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IL PRICIPIO DI PROPORZIONALITA’ DELL’ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA E LE SUE APPLICAZIONI

IL PRICIPIO DI PROPORZIONALITA’ DELL’ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA E LE SUE APPLICAZIONI

Chiara Di Gerio

Il principio di proporzionalità nell’attività amministrativa è un canone ermeneutico-operativo di matrice comunitaria che nasce e si sviluppa nel diritto pubblico tedesco per poi essere ripreso, rivisitato e fatto proprio dall’ordinamento comunitario.

Assurge a principio non scritto e viene generalmente incluso tra i principi di carattere specifico o definito che fungono da parametri interpretativi per mezzo dei quali la giurisprudenza comunitaria, e oggi nazionale, osserva e valuta l’attività della P.A. nelle sue manifestazioni tanto quando si trova ad agire in veste di autorità che quando agisce nella veste di contraente privato.

Il diritto comunitario suole distinguere i principi che lo permeano in due categorie: i principi di carattere generale che assurgono a canoni paracostituzionali, essendo principi comuni alle tradizioni costituzionali dei Paesi membri dell’Unione, come ad esempio, il principio dell’effetto utile; e iprincipi di carattere specifico che, pur non appartenendo alla generalità degli ordinamenti dei singoli Stati, sono comunque espressione di valori ritenuti di particolare rilevanza, tra i quali è compreso il principio di proporzionalità.

Nello specifico, si ritiene che esso si esprima in tre distinti aspetti che l’attività amministrativa dovrebbe perseguire: l’idoneità dell’azione in relazione al fine da realizzare; l’adeguatezza in ordineai mezzi utilizzati senza impingere al di là dello stretto necessario sull’interesse del privato su cui ricade l’esercizio del pubblico potere, e, infine, la necessarietà dell’esercizio di poteri imperativi cui ricorrere in via meramente sussidiaria per il soddisfacimento dell’interesse perseguito.

All’interno dell’ordinamento comunitario, il principio in questione assume due diverse connotazioni.

Da un lato, infatti, si riferisce ai rapporti tra le istituzioni di cui è composta l’Unione e la cui disciplina è rinvenibile nell’art. 5 TUE: in tale contesto normativo, il principio assume il medesimo criterio di organizzazione delle attività e dei compiti istituzionali, nel rispetto delle singole prerogative, che esplica nell’esegesi dell’art. 117 della Costituzione italiana, così come modificata dalla L. Cost. 3 del dicembre del 2001.

Dall’altro lato assurge a parametro di giudizio della legittimità dell’azione amministrativa: tale seconda accezione è accolta dalla giurisprudenza nazionale italiana che ne valorizza l’endiadi con il principio di ragionevolezza.

Occorre preliminarmente osservare che, secondo una certa interpretazione giurisprudenziale, la cogenza di tale principio è da rinvenire direttamente nell’art. 3 della Costituzione del quale il principio in esame sarebbe espressione prevedendo, da un lato, la parità di trattamento e, dall’altro,l’impegno dello Stato ad eliminare le difficoltà che possano frapporsi al godimento dei diritti deicittadini.

La dottrina italiana sostiene che il principio in questione si sostanzi nella parametrazionedell’azione della Pubblica Amministrazione: poichè consente di determinare quando la P.A. abbia agito in violazione del canone dell’efficacia della propria azione rispetto ai fini predeterminati, odell’adeguatezza, ingiustificatamente sacrificando interessi privati, e della necessarietà, qualora quel risultato avrebbe potuto essere raggiunto tramite soluzioni alternative a quelle utilizzate.

Innanzitutto, è dato riscontrare la cogenza del principio di proporzionalità nella legge sul procedimento amministrativo che, nel 1990, ha per la prima volta codificato l’iter procedimentale e di partecipazione del privato in relazione all’attività della P.A.

L’art. 1 della L. 241/1990 come modificato nel 2009, con la Legge n. 69, espressamente subordina l’attività della P.A. al rispetto dei principi di matrice comunitaria tra i quali è rintracciabile quello in esame.

All’interno di tale disposizione normativa, infatti, è dato riscontrare una pluralità di applicazioni del principio: la necessaria partecipazione del privato al procedimento (art. 7) mediante le comunicazioni di cui egli è destinatario e che hanno lo scopo di consentirgli di interferire in ordine alle determinazioni di contenuto negativo che la P.A. sia in procinto di adottare (art. 10), la possibilità di concludere il procedimento addivenendo ad un accordo con i privati (art. 11), l’accesso alla documentazione amministrativa al fine di garantire la trasparenza (art. 22).

Al fine, poi, di impedire un eccessivo sacrificio degli interessi privati, il legislatore del 2009 ha imposto, al comma secondo del medesimo articolo 1, il divieto di inutile aggravio del procedimento amministrativo, salvo che ciò non sia giustificato,  da straordinarie e motivate esigenze connesse alla difficoltà dell’istruttoria.

Un terreno che si è rivelato fertile per l’applicazione del principio in esame è quello dell’attività iure privatorum.

L’art. 2 del Codice degli appalti pubblici (d.lgs. 163/06 che ha recepito le direttive comunitarie n. 17 e 18 del 2004) iscrive tra i principi ispiratori del sistema il principio di proporzionalità a garanzia del fine ultimo cui l’ordinamento comunitario subordina l’intera regolamentazione della materia: la tutela della libera concorrenza.

Risultando tale compendio normativo profondamente legato alla disciplina extranazionale l’interprete non può esimersi dal riferimento e dalla puntuale applicazione dell’art. 49 TFUE che, nel sancire la libertà di circolazione di persone, strumenti e capitali nel perimetro comunitario, impone tali valori anche nell’ambito delle gare di appalto pubbliche.

Molteplici anche nel Codice degli appalti sono le applicazioni del principio così come integrato dalla giurisprudenza comunitaria: viene in rilievo l’istituto del soccorso istruttorio (art. 46 ed oggi art. 38 comma 2 bis come inserito dal d.l. n. 90/2014) che consente alla stazione appaltante di invitare il soggetto partecipante a fornire chiarimenti o integrazioni con il limite della violazione del principio della par condicio.

La medesima disposizione prevede, altresì, la tassatività della cause di esclusione da intendersi nel senso che la stazione appaltante ben può richiedere nella lex specialis di gara requisiti ulteriori rispetto a quelli previsti in linea generale dalle disposizioni di cui agli artt. 38-42, ma sempre nel rispetto proprio del principio di proporzionalità.

La giurisprudenza che, in più occasioni, è stata chiamata a verificare il rispetto di tale parametro ha ribadito che la discrezionalità della P.A., nel definire le clausole di esclusione dalla partecipazione ad una gara pubblica, incontra il limite della ragionevolezza e della proporzionalità facendo derivare dalla violazione del principio di proporzionalità la legittimazione all’impugnativaimmediata delle clausole del bando che risultassero immediatamente escludenti perché violative del principio di ragionevolezza e proporzionalità.

Le stesse conclusioni sono state affermate anche dalle Autorità competenti al controllo della correttezza formale e sostanziale degli appalti: l’AVCP (Autorità di Vigilanza dei Contratti Pubblici, oggi confluita nell’ANAC, Autorità Nazionale Anti-Corruzione) si è espressa più volte in favoredel principio di proporzionalità e della sua proiezione nel diritto degli appalti rappresentata dallalibertà di concorrenza.

Le medesime considerazioni possono poi estendersi alle concessioni pubbliche, dato l’espresso richiamo dell’art. 30 del Codice alla necessaria applicazione del principio di proporzionalità.

Altro ambito dell’ordinamento nazionale in cui la giurisprudenza ha difeso la rilevanza del principio di proporzionalità è quello dell’istituto dell’espropriazione per pubblica utilità la cui disciplina è da ultimo confluita nel D.P.R. 327/01 s.m.i.

In particolare, vengono in considerazione gli aspetti problematici della disciplina della cd. acquisizione sanante di cui all’art. 42-bis, come modificato nel 2011.

Tale disposizione ha suscitato notevoli problemi anche in seno alla Corte di Strasburgo che ne ha sancito la illegittimità comunitaria, in quanto la disciplina che essa reca si pone in stridente conflitto con l’accezione di proprietà accolta dall’art. 1 del Protocollo Addizionale della CEDU.

Il principio in esame rileva in tale materia poiché esso, per come è stato interpretato dalla Corte EDU nonché dalla giurisprudenza comunitaria : la disciplina che non subordina l’espropriazione ad una legge o ad un corretto procedimento, appare in contrasto con il canone di proporzionalità  oltre che con il concetto di proprietà, assoluto, accolto dal diritto dell’Unione.

Ancora, il principio trova riscontro nella normativa che tutela l’ambiente: il d.lgs. 152 del 2006, anch’esso ispirato, come è dato rinvenire nell’art. 3-bis, ai principi comunitari e, in particolare, ai principi di matrice transazionale di cui all’articolato successivo, laddove ogni canone e valore sono espressione del principio di proporzionalità.

Sul piano della tutela giurisdizionale, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di sottolineare che allorquando l’attività della P.A. sia affetta dalla violazione del principio di proporzionalità per aver omesso di considerare l’interesse del privato, per aver quindi perseguito la massimizzazione interesse  pubblico  il provvedimento porterà con se le conseguenze della violazione del principio del contraddittorio o del difetto di istruttoria e potrà pertanto rivelarsi  illegittimo per violazione di legge o per eccesso di potere ( sub specie di irragionevolezza, illogicità o ingiustizia manifesta).

Ciò che il Giudice dovrà valutare sarà la congruità del provvedimento rispetto agli interessi in conflitto vagliando il compendio motivazionale della P.A. procedente convenuta.

Le stesse conclusioni valgono nel caso di esercizio in autotutela del potere amministrativo.

In tale caso, operano i disposti degli artt. 21-quinquies e 21-nonies della L. 241/90 che fanno riferimento alle ipotesi di revoca del provvedimento per ragioni di pubblico interesse o per mutamento delle condizioni e di annullamento d’ufficio di un atto amministrativo illegittimo. Le fattispecie, introdotte nel 2005, rivestono una fondamentale importanza poiché potremmo dire che codificano il principio in esame in sede di esercizio dell’autotutela amministrativa.

La P.A., nella revoca del provvedimento favorevole, deve considerare l’affidamento ingenerato nel privato valutando nel caso concreto quale fosse il suo interesse e il lasso di tempo trascorso al fine del consolidamento degli effetti dell’atto: quando da tale bilanciamento, emerga una posizione del privato meritevole di tutela, la disposizione accorda la corresponsione di un indennizzo, nelle modalità, ancora oggetto di dibattito dottrinale, di cui al secondo comma del medesimo articolo. Come noto, il riconoscimento dell’indennizzo viene ancorato dall’ordinamento ad un’attività lecita che, nondimeno, abbia comportato un danno per il soggetto interessato.

L’attività della P.A. nell’esercizio della revoca, alle condizioni date dall’art. 21-quinquies, è da considerarsi lecita, ma la frustrazione dell’interesse del privato è comunque rilevante per il legislatore: egli, negli ultimi anni e sulla scia di quanto accade negli altri ordinamenti europei ed in quello comunitario, si è visto costretto a tutelare, a differenza di quanto abbia fatto sinora, il fattore “tempo” come bene della vita cui il soggetto aspira e che non può essere frustrato o leso ad libitumdalla Pubblica Amministrazione (cfr art. 1, cpv e comma 2, L. 241/90), quindi come interesse meritevole di tutela, anche risarcitoria come presuppongono oggi l’art. 2 della Legge sul procedimento amministrativo e quella giurisprudenza che accorda tutela al cd. “danno da ritardo”.

Dal canto suo, la norma di cui all’art. 21-nonies prevede che quando la P.A. intenda annullare, per ragioni di pubblico interesse e con effetto ex tunc, il provvedimento illegittimo – per le cause di cui all’art. 21-octies – dovrà farlo valutando anche il legittimo affidamento che la sua precedente attività, ancorché illegittima, abbia ingenerato nel privato.

La giurisprudenza ha ripetutamente statuito in questi termini nel caso di annullamento di provvedimenti – illegittimi – che autorizzavano il privato allo ius aedificandi: la sola riscontrata illegittimità del provvedimento autorizzatorio non vale a frustrare l’affidamento che il privato abbia riposto su un apparentemente legittimo permesso a costruire e, alle condizioni descritte dall’art. 21-nonies, la determinazione della P.A. in ordine, ad esempio, alla distruzione dell’opera si paleserà a sua volta affetta da violazione di legge e come tale impugnabile in sede giurisdizionale per contrasto con il canone di proporzionalità quale espressione del principio di buona fede.

I principi del legittimo affidamento, in uno con quello della proporzionalità, sono espressione del canone generale di buona fede che permea l’intero sistema di diritto e dalla quale neanche la Pubblica Amministrazione, quale soggetto di diritto, può esimersi: quando sia trascorso un “ragionevole lasso di tempo” e il privato non abbia concorso nella originaria determinazione illegittima della P.A., quest’ultima non può, per la sola esigenza di tutela della legittimità eaccordando preminenza al solo interesse pubblico, annullare il provvedimento, in quanto talesecondo atto avrà a contrastare con il principio di proporzionalità.

Come si vede da una disamina degli ambiti operativi dell’attività amministrativa, si riscontra una forte apertura e condivisione da parte tanto del legislatore nazionale quanto della giurisprudenza verso un’ampia applicazione del principio di proporzionalità, quale guida e misura dell’azione pubblicistica volta non più ad un cieco soddisfacimento dell’interesse pubblico ma ad un costruttivo apporto del privato per il miglioramento della funzione pubblica nel rispetto del fine collettivo, frustrando nella minore misura possibile gli interessi particolari.

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