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Evasione fiscale e confisca penale

Traccia di diritto Penale

Evasione fiscale e confisca penale

 

 

La tematica dei rapporti tra evasione fiscale e confisca penale importa alcune preliminari riflessioni circa la natura, la ratio e la disciplina dell’istituto della confisca, con particolare riferimento alla confisca allargata ed a quella antimafia.

Con riferimento alla natura della confisca, bisogna evidenziarne il carattere proteiforme, alla stregua del quale sarebbe più corretto parlare di confische, in considerazione del riscontro all’interno delle leggi penali speciali di differenti tipologie dell’istituto in esame.

In ogni caso, il primigenio nucleo di disciplina della confisca si rinviene all’interno del codice penale, all’articolo 240 c.p., dove il legislatore si occupa della confisca diretta dei beni utilizzati per la commissione di un fatto di reato e di quelli che ne costituiscono il prodotto, il profitto od anche il prezzo.

La confisca nasce, infatti, come misura amministrativa di sicurezza patrimoniale, applicabile, al pari di tutte le misure di sicurezza, in presenza del presupposto soggettivo di un giudizio di pericolosità sociale della persona che abbia commesso un fatto di reato.

Il sistema di tutela apprestato dal legislatore con lo strumento dell’applicazione della misura di sicurezza si pone a completamento della previsione di irrogazione della pena, in caso di violazione di un precetto penale, secondo la logica del doppio binario. Mentre, però, la pena è indirizzata ad apprestare una risposta sanzionatoria di fronte alla commissione di un fatto previsto dalla legge come reato, la misura di sicurezza svolge una funzione special-preventiva: la finalità è quella di evitare, in via precauzionale, che in futuro un soggetto, che ha già commesso un reato ed è stato già condannato per lo stesso ovvero che ha commesso un cosiddetto quasi-reato (disvelando, così, una forma di devianza sociale), possa tornare a delinquere.

La prevenzione ha un carattere speciale proprio perché la misura viene applicata al soggetto socialmente pericoloso, evitando che lo stesso possa beneficiare del vantaggio economico lato sensu inteso, derivante dalla commissione del reato. Questa è la ratio posta alla base della confisca, che si sostanzia in un provvedimento avente natura ablatoria reale, a seguito del quale il soggetto subisce una vera e propria espropriazione di beni che, pur rientrando nella sua sfera di proprietà, presentano un nesso di collegamento, di pertinenzialità con il fatto di reato, giustificando, in tal modo, una compressione così incisiva del diritto di proprietà in esame.

Tale caratteristica sostanziale della confisca giustifica anche l’espressa previsione legislativa, di cui al combinato disposto ex articoli 199 e 202 c.p., in tema di applicazione alle misure di sicurezza del principio di legalità, il cui ambito applicativo, dunque, non può essere confinato alle sole pene.

È sempre la legge, infatti, che oltre a determinare i casi in cui è possibile sottoporre un soggetto a misure di sicurezza, stabilisce espressamente le misure di sicurezza applicabili ed individua le ipotesi di quasi reato in cui è legittimo il ricorso alle misure stesse, come accade con riferimento al reato impossibile ed all’istigazione, non accolta, alla commissione di un delitto, ex articoli 49 e 115 ultimo comma c.p..

Come anticipato, la previsione dell’istituto della confisca è stata estesa dal legislatore a differenti ipotesi di reato, giungendo, in alcuni casi, a configurare vere e proprie tipologie di confisca sui generis. Con l’articolo 322-ter, il legislatore ha disposto la confisca obbligatoria dei beni in caso di commissione di uno dei delitti contro la pubblica amministrazione, previsti dagli articoli da 314 a 320 c.p.. Oltre alla previsione della confisca dei beni ricollegabili in via diretta alla commissione del fatto di reato, il legislatore ha previsto anche la confisca per equivalente che si sostanzia nell’espropriazione a favore dello Stato di beni in disponibilità del reo “per un valore corrispondente a(l) prezzo o profitto” del reato. Essa, in realtà, si traduce in una forma di compensazione a fronte dell’ingiusta locupletazione di cui ha beneficiato il soggetto dalla commissione di un fatto di reato, disvelando, più correttamente, una funzione di pena accessoria o comunque di misura sanzionatoria più che preventiva.

Proprio su quest’ultimo aspetto, bisogna accennare alla circostanza per cui il proliferare di differenti ipotesi di confische ha suscitato dei dubbi esegetici, sollevati innanzi alla Corte di Strasburgo e confermati dalla stessa giurisprudenza della Corte europea, circa il fatto che la confisca potesse continuare ad essere considerata una misura di sicurezza sic et simpliciter, atteggiandosi piuttosto, in alcuni casi, ad una vera e propria pena camuffata, con conseguente necessità di applicazione dei principi previsti per le pene ed in primis del principio di irretroattività della legge penale.

Ritornando alla natura proteiforme della confisca ed alla correlata problematica dell’individuazione della natura della stessa, la disamina della legislazione speciale consente di evidenziare come la previsione dell’applicabilità della confisca è contenuta anche all’interno della disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche ovvero nell’ambito dei reati transnazionali ed in materia di reati societari.

In particolare e per i fini che qui interessano, il legislatore del 2007 ha esteso l’applicabilità della confisca di cui all’articolo 322-ter c.p. a determinati reati tributari di cui al D.lgs. 74 del 2000, con riferimento ai delitti in materia di dichiarazione ed a quelli in materia di documenti e pagamento di imposte, accomunati dal rilievo dell’evasione di imposta, che si atteggia ora a fine specifico della condotta del soggetto agente ora ad evento di danno del reato, se superiore ad una determinata soglia di punibilità.

Ma non solo; anche in tema di misure di prevenzione antimafia, il legislatore ha previsto ipotesi particolari di confisca: il riferimento è all’articolo 12-sexies della legge 356 del 1992 che disciplina la cosiddetta confisca allargata, definita in tal modo in considerazione del presupposto oggettivo di applicazione. Infatti, tale misura di sicurezza trova applicazione nell’ipotesi di condanna o di applicazione della pena ex articolo 444 c.p.p. per tutta una serie di reati, che spaziano dai reati contro la pubblica amministrazione, a quelli concernenti la pornografia, ai reati in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, fino ai reati contro l’ordine pubblico, con riferimento agli articoli 416 e 416 bis c.p..

Essa si caratterizza per una scissione del nesso di pertinenzialità del bene rispetto alla commissione del fatto di reato, considerato che ha ad oggetto i beni o le utilità in generale nella disponibilità del soggetto condannato o di cui lo stesso è titolare e che risultano sproporzionati rispetto al reddito dichiarato ovvero rispetto all’attività economica svolta.

Si assiste, dunque, ad una ingiustificata locupletazione del condannato, di guisa che appare legittimo confiscare quei beni poiché riconducibili, seppur in maniera indiretta, alla commissione di un reato. Se, difatti, di questi beni non è possibile giustificarne la provenienza lecita, se ne deve presumere, in via relativa e con conseguente ammissibilità di addurre prova contraria, un collegamento lato sensu inteso con la commissione di un’attività criminosa.

Dalla confisca allargata dev’essere differenziata la confisca antimafia prevista dall’articolo 24 del Codice delle leggi antimafia di cui al D.lgs. 159 del 2011. Essa è una misura di prevenzione che viene applicata al soggetto meramente indiziato della commissione di uno dei reati di cui all’articolo 4 del Codice, tra i quali rientra, ovviamente, l’appartenenza alle associazioni di stampo mafioso.

La possibilità accordata dal legislatore di applicare una misura di prevenzione in caso di indizio di reato e prescindendo, dunque, dall’accertamento della responsabilità penale, si giustifica in considerazione della necessità, avvertita tanto al livello nazionale quanto internazionale, di apprestare idonee misure di contrasto alla criminalità organizzata.

La lotta alla mafia parte innanzitutto dal tentativo di neutralizzare il rischio di inquinamento dell’economia di mercato ad opera di beni che sono il frutto di attività illecite, a tutela di un ordine pubblico economico che necessita di un’azione preventiva, ante delictum.

La confisca antimafia trova applicazione non solo nei confronti dei soggetti indiziati di reati di mafia, la cui gravità giustifica la classificazione di tali soggetti nel novero dei cosiddetti soggetti pericolosi qualificati, ma anche nei confronti dei pericolosi comuni, considerato che tra i soggetti destinatari sono inclusi anche coloro che sono genericamente ed “abitualmente dediti a traffici delittuosi”, ex articolo 1 comma a) del Codice.

Quanto al presupposto soggettivo di applicazione della misura di prevenzione, giova evidenziare come l’attuale formulazione dell’articolo 18 del Codice antimafia, modificato ad opera del cosiddetto pacchetto sicurezza, ha consacrato il principio dell’applicazione disgiunta della misura di prevenzione patrimoniale rispetto a quella personale ed ha precisato come per la confisca l’applicazione della stessa avviene indipendente dall’accertamento della “pericolosità sociale del soggetto proposto”.

Si tratta di un’affermazione di principio che ha indotto la giurisprudenza ad interrogarsi sulla natura della confisca antimafia, conducendo una parte della stessa a dubitare della natura della confisca in esame quale misura di sicurezza, intravedendone, piuttosto, la funzione natura di pena accessoria. Eppure la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di evidenziare come si possa prescindere più correttamente da una valutazione di attualità della pericolosità sociale del proposto, dovendo la stessa necessariamente sussistere comunque al momento dell’acquisto del bene, di guisa che siffatta pericolosità dal piano soggettivo si trasfonde sul piano materiale della res.

In ogni caso, giova sottolineare come il presupposto oggettivo di applicazione della confisca appare essere lo stesso rispetto a quello della confisca allargata, riscontrandosi, anche in quest’ipotesi, una presunzione di provenienza illecita dei beni oggetto di confisca, tenuto conto della sproporzione tra il valore di questi ultimi ed il reddito del soggetto proposto ovvero le entrate economiche derivanti dall’esercizio di un’attività economica.

Sia con riferimento alla confisca antimafia che a quella allargata è possibile affermare che la lotta alla mafia ed in genere a tutte quelle forme di criminalità in grado di innestarsi sul sistema economico locale e nazionale, deviando i meccanismi fisiologici del mercato, giustificano non soltanto la possibilità di confiscare i beni per i quali non si evince un diretto nesso di pertinenzialità col reato ma anche di colpire i beni del soggetto condannato, in un caso, ovvero meramente indiziato di un reato nell’altro, posseduti “anche per interposta persona fisica o guiridica”.

Così evidenziata la natura composita della confisca, alla luce della ratio e della specifica disciplina legislativa, appare necessario verificare se può essere disposta la confisca penale in caso di evasione fiscale, prendendo in considerazione tutte le tipologie di confische previste dal nostro ordinamento, con particolare riferimento alla confisca allargata ed a quella allargata.

In tal senso, risolta a monte dal legislatore la questione della possibilità di applicare la confisca per equivalente in caso di commissione di alcune fattispecie delittuose di violazione delle norme tributarie, ci si deve chiedere, in primis, se l’evasione fiscale costituisca uno dei reati-presupposto di cui  alla confisca allargata e di quella antimafia  ed in un secondo momento valutare se comunque i redditi o le imposte non dichiarate possano essere fatte valere dal soggetto al fine di giustificare la sproporzione patrimoniale, sottraendosi, di conseguenza, all’applicazione della confisca stessa.

Al primo quesito è possibile, in prima battuta, fornire risposta negativa, in quanto tra i reati-presupposto di entrambe le confische in esame non risulta quello dell’evasione fiscale.

Eppure, alla stregua della considerazione per cui la confisca antimafia trova applicazione anche nei confronti dei soggetti pericolosi comuni, “dediti a traffici delittuosi” ovvero che “vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose” potrebbe affermarsi l’applicabilità della misura di prevenzione in esame anche all’evasore fiscale, quale espressione di un’attività criminosa generica.

Aderendo a questa interpretazione, si dovrebbero ritenere confiscabili “i beni che risultino essere il frutto di attività illecite o ne costituiscono il reimpiego”, alla stregua dell’ultima parte del primo comma dell’articolo 24 del Codice antimafia. In effetti, dalla condotta illecita dell’evasione fiscale ne consegue un utile, consistente nel risparmio di spesa, ossia nella differenza tra quanto era obbligatorio versare ai fini fiscali e quanto è stato realmente versato.

Eppure proprio questa osservazione è stata oggetto di critiche da parte della dottrina, in quanto la somma risparmiata non può essere tecnicamente definita il frutto ovvero il prodotto dell’evasione fiscale in quanto la somma in oggetto non deriva dalla violazione di una norma tributaria quanto, piuttosto, dallo svolgimento di un’attività economica non dichiarata.

Bisogna, cioè, scindere il momento dello svolgimento dell’attività, che ben potrà essere lecita, da quello della dichiarazione delle imposte sul reddito o sul valore aggiunto, successiva alla produzione del reddito, di guisa che non appare applicabile l’articolo 24 all’ipotesi di evasione fiscale.

Inoltre, laddove il legislatore ha voluto ampliare il novero dei soggetti destinatari della misura di prevenzione lo ha fatto espressamente indicando, all’articolo 4 del Codice, al di là dei reati di mafia, le specifiche categorie di reati che consentono di applicare il provvedimento di confisca, sempre in presenza di indizi di reità.

A tutto concedere, poi, pur ritenendo condivisibile l’assunto per cui il combinato disposto di cui agli articoli 1, 4 e 16 del Codice antimafia consente di confermare l’applicabilità della confisca ai soggetti pericolosi comuni, ciò non consente di affermare che qualunque violazione delle norme tributarie può rilevare ai fini della applicazione della confisca.

Questa questione giuridica risulta strettamente connessa alla problematica relativa alla possibilità da parte del soggetto proposto di giustificare la legittima provenienza dei beni e la contestata sproporzione degli stessi rispetto all’attività economica svolta, adducendo lo svolgimento di un’attività non oggetto di dichiarazione fiscale. Il valore dei beni per i quali viene disposta la confisca non sarà più considerato sproporzionato laddove si ritenga ammissibile l’allegazione delle imposte evase che si sono tradotte in un risparmio di spesa e nella conseguente possibilità del soggetto di adottare un tenore di vita solo apparentemente superiore rispetto alle proprie disponibilità economiche.

Sul punto, bisogna evidenziare come la giurisprudenza ha ritenuto possibile scomputare i redditi da attività non dichiarati, ai fini del giudizio di sproporzione dei beni accumulati, soltanto con riferimento all’ipotesi della confisca allargata.

La giustificazione dell’assunto si rinviene nella disamina dei presupposti applicativi e della ratio della confisca allargata che, come evidenziato, presuppone l’intervenuta condanna per uno dei delitti indicati dall’articolo 12-sexies della legge 356 del 1992, con la chiara finalità, tipica della misura di sicurezza, di prevenire la commissione di ulteriori reati.

Stando così le cose, il soggetto condannato e ritenuto socialmente pericoloso potrà confutare la presunzione di illecita locupletazione e cioè l’accumulo di ricchezze provenienti dalla commissione di attività delittuose, fondata sulla base della sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito dichiarato o all’attività svolta. La valutazione giudiziale della sproporzione in oggetto dovrà tenere in debita considerazione le entrate economiche conseguenti all’evasione fiscale, che si sostanziano più propriamente in un risparmio di spesa.

Ciò posto, la soluzione esegetica che ravvede la possibilità di valutare le utilità economiche derivanti dall’evasione fiscale al fine di escludere la sproporzionalità tra il reddito dichiarato ed i beni di proprietà del soggetto o di cui egli comunque dispone, anche per interposta persona, potrebbe applicarsi anche nell’ipotesi della confisca antimafia.

Tale assunto troverebbe conferma nel rilievo per cui le due tipologie di confische, quella allargata e quella antimafia, presentano aspetti molto simili tra loro, soprattutto con riferimento al procedimento di applicazione della confisca.

In tal senso, pari rilievo assumono l’ingiustificata provenienza legittima dei beni e la sproporzione valoriale tra questi ed il reddito dichiarato ovvero l’attività economica svolta, di guisa che nulla osterebbe alla possibilità di estendere le conclusione raggiunte per la confisca allargata anche a quella antimafia.

Eppure la giurisprudenza maggioritaria, da ultimo avvalorata da un recente arresto delle Sezioni Unite, ritiene che al fine di escludere il giudizio di non proporzionalità di cui all’articolo 24 del Codice antimafia non possono essere dedotte dal soggetto le utilità derivanti dall’evasione fiscale.

La soluzione alla questione in oggetto trova la propria giustificazione nella necessità di distinguere la confisca allargata e quella antimafia, non solo sul piano dei presupposti applicativi ma anche e soprattutto alla luce della ratio legislativa differente ad esse sottesa.

Come già in precedenza evidenziato, nell’ipotesi della confisca antimafia il soggetto destinatario non è un soggetto per il quale è intervenuta una sentenza di condanna, di accertamento della responsabilità penale per la commissione di un fatto di reato, ma un soggetto sul quale gravano indizi di reità. La confisca allargata è una vera e propria misura di sicurezza, sebbene atipica, perché caratterizzata dall’assenza di un nesso di pertinenzialità diretta del bene col fatto di reato, in cui si evince comunque la finalità special-preventiva, ricollegabile alla prevenzione della commissione di ulteriori reati.

La confisca antimafia è più correttamente una misura di prevenzione ante delictum, per l’applicazione della quale non si richiede l’attualità del giudizio di pericolosità sociale del soggetto, essendo sufficiente che siffatta pericolosità sussisteva al momento dell’acquisto del bene ovvero dell’ottenimento dell’utilità economica. La ratio legislativa appare, dunque, meno circoscritta rispetto a quella della confisca allargata, di guisa da prevenire qualsiasi immissione nel circuito economico di beni di sospetta provenienza, come confermato anche dall’analisi testuale dello stesso articolo 24 del Codice antimafia.

Non può trascurarsi, infatti, come, a differenza della confisca allargata, per quella antimafia è prevista la possibilità di confiscare anche i “beni che risultino essere il frutto di attività illecite o ne costituiscono il reimpiego”. Proprio alla luce di quest’espressa previsione normativa si ritiene che il risparmio prodotto dall’evasione fiscale ben possa rappresentare il frutto di un’attività illecita, quale, per l’appunto quella dell’evasione. I proventi di questa attività illecita, oltre ad essere direttamente oggetto di confisca, debbono essere valutati al fine del giudizio di sproporzione rispetto al reddito dichiarato ovvero all’attività svolta, non potendo essere dedotti dal soggetto proposto per evitare l’applicazione della misura di prevenzione.

L’evasione fiscale rappresenta un’attività in sé illecita, anche quando non si superano le soglie di punibilità previste dal decreto legislativo 74 del 2000. Inoltre, anche se è del tutto lecita l’attività economica alla base svolta dal soggetto proposto, i proventi dell’attività, oggetto di evasione fiscale, sono in quanto tali frutto di attività illecita e ben possono essere reimpiegati per lo svolgimento di attività parimenti non lecite.

Tali argomentazioni sono state oggetto di critica da parte della dottrina, sia con riferimento alla mancata espressa inclusione dell’evasione fiscale tra i reati-presupposto per l’applicazione della misura di prevenzione in esame e sia in considerazione della ratio della confisca antimafia. Con riferimento al primo aspetto, la pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione ha inteso chiarire, però, come l’esclusione della possibilità per il soggetto proposto di giustificare la provenienza legittima dei beni e l’apparente sproporzione valoriale prendendo in considerazione anche quelle fonti di reddito oggetto di evasione fiscale non comporta la possibilità di affermare l’applicabilità, per sé solo, della confisca antimafia in presenza del reato di evasione fiscale.

Difatti, l’accertamento della pericolosità del soggetto proposto viene comunque compiuto con riferimento ad uno dei reati-presupposto per cui è necessaria la sussistenza di indizi di reità, di guisa che l’attività di evasione fiscale ben può rilevare successivamente all’accertamento della pericolosità ed in considerazione della finalità normativa che è quella di contrastare tutte le attività criminali incidenti sul tessuto economico e non solo la criminalità di stampo mafioso.

Proprio con riferimento alla ratio legislativa della confisca antimafia, continua ad essere condivisibile l’opinione dottrinale per cui con tale strumento il legislatore non ha inteso fornire una risposta sanzionatoria rispetto ad un’attività di omessa od infedele dichiarazione dei redditi che rappresenta, piuttosto, la ratio puniendi della normativa in tema di reati tributari. L’evasione fiscale, d’altronde, non è necessariamente ricollegabile allo svolgimento di un’attività economica illecita, in quanto la dichiarazione del reddito segue e non precede o accompagna la produzione dello stesso.

Inoltre, non è possibile escludere la deducibilità dei redditi provenienti da evasione fiscale ai fini del parametro della sproporzione del valore di cui all’articolo 24 sulla scorta della considerazione per cui, a differenza di quanto previsto in tema di confisca allargata, per quella antimafia sono confiscabili anche i beni che rappresentano il frutto di attività illecita, nel cui novero rientrerebbero i proventi dell’evasione.

Come anticipato, la dottrina ha rimarcato che, più che di prodotto o di utilità derivante dall’evasione fiscale, bisognerebbe parlare di risparmio in termini di spesa, conseguendo l’utilità direttamente dallo svolgimento dell’attività svolta e solo indirettamente dalla mancata od incompleta dichiarazione del reddito, quale passaggio logicamente e temporalmente successivo alla produzione del reddito, di modo che lo stesso non può considerarsi un bene frutto di attività illecita.

Come evidenziato dalla dottrina, l’adesione alla tesi fatta propria dalle Sezioni Unite, seppur condivisibile con riferimento alla disamina della diversità della disciplina e della ratio legis della confisca antimafia e di quella allargata, determina conseguenze applicative divergenti, non giustificabili alla stregua del principio di ragionevolezza: ciò è tanto più vero se si considera la circostanza per cui la confisca antimafia rappresenta una misura di prevenzione ante delictum, all’applicazione della quale bisognerebbe procedere con la cautela tipica dell’adozione di un provvedimento nei confronti di un soggetto per il quale vige sempre il principio della presunzione di innocenza fino alla condanna definitiva.

Inoltre, l’impossibilità, per la sola ipotesi della confisca antimafia, di giustificare la sproporzione tra il valore dei beni, oggetto di confisca, ed il reddito dichiarato o l’attività svolta, sulla base della compiuta evasione fiscale, non è suffragata da un’espressa presa di posizione del legislatore, il quale, infatti, almeno per il momento, non ha inteso includere l’evasione fiscale tra i reati-presupposto di cui all’articolo 4 del Codice antimafia.

PAOLA MONTONE;

 

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