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Tema svolto: riedizione del potere amministrativo nelle gare d’appalto

Riammissione alla gara di appalto in attuazione del dictum giudiziale di un’offerta precedentemente esclusa e modalità di riedizione del potere amministrativo

Con riferimento alle procedure di evidenza pubblica per l’affidamento di contratti di appalto, importanza centrale riveste il rapporto intercorrente tra vizi di legittimità delle medesime, annullamento in sede giurisdizionale degli atti illegittimi e riedizione del potere amministrativo.
Al riguardo, grande attenzione il legislatore ha dedicato al problema dell’annullamento dell’atto conclusivo della procedura pubblicistica (l’aggiudicazione definitiva) ed ai conseguenti effetti sul contratto medio tempore stipulato (v. artt. 121 ss. c.p.a.), atteso che in tale ipotesi la pronuncia di annullamento non esaurisce i propri riflessi nell’ambito della fase pubblicistica – nella quale la stazione appaltante agisce in veste di Autorità – , ma si ripercuote sulla successiva fase negoziale, caratterizzata dalla equiordinazione tra le posizioni dell’Amministrazione e del privato contraente.
In ogni caso, eventuali vizi della procedura di selezione della controparte negoziale possono inficiare anche fasi intermedie della stessa oppure il suo stesso incipit, come accade in presenza di bandi di gara contenenti clausole immediatamente escludenti, contro le quali dottrina e giurisprudenza pacificamente ammettono una immediata impugnazione, in deroga alla regola generale dell’impugnazione differita della lex specialis della gara, da proporsi unitamente al successivo atto di esclusione dalla stessa.
Proprio la determinazione della stazione appaltante in ordine alla esclusione dalla gara di un’impresa concorrente è al centro del tema che qui interessa.
L’impresa destinataria di un provvedimento siffatto può impugnarlo – secondo lo schema tipicamente demolitorio del processo amministrativo – dinanzi al giudice amministrativo (in sede di giurisdizione esclusiva ex art. 133, co. 1, lett. e), n. 1 c.p.a.), chiedendo altresì la riammissione alla gara.
In tali ipotesi, infatti, interesse del ricorrente è quello di poter rientrare nella gara dalla quale asserisce di essere stato illegittimamente pretermesso, onde poter ottenere l’aggiudicazione della stessa e, quindi, addivenire alla stipulazione negoziale.
Sul punto giova sinteticamente ricordare i principali effetti discendenti dal giudicato di annullamento del provvedimento amministrativo.
Dal dictum giudiziale di annullamento discendono, secondo consolidata dottrina, tre ordini di effetti: in primo luogo, effetti demolitori, consistenti nella rimozione dal panorama giuridico dell’atto annullato; in secondo luogo, effetti ripristinatori, da individuarsi nella asportazione degli effetti medio tempore prodotti dall’atto annullato e dalla ricostituzione dello status quo ante (i.e. dell’assetto di interessi antecedente alla emanazione dello stesso); da ultimo, effetti conformativi, volti ad assicurare che la rinnovazione del potere da parte dell’Amministrazione sia informata alla regola enucleata dal giudice all’esito del processo.
Ora, nel caso che ci occupa, è evidente come gli aspetti maggiormente controversi si appuntino sul portato ripristinatorio e conformativo della pronuncia di annullamento del provvedimento di esclusione, stante la necessità di chiarire secondo quali modalità la stazione appaltante debba dare esecuzione al dictum giudiziale (definitivo) di riammissione alla gara dell’impresa illegittimamente esclusa.
Ai fini del reinserimento dell’impresa pretermessa nel novero dei concorrenti si deve, infatti, pur sempre tener conto della specifica fase della procedura ad evidenza pubblica nella quale tale effetto si esplica e degli atti medio tempore posti in essere dagli altri concorrenti.
Più specificamente, occorre considerare che, pur in assenza di aggiudicazione della gara di appalto, la riammissione dell’impresa esclusa in esecuzione del dictum giudiziale potrebbe avvenire in un momento in cui gli altri concorrenti abbiano già presentato le proprie offerte e queste siano state già valutate dalla commissione giudicatrice, con la conseguenza che il contenuto delle medesime non è più coperto da segreto.
In ipotesi siffatte è agevole comprendere come risulterebbe irrimediabilmente leso il principio di contestualità dell’esame delle offerte, a sua volta strumentale rispetto alla tutela della par condicio di tutti i concorrenti.
Ora, a ben vedere, il problema testé tratteggiato si pone per lo più con riguardo alle procedure di evidenza pubblica nelle quali la scelta del miglior offerente avviene secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Ciò in quanto il criterio in parola presenta profili di ontologica discrezionalità in relazione alla valutazione degli aspetti tecnici dell’offerta, la quale deve necessariamente precedere l’esame delle offerte economiche.
Nulla quaestio, invece, nell’ipotesi di gare da aggiudicarsi secondo il criterio alternativo del prezzo più basso, atteso che in tali casi il giudizio della commissione è improntato a caratteri di automaticità (il prezzo più basso identifica l’aggiudicatario), senza lasciar residuare alcun margine di discrezionalità in capo alla stessa.
Nel caso da ultimo menzionato, pertanto, non si dubita che la riammissione alla gara dell’impresa esclusa determini la necessità di valutazione della relativa offerta in comparazione con le altre già esaminate, dovendo la prima risultare aggiudicataria qualora rechi un prezzo inferiore rispetto alle altre.
Maggiormente controversa è, come anticipato, l’ipotesi in cui il criterio posto a base della scelta della migliore offerta sia quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa: in particolare, per quanto qui interessa, il problema concerne il caso cui l’esecuzione del dictum giudiziale di riammissione del concorrente escluso abbia a verificarsi in un momento successivo a quello di apertura (da farsi rigorosamente in seduta pubblica) delle buste contenenti, rispettivamente, le offerte tecniche e quelle economiche.
In ipotesi siffatte, è di tutta evidenza come la valutazione dell’offerta riammessa avvenga in un momento in cui è già noto alla commissione giudicatrice il contenuto delle altre offerte, con l’ovvia conseguenza che potrebbe risultarne frustrato il fondamentale principio della par condicio di tutti i concorrenti.
Si pone, dunque, il problema del giusto contemperamento tra le istanze di tutela dell’impresa illegittimamente esclusa dalla gara, da un lato, ed il rispetto del principio di parità di trattamento di tutti i partecipanti alla procedura selettiva, dall’altro.
Al riguardo, possono delinearsi in astratto tre diverse modalità di riesercizio del potere ad opera della stazione appaltante.
Una prima soluzione consiste nella ripetizione dell’intera fase di valutazione delle offerte, con la conseguenza che tutte le imprese partecipanti, ivi compresa quella riammessa, sarebbero chiamate a ripresentare delle nuove offerte, da valutarsi ad opera della medesima commissione giudicatrice.
Una tale soluzione – sostenuta da una parte della precedente giurisprudenza amministrativa – si giustificherebbe in ragione della preminente tutela del principio della par condicio dei concorrenti, il quale potrebbe dirsi rispettato, secondo tale impostazione, solo nell’ipotesi in cui questi ultimi fossero tutti riallineati sulla medesima “linea di partenza”, potendo presentare offerte del tutto rinnovate e, come tali, in alcun modo influenzate da un precedente giudizio della commissione.
Tale tesi, del resto, risulterebbe in linea con quell’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale l’illegittimità che inficia una fase procedimentale determina la necessità di ripetizione degli atti che a partire da quella fase sono stati posti in essere.
Una diversa soluzione consiste nella valutazione da parte della commissione giudicatrice della sola offerta illegittimamente esclusa, ferme restando le offerte presentate dagli altri concorrenti.
La tesi da ultimo prospettata reca con sé indubbi vantaggi in termini di celerità e speditezza della procedura di evidenza pubblica, non richiedendo la rinnovazione della fase di presentazione delle offerte da parte di tutti i concorrenti.
D’altro canto, si è già rilevato come dall’adozione della stessa potrebbe derivare un vulnus al principio di parità di trattamento, posto che la valutazione in ordine all’offerta riammessa sarebbe posta in essere in epoca successiva al giudizio sulle altre offerte, in un momento cioè in cui la commissione non può che essere influenzata dalla conoscenza del contenuto di queste ultime.
Da ultimo, è stata altresì prospettata la possibilità, a seguito della riammissione alla gara dell’impresa illegittimamente esclusa, di procedere alla chiusura di tutte le buste – ivi compresa quella contenente l’offerta riammessa – e di rimetterne la valutazione ad una diversa commissione giudicatrice.
Tale tesi mira a contemperare la tutela della par condicio dei concorrenti (cui è strumentale la valutazione ad opera di una nuova commissione) con il principio di conservazione degli atti di gara e di celerità della procedura (fatto salvo attraverso la conservazione delle offerte originariamente presentate, senza necessità di rinnovo dell’intero segmento procedimentale).
A fronte delle soluzioni testé prospettate, la giurisprudenza amministrativa è addivenuta a conclusioni oscillanti, le quali hanno reso necessario un intervento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
In tale occasione, il Supremo Consesso della Giustizia amministrativa ha proceduto ad una attenta disamina di ciascuna delle tesi sul campo, finendo per mostrare adesione all’indirizzo della necessaria valutazione della sola offerta ingiustificatamente pretermessa.
A sostegno delle proprie conclusioni, la Plenaria ha anzitutto addotto la preminenza del principio di tutela della concorrenza – cui è informata l’intera disciplina degli appalti pubblici, in ossequio all’impostazione di matrice comunitaria (la quale ha segnato il definitivo superamento della visione contabilistica della materia de qua ) -, principio che risulterebbe irrimediabilmente frustrato qualora si accogliesse la prima delle tesi summenzionate.
È stato, infatti, acutamente osservato come, nel caso di ripresentazione delle offerte da parte di ciascun concorrente, le nuove offerte non risulterebbero frutto esclusivo del progetto imprenditoriale delle imprese partecipanti alla gara, rimanendo le stesse inevitabilmente influenzate dall’intervenuta conoscenza del contenuto delle offerte già presentate dagli altri competitors.
Del resto, proprio tale evenienza è stata scongiurata dal legislatore mediante il disposto dell’art. 13, co. 2, lett. c) d.lgs. 163/2006, a mente del quale è precluso l’accesso al contenuto delle offerte sino all’approvazione dell’aggiudicazione.
Depongono in favore della soluzione accolta dalla Plenaria altresì i principi di economicità e tempestività della procedura di gara (v. art. 1 d.lgs. 163/2006), i quali costituiscono estrinsecazione del più generale principio di buon andamento dell’azione amministrativa, scolpito all’art. 97 Cost.: la valutazione della sola offerta illegittimamente esclusa consente, infatti, di addivenire in maniera più celere all’individuazione del miglior contraente, in un settore, quale quello degli appalti pubblici, in cui il fattore temporale assume rilievo nevralgico, come ben testimoniato, ex multis, dalla circostanza che l’intera procedura è scandita da termini puntuali e che lo stesso contenzioso è improntato ad un rito speciale, caratterizzato dal dimezzamento dei termini ordinari (v. art. 119 c.p.a).
A sostegno delle conclusioni raggiunte, i Supremi Giudici amministrativi hanno altresì addotto il principio di conservazione degli atti di gara, ancorché invalidi, il quale costituisce riflesso del più generale principio di conservazione degli atti giuridici, fissato all’art. 1419 c.c. (applicabile in subiecta materia in forza del rinvio mobile contenuto nell’art. 2, ult. co. cod. contr. pubbl.) e, in tempi più recenti, accolto dal legislatore in relazione al procedimento amministrativo ai sensi dell’art. 21-octies, co. 2 l. 241/1990.
Né, del resto, può essere condivisa la crisi che suggerisce la chiusura delle buste e la rinnovata valutazione ad opera di una diversa commissione giudicatrice, atteso che a tale conclusione osta l’incontrovertibile disposto dell’art. 84, ult. co. cod. contr. pubbl., a mente del quale, in caso di rinnovo del procedimento di gara a seguito dell’annullamento dell’esclusione di taluno dei concorrenti, è riconvocata la medesima commissione.
Ma l’argomento centrale su cui si erge il ragionamento condotto dall’Adunanza Plenaria è quello che fa leva sul principio di effettività della tutela giurisdizionale, come previsto dagli artt. 24 e 113 Cost. e 1 c.p.a.
Il principio in parola risulterebbe, infatti, irrimediabilmente vulnerato qualora il ricorrente vittorioso ottenesse quale utilità discendente dal giudicato di annullamento del provvedimento di esclusione non già la riammissione alla medesima gara cui ha inteso partecipare, ma la partecipazione ad una procedura selettiva sostanzialmente diversa, perché alterata nel contenuto delle offerte presentate o nella composizione della commissione giudicatrice.
La domanda di annullamento dell’atto di esclusione e di conseguente riammissione alla gara sottende, infatti, il fondamentale interesse del ricorrente ad aggiudicarsi quella particolare gara, all’esito di una valutazione comparativa tra la propria offerta e quelle (ab origine) presentate dagli altri concorrenti.
Ammettere il ricorrente vittorioso ad una gara dai connotati intrinseci diversi rispetto a quella originaria equivarrebbe ad attribuire al medesimo un’utilità meramente formale, evanescente, laddove, a fronte del giudicato di annullamento, egli ha diritto ad essere riammesso nella medesima procedura selettiva dalla quale è stato illegittimamente escluso.
A tali conclusioni, per vero, non può che pervenirsi qualora si tenga a mente che il bene della vita agognato dal privato partecipante alla gara consiste proprio nell’aggiudicazione della stessa e nella conseguente stipulazione del contratto di appalto.
È tale interesse finale, dunque, che l’impresa illegittimamente esclusa fa valere in sede d’impugnazione del provvedimento di esclusione, e non già un mero interesse strumentale alla partecipazione alla gara.
Ciò, del resto, è chiaramente dimostrato dalla norma contenuta nell’art. 124, co. 2 c.p.a., in forza della quale l’omessa proposizione da parte del ricorrente (che pur ne avesse la possibilità) della domanda di subentro nel contratto è da considerarsi quale condotta processuale violativa del canone di buona fede (oggettiva), come tale apprezzabile dal giudice ai sensi dell’art. 1227 c.c.
Ne discende che solo per effetto della valutazione dell’offerta presentata dall’impresa riammessa, in comparazione con quelle già vagliate dalla commissione giudicatrice, si attribuisce alla prima un’utilitas sostanziale, in accordo con il rinnovato volto del processo amministrativo, che, da giudizio sull’atto, si è progressivamente trasformato in giudizio sul rapporto, volto a scandagliare la situazione sostanziale azionata dal privato nel rapporto con la Pubblica Amministrazione.

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