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I criteri di individuazione del tempus commissi delicti con particolare riferimento ai reato di detenzione di materiale pedopornografico, di truffa contrattuale e di insolvenza fraudolenta.

Daniel Lunetta

Corso Magistratura sede di Milano

Tema di diritto penale

I criteri di individuazione del tempus commissi delicti con particolare riferimento ai reato di detenzione di materiale pedopornografico, di truffa contrattuale e di insolvenza fraudolenta.

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Il tempus commissi delicti individua il momento in cui può dirsi consumato il reato. La necessità di individuare il momento di consumazione del reato rileva sotto molteplici profili ai fini dell’applicazione della legge penale. Si consideri ad esempio il problema dell’individuazione del giudice competente per territorio a giudicare su un fatto di reato, piuttosto che la necessità di determinare il momento della flagranza di reato, ovvero lostabilire il concorso di determinati soggetti con altri nella commissione di un reato.

Nell’elaborare i criteri di individuazione del tempus commissidelicti dottrina e giurisprudenza si sono rifatti alla disciplina emergente dell’art. 6 del codice penale in tema di determinazione del locus commissi delicti. Da tale disciplina emerge che il criterio principale è quello della condotta, con un’alternativa rilevanza dell’evento conseguente alla condotta tipica al fine di stabilire il luogo del commesso reato. Il reato si considera commesso nel territorio dello Stato, infatti, se ivi è avvenuta, in tutto o in parte,l’azione o l’omissione, ovvero se lì si è verificato l’evento.

In analogia con tale disciplina sono stati elaborati diversi criteri di individuazione del tempus commissi delicti volti a privilegiaretalvolta l’elemento della condotta talaltra l’elemento della verificazione dell’evento, ovvero a prendere in considerazione entrambi questi elementi.

Tuttavia si può ritenere che il criterio fondato sulla integrazione della condotta è quello prevalentemente usato per stabilire iltempus commissi delicti. Infatti si è sostenuto che con la realizzazione della condotta tipica il soggetto agente è in grado di percepire il fatto di agire contra ius e, in particolare, di avvertire l’efficacia generalpreventiva della norma penale violata con la conseguente rilevanza di tale momento al fine di stabilire il momento di verificazione del reato.

Non sempre però il riferimento alla sola condotta consente agevolmente di stabilire il momento di consumazione del reato. Così certamente è con riferimento ai reati classificati in dottrina come istantanei, cioè quei reati nei quali la realizzazione della condotta è in grado anche di integrare l’offesa al bene giuridico tutelato dalla norma penale incriminatrice. Sicchè la realizzazione della condotta consuma il reato.

Più difficile invece è far riferimento a tale criterio della condottariguardo quella vasta categoria di reati che in dottrina sono stati classificati come di durata. Si tratta di una categoria di reati nei quali si può osservare un prolungamento della condotta nel tempo, ovvero uno scollamento tra il momento di realizzazione della condotta e il momento di verificazione dell’evento.

In questa categoria sono sussumibili, ad esempio, i reati abituali, il reato continuato e il reato permanete. All’interno di quest’ultima categoria la dottrina ha individuato una sottocategoria definita di reati a condotta frazionata o a consumazione prolungata.

Procedendo con ordine pare opportuno anzitutto rilevare che i reati abituali si caratterizzano per la reiterazione in un determinato lasso di tempo (che può essere più o meno lungo) di una serie di condotte della stessa specie idonee ad integrare il reato. Rispetto a questa categoria di reati, l’individuazione del tempus commissidelicti rileva soprattutto per la necessità di risolvere il problema della successione di leggi penali e, in modo particolare, di evitare un’applicazione retroattiva della legge di nuova incriminazione, in palese contrasto con il divieto derivante dall’art. 2, comma 1, c.p. detto di irretroattività sfavorevole.

L’inderogabilità del principio di irretroattività sfavorevole, infatti,dipende dalla stessa disciplina dell’art. 25, comma 2, Costituzione.

A questo proposito potrebbe verificarsi che un soggetto che ha tenuto una serie di condotte della stessa specie in un periodo di tempo in cui queste condotte non avevano alcun rilievo penale, ad un certo punto veda sanzionate come reato quelle stesse condotte in forza di una legge di nuova incriminazione frattanto entrata in vigore. Risulta evidente che un’applicazione della legge incriminatrice rispettosa del principio di irretroattività sfavorevole deve portare necessariamente all’esclusione dall’ambito divalutazione del tempus commissi delicti di quelle condotte reiterate prima della sua entrata in vigore.

Mentre con riferimento alle condotte reiterate dopo l’entrata in vigore della legge di nuova incriminazione le stesse dovranno costituire oggetto di autonoma valutazione sotto il profilo della loro sufficienza ad integrare gli elementi costitutivi del reato senza che in tale valutazione possano rilevare le condotte reiterate precedenti.

Con riferimento al reato continuato, che invece si caratterizza per la commissione di una serie di reati diversi tra loro e avvinti da un vincolo di continuazione, cioè dalla finalità di realizzare un unico progetto criminoso, il criterio del tempus commissi delicti è applicato distintamente in relazione a ciascun reato commesso per realizzare il progetto criminoso che rileverà nel tempo e nel luogo in cui ciascun reato sarà stato consumato.

I reati permanenti si caratterizzano, invece, per la realizzazione in un dato momento di un’unica condotta antigiuridica che determina un’offesa al bene giuridico tutelato dalla norma penale che si protrae nel tempo fintantoché il soggetto agente, ponendo volontariamente fine a tale condotta, è in grado di far cessare l’offesa al bene giuridico tutelato dalla norma. Anche in riferimento al reato permanente si è posto il problema di individuare il tempus commissi delicti per l’esigenza, fra l’altro, di regolare il fenomeno di successione nel tempo di leggi penali. E’ infatti possibile che durante la permanenza della condotta tipica si verifichi un inasprimento della legge penale incriminatrice.

L’applicazione della legge più severa al fatto di reato iniziato prima della sua entrata in vigore porrebbe problemi di compatibilità con il principio di retroattività favorevole di cui al comma 4 dell’art. 2 c.p. Per questo motivo qualche autore in dottrina ha proposto di ricorrere ad un’interpretazione del reato permanente che lo ricostruisce come una molteplicità di reati a sé stanti, ciascuna avente il proprio tempus commissi delicti ed assoggettabili alla legge penale pro tempore vigente.

Tuttavia l’interpretazione prevalente suggerisce di considerare che nel reato permanente – per tutto il tempo in cui si protrae la condotta antigiuridica – la norma penale incriminatrice di quella condotta è in grado di spiegare la propria efficaciageneralpreventiva. Dunque un inasprimento della disciplina della medesima norma penale durante la permanenza della condotta non sarebbe altro che un’applicazione della legge penale vigente al fatto commesso sotto il suo vigore.

Secondo un’interpretazione la categoria dei reati permanentiincluderebbe una sottocategoria di reati dati dai reati a condotta frazionata o a consumazione prolungata. Quest’ultima categoria di reati si caratterizza per uno scollamento tra il momento di perfezionamento del reato, cioè di integrazione degli elementi tipici del fatto, e quello di realizzazione dell’evento. Sotto altro profilo questa categoria di reati si caratterizza per la realizzazione di una condotta a cui seguono una serie di atti o frazioni della medesima condotta ripetute nel tempo ciascuna in grado di prolungare, aggravandola, l’offesa al bene giuridico tutelato dalla norma.

Per i reati a condotta frazionata o a consumazione prolungata iltempus commissi delicti non sarebbe semplicemente quello della realizzazione della condotta tipica ma quello dell’esaurimento ( attraverso il compimento della serie di frazioni della condotta tipica ) dell’offesa.

Il momento della consumazione quindi sarebbe spostato in avanti rispetto a quello di perfezionamento del reato.

Alla categoria del reato permanente, secondo l’interpretazionedata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, appartiene il reato di detenzione di materiale pedopornografico. Invece alla categoria dei reati a condotta frazionata appartengono i reati di truffa e insolvenza fraudolenta.

Alla luce di quanto si è venuto fino ad ora dicendo, volendo esaminare da vicino l’applicabilità del criterio in esame a questi reati si può osservare quanto segue.

Il delitto di detenzione di materiale pedopornografico è punito dall’art. 600-quater c.p. Anzitutto si deve rilevare che si tratta di un reato residuale rispetto a quello incriminato al precedente art. 600-ter c.p. di pornografia minorile, come evincibile dalla clausola di riserva contenuta nell’incipit della norma.

Ed infatti fra le condotte punite dall’art. 600-ter c.p., c’è quella di diffusione, distribuzione di materiale pedopornografico, al comma 3, e quella di cessione o offerta anche a titolo gratuito di materiale pedopornografico, al comma 4. In entrambe le predette fattispecie è stato osservato dalla giurisprudenza che la condotta tipica presuppone la detenzione di materiale pedopornografico al fine di distribuirlo o cederlo a terzi. Sicché è stato escluso che in questi casi vi sia un concorso di reati tra quelli puniti ai commi 3 e 4 dell’art 600-ter c.p. e quello di detenzione di cui al successivo art. 600-quater c.p., in quanto la condotta di detenzione nei primi due casi rappresenta un antefatto non punibile. Stabilito il carattere residuale della fattispecie in commento occorre rilevare che lacondotta descritta dalla norma si articoola nel procurarsi e nel detenere materiale pedopornagrafico.

Ciò che rileva ai fini dell’integrazione del reato è la condotta prolungata di detenzione del materiale che il soggetto agente si è procacciato.

La detenzione implica quindi una relazione di controllo e di dominio del soggetto sul materiale acquisito che può consistere nella mera archiviazione dei file informatici contenenti immaginipedopornagrafiche.

Fintanto che permane tale detenzione cosciente e volontaria permane l’offesa al bene giuridico tutelato dalla norma che è dato dalla libertà sessuale del minore. Solo con la cessazione della detenzione cessa l’offesa e il reato può considerarsi consumato. Ciò è stato rilevato anche dalle numerose pronunce della Corte diCassazione che ha rilevato che il fatto stesso del sequestro da parte della polizia del materiale pedopornografico nei database dell’agente, facendo cessare la condotta di detenzione e dunque l’offesa, determina la consumazione del reato.

Altra fattispecie è quella di truffa contrattuale nella quale la condotta dell’agente si caratterizza per il ricorso ad artifici o raggiri, per indurre in errore un soggetto circa l’utilità o la convenienza di una determinata pattuizione contrattuale, procurandosi un ingiusto vantaggio per se e recando un danno a tale ultimo soggetto. La condotta di base posta in essere dall’agente segue lo schema del reato di truffa punito all’art 640 c.p.

L’individuazuone del tempus commissi delicti in questa fattispecie è in stretta correlazione con il significato da attribuire all’elemento del danno. E infatti dottrina e giurisprudenza si sono interrogati in un primo momento sulla necessità che il danno debba essere inteso in senso strettamente economico, come danno emergente e lucro cessante, ovvero anche come perdita di valore affettivo della cosa o della sua utilità individuale.

A favore della concezione economica del danno si sono schierati quanti hanno criticato l’indeterminatezza e la soggettività del concetto di valore affettivo e di utilità che mal si conciliano con l’esigenza di obiettività e certezza nella materia penale. Il significato economico del danno è dunque quello adottato dalla giurisprudenza prevalente che però in qualche pronuncia tempera questo significato con il riferimento all’elemento soggettivo del valore affettivo della cosa dato dalla vittima.

Il problema del tempus commissi delicti nella truffa contrattuale si è posto in relazione alla possibilità, prospettata da qualche interpretazione, che il reato possa sussistere anche in mancanza di danno per la vittima, di danno cioè inteso nella sua accezione economica.

E’ il caso della cosiddetta truffa contrattuale a prestazioni equivalenti nella quale la vittima è indotta, mediante artifici o raggiri, a stipulare un contratto che crede erroneamente di avere interesse a stipulare e da cui tuttavia discende l’assunzione di un obbligo da parte della vittima di eseguire una prestazione a valore di mercato o a pagare un giusto prezzo.

In questo caso si è sostenuta un’accezione giuridica di danno, quale lesione della libertà contrattuale del singolo a prescindere che da essa sia derivato anche un danno patrimoniale. E’indifferente che la vittima abbia pagato il giusto prezzo per l’acquisto del bene, ciò che conta è che quest’ultima è stata coinvolta in una conclusione di un contratto che, senza artifici o raggiri, non avrebbe mai concluso.

Tuttavia questa interpretazione è stata respinta da quanti hanno rilevato che essa condurrebbe a trasformare il reato di truffa dal reato di evento a reato di pericolo, anticipando la rilevanza penale del fatto alla stipula del fatto senza che ci sia una deminutiopatrimonii.

Le Sezioni Unite della corte di Cassazione hanno confermato l’erroneità di tale interpretazione rilevando che il reato di truffa contrattuale è un reato che richiede per la sua consumazione un danno di tipo patrimoniale. In particolare seguendo lo schema del reato a consumazione prolungata, la cassazione ha rilevato che iltempus commissi delicti si determina non già nel momento della conclusione del contratto ma in quello successivo della definitiva acquisizione del bene da parte del deceptor e della definitiva perdita del bene stesso del bene stesso da parte del deceptus, cosa che può aversi in un momento successivo alla conclusione dell’accordo.

Infine il reato di insolvenza fraudolenta è annoverabile tra questa categoria di reati a consumazione prolungata. Si tratta di una fattispecie prevista dall’art 641 del c.p. che punisce chiunque dissimulando il proprio stato di insolvenza, contrae un’obbligazione con il proposito di non adempierla.

La norma prevede che l’agente è punito qualora l’obbligazione poi sia rimata effettivamente inadempiuta. La condotta si distingue in tre componenti: la contrazione dell’obbligazione, la dissimulazione dello stato di insolvenza, e l’inadempimento. L’elemento della dissimulazione rappresenta l’elemento distintivo rispetto al reato di truffa. Mentre infatti in quest’ultimo caso è richiesta una condotta attiva dell’agente in grado di interferire, mediante artifici e raggiri, con il processo motivazionale della vittima, nel caso dell’insolvenza fraudolenta la dissimulazione è una condotta semplicemente omissiva, che non produce alcuno stato di alterazione del processo motivazionale della vittima. La vittima, in altre parole, è indotta a concludere il contratto ignorando lo stato di insolvenza dell’altro contraente.

Secondo un’interpretazione, l’inadempimento previsto dall’art. 641 c.p. è una condizione obiettiva di punibilità del reato e non un suo elemento costitutivo. Ciò oltre ad essere evidenziato dall’utilizzo dell’espressione “qualora” è anche desumibile, secondo tale interpretazione, dal fatto che se il legislatore ha inteso punire chi contrae un’obbligazione con il proposito di rendersi inadempiente sarebbe ripetitivo ed ultroneo richiedere anche l’elemento costitutivo dell’inadempimento. Secondo tale tesi, il tempus commissi delicti sarebbe dato dalla mera contrazione dell’obbligazione con il proposito di non adempierla.

Viceversa altra interpretazione ha invece rilevato che l’inadempimento è un elemento costitutivo del fatto in cui si incentra l’offesa tipica. Ammettere che l’inadempimento sia una condizione di punibilità significa trasformare il reato di danno in un reato di pericolo con una posticipazione della punibilità al momento dell’inadempimento. Questa interpretazione, avallata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, induce a ritenere iltempus commissi delicti integrato nell’inadempimento effettivo dell’obbligazione contratta. Quindi la consumazione del reato è ancora una volta spostata in avanti rispetto al suo perfezionamento, con la possibilità che il reato non sia consumato se poi il soggetto agente adempie l’obbligazione ovvero se altri adempiono per suo conto.

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