell’atto presupposto si estende all’atto conseguente invalido per derivazione e dall’altro lato la nullità dell’atto presupposto non può essere trasmessa all’atto presupponente”. In merito alla seconda posizione si ritiene che la stessa PA che emana l’atto successivo ha l’onere di accertare che gli atti presupposti siano validi ed efficaci. L’eventuale esercizio del potere amministrativo, dunque, incurante della carenza di un presupposto necessario per la sua valida estrinsecazione, configurerebbe un’ipotesi di mera annullabilità dell’atto amministrativo conseguente. In questo quadro si inserisce la giurisprudenza che ha arricchito l’elaborazione con importanti precisazioni. Chiamata ad esprimersi in merito ad una casistica piuttosto variegata (rapporto tra dichiarazione di pubblica utilità e decreto di esproprio, bando di gara ed aggiudicazione, nomina del commissario ad acta ed eventuale caducazione degli atti da questi emanati), la giurisprudenza amministrativa ha distinto il vizio ad efficacia caducante dell’atto presupposto sull’atto conseguente dal vizio ad efficacia solo invalidante. Le conseguenze scaturenti dall’una piuttosto che dall’altra fattispecie sono sensibilmente diverse specie con riferimento alla tutela giurisdizionale avverso l’atto presupposto. Qualora l’invalidità dell’atto presupposto sia ad efficacia “caducante”, essa travolge automaticamente l’atto conseguente che non dovrà essere autonomamente impugnato venendo caducato automaticamente, e con efficacia retroattiva, al momento della pronunzia di annullamento che ha investito l’atto presupposto. Al contrario nel caso di invalidità derivata ad efficacia solo “invalidante”, il vizio dell’atto presupposto inficia per derivazione l’atto presupponente ma in misura più lieve dando origine solo ad una forma di annullabilità. L’atto conseguente dovrà pertanto essere autonomamente impugnato sia pure in occasione del ricorso principale o attraverso lo strumento dei motivi aggiunti ovvero mediante proposizione di autonomo ricorso. La concreta applicazione dell’una piuttosto che dell’altra regola discende, come sostenuto dalla giurisprudenza più recente, dalla intensità della relazione che intercorre tra i due atti. Solo infatti nel caso in cui l’atto presupposto costituisca il fondamento “necessario, diretto ed immediato” dell’atto successivo, opera la regola dell’efficacia caducante. Volendo fare un esempio (tra quelli solo accennati in precedenza), nel caso della dichiarazione di p.u. annullata dal giudice e del successivo decreto di esproprio, costituendo la prima necessario, diretto ed immediato presupposto del secondo, va da sé che senza necessità di autonoma impugnazione anche il decreto di esproprio viene irrimediabilmente colpito dalla declaratoria di nullità. Entrambi questi atti, benché emessi a conclusione di autonomi e distinti sub procedimenti, si inseriscono come tasselli necessari di un “unicum” procedimentale. Il ricorso alla tecnica dell’efficacia caducante del vizio dell’atto presupposto è stato tuttavia, soprattutto in alcune recenti pronunce, considerato con estrema cautela. Al fine di evitare un’ingiustificata estensione dei confini applicativi di tale regola è stato precisato che l’efficacia caducante sussiste solo quando l’atto conseguente si pone come meramente esecutivo/confermativo dell’atto presupposto. Nell’ottica della piena attuazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale, quale principio cardine del diritto processuale amministrativo, è necessario in particolare che l’eventuale caducazione dell’atto conseguente non debba essere preceduta da una nuova valutazione degli interessi da tutelare siano essi riferiti al destinatario sia, soprattutto, ai soggetti terzi.

Consuelo Cosco

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