Le nuove garanzie mobiliari tra realità e obbligatorietà del vincolo.

Stefania Martinez

Corso Magistratura Videolezioni 2015 2016

Le nuove garanzie mobiliari tra realità e obbligatorietà del vincolo.

Le nuove garanzia mobiliari sono state oggetto per oltre un ventennio di indagine da parte della dottrina e della giurisprudenza, poiché si allontanano dalla concezione reale tipica del pegno codicistico. Tali garanzie, per vero, presentano un procedimento di formazione del vincolo disomogeneo da quello del pegno, pur condividendone lo scopo di garantire il creditore dalle ipotesi di inadempimento del debitore. Se è noto che il debitore risponde dell’adempimento con tutti i suoi beni presenti e futuri (art. 2740 c.c.), a fronte di tale garanzia generica, le garanzie de quibus si pongono quali garanzie specifiche ed, in tale ottica, fanno sorgere una specifica obbligazione ovvero individuano uno specifico bene (mobile, universalità di mobili, un diritto di credito, titoli di credito), al fine di assicurare una tutela maggiore al creditore in ordine alle sue pretese. Il codice annovera tra le garanzie specifiche: il privilegio, l’ipoteca ed il pegno. La tematica in esame solleva, dunque, dubbi sulla qualificazione di tali nuove garanzie mobiliari quali contratti atipici ovvero mere forme di pegno anomalo e, più in particolare, sulla possibilità di configurare un vincolo di garanzia obbligatorio piuttosto che reale (come si avrò meglio modo di precisare in seguito). Il che non è privo di risvolti applicativi quanto all’opponibilità del vincolo ai terzi.

È sufficiente il vaglio analitico dei più recenti arresti giurisprudenziali per cogliere come la problematica attiene, da un lato, alla incompatibilità tra la rigidità dell’impianto codicistico in materia di pegno e le esigenze commerciali della prassi bancaria, dall’altro lato, in un’ottica d’insieme, al superamento in atto delle categorie giuridiche classiche in materia contrattuale.

Al fine di adeguare la disciplina del pegno alle esigenze  del mercato, il legislatore è intervenuto sporadicamente con interventi settoriali: vincolo sugli strumenti finanziari registrati in apposito conto (ai sensi dell’art. 34, co. 2, d.lgs. 1998 n. 123); pegno di derivazione comunitaria su attività finanziaria (d.lgs. 170/2004). Queste ipotesi costituiscono delle forme di pegno rotativo di creazione legislativa, figura che verrà successivamente analizzata.

Tuttavia, il patto di rotatività può essere previsto in via convenzionale dalle parti. Rispetto  a tale profilo, la dottrina ha sempre visto  con sfavore l’autonomia contrattuale delle parti in ambito di diritti reali di garanzia.

Al fine di un’adeguata impostazione della tematica in oggetto, pare opportuno premettere che ai sensi dell’art. 1322, comma 2, c.c., le parti sono libere di concludere contratti tipici anche con finalità atipiche e contratti atipici con finalità atipiche o tipiche. Ne deriva che il sindacato del giudice verterà sulla liceità e sulla meritevolezza degli interessi realizzati dall’accordo. Quanto detto trova fondamento nella libertà negoziale, il cui referente costituzionale si rinviene nell’art. 41 Cost., in forza della quale le parti possono determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge. In un’ottica ricostruttiva dei poteri delle parti nella determinazione del contenuto del contratto di garanzia mobiliare, si evidenzia come le stesse possono dar vita a contratti atipici mediante diversificati meccanismi negoziali per porre in essere la garanzia; tuttavia, è vietato alle parti creare delle nuove garanzie reali, derogatorie della disciplina legislativa sulla loro validità.

Ciò posto, al fine di soffermarsi sulle differenze tra le nuove garanzie mobiliari e i requisiti tipici del pegno, occorre, preliminarmente delineare i requisiti di quest’ultimo.

In generale, il pegno era nel codice civile del 1865 un contratto ex art. 1878; oggi, viene inserito nel libro sulla tutela dei diritti quale causa legittima di prelazione. In tal senso, si può definire come un diritto reale di garanzia in base al quale al creditore è attribuito il diritto di espropriare il bene oggetto di vincolo, qualora alienato presso terzi (diritto di sequela), nonché di esercitare un diritto di prelazione nel caso di vendita del bene stesso. Dall’assunto appena prospettato si evincono già alcuni caratteri del pegno: l’assolutezza, l’inerenza, l’immediatezza. In ordine a quest’ultimo requisito il creditore può esercitare direttamente il suo potere sulla res senza l’intermediazione del proprietario  e nell’esercizio del suo diritto non deve essere disturbato dalla generalità dei consociati (assolutezza). In altri termini, i terzi non possono alienare o distruggere il bene oggetto del vincolo di garanzia. Quanto all’inerenza, questa è sinonimo di realità, che costituisce il tratto peculiare del pegno, ossia tale diritto si forma su cosa specifica, sulla quale il creditore ha assoluta disponibilità. La realità del pegno è, infatti, connessa con il requisito della specificità dell’oggetto, conformemente al principio di specialità dei diritti reali. Ne discende che l’oggetto deve essere determinato o comunque determinabile, restando escluse le garanzie su un insieme di beni mobili o diritti mobiliari che né sono esistenti al momento di costituzione del vincolo, né si è certi di una  loro futura venuta ad esistenza, nonché sono assenti elementi per la loro determinabilità (in tal senso, viene in rilievo il divieto di pegno omnibus quale prassi bancaria di vincolo pignoratizio su tutti i beni che entreranno a far parte del conto del correntista debitore).

Ora, la realità del vincolo in esame, da un lato, si connette al diritto di sequela, ossia alla possibilità del creditore pignoratizio di opporre la garanzia nei confronti dei terzi creditori; dall’altro lato, è riconducibile alla necessità dello spossessamento di quel determinato bene al fine del perfezionamento del contratto. Con maggior impegno esplicativo si può dire che il contratto di pegno è un contratto reale che si perfeziona, dunque, solo con la traditio rei.

Da quanto si qui detto si evince come l’analisi delle nuove garanzie mobiliari previste da alcuni interventi legislativi di settore vada condotta tenendo presente due aspetti distinti (seppur interconnessi): la realità del contratto e quella del diritto di pegno.

A tale specifico riguardo l’analisi deve prendere le mosse da una generica disciplina codicistica sulla costituzione del pegno. Ne deriva che, ai fini della formazione della garanzia mobiliare, non è sufficiente la stipula dell’atto costitutivo del pegno, ma sono indispensabili ulteriori elementi: la consegna della cosa se si è in presenza di beni mobili; la notificazione per i crediti; la annotazione del pegno su altri diritti. Detto diversamente, la realità del pegno si può realizzare solo tramite la consegna al creditore (ad un terzo – su volontà delle parti- ovvero ad un custode) della cosa e del documento ex art. 2786 c.c. In tal prospettiva, al fine di assicurare al creditore l’esclusiva disponibilità della cosa è necessario lo spossessamento. Il che è funzionale a rendere impossibile al debitore il compimento di atti di disposizione sulla cosa oggetto di vincolo, garantendo maggiormente il creditore anche da aggressioni da parte di altri creditori. Di fatto, la disponibilità della cosa in capo al creditore  per tutta la durata della garanzia trova ulteriore fondamento nell’art. 2789 c.c., che prevede l’esperibilità delle azioni a difesa del possesso o dell’azione di rivendica (se spettante al costituente), da parte del creditore che ha perso “il possesso della cosa ricevuta in pegno”.

Se è vero che nulla è espressamente previsto in ordine alla forma dell’atto costitutivo del pegno; tuttavia, il comma 3 del’art. 2787 c.c. prevede che la prelazione non ha luogo se il pegno non risulta da scrittura privata avente data certa. Più in particolare, tale requisito formale è richiesto per i crediti che eccedono la somma, oggi irrisoria, di euro 2,58 e la scrittura deve contenere indicazioni tali da rendere determinati o sufficientemente determinabili cosa e credito. Pertanto, per la costituzione del vincolo pignoratizio, oltre la stipula del contratto, sono necessarie le formalità inerenti il sorgere del diritto di prelazione, così come richieste ai sensi degli art. 2787 e 2800 (per il pegno di crediti) c.c.

Orbene, gli interventi legislativi di settore non hanno dato vita, per vero, a nuove forme di garanzie mobiliari, poiché hanno mantenuto gli effetti tipici del pegno. In altri termini, il contratto di pegno, in tali casi, resta tipico, poiché lo spossessamento della cosa viene realizzato con altre procedure.

Con maggior impegno esplicativo e procedendo ad un’analisi esemplificativa delle ipotesi di legislazione speciale, la legge 401/1985, in primis, nell’ipotesi di pegno su prosciutti, a denominazione di origine tutelata, reputa il contratto perfezionato con l’apposizione di un contrassegno indelebile e con la contestuale annotazione su appositi registri vidimati annualmente. In altri termini, la procedura con cui il bene viene marchiato equivale a spossessamento. Ne consegue che lo stesso requisito della realità del pegno viene ad esistenza, in quanto il diritto viene esercitato su di un bene che viene determinato. La ratio della norma, conforme a quella della L. 122/2001 per il settore agricolo – forestale, è da rinvenire nella necessità di lavorazione del bene da parte del debitore e, di conseguenza, nell’impossibilità dello spossessamento della medesima res. Peraltro, tale disciplina normativa, già nota nel diritto romano, ove, oltre ad essere ammesso il pegno di azienda, non era richiesto in generale lo spossessamento della cosa, trova riconoscimento, a livello comparatistico, nel diritto anglosassone, che prevede forme di garanzia cosiddette fluttuanti (le quali, al fine di garantire la produttività delle aziende, che sono essere stesse oggetto del pegno, lasciano i beni nella proprietà e nel possesso del debitore).

Nello stesso senso della norma sopra citata, l’art. 34, comma 3 del cosiddetto Decreto Euro prevede una struttura negoziale alternativa allo spossessamento, ma idonea a conferire l’esclusiva disponibilità del bene nelle mani del creditore.

Rispetto a quest’ultimo profilo, occorre porre l’attenzione sul pegno dei titoli di credito, in ordine ai quali il diritto di garanzia si forma sul titolo incorporato in un documento. A tal riguardo, acquista rilevanza il principio “possesso vale titolo” ex art. 1153 c.c., poiché il creditore pignoratizio possessore del documento in cui è incorporato il titolo, acquistato in buona fede, non è soggetto a rivendicazione.

Tuttavia, alcune categorie di titoli (titolo azionari, obbligazionari) sono stati dematerializzati e, di conseguenza, è venuto meno il corpus oggetto del pegno. In particolare, l’emissione e la circolazione delle azioni delle società quotate in borsa e degli altri strumenti finanziari che vengono negoziati nei mercati regolamentati possono avvenire solo tramite scritturazioni contabili ai sensi del d.lgs. 123/98 (c.d. Decreto Euro). In base al disposto dell’art. 30 del d.lgs citato e del regolamento congiunto di Banca d’Italia e Consob, questi titoli possono essere negoziati solo tramite una società di gestione accentrata, che, al momento della loro emissione, li iscrive in appositi conti degli emittenti, nonché nei conti delle società di intermediazione finanziaria abilitate che ne fanno richiesta. A loro volta gli intermediari finanziari hanno, per ciascun cliente, un conto sul quale iscrivono le vendite e gli acquisti di tali titoli.

Ebbene, ai sensi dell’art. 34 Decreto Euro anche i vincoli su titoli, tra i quali il pegno, devono essere registrati in apposito conto dell’intermediario. Sul punto, la Suprema Corte ha avuto modo di chiarire che la registrazione costituisce una tecnica equivalente allo spossessamento di una res, che, ormai, è immateriale. Ne deriva che il requisito della realità del pegno non viene alterato, in quanto la procedura di scritturazione sostituisce la traditio rei, lasciando inalterato il tipo legale del pegno. Tale disciplina trova un’ulteriore regolamentazione nell’art. 46 del regolamento Consob del ’98, in base al quale il rapporto di garanzia deve essere unitario dalla originaria costituzione del vincolo sugli strumenti finanziari senza che la loro sostituzione costituisca un nuovo rapporto di garanzia. La fattispecie definita da tale norma integra, di fatto, un’ipotesi di pegno rotativo (così come verrà a breve definito). A quest’ultima forma anomala di garanzia mobiliare è, altresì, riconducibile la fattispecie descritta dall’art. 5, comma 3, d.lgs. 170/2004, attuativo della Direttiva 2002/47/CE, in materia di contratti di garanzia finanziaria. Quest’ultimo contratto può essere definito ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. d) d.lgs. da ult. cit. come quella figura contrattuale che comprende il contratto di pegno e il contratto di cessione di crediti o della proprietà di attività finanziarie con funzione di garanzia. Tra le norme che lo disciplinano, per quanto attiene ai fini della presente breve trattazione, viene in rilievo la lettera g) dell’art. 1 d.lgs. in oggetto, ai sensi del quale è prevista una clausola che sostituisce in tutto o in parte l’oggetto della garanzia finanziaria nei limiti di valore dei beni costituiti con l’originario contratto di garanzia. Più specificamente, la sostituzione della garanzia finanziaria non comporta costituzione di una nuova garanzia e i suoi effetti retroagiscono a far data dalla prestazione del vincolo originario (art. 5, comma 3 d.lgs.170/2004). Il che è valido anche ai fini dell’esperibilità della azione di revocatoria fallimentare sui titoli finanziari (art. 9, comma 2, lett. a) d.lgs. cit.).

Delineati questi profili, si passi ad osservare quando il pegno rotativo può essere previsto convenzionalmente dalle parti.

In linea generale, si ha pegno rotativo quando le parti inseriscono nel contratto un patto di rotatività, ossia un atto avente data certa, in base al quale si accordano di sostituire il bene oggetto di pegno con un bene determinato o idoneamente determinabile.

Secondo la dottrina tradizionale, il pegno rotativo è vietato nel nostro ordinamento sotto un duplice profilo.

In prima battuta, tale impostazione fa leva sulla natura reale del contratto di pegno. Ne discende che il bene sostituito deve essere spossessato e tale consegna insieme alla scrittura privata che accompagna la sostituzione sono considerate idonee, in via novativa, a costituire un nuovo contratto di pegno. Si avrebbero, pertanto, tanti contratti di pegno quante sono le sostituzioni.

Sotto diversa visuale, la dottrina eccepisce alle parti la stipula ai sensi dell’art. 1322, comma 2 c.c. di un contratto atipico consensuale, nel quale le sostituzione costituiscono atti di esecuzione. Detto altrimenti, il contratto si perfezionerebbe con il solo consenso delle parti, venendo in essere il diritto reale di garanzia in capo al creditore, con la produzione di effetti obbligatori in capo al debitore, ossia la consegna dei beni, di volta in volta, oggetto di sostituzione.

La giurisprudenza, sul punto, ha avuto modo di precisare che l’autonomia negoziale delle parti non può incidere sugli elementi strutturali del contratto, ossia né sulla validità né sulla efficacia dello stesso. In altri termini, le parti non possono stipulare un contratto consensuale, che produca, però, gli effetti tipici del pegno. Cionondimeno, il tradizionale impianto codicistico, ad avviso dei giudici della Suprema Corte, non è idoneo a soddisfare le esigenze della prassi negoziale. Ne discende che le parti, in forza della loro autonomia contrattuale, possono creare delle strutture negoziali di formazione della garanzia diverse da quelle del pegno di cui all’art. 2786 c.c. e, in specie, tra tali meccanismi viene fatta rientrare la clausola di rotatività. Però, la giurisprudenza, pur riconoscendo, a tutt’oggi, il pegno rotativo, si è divisa in due filoni interpretativi sui requisiti del patto di rotatività, nonché sulla qualificazione del contratto che lo contiene.

Un primo approccio ermeneutico afferma che l’originario contratto di pegno sia un contratto reale e che le successive sostituzioni costituiscono solo una surrogazione reale. Tale tesi trova fondamento in tutte quelle norme del codice che ammettono la sostituzione del diritto reale di garanzia, tra le quali si annoverano l’art. 2742 c.c. (surrogazione del pegno sull’indennità dovuta dall’assicuratore per il perimento della cosa); art. 2795 c.c. (vendita anticipata della cosa oggetto di pegno per suo deterioramento); art. 2815 c.c. (ipoteca sul diritto del concedente e dell’enfiteuta); art. 2816 c.c. (ipoteca sul diritto di superficie), nonché il comma 2 dell’art. 2825 c.c. (ipoteca su beni indivisi).

Nonostante ciò, vengono individuati alcuni requisiti formali per la validità del patto di rotatività. A tale specifico riguardo, il contratto deve avere data certa e deve contenere la volontà dei contraenti di pervenire alla sostituzione del bene (il contratto deve essere fonte delle successive sostituzioni), nonché i beni sostituendi devono essere oggetto di spossessamento, secondo le modalità e i tempi indicati in una scrittura privata avente data certa, e devono essere sufficientemente individuati e al contempo determinati nel loro valore. Dall’assunto da ultimo prospettato si evince come il valore della res sia l’oggetto della garanzia. I creditori, pertanto, non sono interessati al bene in sé, bensì al suo valore economico. Da ciò prendono vita una serie di arresti giurisprudenziali che tra i requisiti del patto di rotatività richiedono, oltre lo spossessamento iniziale dei beni da sostituire, che questi ultimi abbiano un valore che non venga superato dai beni con cui verranno sostituiti.

Per quanto sopra esposto, una parte della dottrina ha dedotto  che la clausola di rotatività influisce sulla funzione del contratto di garanzia e, di conseguenza, in base alla loro autonomia contrattuale, le parti avrebbero dato vita ad un contratto con causa parzialmente atipica.

Alla superiore ricostruzione del pegno rotativo, altra parte della giurisprudenza ha obiettato trattarsi di un contratto unitario a formazione progressiva, che trae origine dall’accordo tra le parti. Ne consegue che l’iniziale accordo tra le parti crea il vincolo reale e le successive sostituzioni sono delle surrogazioni reali. Ciò è avvalorato dalla circostanza che, a parere dei giudici della Cassazione, le successioni sostituzioni non necessitano di ulteriori scritturazioni. Di contro, si registra nei più recenti arresti giurisprudenziali, nonché tra la dottrina prevalente, una propensione per l’accompagnamento della consegna dei beni da sostituire da parte di un atto avente forma scritta, senza la necessaria indicazione della data certa. Ciò in quanto i requisiti di cui all’art. 2787, comma 3 c.c. vanno valutati con riferimento all’atto costitutivo del pegno e non ai successivi atti, posto che la sostituzione è atto meramente materiale ed esecutivo dell’accordo, privo, peraltro,  di valenza costitutiva. Per vero il pegno si è costituito con l’originario contratto, che presenta già data certa e precisa il valore del bene da sostituire. In altri termini, secondo l’orientamento della giurisprudenza ad oggi prevalente, la qualificazione del pegno rotativo quale fattispecie a formazione progressiva insieme alla retroazione degli effetti della sostituzione al primigenio contratto, lo rendono un contratto unitario.

Dal vaglio analitico della giurisprudenza in materia di pegno rotativo si evince che la retroattività degli effetti della sostituzione è il tratto peculiare della clausola di rotatività, al fine, specialmente, di dirimere eventuali conflitti con i terzi, nonché ai fini dell’esperibilità o meno dell’azione revocatoria e, più in particolare, di quella fallimentare ex artt. 64 e 67 L. fall.

Rispetto a tale profilo, l’azione revocatoria fallimentare è proponibile solo avverso l’originario contratto di garanzia mobiliare, non potendosi agire avverso le singole sostituzioni. Di contro, ai fini dell’opposizione ai terzi, si deve guardare al momento di spossessamento del bene da sostituire, ove la consegna deve risultare da scrittura privata avente data certa (sul punto, l’orientamento della Cassazione non è unanime).

Non manca di rilevare che una parte della giurisprudenza ha assimilato il pegno rotativo al pegno di cosa futura, poiché in entrambi i casi si è in presenza di una fattispecie a formazione progressiva.

Tale orientamento, non ribadito nei più recenti arresti della giurisprudenza di legittimità,  è stato sottoposto a critiche dottrinali sulla base delle seguenti considerazioni.

In pegno su cosa futura, infatti, ha effetti obbligatori in quanto si costituisce non al momento della stipula dell’accordo, bensì quando il bene viene ad esistenza. Di contro, nel pegno rotativo gli effetti della sostituzione del bene garantito retroagiscono al momento dell’accordo. Ne discende che tale pegno è valido ed efficace ab initio. Peraltro, tale parte della dottrina obietta che dall’assimilazione tra pegno di cosa futura e pegno rotativo ne deriverebbe, per quest’ultimo, l’inquadramento tra i vincoli obbligatori. Il pervenire a tale conclusione, tuttavia, secondo i fautori di tale indirizzo interpretativo, contrasterebbe con altro assunto, affermato ripetutamente, sino ai più recenti arresti, dalla stessa Suprema Corte, in base al quale il vincolo trae origine dall’accordo.

Alla luce delle superiori considerazioni, conformemente a quanto ritenuto dalla dottrina prevalente, il pegno rotativo non costituisce una nuova forma di garanzia, ma una forma di pegno anomalo. Ciò in quanto, seppur con un procedimento di formazione della garanzia difforme da quello codicistico, permane la continuità del rapporto originario tramite un meccanismo di retroazione tale da far risalire gli effetti della sostituzione alla consegna dei beni originariamente dati in pegno e, di conseguenza, realizzando gli effetti tipici del pegno.

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