Speciale Concorso per la carriera prefettizia 2013. Tema svolto di diritto amministrativo

“Si individuino e si analizzino i diversi obblighi di comunicazione previsti dalle norme generali sull’azione amministrativa, definendone natura, finalità ed effetti giuridici, anche alla luce dei principi costituzionali che presiedono all’attività della pubblica amministrazione ed ai suoi rapporti con i cittadini”.

a cura di Claudio Porcelli

L’esercizio del potere amministrativo si svolge attraverso un’attività articolata e complessa, posta in essere da un pluralità di uffici ed organi amministrativi.

Tale complessità si può compendiare affermando che il potere amministrativo si esercita attraverso un procedimento: ovvero una serie coordinata e collegata di atti e fatti imputati ad organi e soggetti diversi tendenti nel loro insieme alla produzione di un effetto giuridico.

Tale nozione di procedimento amministrativo, a seguito della elaborazione dottrinale e della approvazione della Legge 241 del 1990, ha subito un evoluzione in senso garantista, intesa ovvero, come luogo nel quale, al privato è garantita la rappresentazione, ma anche la tutela dei propri interessi.

Si tratta della concezione fatta propria dal legislatore italiano del 1990, preoccupato di assicurare al privato consistenti garanzie di partecipazione procedimentale.

Lo strumento principale attraverso cui realizzare questo obiettivo è quello dell’obbligo di comunicazione.

Al fine di inquadrare correttamente l’argomento, potrebbe essere utile esaminare la struttura del prototipo procedimentale che, pur assumendo una valenza tipicamente descrittiva, può rappresentare un  parametro di riferimento.

Le fasi che tipicamente si è soliti individuare sono quelle dell’iniziativa, quella della fase istruttoria della fase decisoria e della fase integrativa dell’efficacia.

Tale premessa è utile, in quanto l’istituto della comunicazione attraversa trasversalmente l’intera fase procedimentale.

Invero, la comunicazione assume un ruolo fondamentale anche nella fase cosiddetta pre-procedimentale e ciò emerge chiaramente dal comma 3 dell’art. 5 della L.241/90, secondo cui “l’unità organizzativa competente e il nominativo del responsabile del procedimento sono comunicati ai soggetti di cui all’art. 7 e, a richiesta, a chiunque vi abbia interesse”.

Tale forma di comunicazione, assume un ruolo rilevante, difatti la comunicazione della nomina, risponde alla finalità legislativa di personalizzazione e trasparenza dell’azione amministrativa, che rimarrebbero irrealizzate se l’atto di individuazione rimanesse interno dell’amministrazione.

La L. 241/90 prevede, pertanto, che l’unità organizzativa ed i responsabile del procedimento debbano essere comunicati ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti, ai soggetti obbligati per legge ad intervenire nel procedimento ed a quelli che possano essere pregiudicati dal provvedimento e, su richiesta, a chiunque vi abbia interesse.

L’esternazione del nominativo, trova la sua legittimazione costituzionale nell’art. 97 Cost., in quanto da un canto risponde all’obbligo giuridico di organizzare i pubblici uffici secondo le disposizioni di legge e dall’altro assicura il perseguimento del buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione.

La lettura costituzionalmente orientata della norma spinge l’osservatore ad individuare forme di garanzia molteplici sia guardando all’interno dell’amministrazione, in quando fissare in maniera certa l’organigramma della struttura  concorre a realizzare gli obiettivi di efficienza ed economicità della pubblica amministrazione, rimarcati recentemente dalla cosiddetta riforma Brunetta del 2009.

Dal versante esterno, ovvero gli effetti che la comunicazione della nomina avrebbe nei confronti dei soggetti privati, la norma risponde all’obbligo della trasparenza amministrativa, in quanto il responsabile “naturale e precostituito per legge” garantisce l’imparzialità e la terzietà del soggetto rispetto alle posizioni giuridiche soggettive che dovessero venire in rilievo.

Il responsabile del procedimento, i cui compiti sono indicati nell’art. 6 l. 241/90 è colui che cura, ex lett. d), le “comunicazioni”.

Si ricava che la responsabilità che emerge dalle competenze ex artt.4, 5 e 6 della legge n. 241/90 in capo al responsabile del procedimento identifica un nuovo modello di svolgimento dell’azione amministrativa, che esce dall’anonimato e coordina la partecipazione degli interessati in ragione dell’economicità dell’azione amministrativa e della deflazione del contenzioso.

Esaminando, adesso, le fasi procedimentali, così come descritte precedentemente, emerge con chiarezza come il legislatore del novanta, abbia inteso l’istituto della comunicazione come elemento cardine della partecipazione al procedimento.

Andando per ordine: la prima fase, ovvero quella dell’iniziativa, rappresenta il momento iniziale del procedimento, che può avvenire o ad istanza di parte con un atto propulsivo dell’interessato, o ad iniziativa di ufficio.

In questa fase pre-decisoria, l’istituto della comunicazione assume una propria rilevanza, difatti ex art. 7 L.241/90, è fatto obbligo, qualora non sussistano particolari ragioni di impedimento che possano aggravare la celerità del procedimento, di comunicare l’avvio del procedimento.

La comunicazione di avvio del procedimento costituisce lo strumento indispensabile per attivare la partecipazione, consentendo al soggetto coinvolto di avere conoscenza dell’avvio di un procedimento destinato a sfociare in un provvedimento che produrrà effetti nei suoi confronti.

Tale coinvolgimento, attribuisce al privato, la possibilità di esercitare i diritti ad esso riconosciuti dalla stessa legge 241.

L’istituto in parola, risponde quindi a due finalità tra loro correlate, da un lato assicura la trasparenza e la pubblicità dell’azione amministrativa, dall’altro è strumentale alla partecipazione del privato, non solo per fini esclusivamente difensivi, ma anche e soprattutto partecipativi.

La stessa giurisprudenza amministrativa, riconosce alla comunicazione di avvio del procedimento, di cui all’art. 7, il ruolo di principio generale dell’ordinamento, mettendola così in perfetta relazione con i principi costituzionali di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost., così che il procedimento si svolga nel modo più pieno e informato possibile tal da garantire la valutazione imparziale di tutti gli interessi coinvolti.

I destinatari della comunicazioni sono individuati specificatamente dall’art. 7 l. 241/90, ovvero i destinatari del provvedimento finale, i soggetti che devono intervenire per legge ed i controinteressati.

Questi ultimi, rappresentano quella categoria di soggetti che sarebbero legittimati ad impugnare il provvedimento favorevole rilasciato al destinatario, con l’obiettivo quindi di deflazionare un eventuale contenzioso.

La comunicazione è però subordinata al due precisi presupposti, ovvero la individuazione o individuabilità dei controinteressati ed il pregiudizio derivate dal provvedimento, in quanto la mancanza di tale presupposti, appesantirebbe, inutilmente il procedimento, che deve, invece, essere ispirato a principi di celerità ed economicità.

Anche in ordine al contenuto della comunicazione di avvio del procedimento, il legislatore non ha voluto asciare margini di discrezionalità alla pubblica amministrazione, preoccupandosi, invece, di fissarlo in maniera tassativa.

L’art. 8 della legge sul procedimento, al comma 2 individua il contenuto essenziale di tale della comunicazione ed a ben vedere si tratta di elementi informativi idonei a consentire la partecipazione e la collaborazione dei soggetti interessati al provvedimento.

La riforma del 2005, ha aggiunto una lettera (c bis), nella quale obbligo di comunicare la data entro la quale debba concludersi il procedimento ed i rimedi esperibili in caso di inerzia dell’amministrazione, nonché, alla lettera c ter, nei procedimenti ad iniziativa di parte, , la data di presentazione dell’istanza.

La data di conclusione del procedimento, assicura maggiore trasparenza nell’azione della p.a., essendo significativo come non solo in capo all’amministrazione procedente vi sia ex art. 2 l.241/90 l’obbligo di provvedere con un provvedimento espresso, ma anche quello di comunicare all’interessato il termine entro il quale tale provvedimento dovrà essere emesso.

Invero, vi sono casi nei quali la comunicazione di avvio del procedimento non è obbligatoria, e lo stesso legislatore della l. 241, indivifua due specifiche ipotesi, ovvero nel caso di provvedimenti cautelari e nel caso in cui sussistano ragioni di impedimenti derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento stesso.

Tali ipotesi, sono diverse tra loro, sul piano degli effetti, nel primo caso infatti, l’obbligo di comunicazione viene meno del tutto, nel secondo è soltanto posticipato.

Nel caso di provvedimenti cautelari ci si trova innanzi a ipotesi di esercizio dei cosiddetti poteri di urgenza, ipotesi nelle quali la p.a., è chiamata ad intervenire in via immediata e tempestiva, a fronte di situzioni urgenti ed imprevedibili a tutele dei beni della collettività, l’esempio più immediato è quello delle ordinanze di necessità ed urgenza.

Si annovero anche casi di cosiddetta creazione pretoria, nei quali può essere omessa la comunicazione di avvio del procedimento, come nell’ipotesi in cui il privato abbia comunque potuto partecipare al procedimento a prescindere dall’effettiva comunicazione, incidendo sull’esito finale dello stesso o nei casi di atti vincolati, ovvero nell’ipotesi in cui l’apporto endoprocedimentale, non possa comunque condizionare il contenuto finale del provvedimento e l’esito del procedimento, in quanto la natura dell’attività amministrativa è vincolata, sia nell’an che nel contenuto del provvedimento.

Al di fuori di queste ipotesi, la mancata comunicazione di avvio del procedimento produce degli effetti invalidanti per violazione di legge; si tratta di una ipotesi di invalidità relativa, in quanto può essere fatta valere solo dal soggetto nel cui interesse è prevista, ammenoché l’amministrazione non dimostri che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto avere un contenuto diverso da quello in concreto adottato.

Continuando l’analisi degli obblighi di comunicazione da parte della pubblica amministrazione, assume una rilevanza specifica la previsione dell’art. 10 bis della L. 241790, introdotta dalla novella del 2005 con la legge n. 15, ovvero l’istituto del preavviso di rigetto o preavviso di provvedimento negativo, nei procedimenti ad istanza di parte, che riguarda la cosiddetta fase predecisoria.

La disposizione in esame tende a rafforzare le garanzie del cittadino nei confronti della p.a.

Il nuovo istituto appare ispirato alla funzione principale di garanzia attutiva del principio del giusto procedimento, secondo il quale il procedimento amministrativo si deve svolgere in modo tale da imporre limitazioni ai cittadini solo dopo aver svolto gli opportuni accertamenti ed aver messo gli interessati in grado di esporre le proprie ragioni, con evidenti effetti deflattivi del contenzioso: ogni disposizione che limiti o escluda tale diritto va interpretata in modo rigoroso al fine di evitare di eludere il principio stesso.

Il preavviso di rigetto è volto ad assicurare al privato istante un’adeguata tutela dell’interesse partecipativo in contraddittorio con l’amministrazione.

Il legislatore della novella del 2005, codifica il principio, già affermato dalla giurisprudenza, prima del 2005, secondo cui sussiste un potere-dovere dell’amministrazione desumibile sia dal principio del buon andamento di cui all’art. 97 Cost. sia dagli articoli 2 e 6 della L. 241/90, di attivarsi nell’ottica di una leale collaborazione con il privato, dovendosi garantire una maggiore efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa, affinché il provvedimento finale sia il più possibile rappresentativo della realtà.

Inoltre l’art. 10 bis svolge una funzione deflattiva del contenzioso, essendo finalizzato a consentire una convergenza di posizioni tra le parti del procedimento amministrativo, attraverso l’introduzione di uno specifico contraddittorio tra amministrazione e interessato sulle ragioni che ostano all’accoglimento della domanda, superando così le asimmetrie nel rapporto tra p.a. e privati interessati, riscontrate nell’impianto originario della l. 241.

Il contraddittorio endoprocedimentale di cui all’art. 10 bis, garantisce quindi una posizione paritaria tra le parti coinvolte, basato su una forma dialogante e che impone alla p.a. di esplicitare in maniera compiuta, nel provvedimento finale, le ragioni del non accoglimento delle osservazioni (pertinenti) presentate dal privato.

Il provvedimento diviene, quindi, il frutto di una dialettica tra le parti.

Finora si è visto come l’istituto della comunicazione, nella fase dell’iniziativa, nella fase istruttoria assuma una rilevanza assoluta.

Nella fase deliberativa del procedimento, in cui si decide il contenuto dell’atto e si provvede alla formale adozione dello stesso, assume un ruolo fondamentale la motivazione del provvedimento; con la motivazione la pubblica amministrazione esterna i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche poste a fondamento dell’adozione di un determinato provvedimento.

Con la legge n. 241/90 (art.3) è stato previsto un obbligo generale di motivazione per tutti i provvedimenti amministrativi, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei concorsi (inteso in senso ampio, comprensivo anche delle gare per la stipulazione dei contratti, quali, ad es., quelli di appalto pubblico) ed il personale, con la sola eccezione degli atti normativi e a contenuto generale.

Attraverso la motivazione la p.a. comunica all’esterno, ovvero al privato, l’iter logico giuridico che l’ha portata ad assumere quel determinato provvedimento.

Giurisprudenza e dottrina prevalenti hanno sottolineato una sorta di polifunzionalità della motivazione, che assolverebbe a una funzione di garanzia del privato nei confronti dell’operato della pubblica amministrazione, ma che andrebbe soprattutto riconosciuta come fondamentale strumento per l’interpretazione e il controllo sull’esercizio del potere amministrativo, nonché per l’accertamento giudiziale dell’atto conseguente.

Su questo sentiero sembra del resto muoversi la stessa interpretazione comunitaria, secondo cui l’obbligo di motivazione risponderebbe alla duplice esigenza di consentire da un lato, agli interessati, di conoscere le giustificazioni del provvedimento adottato, e quindi di difendere i propri diritti, e, dall’altro, di rendere possibile al giudice l’esercizio del suo sindacato sulla legittimità del provvedimento stesso.

Infine, la nuova normativa, così come delineata dalla L. 241/90 e s.m.i. pare assegnare alla comunicazione una specifica presenza procedimentale, successiva alla fase decisoria e quindi riconducibile alla fase di integrazione dell’efficacia. Adottato il provvedimento espresso l’amministrazione procedente deve informare gli interessati dell’avvenuta conclusione del procedimento. Il principio della partecipazione non potrebbe escludere la conoscenza del provvedimento finale.

La comunicazione del provvedimento deve essere fatta tramite quelle misure di pubblicità previste dalla legge generale per dare notizia dell’avvio del procedimento.

Il responsabile del procedimento deve curare le comunicazioni anche mediante notifica, dei provvedimenti conclusivi dei procedimenti da lui gestiti.

Nella comunicazione devono essere indicati il termine e l’autorità cui è possibile ricorrere contro il provvedimento, il quale dovrà essere trasmesso in copia, anche per estratto, contenente in forma estesa e completa, l’intera parte motiva.

Un problema rimarrà sempre quello dei tempi della comunicazione.

La soluzione di far coincidere il tempo del provvedimento con la comunicazione sembrava troppo gravosa per l’amministrazione agente.

In sede di autoregolamentazione il problema dovrebbe trovare determinazione con il fissare un termine entro il quale la comunicazione dovrà obbligatoriamente intervenire.

La differente scansione temporale, tra l’adozione del provvedimento e la sua personale comunicazione ai soggetti interessati fornirà un’ulteriore conferma della necessaria presenza nella struttura del provvedimento, di una sua fase di integrazione cronologicamente successiva a quella decisoria.

In conclusione come è agevole osservare, la comunicazione assolve ad un ruolo fondamentale nell’intero agire della pubblica amministrazione, che trova la sua più corretta enunciazione nell’ articolo 1, co. 1, della legge n. 241/90,  ove vengono enunciati i principi guida dell’azione amministrativa; da un lato rinviando ai principi generali che regolano l’attività della pubblica amministrazione, quali il principio di legalità, buon andamento e imparzialità, e, dall’altro, introducendo espressamente il principio di trasparenza come regola di condotta della pubblica amministrazione onde consentire in misura massima il livello di partecipazione del cittadino alle decisioni della pubblica amministrazione ed evitare conflitti in sede procedimentale.

In questa ottica, rileva il dovere dell’Amministrazione di rendere visibile e controllabile dall’esterno il proprio operato: i principi della pubblicità e della trasparenza trasformano gli amministrati da spettatori a protagonisti dell’operato dei pubblici poteri, attribuendo loro l’esercizio di un controllo democratico sullo svolgimento dell’attività amministrativa e sulla conformità di questa ai principi costituzionali di imparzialità e buon andamento.

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