Tema svolto di diritto civile: il consenso del minore al trattamento sanitario

IL CONSENSO DEL MINORE AI TRATTAMENTI SANITARI CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL TEST HIV.

Svolgimento a cura di IVANA ROSSI

Il tema del consenso del minore ai trattamenti sanitari si inserisce nella più generale questione della rilevanza del consenso in riferimento ai trattamenti medico chirurgici.

Si tratta di un tema intimamente connesso con il diritto-dovere ad una corretta e completa informazione medica, indispensabile per garantire il diritto all’autodeterminazione di ogni individuo, inteso come il pieno riconoscimento e la garanzia della capacità di scelta autonoma e indipendente del singolo, così come sancito ex art. 3 CEDU.

La questione specifica oggetto della traccia, però, pone l’accento e invita a verificare se il minore,( che secondo una tesi di derivazione romanistica, eccessivamente formalistica e squisitamente negoziale è privo della capacità di agire ex art. 2 cc)possa esprimere un consenso valido e perfetto anche senza quello dei genitori dal momento che, in riferimento all’HIV, l’art. 5,3 della Lex n. 135/1990 sancisce che “Nessuno può essere sottoposto senza il suo consenso ad analisi tendenti ad accertare l’infezione da HIV”.

Dunque è evidente che la legge del ’90 nel normare la materia in maniera generale ed astratta, non ha preso in considerazione la posizione del minore, donde la necessità, dinanzi al silenzio della norma e agli inviti rivolti al legislatore affinchè sancisca una diversa capacità di agire per le decisioni riguardanti la salute, di ricercare altrove la regola che si attagli a tale specifico caso.

In primis un’interpretazione costituzionalmente orientata non può ignorare gli indubbi mutamenti che, in base agli artt. 2, 29, 30, 32 Cost., hanno investito la figura dell’individuo, le relazioni familiari, il ruolo dei genitori e, infine, anche del giudice che , in caso di incapacità dei genitori o di dissidio tra loro, può essere chiamato a garantire in concreto il diritto alla salute del minore.

Sulla base di queste considerazioni non si può non citare come la legge n. 151/1975 sulla riforma del diritto di famiglia abbia ridisegnato sia il ruolo dei genitori che quello dei figli: i primi, infatti, di comune accordo (prima della novella , solo il padre)esercitano la potestà se uniti in matrimonio (art. 316 cc), e “congiuntamente” qualora siano conviventi (art. 317 bis); la potestà diventa un diritto-dovere di mantenere, istruire ed educare i figli tenendo in debito conto le loro capacità, inclinazioni ed aspirazioni (art. 30 Cost; art. 147 cc).

Sulla scorta di ciò, dunque, i figli nn possono più essere ritenuti alla stregua di cose, come oggetti dei genitori , bensì devono essere rispettati e considerati come soggetti di diritti fondamentali.

A ribadire e sottolineare l’inversione di paradigma che h investito il minore, passato da oggetto di tutela a soggetto di diritti, sono anche le Convenzioni internazionali: la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo firmata a New York nel 1989 (divenuta legge in Italia nel 1991), la Convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina del 1997 (ratificata in Italia nel 2001) e, infine, la Convenzione di Strasburgo del 1996 (ratificata nel 2003).

Le tre Convenzioni sopra citate sanciscono (rispettivamente agli artt. 12; 6,commi2 , 3 e 6) l’obbligo di consultare il minore di persona nelle situazioni che lo riguardano e quello di tener conto della sua opinione in relazione alla sua età e al suo grado di maturità o capacità di discernimento.

Inoltre, l’art. 5 della Convenzione di Oviedo, che fra le tre è quella che più rileva rispetto all’oggetto della presente traccia, dispone che “un trattamento sanitario può essere praticato solo se la persona interessata abbia prestato il proprio consenso libero ed informato”.

Più precisamente l’articolo 6, comma 2 e 3 prevede che “Quando secondo la legge un minore non ha la capacità di dare il consenso ad un intervento, questo non può essere effettuato senza l’autorizzazione del suo rappresentante, di un’autorità o di una persona o di un organo designato dalla legge.

Il parere di un minore è preso in considerazione come un fattore sempre più determinante, in funzione della sua età e del suo grado di maturità”.

E’ rilevante, quindi, stabilire se l’opinione del minore possa avere valore di consenso informato così come indicato dall’art. 5 della Convenzione di Oviedo, soprattutto in casi, come quello del test dell’HIV, in cui il caso del minore non sia esplicitamente  contemplato e, anzi, la disciplina prevede espressamente (ex art. 5,4 Lex n. 135/90) che la comunicazione dei risultati possa essere data soltanto al soggetto cui il test si riferisce (Non si può non sottolineare come tale norma faccia , incidentalmente,  rilevare il concetto di “dato supersensibile” e di diritto alla riservatezza. Infatti potrebbe darsi il caso in cui il minore che si voglia sottoporre al test HIV condizioni il proprio consenso alla garanzia che i sanitari tutelino la sua riservatezza anche nei confronti dei genitori. Più precisamente , il minore potrebbe decidere di non sottoporsi al test in mancanza di tale garanzia circa la propria privacy, compromettendo così una diagnosi precoce ).

Occorre preliminarmente osservare che il nostro Ordinamento già prevede delle “eccezioni” alla regola della maggiore età: si pensi all’imputabilità penale che, in generale, rileva già al compimento del 14 ° anno di età; o all’art. 609 quater cp che prevede il consenso del minore per il consenso di atti sessuali; in materia di adozioni , la relativa legge sancisce che l’ultradodicenne debba esser sempre sentito, il quattordicenne debba prestare il suo espresso consenso e che l’infradodicenne possa esser sentito se capace di discernimento; l’art. 155 cp stabilisce la necessità di ascoltare, nella procedura di separazione, l’ultradodicenne; ex art. 273,2 cc il minore ultrasedicenne deve prestare necessariamente il proprio consenso all’azione di dichiarazione giudiziale di paternità/maternità; ex art. 84 cc il sedicenne, previa autorizzazione del Tribunale dei Minori, può contrarre matrimonio, ex art. 165 cc può acconsentire a convenzioni matrimoniali e, infine, ex art. 250 cc, può riconoscere un figlio o opporsi al suo riconoscimento.

Anche in riferimento all’ambito sanitario non mancano casi di deroga alla maggiore età: la legge n. 194/78 prevede, infatti, che in alcuni casi si possa essere autorizzati dal Giudice Tutelare all’interruzione di gravidanza anche prima dei 18 anni di età; la legge sul funzionamento dei consultori poi prevede che i minorenni possano accedere liberamente agli anticoncezionali così come è previsto che possano richiedere personalmente (oltre che tramite i genitori) di sottoporsi al trattamento di disintossicazione da stupefacenti.

Dalla presenza di tali disposizioni si potrebbe ricavare un principio generale di necessario ascolto del minore che sia capace di discernimento in relazione alla materia trattata.

In maniera più chiara la volontà del minore ha assunto rilevanza proprio nell’ambito degli accertamenti clinici tesi a verificare la presenza di malattie trasmissibili sessualmente.

Infatti in base alla legge n. 837/1956 (ormai abrogata)si prevedeva che il minore si potesse rivolgere anche direttamente al medico e all’art. 4 si stabiliva che nel caso del minore di diciotto anni (allora si diventava maggiorenni a 21 anni)il medico potesse valutare se coinvolgere o meno l’adulto.

Attualmente dallo studio condotto dalla dottrina sull’art. 5 della legge n. 135/90 e dalla presenza delle suddette previsioni che derogano alla maggiore età, si deduce la necessità che il consenso al test HIV spetti al minore capace di discernimento.

Questo assunto è da ricondurre nell’ambito dalla c.d. categoria dottrinaria dell’AUTODETERMINAZIONE DEBOLE DEL MINORE, secondo cui la volontà di quest’ultimo circa ciò che attiene alla propria sfera non patrimoniale avrebbe effetto vincolante nei confronti di tutti quei soggetti con cui il minore entra in contatto.

Tale effetto si produrrebbe però solo in presenza di due presupposti:

1)che la volontà provenga da un minore cosciente delle conseguenze della stessa;

2)che la volontà del minore corrisponda al suo migliore interesse.

L’affermarsi del suddetto principio deve essere collegato anche alla nuova normativa sull’amministrazione di sostegno in quanto emerge da entrambi come tutta la materia della cura e della tutela dei soggetti deboli vada riletta alla luce del bisogno di perseguire la loro migliore garanzia coniugato con la maggiore promozione possibile della loro autonomia.

Alla luce delle suddette posizioni dottrinali e dei dati normativi interni ed internazionali, è evidente come la minore età non possa essere preclusiva alla valida espressione del consenso finalizzato a sottoporsi al test HIV, soprattutto anche in base al fatto che il test rappresenta lo strumento indispensabile per una diagnosi e una cura tempestive della malattia.

Pertanto il limite della maggiore età può essere superato da un’attenta valutazione , da fare caso per caso, sulla capacità naturale del minore almeno sedicenne, essendo il 16°anno di età l’indice al quale la maggior parte delle disposizioni sopra evidenziate lega, presuntivamente, la presenza della capacità di intendere e di volere.

Per completezza, occorre aggiungere che il riferimento ai 16 ani di età si basa anche sul fatto che a questa età il minore ha raggiunto una sufficiente maturità personale e conduce una propria vita sessuale).

E’ evidente , dunque, che nella valutazione dell’autonomia del minore è indispensabile tener presente 3 elementi.

1)IL TIPO DI ATTO SANITARIO

in quanto nel caso di trattamenti o test più invasivi (pensiamo alla chemioterapia) è lapalissiano che la volontà dei rappresentanti legali sia via via necessaria  nel caso del test dell’HIV, che non comporta alcuna alterazione permanente all’integrità psico-fisica, si ritiene sufficiente il consenso del sedicenne che mostri di possedere capacità naturale di discernimento;

2)L’ETA’ DEL MINORE

Dal momento che il livello di cogenza del minore aumenta in modo direttamente proporzionale all’aumentare della sua età;

3)CAPACITA’ NATURALE DEL MINORE

Il minore che, pur avendo 16 anni, dimostri di non rendersi conto del peso e delle conseguenze dei propri atti non può essere considerato capace di esprimere una volontà in riferimento alla propria salute.

Concludiamo, con le problematiche relative alla comunicazione dell’esito del test , di cui, in base alla legge, deve essere edotto soltanto l’interessato.

Naturalmente nulla quaestio nel caso di esito negativo; più problematico, invece, il caso di esito positivo all’HIV in quanto se il dato normativo permette di escludere soggetti diversi dall’interessato dalla comunicazione del risultato del test, la necessaria terapia cui ci si dovrà sottoporre successivamente, comportando la possibilità di lasciare degli strascichi permanenti sulla salute psico-fisica del minore , necessiterà del consenso dei genitori (e in caso di loro dissidio o di una loro comune volontà che si ponga in contrasto con il superiore interesse del minore , interverrà il giudice ).

A tal fine, quindi, il principio dell’AUTODETERMINAZIONE DEBOLE viene meno dinanzi al prevalere del miglior interesse del minore.

Infine è’ opportuno evidenziare come la volontà del minore rilevi in due diversi momenti e si atteggi diversamente: dapprima, nel momento in cui deve effettuare il test HIV, quando se è capace di discernimento non ha bisogno del consenso dei genitori; e poi al momento di iniziare la terapia, quando, invece , è indispensabile acquisire il consenso dei genitori.

Sottolineando la diversità e l’autonomia di questi due momenti, si riesce a contemperare, da un lato, l’esigenza che tutti si sottopongano al test senza temere per i propri dati “supersensibili” e, dall’altro, il diritto-dovere dei genitori di prendersi cura dei propri figli.

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