LEASING, RENT TO BUY E COLLEGAMENTO NEGOZIALE: TUTELE PER IL CONSUMATORE

LEASING, RENT TO BUY E COLLEGAMENTO NEGOZIALE: TUTELE PER IL CONSUMATORE

Pubblicato il 4/4/2016 autore Silvia Rea

Il principio dell’autonomia contrattuale ha valorizzato la possibilità che viene riconosciuta al singolo di disporre della propria sfera giuridica  personale e patrimoniale e , quindi, di autoregolamentare i propri interessi nei limiti stabiliti dall’art. 1322 co.2 c.c..

Essa si estrinseca nella possibilità di concludere contratti atipici o innominati,ossia non appartenenti ad alcun modello di operazione economica  disciplinato dal legislatore, nonché nella libertà di combinare tra loro vari modelli contrattuali , tipici o atipici,  per il raggiungimento di un determinato risultato economico meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico.

Il  collegamento negoziale nasce dalla necessità dei privati di disporre di strumenti flessibili e modulabili per la realizzazione di operazioni economiche complesse  non attuabili attraverso gli schemi contrattuali tipici offerti dal legislatore.

Il detto fenomeno  ha trovato riconoscimento nel nostro ordinamento anche grazie alla valorizzazione del principio di causa in concreto del contratto in forza del quale si è abbandonata la anacronistica visione della causa intesa quale funzione economico-sociale del contratto per addivenire ad una concezione di causa intesa quale funzione economico-indivudale del negozio ovvero quale sintesi degli interessi reali che le parti intendono perseguire attraverso l’operazione negoziale da essi posta in essa.

Dunque,l’emersione del concetto di causa in concreto ha consentito di riconoscere dignità  giuridica anche al fenomeno del collegamento negoziale ovvero a quella particolare operazione attraverso la quale le parti danno vita a distinti contratti, ciascuno caratterizzato da una propria causa e sottoposto alla rispettiva disciplina, ma funzionalmente e teleologicamente collegati tra loro e posti in rapporto di reciproca dipendenza.

Di talchè,la causa del negozio collegato è  da rinvenirsi nella volontà dei contraenti di raggiungere un risultato economico complessivo dato dalla combinazione di due o più negozi.

In pratica, come decretato anche dalla giurisprudenza prevalente, il collegamento negoziale si caratterizza per la coesistenza di una componente oggettiva,rappresentata,appunto,dal nesso teleologico fra i negozi  e di un profilo soggettivo , costituito dal comune intento delle parti di voler realizzare un collegamento tra i vari contratti onde raggiungere un fine ulteriore.

È ,quindi,necessario guardare allo scopo concretamente perseguito dalle parti  ovvero, alla sintesi degli interessi da queste effettivamente perseguiti, per discernere  le ipotesi di collegamento negoziale da quelle di contratto complesso o misto.

Difatti,nel contratto collegato ciascun negozio manterrà inalterata la propria autonomia causale alla quale si affianca una causa “complessa” nell’ottica del perseguimento di un risultato ulteriore voluto dai contraenti,di contro nel contratto complesso e misto,rispettivamente,i singoli segmenti negoziali e i singoli contratti autonomi perderanno la propria individualità per andare a fondersi in un’unica causa.

Orbene,la giurisprudenza prevalente, ritiene che in virtù del collegamento,  le sorti dei contratti appartenenti alla catena negoziale sono legate da un nesso di reciproca dipendenza.

Ciò comporta che le vicende relative alla validità, efficacia ed esecuzione di uno di essi si ripercuotono in maniera speculare sull’intera fattispecie in forza del brocardo  simul stabunt simul cadent.

Invero,altro indirizzo ha ravvisato  la possibilità di applicare anche ai negozi collegati la disposizione di cui all’art. 1419 c.c. in materia di nullità parziale stabilendo,però,che il contraente,che intende preservare la restante parte dell’operazione negoziale da una declaratoria di nullità totale, deve dimostrare la non essenzialità del contratto viziato ai fini della realizzazione degli interessi concretamente perseguiti dal negozio collegato.

Tra le figure che generalmente vengono indagate con riguardo al fenomeno del collegamento negoziale vi è il contratto di leasing mentre un discorso a parte merita il contratto di Rent to buy, la figura di nuova emersione nel panorama contrattuale.

Ebbene, con la denominazione leasing sono genericamente definiti nella pratica due differenti istituti il leasing c.d. operativo e quello finanziario.

Tuttavia, a  ben vedere, solo quest’ultimo è tecnicamente qualificabile quale leasing atteso che il leasing operativo è un contratto atipico a struttura bilaterale in cui è lo stesso produttore che concede in godimento il bene al conduttore dietro pagamento di un canone periodico  per un periodo di tempo commisurato alla vita economica del bene, alla scadenza del quale in genere avviene la restituzione del bene.

Di contro, il leasing finanziario è un contratto atipico in forza del quale l’utilizzatore ( c.d. lesse) chiede ad una società di leasing ( c.d. lessor) di acquistare da un fornitore  la proprietà del bene, mobile o immobile, per poi concederla in godimento allo stesso utilizzatore dietro pagamento di un corrispettivo periodico.

L’art. 1 lett F) del d.lgs. 385/1993 ( T.U.B.)  include il leasing finanziario nell’elenco  di attività riservate a determinate categorie di soggetti quali : le banche iscritte negli appositi albi ( art. 113 T.u.b), i soggetti appartenenti ai gruppi creditizi ( art. 64 T.U.B)  e gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco generale di cui all’art. 106 ( T.u.b.).

Invece, per quanto riguarda l’utilizzatore, in difetto di una espressa disciplina che ne indichi le caratteristiche, si ritiene che chiunque possa ricoprire tale qualifica e ,quindi, anche il consumatore, ovvero la persona fisica che agisca per scopi estranei all’attività professionale eventualmente svolta.

Per lungo tempo la dottrina e la giurisprudenza hanno cercato di ricondurre il contratto di leasing nell’ambito delle figure contrattuali tipiche con le quali, almeno apparentemente, presenta dei caratteri in comune.

In particolare, si è tentato di applicare al contratto di leasing  la disciplina vigente nell’ambito dello schema negoziale della locazione.

Ciò in quanto entrambi i negozi in parola si incentrano sulla concessione in godimento  di un dato bene dietro pagamento di un corrispettivo.

Ben presto ,però, si  è evidenziato che l’introduzione nella prassi contrattuale del contratto di leasing di una serie di clausole quale, ad esempio, quella che prevede in caso di risoluzione per inadempimento la ritenzione da parte del concedente dei canoni percetti nonché quella relativa all’obbligo imposto all’utilizzatore di pagare i canoni anche in caso di perdita del bene  per fatto non imputabile ,mal si conciliano con lo schema  contrattuale della locazione.

Tra l’altro, come evidenziato da più parti, il corrispettivo pagato dall’utilizzatore periodicamente non ha solo natura di canone locatizio ma anche di corrispettivo del finanziamento.

Invero,altra parte della dottrina ha sostenuto che il contratto di leasing presenterebbe il medesimo schema negoziale della vendita con patto di riscatto.

Quest’ultima, a sua volta, all’art. 1526 c.c. prevede,nell’ipotesi di risoluzione per inadempimento del compratore , la restituzione da parte del venditore delle rate riscosse.

Tale circostanza, però, è estranea al contratto di leasing ove, come detto, nella prassi contrattuale, viene generalmente inserita una clausola  che prevede il diritto del concedente di ritenere i canoni precetti.

Quanto detto, porterebbe, perciò, a ritenere infondata anche detta forma di assimilazione negoziale.

Un differente indirizzo,invece, ha sostenuto che il pagamento dei canoni costituirebbe una sorta di rimborso rateale del finanziamento e pertanto ciò indurrebbe a ricondurre il leasing all’interno della fattispecie dei contratti di credito.

In realtà,anche in questo caso si è obiettato circa la non coincidenza degli schemi contrattuali in parola atteso che nel contratto di leasing, diversamente da quanto avviene in quello di mutuo, la dazione di danaro non può essere effettuata ad un soggetto terzo rispetto al beneficiario.

Le difficoltà incontrate dalla dottrina prevalente nel ricondurre il contratto de quo nell’ambito delle descritte figure negoziali ha portato a qualificare l’operazione di leasing in termini di contratto atipico caratterizzato dal collegamento tra due negozi che, di fatto, mantengono la loro autonomia seppur nel perseguimento di una interdipendenza funzionale.

L’operazione si compone ,perciò, di due contratti bilaterali tra loro collegati quello di leasing ( tra concedente ed utilizzatore) e quello di compravendita (tra fornitore e concedente) che mantengono ciascuno la propria individualità strutturale e che,in un’ottica di interdipendenza funzionale,soddisfano l’interesse dell’utilizzatore ad acquistare la disponibilità della cosa, interesse,  che costituisce la causa concreta dell’intera operazione negoziale.

In pratica, mentre dal punto di vista economico l’operazione di leasing è di tipo trilaterale (fornitore, il concedente e utilizzatore) dal punto di vista giuridico essa si sostanzia nella combinazione di due negozi bilaterali(contratto di fornitura/compravendita e contratto di leasing).

Tale conclusione sembra essere stata recepita anche dalla giurisprudenza la quale,da ultimo,si è interrogata circa la natura del contratto de quo al fine di individuare il tipo di tutela da accordare all’utilizzatore/consumatore di un bene concesso in leasing.

Ebbene, a tal proposito, la Suprema Corte ha abbandonato definitivamente la tesi secondo la quale le operazioni di leasing configurano,dal punto di vista strutturale,un contratto plurilaterale unitario ed  ha abbracciato la teoria, ormai dominante,del collegamento negoziale tra il contratto di leasing propriamente detto, intercorrente tra utilizzatore e società di leasing e quello di fornitura , sussistente, invece,tra quest’ultima e ed il fornitore.

In adesione al detto orientamento il contratto di vendita diviene per l’utilizzatore una res inter alios acta rispetto alla quale non ha alcun potere di incidenza ( art. 1372 c.c.),salvo che questo non gli venga espressamente riconosciuto in virtù di apposite clausole come, invero, di frequente avviene nella prassi negoziale.

In realtà, per lungo tempo la giurisprudenza,onde riconoscere una tutela diretta all’utilizzatore nei confronti del fornitore, ha calato l’operazione di leasing nello schema del mandato senza rappresentanza.

In virtù di ciò, all’utilizzatore veniva accordata la tutela riservata al mandate ex art. 1705 co.2 c.c..

Ben presto, però, si è osservato che pur volendo seguire tale via la tutela a questi riservata non risulta comunque completa in quanto,seppur sulla scorta dell’art. 1705 co.2 c.c., l’utilizzatore ha diritto a far valere unicamente la pretesa all’adempimento del contratto di fornitura ed all’eventuale risarcimento del risarcimento del danno mentre non avrebbe diritto ad alcuna azione diretta di risoluzione nei confronti del fornitore.

La spiegazione a questa limitazione di tutela è da rinvenirsi nel fatto che il riconoscimento delle azioni contrattuali ( annullamento, risoluzione, rescissione) configurerebbe una cessione in capo al mandate dell’intera posizione contrattuale del mandatario,il tutto senza consenso del contraente ceduto ed in spregio al principio di relatività di cui all’art. 1372 c.c..

Anche la recente giurisprudenza, non ha posto in dubbio che il leasing,nella sua struttura trilatera,configuri un collegamento negoziale pur tuttavia ha ravvisato nella peculiarità del suo schema un collegamento sui generis di tipo c.d. atecnico.

Invero,il collegamento di tipo c.d. “ tecnico” comporta l’esistenza di un requisito di tipo oggettivo , costituito dal nesso teleologico tra i negozi, ed uno di tipo soggettivo, costituito dal comune intento delle parti di realizzare un fine ulteriore rispetto a quello tipico dei singoli negozi posti in essere.

Perciò,tale collegamento è l’unico che può giustificare tra i contratti collegati gli effetti di cui al brocardo simul stabunt simul cadent e ,quindi, anche l’esperibilità di un’azione di risoluzione diretta dell’utilizzatore nei confronti del fornitore.

Di converso, nel contratto di leasing  mancherebbe proprio il nesso soggettivo, cioè l’intenzione delle parti  di collegare i vari negozi in uno scopo comune, cosi da dar vita ad una autonoma ed ulteriore causa in concreto.

Infatti,il fornitore, nonostante sappia della destinazione del bene, ha come unico interesse quello di vendere il suo prodotto,per cui la causa che regge il contratto da questi stipulato con il concedente non è che quella propria della compravendita.

Parimenti, il concedente,una volta determinatosi al finanziamento è del tutto disinteressato rispetto alla scelta del fornitore e del bene.

Si tratta quindi di contratti che seppur tra loro collegati non sono in grado di mutarne la causa e, quindi, di consentire un’azione diretta dell’utilizzatore nei confronti del fornitore.

Tra l’altro,che non sia ammessa un’azione diretta di risoluzione a tutela del consumatore, emergerebbe anche da una serie di dati sistematici quali: la Convenzione di Ottawa  del 1988 sul leasing finanziario  internazionale, che esclude la legittimazione diretta dell’utilizzatore alla risoluzione contrattuale senza il consenso del concedente e  l’art. 125 quinquies co.3 del t.u.b. che, a sua volta, facoltizza l’utilizzatore,  in seguito alla costituzione in mora del fornitore, a chiedere al finanziatore di agire per la risoluzione, ma non anche di provvedervi direttamente.

Di talché,nell’ipotesi in cui i vizi ed i difetti  non siano tali da pregiudicare definitivamente il godimento del bene, il consumatore potrà agire nei confronti del fornitore solamente per far valere la pretesa all’adempimento e al conseguente risarcimento del danno.

Mentre,nel caso in cui i vizi ed i difetti  pregiudichino definitivamente il godimento del bene, tanto da radicare l’interesse allo scioglimento del rapporto, è riconosciuta al consumatore una tutela solo mediata posto che il riconoscimento di un’azione di risoluzione direttamente in capo a quest’ultimo andrebbe a modificare i termini dello scambio tra concedente e fornitore,salvo che ciò non sia riconosciuto da una specifica clausola contrattuale.

In ogni caso,il consumatore potrà chiedere al fornitore il ristoro dei danni patititi ex art. 2043 c.c. che comprenderà la restituzione della somma corrispondente ai canoni già eventualmente pagati al concedente.

La Suprema Corte, onde rafforzare la tutela del consumatore in caso di inerzia del concedente si è spinta oltre giungendo a rinvenire un vero e proprio dovere di quest’ultimo, ex fide bona, ad agire in giudizio.

In altri termini, si stabilisce che nei casi in cui i vizi emergano al momento della consegna e questa venga rifiutata dall’utilizzatore, il concedente, informato di ciò, ha il dovere  di sospendere il pagamento del prezzo  in favore del fornitore e, ricorrendone i presupposti, di agire nei confronti di quest’ultimo per la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto.

Invece,nel caso in cui i vizi siano emersi dopo la conclusione del contratto l’utilizzatore ha azione diretta nei confronti del fornitore per  la loro eliminazione o per la sostituzione della cosa, mentre il concedente, una volta informato, ha il dovere giuridico  di agire verso il fornitore per la risoluzione del contratto  di fornitura.

La giurisprudenza prevalente,quindi,pur negando  l’azione diretta in giudizio  da parte dell’utilizzatore,attese le ripercussioni in termini  di principio di relatività  che possono derivarne sulla sfera giuridica del concedente, onera quest’ultimo di un dovere giuridico di agire a protezione dell’interesse dell’utilizzatore raggiungendo,per tal via, il medesimo risultato di un’azione diretta.

La questione del collegamento negoziale e delle sue implicazioni si è posta anche con riguardo ai  “contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili” anche conosciuti come contratti di “Rent to buy”.

Sul punto bisogna ,innanzitutto, segnalare che si tratta di una nuova tipologia negoziale introdotta dal legislatore con il Decreto Sblocca Italia ( d.l. n. 133/14 convertito in legge n.164/14)  ove, all’art. 23, è prevista l’immediata concessione da parte del venditore del godimento di un immobile, con diritto per il conduttore di acquistarlo entro un termine determinato, imputando al corrispettivo del  trasferimento la parte di canone indicata  nel contratto.

L’approvazione della nuova disposizione va inserita all’interno di un programma politico di ampio respiro  che intende contrastare gli effetti della crisi economica nel campo immobiliare incentivando  nuove strategie atte a risolvere il problema della mancanza di liquidità  da parte degli acquirenti dovuta alla contrazione dei mutui.

Tutto ciò sembrerebbe essere in linea, come da più parti osservato,anche con quanto previsto dall’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che riconosce il  diritto dell’individuo “alla” proprietà.

Anteriormente alla novella, si riteneva in prevalenza che il risultato pratico , cui tende la figura negoziale de qua, potesse essere raggiunto mediante il collegamento negoziale di due figure tipiche, la locazione e la compravendita, con conseguente sottoposizione alla relativa disciplina.

In realtà, il D.L. n.133/14 non lascia dubbi circa la tipicità della nuova figura contrattuale che deve intendersi quale fattispecie unitaria e non come combinazione di più negozi collegati.

La tipicità della nuova figura contrattuale comporta come prima conseguenza l’inapplicabilità in via diretta delle norme specificamente dedicate ad altri contratti tipici ed, in particolare, alla disciplina vincolistica propria delle locazioni di immobili urbani.

Tra l’altro,l’art. 23 del d.l. 133/14 chiarisce,con espressa previsione legislativa,che il contratto in parola deve essere distinto  anche dal contratto di leasing finanziario ,ciò ,presumibilmente, al fine di evitare interferenze tra le due discipline e per chiarire inequivocabilmente l’inapplicabilità di queste nuove disposizioni alla locazione finanziaria ( fattispecie socialmente tipica con causa di finanziamento e caratterizzata, tra l’altro, dalla qualifica  professionale di intermediario  finanziario del concedente).

Il contratto di Rent to buy va differenziato anche da altre figure negoziali ad esso affini quali la  vendita con riserva di proprietà e la locazione con patto di vendita consecutiva alla cessazione della locazione.

Difatti, queste ultime sono accomunate da un unico comune denominatore rappresentato dalla rateizzazione del pagamento del bene mentre la ratio del rent to buy  è  quella di creare un programma preparatorio all’acquisto finalizzato ad offrire all’acquirente il tempo necessario per  reperire la restante liquidità o comunque per allinearsi  ai nuovi parametri previsti dal mondo bancario per la concessione del credito.

In pratica,la nuova fattispecie contrattuale ripropone sostanzialmente la logica contrattuale dell’affitto con opzione di acquisto  ma ne prende le distanze sotto il profilo giuridico  non trattandosi di un contratto di locazione ma di un contratto di godimento regolato, per quanto compatibili, da alcune  norme  sull’usufrutto espressamente richiamate all’art. 23 co.3 d.l.n.133/14.

Del pari si distingue anche dalla vendita con riserva di proprietà attesa  la mancanza di un automatismo  per la realizzazione dell’effetto reale propria di detta fattispecie contrattuale.

Il testo normativo individua quindi due momenti fondamentali per costruire l’operazione negoziale in parola: la concessione del godimento  dell’immobile, dietro pagamento di un canone periodico, e il trasferimento della proprietà dell’immobile  con imputazione al prezzo della parte dei canoni  indicati nel contratto.

Il ripetuto riferimento ad “una parte” soltanto dei canoni, quale oggetto della imputazione del prezzo, induce a ritenere che si tratti di un profilo qualificante ed inderogabile della disciplina del rent to buy.

Le parti, infatti, non possono prevedere una imputazione totale dei canoni al corrispettivo in quanto,in tale ultimo caso, la configurazione tipica del contratto in parola verrebbe stravolta  atteso che le somme versate durante il trasferimento rappresenterebbero dei semplici acconti ed il godimento anteriore verrebbe connotato da gratuità.

Una della caratteristiche fondamentali del “contratto di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili” è rappresentata dalla trascrizione  del negozio ex art. 2645 bis c.c..

Invero, come si evince dai lavori preparatori la ratio della nuova disciplina è quella di tutelare il conduttore e potenziale acquirente  rispetto ai rischi delle possibili sopravvenienze pregiudizievoli.

A tal proposito,l’art. 23 co.2 d.l. 133/14 prevede che  i contratti di godimento in funzione della successiva alienazione siano trascritti ex art. 2645 bis c.c..

In pratica, il legislatore richiama le regole previste per la trascrizione  dei contratti preliminari stabilendo che la trascrizione produce i medesimi effetti di cui all’art.  2643  co.1 n.8 c.c..

Sicché, la trascrizione del contratto di rent to buy,in un’ottica di tutela del conduttore,produce un duplice effetto: di opponibilità  ai terzi,per quanto riguarda la concessione dell’utilizzo nonché un risultato prenotativo  simile a quello che si produce con la trascrizione di un contratto preliminare.

In questo modo vengono fatti retroagire gli effetti della trascrizione dell’eventuale atto di vendita al momento della trascrizione del contratto medesimo.

Ciò assicura la piena tutela al conduttore, consentendogli di acquisire l’immobile nello stato di diritto in cui si trovava al momento della stipula del rent to buy e neutralizzando ,al contempo,eventuali trascrizioni  o iscrizioni pregiudizievoli successive alla trascrizione del contratto.

Tra l’altro la trascrizione realizza una specifica tutela in favore del conduttore anche per il caso di inadempimento del concedente.

Per cui, ove nei confronti di quest’ultimo il conduttore vanti dei crediti, la legge gli riconosce un privilegio speciale sul bene immobile oggetto del contratto a condizione che gli effetti della trascrizione medesima non siano cessati e,quindi, non siano trascorsi più di dieci anni dalla sua trascrizione.

L’art. 23 co.1 bis del D.l. 133/14 chiarisce che il mancato esercizio del diritto di acquisto dell’immobile non costituisce inadempimento del conduttore .

Di talché,il legislatore ha voluto rimarcare la netta differenza  tra questa ipotesi e  quella dell’inadempimento prevista al co.5 del medesimo articolo.

Perciò, ove il conduttore decida di non procedere all’acquisto, il contratto,alla scadenza convenuta, cesserà di produrre ogni effetto ed il concedente avrà diritto di trattenere i canoni pagati sino a quel momento per la parte riferita all’utilizzo mentre dovrà restituire al conduttore la parte imputabile al corrispettivo della vendita nella misura pattuita in contratto.

Sia nel caso di inadempimento del conduttore, sia nel caso di mancato esercizio del diritto di acquisto il concedente ha diritto alla restituzione immediata dell’immobile.

Ove ciò non avvenga spontaneamente troverà applicazione il procedimento ordinario  in materia di esecuzione per consegna o rilascio  e non invece il procedimento  speciale di convalida di sfratto previsto  esclusivamente per i contratti di locazione o affitto.

Ciò in quanto il contratto di rent to buy, come già detto, è un contratto tipico, che nulla ha a che vedere con il contratto di locazione o con il contratto di affitto rinvenendosi, invece, nella fattispecie negoziale in parola una coesistenza di scopi (godimento temporaneo e vendita) che ne esclude qualsiasi parificazione con la locazione.

Dalla stipula del rent to buy derivano inoltre precisi obblighi a carico del concedente.

Il principale è innanzitutto l’obbligo alla consegna dell’immobile al conduttore.

Di tal guisa, il concedente deve adottare tutte le misure atte a garantire a quest’ultimo il godimento dell’immobile e,comunque,astenersi da quei comportamenti che possano pregiudicare  il diritto di quest’ultimo.

Altro obbligo fondamentale è poi quello di vendere il bene qualora il conduttore intenda procedere all’acquisto nel rispetto dei termini convenuti.

In caso di inadempimento il conduttore potrà scegliere se richiedere la risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c., con conseguente restituzione dei canoni pagati fino a quel momento ed imputabili alla vendita, o ancora, nel caso in cui l’inadempimento riguardi l’obbligo di vendere l’immobile,ottenere l’adempimento in forma specifica ex art. 2932 c.c., restando fermo in ogni caso il diritto al risarcimento del danno.

L’ampia tutela accordata al conduttore per effetto della trascrizione di cui all’art. 2645 bis c.c. fa si, tra le altre cose, che il contratto di rent to buy, nei limiti di cui all’art. 67 della L.F., non sia soggetto alla revocatoria  neppure in caso di fallimento del concedente.

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