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Tema svolto di diritto amministrativo: le ordinanze.

“Premessi brevi cenni sulle fonti del diritto amministrativo il candidato si soffermi sulla natura giuridica delle ordinanze di necessità e di urgenza previste dalla vigente legislazione e sulle forme di tutela esperibili nei confronti delle medesime”

 

Le fonti del diritto amministrativo si suddividono in fonti primarie e secondarie.

Le fonti primarie, espressione del sistema gerarchico proprio del nostro ordinamento sono le leggi, i decreti legge, e i decreti legislativi. Le fonti secondarie, invece, sono espressione del potere normativo conferito dal legislatore alle Amministrazioni sia centrali che periferiche affinché provvedano alla regolamentazione dei settori affidati alla loro competenza.

Gli atti che vengono definiti fonti secondarie sono fondamentalmente atti amministrativi poiché emanati dall’Amministrazione stessa, tuttavia essi sono atti normativi in quanto atti generali in grado di modificare l’ordinamento giuridico.

Una prima problematica che si affaccia relativamente alla natura di questi atti è proprio la loro differenziazione dagli atti amministrativi generali cioè quegli atti la cui peculiarità consiste nell’essere rivolti ad una pluralità di destinatari non determinabili a priori (es: bando di gara o di concorso)  ma solo a posteriori.

La differenza tra le due tipologie di atti è sostanziale perché i primi sono espressione del potere normativo attribuito dal legislatore all’Amministrazione emanante, i secondi, invece sono dei provvedimenti amministrativi seppur rivolti ad una pluralità di soggetti.

La dottrina ha quindi elaborato delle teorie per differenziare le due tipologie di atti.

I requisiti sostanziali che un atto amministrativo deve possedere per essere fonte secondaria sono l’innovatività, l’astrattezza e la generalità.

Per innovatività si intende l’attitudine di una fonte di modificare l’ordinamento giuridico; l’astrattezza ricorre quando un atto è in grado di disciplinare una moltitudine di fattispecie concrete e non esclusivamente un solo caso e la generalità in quanto l’atto ha come destinatari soggetti indeterminati ed indeterminabili.

Altra distinzione tra provvedimento e fonte si ha sul piano dell’efficacia giuridica in quanto mentre la violazione dell’atto normativo da parte dell’atto applicativo comporta l’illegittimità di quest’ultimo per violazione di legge, l’inosservanza dell’atto generale costituisce una figura sintomatica di eccesso di potere. Inoltre la natura normativa o meno di un atto ha riflessi anche in ambito penale poiché all’art. 323 c.p. la nuova disciplina dell’abuso d’ufficio prevede come elemento costitutivo del reato “la violazione di norme di legge o di regolamento” con la conseguenza che soltanto la violazione di un atto normativo integra la figura di reato di abuso di ufficio. Ulteriore segno distintivo tra le due tipologie di atti concerne nello spessore prettamente politico che le fonti di diritto hanno e gli atti amministrativi no.

Le principali fonti secondarie del diritto amministrativo sono: gli statuti, i regolamenti e le ordinanze, inoltre in dottrina si discute della riconducibilità al genus delle fonti secondarie dei piani regolatori generali o dei capitolati generali.

Gli statuti sono degli atti normativi che hanno come oggetto l’organizzazione dell’ente e della sua attività essi possono essere auto statuti in quanto emanati dallo stesso ente che provvede alla sua organizzazione oppure etero statuti in quanto emanati da un soggetto differente.

Gli statuti trovano loro fondamento a livello Costituzionale all’art. 114, co. 2 il quale sancisce l’autonomia degli enti autonomi che adottano gli statuti. Proprio il dettato di tale previsione ha sollevato in dottrina un dibattito circa la natura di fonte di tali atti. Per alcuni lo statuto è una fonte secondaria caratterizzata da una maggiore autonomia, per altri gli statuti sono fonti sub-primarie e tra di essi e la legge non c’è un rapporto di gerarchica subordinazione ma di riparto di competenze, altri ancora hanno addirittura affermato il rango di fonte primaria dello statuto.

Tuttavia la tesi maggiormente condivisa è quella, appunto, di riconoscere negli statuti una fonte secondaria.

I regolamenti trovano la loro disciplina all’art. 14 del D.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199 che, in materia di ricorsi amministrativi, definisce i regolamenti come “atti amministrativi generali a contenuto normativo”.

L’esclusivo fondamento della potestà regolamentare è l’espressa attribuzione di competenza fatta dalla legge ad un organo amministrativo, solo la legge può di fatto attribuire tale potere.

Infatti in presenza di un regolamento emanato in assenza di una norma che attribuisca tale potere l’atto sarà illegittimo per vizio di incompetenza oppure nullo per carenza di potere o per difetto di attribuzione.

La principale norma attributiva, in via generale, di tale potere è l’art. 17 della L. 400/1988 che funge da norma di generale previsione di tale potere regolamentare devoluto all’Amministrazione: trattasi di una norma di ampio spettro, essa funge da clausola generale di attribuzione del potere regolamentare statale. Tuttavia sarà necessario valutare il caso concreto per rilevare la presenza di una legge di copertura attributiva del potere.

La regola che prevede che i regolamenti possano essere emanati solo previa riserva di legge è derogata solo nel caso dei regolamenti cosi detti liberi o indipendenti previsti dall’art. 17, co. 1, lett. c della legge 400/1988. Tale categoria di regolamenti comprende tutti quegli atti che superano i limiti cui è soggetta la potestà normativa dell’Esecutivo e che hanno natura normativa, derogando a singole disposizioni di legge e abrogando intere discipline di rango legislativo, intervenendo in materie coperte da riserve di legge o addirittura non amministrative.

La potestà regolamentare statale di cui alla legge 400/1988 spetta allo Stato nelle materie devolute alla sua competenza esclusiva ai sensi dell’art. 117 co. 6 Cost., ma i titolari della potestà regolamentare possono essere anche le Regioni, per riserva di legge, per delega e per competenza residuale ex ar. 117 co. 4, i Comuni, le Provincie e le Città Metropolitane in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni a loro attribuite.

L’art. 17, co. 1 della legge 400/1988 classifica le varie tipologie di regolamenti: la lett. a) prevede i regolamenti esecutivi di leggi e decreti legislativi nonché i regolamenti comunitari, si tratta di regolamenti che attuano in concreto le previsioni normative a cui essi si riferiscono e a cui sono collegati; la lett. b) prevede i regolamenti attuativi ed integrativi che hanno una forza innovativa più marcata dei primi; la lett. c) prevede i regolamenti indipendenti che intervengono cioè in materie non disciplinate dalla legge, salvo, ovviamente, i limiti della riserva di legge assoluta e relativa; la lett. d) che prevede i regolamenti di organizzazione che sono volti a disciplinare l’organizzazione degli uffici dell’amministrazione pubblica secondo la disciplina dell’art. 97 Cost..

Il co. 2 dell’articolo in questione, fa riferimento ai c.d. regolamenti di delegificazione che sono quegli atti amministrativi normativi che possono incidere su materie non coperte da riserva assoluta di legge dettando le norme generali regolatrici della materia e disponendo l’abrogazione delle norme vigenti. Il Consiglio di Stato ha avuto modo di chiarire che i regolamenti di delegificazione sono atti normativi che esuberano dalla potestà amministrativa e, pertanto, per la loro adozione,  è necessario il parere del Consiglio di Stato medesimo.

Il fenomeno della crescita esponenziale delle leggi Statali e dei susseguenti costi, ha portato il legislatore ad individuare in questi regolamenti uno strumento di semplificazione amministrativa, così come i  Testi Unici Compilativi previsti all’art. 17- bis della L. 400/1988 con funzione di organizzare e razionalizzare le disposizioni in settori e materie omogenee. Ulteriore tipologia di regolamenti, introdotti dalla legge 69/2009 sono quelli di riordino tesi al periodico riordino delle disposizioni regolamentari vigenti, sono volti ad una migliore conoscenza delle fonti normative secondarie.

Il potere regolamentare e le fonti secondarie in genere, sono comunque soggetti ai limiti dati dalla legittimità Costituzionale, dal fatto di non poter contrastare né derogare le leggi ordinarie o le fonti comunitarie, né derogare al principio di irretroattività della legge o contenere sanzioni penali, in sostanza sono volti al rispetto, salvo espresse deroghe di cui si è detto, di uno stringente principio di legalità.

Il problema del limite entro cui si possono utilizzare gli strumenti di potestà normativa attribuiti per legge all’Amministrazione è sorto nello specifico con riguardo alle fonti secondarie denominate ordinanze.

Con il termine ordinanze s’intende in generale tutti quegli atti normativi della Pubblica Amministrazione volti ad intervenire in situazioni di necessità e di urgenza in determinate materie di interesse pubblico, quali la pubblica sicurezza, l’igiene pubblica e la sanità ove, per la gravità o l’urgenza della situazione da affrontare, non è possibile intervenire con gli ordinari strumenti.

Il presupposto per l’adozione da parte dell’Amministrazione di tali strumenti è, quindi, l’esistenza di una situazione eccezionale, imprevedibile ed urgente di pericolo che impone la necessità di ricorrere con immediatezza a tale strumento.

Le caratteristiche principali delle ordinanze sono la loro atipicità e la loro capacità derogatoria rispetto ad ogni disposizione vigente, sempre, ovviamente, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e dando un adeguato supporto motivazionale in relazione alla loro adottabilità.

In questo senso sono atti extra ordinem adottati nell’esercizio di specifiche facoltà conferite dalla Legge a determinati organi in specifici ambiti settoriali.

La normativa di riferimento in ordine al potere amministrativo di ordinanza è contenuta nell’art. 5 della legge n. 225/1992 che istituisce il servizio nazionale della protezione civile contiene la disciplina dei poteri straordinari esercitabili dal Governo “al verificarsi degli eventi” di cui all’art. 2, co. Lett. c) ovvero “ calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, devono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari” è evidente come il potere di emendare ordinanze sia legata alla straordinarietà e all’urgenza della situazione

Altra legge di riferimento in ordine al potere di ordinanza dei Sindaci è l’art. 54 del D.Lgs. 267/2000 il quale enuncia al co. 4: “ il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili ed urgenti nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare i gravi pericoli che minacciano l’incolumità  pubblica e la sicurezza urbana”.

Si è acceso un dibattito in ordine alla costituzionalità di tal disposizione laddove, con l’utilizzo improprio del termine “anche” sembra conferire al Sindaco il potere di adottare  strumenti che non abbiano i requisiti propri delle ordinanza cioè la necessità e l’urgenza, in occasione di gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana. Tale formulazione non ha nemmeno aiutato a smorzare il fenomeno di un utilizzo sempre più massiccio delle ordinanze extra ordinem anche in situazioni apparentemente d’urgenza ma che non sono tali nel senso oggettivo del termine e in effettivo favore dell’interesse pubblico.

Come accennato, negli ultimi anni si assiste ad un utilizzo sempre più massiccio delle ordinanze d’emergenza al di fuori dei limiti di necessità ed urgenza previsti dalla normativa. Si discute, quindi, sulle conseguenze dell’adozione dell’ordinanza in difetto dei presupposti di necessità ed urgenza.

Si rende necessario capire quali siano gli strumenti dati al cittadino per poter fronteggiare situazioni di emanazione di una ordinanza al di fuori dei limiti suddetti imposti dal legislatore. A tal fine è importante valutare la natura giuridica di tali atti che non sempre ha dei profili determinati.

Si discute in ordine alla natura giuridica delle ordinanze di necessità e di urgenza, se esse, cioè siano atti formalmente e sostanzialmente amministrativi ovvero se siano atti formalmente e sostanzialmente normativi.

La tesi della loro natura normativa argomenta dal fatto che esse hanno carattere generale ed astratto e possono innovare l’ordinamento nel senso di derogarne le disposizioni di legge seppur transitoriamente e per ragioni d’urgenza.

La tesi contraria, avvallata dalla Corte Costituzionale, argomenta invece dalla loro natura transitoria e dalla conseguente inidoneità ad innovare in modo stabile l’ordinamento giuridico, dunque esse non producono un effetto abrogativo, ma comportano una sorta di effetto sospensivo e disapplicativo della legislazione ordinaria, momentaneamente derogate. La tesi maggiormente condivisa è, però, quella intermedia, che individua per le ordinanze il carattere generalmente amministrativo ed eccezionalmente normativo potendo contenere precetti generali ed astratti idonei ad innovare, sia pure entro un limitato periodo di tempo, l’ordinamento giuridico.

Dal differente inquadramento della natura giuridica di questi atti discende anche la differente tutela data al cittadino nei confronti di essi. Se si procede ritenendo l’ordinanza una fonte prettamente normativa il sindacato sulla legittimità di essa sarà un sindacato di costituzionalità se, invece, si procede ritenendo la natura prettamente amministrativa dell’ordinanza, il sindacato sarà quella tipica di un provvedimento illegittimo perché contra legem.

A tal proposito si possono riscontrare due teorie. Alcuna dottrina ritiene che l’assenza dei presupposti di necessità e di urgenza configuri una carenza di poteri la giurisdizione, quindi, spetterebbe al giudice ordinario altra ritiene invece che la mancanza di tali presupposti concerni un cattivo uso del potere devolvendo al giudice amministrativo le controversie di merito. In entrambi i casi il giudice potrà garantire la tutela risarcitoria per i danni cagionati per effetto dell’esercizio del potere di ordinanza ex art. 30 Cpa.

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