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ELEMENTI INCIDENTI SULLA PUNIBILITÀ: IN PARTICOLARE LA NOZIONE DI “NOCUMENTO” PREVISTA IN MATERIA DI TUTELA PENALE DELLA PRIVACY

 

ELEMENTI INCIDENTI SULLA PUNIBILITÀ: IN PARTICOLARE LA NOZIONE DI “NOCUMENTO” PREVISTA IN MATERIA DI TUTELA PENALE DELLA PRIVACY

Pubblicato il 15/03/2015 autore Paola Montone

Lo studio degli elementi che incidono sulla punibilità di un reato richiede la disamina di tutte quelle condizioni che devono concorrere ai fini dell’applicazione di una sanzione penale, con particolare riferimento alle condizioni obiettive di punibilità. L’esatta qualificazione giuridica di queste ultime risulterà utile al fine di verificare se la nozione di grave nocumento rilevante in tema di trattamento illecito dei dati personali incida o meno sulla punibilità del fatto di reato di cui all’articolo 167 del decreto legislativo 196 del 2003.

Prima di soffermarsi su questa specifica questione, occorre premettere come al concetto di punibilità, ossia di sottoposizione di un fatto di reato ad una sanzione penale, si ricollegano fattispecie differenti, quali le cause personali di esclusione della punibilità (nel cui novero rientrano le immunità, ispirate ad una logica di mera opportunità politica), quelle di estinzione della pena (ad esempio, morte del reo dopo la condanna, grazia, indulto) o del reato (morte del reo prima della condanna, decorso del termine prescrizionale ed amnistia), e quelle di sospensione dell’esecuzione della pena (sospensione condizionale della pena e liberazione condizionale), oltre alle sovracitate condizioni obiettive di punibilità. In realtà, dal raffronto tra le cause di non punibilità, di estinzione della pena o del reato e le condizioni obiettive di punibilità emerge come solo queste ultime attengano alla tecnica legislativa di formulazione della norma penale, essendo possibile ravvisarne la presenza già all’interno della singola fattispecie incriminatrice. Ma vi è di più: le condizioni obiettive di punibilità, anche se diverse le une dalle altre, in base alla scelta fatta propria dal legislatore in base al tipo di reato al quale accedono, sono accomunate dalla circostanza per cui esse definiscono in positivo le condizioni necessarie per l’applicazione della sanzione, ossia indicano all’interprete gli elementi che incidono sulla punibilità e non le cause che la escludono.

In tal senso, le condizioni obiettive di punibilità sono previste espressamente già dal legislatore, il quale, attraverso di esse, decide discrezionalmente di subordinare la punibilità di un fatto al verificarsi di un avvenimento futuro ed incerto, esterno ed ulteriore rispetto alla fattispecie di reato in sé già completa.

Le condizioni obiettive di punibilità sono annoverabili, infatti, tra gli elementi accidentali del reato, in contrapposizione agli elementi costitutivi del medesimo, generalmente riconducibili alla condotta, al soggetto attivo e passivo del reato, all’evento da intendersi in senso naturalistico o giuridico, al nesso di causalità e all’elemento psicologico del reato.

La ratio giustificatrice delle condizioni obiettive di punibilità viene rintracciata in un’esigenza di opportunità politica, fatta propria dal legislatore il quale, nella sua piena autonomia, oltre a tipizzare una determinata fattispecie di reato la ritiene meritevole di pena al verificarsi di una condizione non dipendente dalla volontà del soggetto agente. Esse vanno distinte dalle condizioni di procedibilità, rappresentate dall’autorizzazione a procedere, dall’istanza, dalla querela e dalla richiesta di procedimento che attengono, piuttosto, alla fase processuale, ossia alle condizioni per iniziare l’azione penale nei confronti di un soggetto. Ne consegue che se non si realizza una condizione di punibilità il fatto, pur essendo tipico, non sarà punibile dal giudice ed anche laddove la condizione si dovesse verificare successivamente alla contestazione del reato il soggetto non potrà essere sottoposto di nuovo a processo per lo stesso fatto, pena la violazione del principio del ne bis in idem. Viceversa, anche se è stata pronunciata una sentenza di non luogo a procedere per mancanza di una condizione di procedibilità, ciò non impedisce che venga nuovamente esercitata l’azione penale “per il medesimo fatto e contro la medesima persona se è in seguito proposta la querela, l’istanza la richiesta…”, come prescritto dall’articolo 345 c.p..

A rimarcare la distinzione tra la condizione obiettiva di punibilità, che attiene alla struttura del reato ed alla tecnica utilizzata dal legislatore per descrivere la fattispecie di reato, e le condizioni di procedibilità provvede, poi, lo stesso articolo 158 c.p. che, al secondo comma, prescrive la decorrenza del termine di prescrizione dal giorno in cui la condizione obiettiva di punibilità si è verificata; al contrario per i reati che non sono procedibili d’ufficio, il dies a quo per la decorrenza del termine di prescrizione è quello della commissione del reato.

Per quanto concerne la ricerca di un fondamento positivo dell’istituto, vale osservare come l’articolo 44 c.p. nel fornire una definizione generale dell’istituto in esame sembri scindere il piano della tipicità da quello della punibilità, prescrivendo l’imputazione obiettiva del verificarsi della condizione, nel senso cioè che al soggetto sarà contestabile la fattispecie di reato “anche se l’evento, da cui dipende il verificarsi della condizione, non è da lui voluto”. In effetti la disamina degli elementi che incidono sulla punibilità appare confermativa di quell’impostazione dottrinale, che, nello studio della struttura del reato, distingue la tipicità del fatto, l’elemento soggettivo della colpevolezza e l’antigiuridicità della condotta dalla punibilità, intendendo con siffatta espressione, quel giudizio di meritevolezza o necessità della pena rimessa al legislatore, a dispetto di chi, al contrario, ritiene la punibilità un connotato intrinseco della tipicità della fattispecie.

Esempi di condizioni obiettive di punibilità sono la presenza del colpevole nel territorio dello Stato, ai sensi degli articoli 9, 10 e 128 c.p.: il secondo comma di quest’ultimo articolo spiega chiaramente come dal riscontro della circostanza della presenza nel territorio dello Stato dipende la punibilità di un reato commesso all’estero. Ulteriori esempi sono il pubblico scandalo derivato dalla commissione di un incesto con un discendente o un ascendente ovvero il pericolo per la pubblica incolumità conseguente all’incendio di cosa propria di cui all’articolo 423 c.p..

Tutte queste fattispecie appaiono accomunate dalla medesima tecnica legislativa che fa ricorso all’espressione “se dal fatto deriva”, “in modo che ne derivi”, sottolineando il legame tra il verificarsi della condizione ed il fatto di reato e l’autonomia della stessa dalla sfera volitiva del soggetto agente.

Parte della dottrina ha fatto affidamento proprio nel criterio letterale per distinguere le ipotesi di condizioni obiettive di punibilità dagli elementi costitutivi del reato. Siffatta distinzione ha rilievo per un duplice ordine di ragioni: in primis, se si tratta di una condizione obiettiva di punibilità in senso stretto, in assenza della stessa, ci troveremmo di fronte ad una condotta già di per sé tipica ed antigiuridica ma semplicemente non punibile per ragioni di opportunità politica fatte proprie, a monte, dal legislatore. Se si tratta, piuttosto, di un elemento costitutivo del reato, la mancata verificazione della condizione di punibilità consente di affermare la atipicità della condotta rispetto alla fattispecie incriminatrice, considerato che non si sono realizzati tutti gli elementi tipizzati dal legislatore. Inoltre, proprio laddove dovesse emergere la natura di elemento costitutivo della condizione in esame occorrerebbe verificare anche il grado di partecipazione soggettiva all’evento verificatosi, sia pur nella forma minima della colpa, alla stregua del principio della responsabilità penale personale e colpevole di cui all’articolo 27 Cost.; tutto ciò a differenza della condizione di punibilità che, come anticipato, viene imputata in maniera obiettiva, proprio perché estranea in tesi al nucleo materiale del fatto di reato.

In tal senso, si è proposto un ulteriore criterio distintivo, questa volta afferente alla valutazione della condizione di punibilità in termini di incidenza o meno sul disvalore del fatto: se la verificazione della condizione incide sul disvalore della fattispecie penale, rendendo concretamente offensiva una condotta già in sé potenzialmente lesiva, allora è più corretto parlare di elemento costitutivo del reato e non di condizioni di punibilità, nonostante il ricorso da parte del legislatore a formule tralaticiamente interpretate come ipotesi di condizioni di punibilità.

Ai fini della suddetta valutazione, occorrerà considerare qual è il bene-interesse giuridico protetto dalla fattispecie e verificare se la condizione richiesta dal legislatore, una volta avverata, lede o mette in pericolo il suddetto valore giuridico ovvero risulta neutrale, non incidendo sul disvalore della condotta.

Si tratta, cioè, di interpretare le fattispecie di reato alla luce del principio di offensività, in conformità al dictum del Giudice delle leggi che, nel riconoscere la valenza e l’operatività del suddetto principio, ha a più riprese evidenziato come lo stesso si articoli sia sul piano dell’offensività in  astratto, come monito per il legislatore a formulare fattispecie di reato che presentano già per le modalità della condotta un’idoneità lesiva, sia sul piano dell’offensività in concreto, nel senso che la condotta dell’agente deve comunque concretizzarsi in un’azione che almeno metta realmente in pericolo il bene giuridico tutelato dall’ordinamento penale.

Applicando le coordinate ermeneutiche sovra citate, nel caso della presenza del colpevole nel territorio dello Stato appare legittimo postulare la natura della seguente condizione in termini di condizione obiettiva di punibilità, proprio in considerazione della circostanza che siffatto avvenimento non incide sulla lesività della condotta e non rappresenta una negazione di un valore giuridico protetto dall’ordinamento: il subordinare la punibilità di un delitto comune dello straniero all’estero alla sua presenza nel territorio italiano risponde ad una mera scelta di opportunità, largamente condivisibile, che lascia inalterata la portata offensiva della condotta del soggetto agente ed individuabile nella commissione del delitto comune.

Viceversa, nel caso del pubblico scandalo previsto dal legislatore ai sensi dell’articolo 564 c.p. la configurazione del suddetto evento può essere considerata elemento costitutivo del reato se si ritiene che il bene giuridico protetto dalla fattispecie in esame sia costituito dalla morale pubblica che potrebbe essere turbata alla notizia di una relazione incestuosa all’interno dell’ambiente familiare. Ma se, al contrario, si rinviene la ratio legis nel proteggere l’ambiente familiare, cercando di evitare la diffusione della notizia di un evento che, per quanto deprecabile, è in genere destinato a rimanere confinato entro le mura domestiche, allora il pubblico scandalo dev’essere più correttamente considerato una condizione obiettiva di punibilità che non partecipa del disvalore del fatto, non influenzando l’idoneità lesiva della condotta di base, rappresentata dall’incesto, nei confronti della morale familiare; in tal caso non vi è necessità di rinvenire un nesso di partecipazione psichica del soggetto agente rispetto alla verificazione della condizione, che può essere anche non voluta dal soggetto.

Così evidenziata la maggiore appropriatezza di un metodo d’indagine che identifica le condizioni obiettive di punibilità e le distingue dagli elementi costitutivi del reato sulla base dell’incidenza o meno delle stesse sull’interesse giuridico veicolato dalla tutela penale, occorre approfondire la nozione di grave nocumento prevista dall’articolo 167 del Codice della privacy, per poi verificarne l’interpretazione adottata dalla giurisprudenza di legittimità.

Dapprima, occorre evidenziare come l’ordinamento abbia previsto differenti modalità di tutela del diritto alla protezione dei dati personali che riguardano ciascun soggetto, sia di stampo civile, amministrativo che penale, attribuendo a quest’ultima forma di tutela la funzione di completare i rimedi apprestati dal legislatore, quale extrema ratio, in ossequio al principio di sussidiarietà e frammentarietà del diritto penale.

Il tutto si giustifica in considerazione dell’importanza del bene giuridico tutelato, la privacy, che presenta un carattere di indeterminatezza correlato alla natura immateriale dello stesso bene.

In particolare, la nozione di grave nocumento viene utilizzata dal legislatore con riferimento al citato articolo 167, laddove la sanzione penale consegue ad un trattamento dei dati personali eseguito in violazione delle specifiche regole contenute nel medesimo codice della privacy e che si risolve in un pericolo concreto per la riservatezza del soggetto interessato.

Nello specifico, il primo comma, fatta salva la possibilità di ritenere configurato un più grave reato, individua negli articoli 18, 19, 23, 123, 126 e 130 le violazioni dei principi che costituiscono trattamento illecito dei dati, alle quali si aggiunge la previsione di uno scopo specifico, rappresentato dal “fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno”.

Ma vi è di più: la norma subordina la punibilità alla circostanza per cui “dal fatto (sia) deriva(to) nocumento”, al pari di quanto accade per il secondo comma della medesima norma. Tale comma si contraddistingue dal primo per la previsione di un trattamento sanzionatorio più severo, in considerazione della maggiore gravità delle specifiche violazioni di legge, afferenti a particolari categorie di dati, quali quelli sensibili o giudiziari ovvero a condotte particolarmente deprecabili, argomentando ex articolo 45 del Codice, in tema di trasferimenti vietati.

Come anticipato, il contenuto dispositivo in esame pone una serie di problemi che vanno dall’esatta definizione del concetto di nocumento fino alla ricostruzione della funzione del medesimo e dell’incidenza sul bene protetto dalla norma. Siffatte questioni sono state affrontate dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha avuto sicuramente il pregio di interpretare in maniera meno restrittiva il concetto di nocumento.

In tal senso, è stato evidenziato come il nocumento non dev’essere identificato col danno, intendendosi, piuttosto, quel pregiudizio che ne rappresenta l’effetto e ne sottolinea l’incidenza sulla sfera tanto patrimoniale che non patrimoniale del soggetto che lo subisce. Siffatta interpretazione è consentita in virtù della tecnica di formulazione legislativa, che non specifica la natura del pregiudizio né il soggetto passivo del medesimo, nel senso che il nocumento può essere patito non solo dal soggetto titolare dei dati personali che sono stati oggetto di trattamento illecito ma anche da parte dei terzi.

In realtà tale allargamento della tutela penale trova giustificazione nella suesposta natura del bene giuridico tutelato dal Codice della privacy e dalla circostanza che esso afferisce ad un diritto della personalità che, come tale, richiede la massima attenzione da parte del giudice, anche in chiave di repressione preventiva di illeciti penali.

Chiarito il concetto di nocumento, occorre soffermarsi sulla natura dello stesso, se esso, cioè, può intendersi quale elemento costitutivo del reato ovvero quale mero elemento incidente sul profilo della punibilità. Sul punto, la giurisprudenza ha disvelato un orientamento ondivago, da ultimo affermandone la natura di condizione obiettiva di punibilità.

Il casus decisus atteneva ad un’ipotesi riconducibile al cosiddetto spamming, ossia all’invio di messaggi pubblicitari indesiderati nei confronti di soggetti iscritti ad una newsletter, i quali non avevano prestato il loro consenso alla ricezione dei suddetti messaggi. I giudici di legittimità hanno confermato la piana applicabilità dell’articolo 167 del codice della privacy, per la presenza di un trattamento avvenuto in violazione di quanto disposto dall’articolo 23 del Codice, in tema di consenso: in particolare la società che era subentrata nella gestione del sito (per giunta estromettendo in maniera del tutto abusiva la società proprietaria del sito medesimo, che si era rivolta alla prima proprio in quanto carente della tecnologia necessaria per la gestione) non aveva comunicato ai soggetti iscritti alla newsletter la cancellazione dalla stessa, ma anzi aveva iniziato ad inviare messaggi con cui sponsorizzava i propri prodotti, senza aver richiesto ai destinatari il preventivo consenso.

In particolare, il nocumento è stato ravvisato ed identificato nella perdita di tempo subita dai soggetti destinatari delle email indesiderate, i quali, oltre al tempo perso per vagliare le mail utili da quelle indesiderate, hanno dovuto prodigarsi in prima persona, richiedendo la cancellazione del proprio nominativo dalla newsletter. E non si tratta di un nocumento di poco momento, proprio in virtù della suesposta considerazione per cui qui viene in rilievo il diritto alla riservatezza, che giustifica la stessa interpretazione estensiva degli elementi che incidono sulla punibilità di una condotta ritenuta lesiva di tale bene giuridico.

Nel caso in esame, poi, il nocumento è stato subito non solo dai suddetti soggetti ma anche dalla società proprietaria del sito, che si era vista recapitare le numerose proteste degli iscritti all’originaria newsletter, i quali, ovviamente ignari di come si fosse svolta effettivamente la vicenda, attribuivano ad essa la responsabilità della ricezione delle email indesiderate.

Risulta, quindi, innegabile che dal trattamento illecito dei dati sia derivato un nocumento, tanto diretto quanto indiretto, con riferimento proprio alla credibilità ed alla serietà della società proprietaria del sito, la cui condotta, invece, non aveva dato alcun contributo causale alla fattispecie di reato in esame.

In realtà, la difesa della società che era subentrata nella gestione del sito (per giunta in maniera illegittima) ed alla quale è stato contestato l’articolo 167 del Codice della privacy ha replicato affermando l’inconfigurabilità di un trattamento illecito dei dati, per un duplice ordine di ragioni: in primis, la suddetta società aveva comunque provveduto ad inviare le cosiddette email di benvenuto, ossia dei messaggi con cui si rappresenta al destinatario il successivo invio di email e la possibilità di disinscriversi dalla newsletter; inoltre, il nocumento doveva essere valutato in concreto, attraverso l’audizione delle singole persone destinatarie della cosiddetta attività di spamming.

In merito al primo aspetto, la Corte di Cassazione evidenzia come l’illiceità del trattamento consegue ad un’espressa violazione di una norma di legge, in specie quella dell’articolo 23 del Codice che richiede il consenso espresso prima dell’inizio del trattamento dei dati personali, di guisa che inviare una mail con cui si rappresenta il futuro invio di ulteriori email pubblicitarie non può essere considerato corrispondente alla richiesta del consenso; di fatti, la norma è stata formulata in maniera chiara e precisa, tanto da non lasciare equivoci circa il proprio tenore letterale.

Quanto al secondo profilo, la confutazione dell’argomento che viene prospettata dalla giurisprudenza di legittimità consiste nel rilevare che se effettivamente si dovesse ritenere necessario ascoltare tutti i soggetti coinvolti dal fenomeno di spamming, soprattutto in considerazione del loro elevatissimo numero, si rischierebbe di non pervenire mai alla punibilità della condotta. Invero, la Corte valorizza l’importanza della considerazione del profilo dell’offensività ma ritiene che lo stesso sia configurabile già ex se, in considerazione della natura della condotta lesiva e soprattutto delle numerose proteste iscritte inviate alla società proprietaria del sito che si è vista, suo malgrado, destinataria di lamentele riconnesse proprio al pregiudizio conseguente all’invio di email indesiderate.

Da ultimo, occorre analizzare la funzione del nocumento all’interno della fattispecie di reato. Sul punto, la Corte di Cassazione ha aderito alla tesi per cui ci si troverebbe in presenza di una condizione obiettiva di punibilità, considerato che lo stesso legislatore parla di un nocumento derivato dal fatto, che si pone quale avvenimento ulteriore e distinto rispetto agli elementi costitutivi del reato e rappresentati dalla condotta (violazione di quanto disposto dagli articoli del codice della privacy), dall’elemento soggettivo (dolo specifico) e dall’evento (da intendersi in qui in senso giuridico come messa in pericolo della riservatezza dei soggetti interessati dal trattamento).

In realtà, come si è evidenziato in precedenza un corretto approccio sistematico dovrebbe rifuggire dal mero criterio letterale e tener conto del bene giuridico protetto dall’ordinamento e sotteso alla punibilità del fatto di reato.

In tal senso, il nocumento andrebbe più correttamente inquadrato tra gli elementi costitutivi del reato, in quanto è evidente il suo valore aggiunto rispetto all’offesa alla riservatezza determinata dalla mera violazione di una disposizione del codice. Infatti, non si potrebbe sostenere che esso non incide sul disvalore del fatto, mantenendo un carattere di neutralità e rispondendo piuttosto ad una mera esigenza di opportunità politica fatta propria dal legislatore. Anzi è proprio la previsione del nocumento a consentire la classificazione della fattispecie di reato in esame tra i reati di pericolo concreto ed a suggellarne, di conseguenza, la piena conformità al principio di offensività, già sul piano della lesività in astratto.

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