Home » Temi » La patologia del provvedimento amministrativo con particolare riguardo alla configurabilità della nullità virtuale

La patologia del provvedimento amministrativo con particolare riguardo alla configurabilità della nullità virtuale

La patologia del provvedimento amministrativo con particolare riguardo alla configurabilità della nullità virtuale

di Flavio Caruso

Lo studio della patologia dell’atto giuridico, nella teoria generale del diritto, studia le difformità dell’atto rispetto al paradigma legale, specificandone il contenuto ed i rimedi.

Nella teoria generale del diritto  possono ravvisarsi molteplici tipologie di difformità rispetto al modello legale, che si differenziano riguardo alle conseguenze che essi comportano sia da un punto di vista teorico che pratico. In particolare, le patologie si suddividono sulla base della gravità, cioè secondo un giudizio di difformità rispetto al modello legale tracciato dal legislatore. Fondamento giuridico della patologia è ravvisabile nell’interesse concreto protetto dala norma che viene violato qualora l’atto giuridico si discosti dal precetto legale delineato dalla disposizione.

Al riguardo la dottrina tradizionale ha enucleato diversi modelli di patologie dell’atto giuridico classificabili sulla base della gravità del vizio. Innanzitutto  viene in rilievo la categoria dell’inesistenza, che si presenta tutte le volte in cui l’atto giuridico sia talmente difforme dal precetto giuridico da non essere nemmeno sucettibile di valutazione giuridica. Tuutavia secondo la recente dottrina in realtà la categoria dell’inesistenza è priva di fondamento nell’ordinamento giuridico, per cui tutti quegli atti che si discostino in modo abonorme dal modello legale sono semplicemente privi di rilevanza giuridica.

Altra categoria è quella della nullità, in cui l’atto giuridico si allontana dal precetto giuridico in modo tale da determinare una grave violazione dell’interesse protetto dall’ordinamento giuridico. La nullità trova dunque fondamento giuridico nell’importanza e rilevanza primaria che il legislatore intende dare all’interesse enucleato nella norma giuridica. Invero, conseguenza immediata della nullità è l’immediata improduttività ab origine degli effetti giuridici dell’atto posto in essere, talora inoltre il legislatore prevede che la nullità possa essere fatta valere da chiunque, senza limiti di tempo e che sia insanabile.

In particolare, paradigma legale della categoria di nullità è per eccellenza quella disciplinata dal codice civile agli artt. 1418 c.c. e ss. La nullità civilistica si caratterizza alla stregua di un rimedio generale avverso contratti violativi della legge. Invero, dalla lettera della disposizione dell’art. 1418 c.c. è possibile enucleare tre tipi di nullità. La nullità virtuale, che consegue alla violazione di norme imperative, la nullità strutturale che deriva dalla mancanza nell’atto di uno dei requisiti essenziali, e la nullità testuale ove sia espressamente prevista dalla legge. Negli articoli successivi poi il codice disciplina le conseguenze della nullità prevedendo appunto l’insanabilità, l’imprescrittibilità e la rilevabilità d’ufficio.

Meno grave forma di invalidità rispetto alla precedente è la categoria dell’annullabilità, disciplinata analiticamente sempre dal codice civile riguardo ai contratti, ma che comporta conseguenze meno rigorose rispetto alla nullità.

Altra forma di patologia enucleata dalla dottrina è quella della irregolarità che si riscontra in tutte quelle ipotesi in cui la difformità rispetto al paradigma legale non è talmente grave da comportarne l’invalidità, ma viene comunque sanzionata dall’ordinamento giuridico attraverso altri strumenti.

La dottrina, inoltre, ha individuato nella inopportunità ulteriore profilo viziante dell’atto giuridico, in particolare del provvedimento amministrativo. Tale vizio attiene strettamente all’esercizio di un potere discrezionale esercitato dalla pubblica amministrazione, in cui vengono in rilievo non norme giuridiche, ma norme di opportunità e dunque norme non scritte, quali ad esempio le norme di buona amministrazione. A differenza che dei vizi suddetti, l’inopportunità dell’atto amministrativo non è però sindacabile dal giudice amministrativo, se non in quelle specifiche ipotesi espressamente previste che gli attribuiscono la giurisdizione di merito. Inoltre il privato potrà comunque opporsi al provvedimento inopportuno in tutte le ipotesi in cui l’autorità decidente sia la stessa che abbia adottato il provvedimento o quella gerarchicamente superiore, come accade nel caso del ricorso gerarchico.

Nel diritto amministrativo, i termini della questione sulla patologia del provvedimento sono più complessi, posto che la l.15/05 ha introdotto con disciplina specifica sia l’istituto della nullità, sia  dell’annullabilità.

Innanzitutto occorre premettere che prima della novella del 2005, il rimedio classico, se non quasi unico, avverso i provvedimenti viziati era quello dell’annullabilità. Invero, per lungo tempo, sin dall’istituzione della giurisdizione amministrativa nel 1889, il processo amministrativo era strutturato come un processo caducatorio, cartolare, per cui il giudice amministrativo poteva solo annullare, con sentenza costitutiva, l’atto amministrativo impugnato.

In particolare, l’art. 21 octies l. proc. come introdotto dalla novella del 2005 tipizza i tre vizi dell’annullabilità del provvedimento amministrativo, cioè l’incompetenza, l’eccesso di potere e la violazione di legge. In buona sostanza la l. 15/2005 confluisce nel dato normativo dell’art. 21 octies  sia la giurisprudenza amministrativa stratificatasi nel tempo, si le istanze dottrinali. In particolare, la citata disposizione al primo comma enuclea formalmente i tre vizi che comportano l’annullabilità del provvedimento amministrativo, il cui rimedio previsto è quello di tipo impugnatorio e caducatorio classico, in cui il giudice amministrativo è tenuto innanzitutto a verificare il riscontro di uno o più dei suddetti vizi all’interno del provvedimento impugnato ed in caso di esito positivo, annulla, dunque con sentenza costitutiva, il provvedimento. Tuttavia, la novella del 2005 si spinge oltre, non limitandosi alla mera elencazione dei vizi del provvedimento, ma al secondo comma prevede testualmente la non annullabilità del provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Secondo una consistente parte della dottrina e della giurisprudenza, la norma ha una portata innovativa, in quanto riconosce al giudice amministrativo il potere di verificare non più solo il mero riscontro di uno dei vizi del provvedimento amministrativo, ma di verificare in concreto la spettanza al bene della vita cui aspira il privato. In buona sostanza la norma, secondo tale tesi, trasforma il processo amministrativo da processo cartolare sul giudizio dell’atto al giudizio sul rapporto giuridico fatto valere dal ricorrente. Tale disposizione, dunque si colloca in linea con quella tendenza del legislatore che riconosce al giudice amministrativo poteri più ampi in ordine all’accertamento della legittimità dell’azione amministrativa, come appunto il riconoscimento ad opera del processo amministrativo di strumenti probatori più ampi in favore del giudice amministrativo,alla stregua del processo civile,  quali la consulenza tecnica e la testimonianza.

Tuttavia, la questione della configurabilità della nullità del provvedimento amministrativo è certamente più dibattuta.

Invero, come precisato, il processo amministrativo era strutturato come un processo caducatorio in cui il giudice poteva solamente verificare il riscontro di un vizio del provvedimento annullandolo con sentenza costitutiva. Così costruito pertanto non era ammessa alcuna forma di azione di accertamento alla stregua del processo civile, certamente l’unica compatibile con il rimedio della nullità. Le prime aperture in tal senso cominciano a prospettarsi solo nella seconda metà del secolo scorso, in cui la legislatore  ha introdotto taluni vizi del provvedimento che ne comportavano la nullità.Tuttavia,i casi di nullità erano pochi ed espressamente previsti dalla legge. Solo in seguito si cominciano dunque a prospettare da parte della dottrina quelle tesi che ammettono l’invalidità dell’atto amministrativo per nullità. Invero, secondo una parte della dottrina detta pancivilistica, il disposto dell’art. 1418 c.c. è applicabile all’atto amministrativo in quanto sono confluibili in tale categoria tutte le tipologie di nullità prospettate dalla dogmatica civilistica. In primo luogo, nessun dubbio sussisterebbe per quanto riguarda la nullità testuale già prevista in alcune disposizioni di legge. In secondo luogo, la nullità strutturale sussiterebbe invece tutte le volte in cui l’atto amministrativo non presenti uno o più dei requisiti essenziali previsti dalla legge. Infine anche la nullità virtuale è configurabile, quando cioè l’atto sia violativo di norme imperative.

La suddetta impostazione è stata però fortemente criticata da un’altra parte della dottrina, la quale sostiene l’assoluta incofigurabilità dei vizi disciplinati dall’art. 1418 c.c. sul provvedimento amministrativo. Invero, secondo tale tesi, detta autonomistica o panpubblicistica, l’unica forma di nullità ammissibile nella dogmatica amministrativistica è quella testuale, cioè solo qualora sia espressamente prevista dalla legge. Inoltre, il giudice amministrativo non avrebbe gli stessi strumenti del giudice civile. Invero, il giudice amministrativo può solo adottare, salvo le poche eccezioni espressamente stabilite, esclusivamente sentenze di annullamento.

Sebbene non ancora vigente nell’ordinamento giuridico l’art. 21 septies, già la giurisprudenza amministrativa dirimeva il contrasto tra le due concezioni, privatistica e autonomista, accogliendo la configurabilità della nullità del provvedimento amministrativo, però in una versione temperata. In buona sostanza, secondo il ragionamento della giurisprudenza maggioritaria, il provvedimento amministrativo è suscettibile di essere dichiarato nullo sia nelle ipotesi espressamente previste, sia nelle ipotesi in cui manchi di uno dei requisiti essenziali. Resterebbe pertanto fuori la categoria della nullità virtuale e ciò per una serie di ragioni.

In primo luogo, la nullità virtuale consiste nel vizio che inficia il contratto qualora esso si ponga in contrasto con norme imperative. L’azione di nullità, nel diritto privato, è quindi previsto come rimedio a carattere generale avverso quei contratti che siano violativi delle norme imperative, a differenza dell’azione di annullamento  che invece è prevista solo per quei vizi espressamente previsti dalla legge. Nel diritto amministrativo, anche a seguito delle modifiche legislative riguardanti il procedimento ed anche dell’entrata in vigore del processo amministrativo, il rimedio generale avverso i vizi del provvedimento amministrativo rimane quello dell’annullabilità, in quanto strumento ritenuto più efficace di eliminazione dei vizi che inficiano il provvedimento amministrativo.

In secondo luogo, si rileva come la nullità virtuale riguardi appunto la violazione di norme imperative, cioè quelle norme inderogabili poste a presidio di interessi superindividuali, che pertanto possono ben riguardare l’azione amministrativa. In particolare, tale tesi sostiene che l’azione amministrativa è sempre retta da norme imperative e pertanto i casi di nullità virtuali sarebbero assorbiti dal rimedio generale dell’annullabilità per violazione di legge.

Tuttavia, una parte minoritaria della dottrina obietta che sussistono  due differenti tipologie di norme imperative, quelle che comportano la nullità perchè comportano una violazione più grave della legge, e quelle che invece comportano l’annullabilità perchè comportano una violazione meno grave.

Si è però al riguardo obiettato che la distinzione è priva di rilievo nell’ambito dei vizi che inficiano il provvedimento amministrativo, in quanto la violazione di legge è sempre riconducibile allo scorretto esercizio dell’azione amministrativa da parte della pubblica amministrazione. Pertanto l’unico rimedio esperibile avverso quei provvedimenti viziati da violazione di legge è quello dell’annullabilità.

Il suddetto orientamento è stato infatti consacrato dal legislatore del 2005, che all’art. 21 septies dispone che il provvedimento amministrativo è nullo nei casi di difetto assoluto di attribuzione, mancanza di uno degli elementi essenziali,  violazione o elusione del giudicato e nei casi espressamente previsti dalla legge. La disposizione citata pertanto conferma l’inconfigurabilità della nullità virtuale, in quanto le regole che disciplinano l’agere publicistico sono da considerarsi tutte come norme imperative, poichè riguardano norme inderogabili da parte dell’amministrazione essendo volte a garantire l’attuazione dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento previsti dall’art. 97 Cost.

La norma dunque non fa altro che confermare l’assunto secondo cui il rimedio generale avverso i provvedimenti amministrativi viziati sia l’azione di annullamento.

Tuttavia, una parte minoritaria della dottrina ritiene che in realtà la nuova disposizione di cui all’art. 21 septies non abbia definitivamente eliminato la possibilità che sia configurabile una sorta di nullità virtuale. Ci si riferisce in particolare alla fattispecie di nullità per difetto assoluto di attribuzione, disposizione che ha generato un  complesso dibattito attorno alla definizione di tale concetto. In particolare, secondo tale dottrina, la suddetta fattispecie è qualificabile come nullità virtuale, in quanto l’azione amministrativa posta in essere dalla pubblica amministrazione risulta gravemente violativa di quelle norme attributive del potere amministrativo. In tali casi, dunque, secondo la tesi in esame, sussisterebbe nullità virtuale tutte le volte in cui il potere pubblico sia stato esercitato in mancanza di una norma attributiva e dunque in palese violazione di norme imperative. Il tratto distintivo  della violazione di legge di cui all’art. 21 octies risiede dunque nel fatto che l’ordinamento intende sanzionare più gravemente alcuni tipi di violazione di legge rispetto ad altri, come appunto accade nel caso della violazione di legge sull’attribuzione del potere amministrativo.

Guarda anche

  • Il potere normativo della p.a.: limiti nel sistema delle fonti

  • BREVI RIFLESSIONI IN MERITO AL REGIME PATRIMONIALE DEI BENI DESTINATI AD UN PUBBLICO SERVIZIO.

  • Ipotesi di svolgimento. Traccia estratta prove scritte carriera prefettizia 2021. La prima. Diritto Amministrativo/Costituzionale.

  • NOVITA’ IN MATERIA ESPROPRIATIVA: BREVI RIFLESSIONI SULLE MODIFICHE AL CODICE DELLE COMUNICAZIONI ELETTRONICHE DEL 2022