AUTORITA’ AMMINISTRATIVE INDIPENDENTI E POTERI IMPLICITI.

AUTORITA’ AMMINISTRATIVE INDIPENDENTI E POTERI IMPLICITI.

Le autorità indipendenti sono qualificabili come organismi amministrativi dotati di particolari cognizione tecniche, coniate per la cura di settori sensibili, coinvolgenti la tutela di interessi di particolare rilievo costituzionale, e munite di una peculiare posizione di neutralità rispetto agli interessi medesimi, nonché di sostanziale indipendenza dal potere esecutivo.

Alla base dello sviluppo storico del fenomeno delle autorità amministrative indipendenti, oltre alla riscontrata incapacità dell’organizzazione amministrativa classica e del potere giudiziario in sede di regolazione di settori sensibili, si pone principalmente il progressivo ritiro dello Stato dall’intervento diretto in economia, cui ha fatto seguito un travagliato percorso verso la privatizzazione delle imprese pubbliche ed il varo di organismi indipendenti di regolazione e vigilanza nei settori sensibili dai quali lo Stato si è ritirato.

Le c.d. authorities presentano profili soggettivi ed oggettivi di peculiarità rispetto alle classiche pubbliche amministrazioni.

Sul versante soggettivo, infatti, le autorità amministrative indipendenti sono caratterizzate da una sostanziale posizione di indipendenza rispetto al Governo che implica la non riconducibilità dell’attività dalle stesse svolta nell’alveo della responsabilità politica di cui all’art. 95 Cost.

La ratio di tale indipendenza dall’Esecutivo, che si concreta nella totale assenza di qualsiasi rapporto organizzativo fra tali organismi e qualsiasi organo dello Stato, è costituita dalla funzione di regolamentazione e tutela di interessi collettivi in ambiti della vita sociale in cui il contemperamento dei vari interessi risulta particolarmente delicato e che, pertanto, esige che tali soggetti siano dotati della massima autonomia e libertà da ingerenze dal Governo al fine di evitare ogni eventuale pericolo di condizionamento.

Da un punto di vista oggettivo, invece, le peculiarità caratterizzanti il fenomeno delle autorità in questione sono rappresentate dal fatto che, accanto alle funzioni amministrative classiche tese al soddisfacimento dell’interesse pubblico, vengono in rilievo funzioni neutrali c.d. giusdicenti che si concretano in un concetto ampio di applicazione della legge nel settore di riferimento, comprensivo tanto del regolare che del decidere.

In particolare, costituiscono esplicazione delle predette funzioni i poteri normativi di cui sono investite tali autorità, che si traducono nell’adozione di regolamenti in attuazione delle norme primarie, poteri regolatori, di cui sono espressione le prescrizioni prive di spessore regolamentare disciplinanti il settore di riferimento, poteri di controllo e di risoluzione dei conflitti, nonché poteri sanzionatori.

Ciò posto con riferimento ai tratti di originalità del fenomeno in esame, è d’uopo evidenziare come si sia soliti distinguere all’interno del genus delle autorità amministrative indipendenti due dicotomie fondamentali.

In primo luogo, si differenzia, a seconda dell’ambito di operatività, fra autorità di settore ed autorità trasversali: mentre le prime riferiscono la propria attività a problematiche inerenti un singolo ambito, le seconde sono proiettate entro dimensioni operative più generali.

A tale prima dicotomia si è soliti aggiungerne un’altra afferente il tipo di attività esercitata. In particolare, si distingue tra autorità di regolazione, qualora tali organismi siano legittimati a dettare regole comportamentali in un dato ambito e risultino titolari di un potere regolatorio, e autorità di vigilanza, nell’ipotesi, invece, che siano tenute a verificare il rispetto di tali regole facendo talvolta ricorso a penetranti poteri sanzionatori.

Le due dicotomie sono, peraltro, suscettibili di una tendenziale sovrapposizione, poiché solitamente le autorità di settore sono competenti a regolare le attività dell’ambito di riferimento, mentre quelle di vigilanza assolvono alla propria funzione in assenza di confini settoriali, muovendosi in una logica trasversale.

Ciò premesso, l’avvento delle authorities e dei poteri regolamentari e provvedimentali ad esse riconosciuti ha posto il problema dell’individuazione del fondamento di siffatti poteri in specie a fronte di disposizioni legislative contenute nelle leggi istitutive delle autorità medesime connotate da contorni estremamente vaghi e generici e che spesso si traducono in vere e proprie deleghe in bianco del potere.

In queste ipotesi, infatti, le autorità amministrative indipendenti si sono trovate costrette, per adempiere ai propri fini istituzionali, ad esercitare poteri privi di un’espressa e puntuale previsione legale. In tale contesto, si è fatto ricorso alla c.d. teoria dei poteri impliciti per giustificare l’esercizio di poteri da parte delle authorities pur in assenza di un fondamento legislativo diretto.

In particolare, la teoria dei poteri impliciti è quella teoria in forza della quale ad un soggetto può riconoscersi un potere diverso da quello espressamente riconosciutogli a condizione che tale potere implicito rinvenga un collegamento teleologico-funzionale con i poteri esplicitamente attributi al soggetto in questione.

Tale teoria si sviluppa nell’ambito degli ordinamenti di Common law che ammettono l’esistenza di costituzioni flessibili e quindi l’esistenza di poteri impliciti ovvero non esplicitamente riconosciuti nei testi costituzionali e rinviene la propria fonte nella c.d. implied powers clause contenuta nellaCostituzione degli Stati Uniti d’America, che attribuiva al Congresso il potere di emanare tutte le leggi necessarie e opportune per l’esercizio dei poteri enumerati nella sezione relativa della carta costituzionale e di tutti quelli espressamente attribuiti dalla stessa al Governo degli Stati Uniti.

E’ proprio in virtù di tale disposizione che, nel 1819, nel celebre caso McCullock vs Maryland, la Corte Suprema degli Stati Uniti utilizzò la “necessary and proper clause” per dichiarare la conformità alla Costituzione della istituzione di una Banca Federale, potere che non era compreso tra le competenze che la Costituzione espressamente riservava al Congresso. In particolare, secondo il Presidente Marshall lo Stato federale poteva esercitare oltre ai poteri espressamente attribuiti dalla Costituzione, anche una seconda categoria di poteri denominati “impliciti” o “incidentali”, i quali, anche se non rientranti tra quelli enumerati, potevano essere legittimamente esercitati, in quanto si ponevano con i poteri espressi in una relazione di mezzo a fine.

Secondo poi la successiva elaborazione della teoria degli implied powers, i c.d. poteri impliciti ricorrono alla presenza di due requisiti: uno di carattere negativo, che postula che il potere non sia espressamente contemplato da una norma giuridica ed uno di carattere positivo, che stabilisce che il potere implicito, per essere tale, deve essere legato da un nesso di strumentalità ad un altro potere espressamente fondato su una norma abilitata a conferirlo.

Difatti, non essendo il potere implicito direttamente desumibile da una norma di legge, l’unico termine di paragone che consente il suo riconoscimento all’interno dell’ordinamento è rappresentato da un altro potere che, a differenza del primo, è positivamente fondato su una disposizione espressa e che è correlato al potere implicito da un nesso che permette a quest’ultimo di rinvenire un fondamento al suo esercizio.

La teoria dei poteri impliciti trova oggi riconoscimento anche nel Trattato istitutivo della Comunità europea: in particolare l’art. 308 di tale testo normativo prevede la c.d. clausola di flessibilità che sancisce che quando è necessario raggiungere degli obiettivi di rilevanza comunitaria anche se il Trattato non ha riconosciuto alla Commissione tali poteri, la Commissione può comunque desumerli da tale clausola di flessibilità.

La dottrina italiana ha sdoganato la teoria dei poteri impliciti facendo riferimento non solo e non tanto a tale clausola di flessibilità di matrice comunitaria, ma anche richiamando un altro principio immanente al nostro sistema che è il principio della legislazione per obiettivi.

In tale ipotesi, in particolare, la legge si limita ad indicare uno o più obiettivi, non riconoscendo espressamente i poteri diretti al raggiungimento dei medesimi, tuttavia dalla determinazione di tali obiettivi è logico inferire anche il riconoscimento implicito dei poteri che siano strumentali o teleologicamente connessi al raggiungimento di quegli stessi fini.

Ciò posto, l’ammissibilità di poteri amministrativi privi di un fondamento legislativo diretto dipende essenzialmente dall’accezione del principio di legalità che si intende fare propria e, contestualmente, dal valore che si intende attribuire alle esigenze di garanzia e democraticità rispetto a quelle di funzionalità ed efficienza dell’azione amministrativa.

Al riguardo si stagliano due orientamenti contrapposti: il primo, che individua nella legge il fondamento necessario ed imprescindibile di ogni potere amministrativo di tipo autoritativo, interpretando il principio di legalità dell’azione amministrativa in senso rigoroso e, conseguentemente, esclude l’esistenza di poteri impliciti. In particolare, secondo tale orientamento le esigenze di garanzia e democraticità dell’azione amministrativa prevalgono sulle opposte esigenze di funzionalità ed efficienza.

Il secondo orientamento interpreta, invece, il suddetto principio di legalità in senso elastico, tendendo a giustificare la legittimità dei poteri impliciti purché strumentali alla realizzazione del fine esplicito al quale sono collegati. In linea con questa tesi si schierano coloro che attribuiscono la prevalenza alle esigenze di funzionalità rispetto a quelle di garanzia, negando un’interpretazione rigida del principio di legalità sul presupposto che la stessa implicherebbe un eccessivo ingessamento dell’azione amministrativa.

Ciò posto, il problema dell’ammissibilità di poteri impliciti nel nostro ordinamento e il relativo dibattito tra interpretazione rigorosa e flessibile del principio di legalità si sono manifestati in maniera particolare con riferimento ai poteri regolatori e provvedimentali delle autorità amministrative indipendenti.

La difficoltà di creare un sistema completo di regole puntuali nei settori in cui operano le authorities che richiedono una competenza altamente tecnico-specialistica e una capacità di adattamento delle norme alle evoluzioni della realtà economico-sociale ha indotto il legislatore ad attribuire alle autorità indipendenti compiti estremamente generici individuati solo attraverso la delineazione di alcuni obiettivi da perseguire. Tale sistema di “deleghe in bianco” del potere normativo giustifica, ad avviso di parte della dottrina, l’adozione di una concezione flessibile del principio di legalità, secondo la quale sarebbe legittimo ogni intervento amministrativo, anche non espressamente previsto dalla legge, purché funzionale al raggiungimento delle finalità indicate genericamente dalla previsione normativa.

Tuttavia, secondo altra parte della dottrina, una concezione che riconosca rilievo centrale all’efficienza amministrativa farebbe sì che questa funga da unico parametro in base al quale valutare la legittimità della condotta concreta dell’amministrazione, a prescindere dalla sua conformità alle prescrizioni normative. Di conseguenza, si dedicherebbe una scarsa attenzione alle posizioni giuridiche dei privati che, nel caso di contrasto con l’azione amministrativa, sarebbero destinate a soccombere. Secondo tale orientamento, pertanto, sarebbe necessaria un’interpretazione rigorosa del principio di legalità che funga da argine al potenziale arbitrio del potere delle autorità indipendenti, soggetti peraltro deboli sul piano della legittimazione democratica e che, dunque, a fortiori, dovrebbero rispettare in modo ancor più scrupoloso il principio di legalità.

Ai fini della disamina pratica dell’argomento è d’uopo addentrarsi nell’analisi di un recente caso in cui le authorities hanno fatto concreto uso di poteri non espressamente attribuiti da una fonte di rango primario.

Si fa, in particolare, riferimento alla vicenda relativa all’Autorità per l’energia elettrica ed il gas, che, al pari delle altre leggi istitutive delle autorità amministrative indipendenti, non è assolutamente chiara in tema di poteri regolatori, al punto che molte disposizioni sono caratterizzate da una forte genericità ed ambivalenza e da una mancata definizione organica degli interventi pubblici da soddisfare, nonché degli strumenti di intervento delle autorità.

In tale ambito si è innestato il dibattito sia in dottrina che in giurisprudenza in merito alla configurabilità o meno di poteri impliciti, che ha dato luogo a due orientamenti diametralmente opposti.

Le prime sentenze che affrontano la questione della configurabilità o meno in capo all’autorità per l’energia elettrica ed il gas di poteri impliciti propendono per un’interpretazione rigorosa del principio di legalità, facendo prevalere le ragioni di garanzia dei privati nei confronti di poteri autoritativi privi di base legale sulle ragioni di funzionalità ed efficienza dell’azione amministrativa.

In particolare, i giudici amministrativi hanno posto l’accento sull’art. 97 Cost., che impedirebbe di riconoscere alle istituzioni nazionali poteri privi di un fondamento legislativo che siano desunti solo per il tramite di obiettivi genericamente individuati dalla normativa primaria.

Secondo tale orientamento, poi, la stretta interpretazione del principio di legalità implica, che ogni potere amministrativo, anche di carattere normativo, che sia tale da incidere su libertà costituzionalmente riconosciute, come quella contenuta nell’art. 41 Cost. involgente la libertà d’impresa, debba necessariamente trovare il proprio fondamento in una previa ed espressa norma di legge, l’unica fonte del diritto idonea ad attribuire un potere limitativo delle facoltà riconosciute ai privati.

Tale interpretazione rigida del principio di legalità viene, tuttavia, osteggiata dal Consiglio di Stato che in numerose sentenze ha sposato un’interpretazione flessibile del principio di legalità attribuendo prevalenza alle ragioni di funzionalità dell’azione amministrativa.

In particolare, il Consiglio di Stato considera le leggi istitutive delle autorità amministrative indipendenti alla stregua di norme in bianco conferenti poteri molto generici, in considerazione dei settori caratterizzati da una certa obsolescenza tecnologica in cui le authorities sono costrette ad operare, competendo, peraltro, alla medesima autorità non abusare dell’ampiezza di siffatti poteri alla luce del principio di proporzionalità.

Secondo tale impostazione, pertanto, alla luce delle esigenze di funzionalità ed efficienza dell’azione amministrativa, è necessario che le autorità siano libere di operare nell’ambito indeterminato individuato dalle leggi istitutive e ciò al fine di poter meglio adattare la propria azione alle peculiarità del caso concreto.

Ad avviso del Consiglio di Stato, inoltre, il deficit di legalità sostanziale sarebbe ampiamente compensato dalla c.d. legalità procedurale ovvero attraverso la garanzia dei procedimenti di partecipazione dei soggetti regolati.

Successivamente il Consiglio di Stato, pur ribadendo l’orientamento volto al generale riconoscimento in capo all’autorità per l’energia elettrica ed il gas di poteri che non siano espressamente contemplati dalla legge istitutiva, ma che risultino, tuttavia, funzionali al raggiungimento degli obiettivi cui è preordinata l’azione dell’autorità, pone un fondamentale discrimine in punto di poteri sanzionatori evidenziando, infatti, che non è possibile desumere dalla potestà regolatoria attribuita dalla legge a tale autorità un ulteriore potere di contenuto ablatorio che incida sfavorevolmente su libertà costituzionalmente riconosciute come la libertà d’impresa ex art. 41 Cost., necessitando tale potere di una specifica previsione normativa.

In linea generale, l’orientamento attualmente prevalente del Consiglio di Stato opera un fondamentale distinguo fra attività di regolazione ed attività di vigilanza o controllo posta in essere dalle autorità amministrative indipendenti ai fini della configurabilità o meno dei c.d. poteri impliciti.

In particolare, i poteri regolatori delle authorities, ponendo norme generali e astratte promozionali della concorrenza in un dato settore economico, non sono di per sé idonei ad incidere direttamente sulle posizioni giuridiche dei privati, con la conseguenza che è possibile accedere ad una interpretazione meno rigorosa del principio di legalità che ammetta l’esistenza di poteri impliciti.

Per contro, qualora venga in rilievo un’attività di vigilanza che si esplicchi mediante l’esercizio di poteri di stampo ablatorio o sanzionatorio fortemente limitativi della libertà imprenditoriale, la teoria dei poteri impliciti non può trovare applicazione, necessitando l’applicazione di sanzioni idonee ad incidere in via sfavorevole nella sfera giuridica dei cittadini di un’apposita norma attributiva del potere.

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