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Danno non patrimoniale in ambito contrattuale. Il danno da vacanza rovinata

Danno non patrimoniale in ambito contrattuale. Il danno da vacanza rovinata

di Carmen Oliva

Nell’ambito della responsabilità civile vige il generale principio secondo cui colui che ha arrecato un danno ad altri è tenuto a risarcire tale danno. Il danno risarcibile può derivare tanto da un illecito extracontrattuale, quanto da un inadempimento contrattuale, qualora l’obbligazione trovi la sua fonte in un accordo tra due o più parti.

Il microsistema previsto dal codice civile in tema di obbligazioni è caratterizzato, generalmente, dalla patrimonialità del rapporto obbligatorio. Non a caso, ai sensi dell’art 1174 c.c., la prestazione che forma oggetto dell’obbligazione deve risultare suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere a un interesse, anche non patrimoniale, del creditore.

Dalla lettera della norma possiamo, quindi, desumere che il danno possa avere sia natura patrimoniale che non patrimoniale:tuttavia, mentre il primo incide sul patrimonio del soggetto danneggiato, il secondo incide su un interesse diverso non immediatamente definibile nella sua valutazione economica.

La risarcibilità del danno di natura non patrimoniale è  espressamente prevista dall’articolo 2059 c.c. che, tuttavia, ne limita il riconoscimento ai casi previsti dalla legge.

Tale limitazione ha portato per lunghi anni la dottrina e la giurisprudenza a negare la risarcibilità del danno non patrimoniale in conseguenza all’inadempimento contrattuale. Si sosteneva, infatti, che la stessa collocazione dell’articolo 2059 c.c. e la tralatizia convinzione che tale norma si riferisse solo al caso di danno derivante da reato ex art 185 c.p., comprovassero la volontà del legislatore di riconoscere il risarcimento del danno non patrimoniale solo in ambito extracontrattuale. Suddetto danno veniva inteso, invero, come danno morale soggettivo, configurabile nella sofferenza psichica o fisica cagionata alla vittima dal fatto illecito.

Diversamente, in ambito contrattuale si prendeva in considerazione esclusivamente la patrimonialità della lesione subita dal soggetto, poichè non si riteneva possibile evincere dall’inadempimento l’esistenza di un danno alla persona. Questa soluzione legislativa, seppur coerente con l’impianto del Codice Civile, risultava inadeguata nel caso in cui l’inadempimento contrattuale integrasse di per sè una fattispecie di reato, in quanto, in tali casi,  un soggetto, pur potendo subire dei danni non economicamente valutabili, non avrebbe potuto ottenere il risarcimento dei danni non patrimoniali.

Tale situazione ha spinto la Suprema Corte, in una nota sentenza del 2003, a pronunciarsi a favore della possibile cumulabilità delle azioni, nel senso che, in caso di compresenza di inadempimento di un’obbligazione e di illecito extracontrattuale, la parte danneggiata poteva esperire contemporaneamente sia l’azione contrattuale che quella extracontrattuale usufruendo all’uopo dei vantaggi dell’una e dell’altra, sia in punto di prescrizione che di onere della prova.

Il sistema del cumulo delle azioni è sostanzialmente rimasto in vigore sino alla pronuncia della Corte Costituzionale del 1986 che ha elaborato la figura del cosiddetto danno biologico, risarcibile qualora risultasse leso il diritto costituzionale alla salute dell’individuo riconosciuto dall’articolo 32 Costituzione, indipendentemente dall’esistenza o meno di un reato.

La Corte con la sentenza sopracitata sottolineò l’importanza di distinguere tra danno conseguenza, necessariamente di natura strettamente patrimoniale, e danno evento di possibile natura anche non patrimoniale e risarcibile a prescindere dalle conseguenze economiche immediatamente subite dal danneggiato. Si affermò così che il danno biologico costituirebbe danno evento del fatto lesivo della salute, mentre il danno morale soggettivo e il danno patrimoniale apparterrebbero al danno conseguenza, in quanto patrimonialmente rilevanti. Il danno all’integrità psicofisica si ritenne, quindi, risarcibile al di fuori delle ipotesi di danno morale soggettivo, in virtù del combinato disposto dell’art. 2043 c.c. con l’art 32 Cost.

Questa ricostruzione cominciò ad entrare in crisi quando la lettura restrittiva dell’articolo 2059 c.c. non resse più alle esigenze di risarcire i danni non patrimoniali anche nei casi di lesione di diritti costituzionalmente rilevanti diversi dal diritto alla salute.

La Corte di Cassazione, per sopperire alle problematiche sopra evidenziate, è intervenuta con due sentenze gemelle che  hanno privilegiato una lettura costituzionalmente orientata dell’articolo 2059 c.c., ritenendo che il danno non patrimoniale dovesse essere inteso, in senso estensivo, quale danno determinato dalla lesione di interessi inerenti alla persona non connotati solo da rilevanza economica.

Infatti, ancorare la risarcibilità dei danni non patrimoniali ai  soli danni evento avrebbe dato alla responsabilità civile una connotazione sanzionatoria al pari di quanto previsto in ambito penale, quando invece la funzione della responsabilità civile deve sempre tendere a compensare il danneggiato della lesione subita senza sfociare in una punizione sanzionatoria/ afflittiva per l’autore dell’illecito.

A seguito di tali pronunce il danno non patrimoniale è stato tripartito in danno morale soggettivo, danno biologico in senso stretto e danno esistenziale, inteso quale lesione di altri interessi di rango costituzionale inerenti alla persona. Siffatta tripartizione, però, è stata successivamente superata dalle sentenze gemelle di San Martino del 2008 con le quali la Suprema Corte di Cassazione ha riunificato tutte le voce di danno non patrimoniale, specificando che le stesse debbano essere considerate valenze meramente descrittive, utili ai fini della quantificazione e liquidazione del danno.

Dunque, il nostro sistema risarcitorio, oggi,  si configura come un sistema “bipolare”  e ricomprende le due sole categorie originarie di  danno patrimoniale e danno non patrimoniale. A prescindere dalla fonte da cui la responsabilità scaturisce, il danno deve essere risarcito sia nella componente patrimoniale che non patrimoniale.

Il pregio delle due sentenze del 2008 è quello di aver chiarito, in via definitiva che, nell’ambito della responsabilità contrattuale, l’art 1218 c.c. non possa ritenersi riferibile solo al danno patrimoniale, ma debba comprendere anche il danno non patrimoniale senza che sia necessario il richiamo ai fatti illeciti. Tuttavia, mentre in caso di responsabilità extracontrattuale la lesione dei diritti inviolabili è sempre risarcibile, in caso di responsabilità contrattuale devono sussistere dei presupposti per il loro risarcimento, allo scopo di scongiurare il rischio del risarcimento di danni c.d. bagatellari. In primo luogo il pregiudizio di natura non patrimoniale sarà risarcibile soltanto se prevedibile nel tempo in cui è sorta l’obbligazione, ai sensi dell’articolo 1225 c.c., (norma non richiamata dall’articolo 2056 c.c. e quindi non applicabile in ambito di responsabilità extracontrattuale). Il secondo requisito riguarda la lettura costituzionalmente orientata anche dell’art. 1223 c.c. che richiama il danno emergente e il lucro cessante: anche in questo caso il risarcimento per essere meritevole di tutela deve presupporre la lesione di un diritto costituzionalmente inviolabile. Al di fuori di tali limiti, il danno non patrimoniale da inadempimento si ritiene giuridicamente irrilevante.

Chiarita la risarcibilità del danno non patrimoniale in ambito contrattuale, ci si può soffermare, nello specifico, sul contratto di viaggio e sulla  conseguente risarcibilità del danno derivante da vacanza rovinata.

L’art. 47 del Codice del Turismo (d.lgs. 79/2011) definisce il “danno da vacanza rovinata” come “un risarcimento del danno correlato al tempo di vacanza inutilmente trascorso ed all’irripetibilità dell’occasione perduta”, a patto che l’inadempimento sia “di non scarsa importanza”. Trattasi di voce di danno non patrimoniale (nelle sue declinazioni biologiche, morali ed esistenziali) da distinguersi dal vero e proprio danno patrimoniale. Quest’ultimo infatti, si traduce nel pregiudizio economico subito dal viaggiatore/consumatore a causa di fatto di terzi (ad esempio la perdita del  bagaglio). Il danno da vacanza rovinata invece consiste proprio nella perdita di un’occasione di relax.

Prima del d.lgs. 79/2011, tale voce di danno veniva genericamente ricondotta all’art. 2059 c.c. che disciplina proprio il danno non patrimoniale. Tuttavia, la norma, come già ampiamente osservato, limitava (e tutt’ora limita) espressamente la risarcibilità del danno non patrimoniale  ai soli casi previsti dalla legge.

Quindi, per il danno da vacanza rovinata, prima del 2011, non vi era una norma apposita che ne sancisse la risarcibilità, la quale veniva riconosciuta soltanto laddove vi fosse una lesione di un bene costituzionalmente protetto (ad esempio, il diritto alla salute, art. 32 Cost.). L’espressa introduzione di detta voce di danno ad opera del Codice del Turismo ha dunque sanato questa lacuna, consacrando la piena tutela del turista. La prima regolamentazione legislativa del danno da vacanza rovinata è stata fornita dalla Convenzione di Bruxelles recepita in Italia dalla legge 27 dicembre 1977 n. 1082 cui ha fatto seguito la direttiva 90/314, concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti tutto compreso, recepita dal d.lgs. n. 111/1995 poi confluito nel Codice del Consumo. In particolare l’articolo 13 n. 1 della Convenzione statuisce  che l’organizzatore di viaggi risponde di qualunque pregiudizio causato al viaggiatore a motivo dell’inadempimento totale o parziale dei suoi obblighi di organizzazione, quali risultano dal contratto o dalla presente convenzione, salvo che egli non provi di essersi comportato da organizzatore di viaggi diligente. A livello europeo oggi, la Direttiva (UE) 2015/2302 migliora la protezione giuridica dei consumatori che acquistano viaggi “all inclusive”, soprattutto in considerazione dell’aumento esponenziale delle transazioni commerciali online.

 Se l’articolo 34 del Codice del Turismo, infatti, definisce come “pacchetto turistico” un acquisto che combini almeno due elementi tra viaggio, alloggio e servizi, la libertà di “personalizzare” il proprio viaggio autonomamente attraverso le piattaforme online ha reso necessaria una estensione dei diritti riconosciuti al viaggiatore e l’introduzione di alcune disposizioni a tutela dei professionisti operanti nel settore del turismo.  Per tale motivo,  a partire dal 1° luglio 2018,  i pacchetti turistici comprati online sono stati equiparati in tutto a quelli acquistati secondo la procedura tradizionale anche in ordine all’eventuale risarcimento del danno.

Circa la natura e l’ inquadramento del danno da vacanza rovinata la dottrina appare suddivisa. Un orientamento, ormai risalente e completamente abbandonato,considerava tale danno come patrimoniale, in aderenza alla tradizionale concezione che, in caso di inadempimento contrattuale, riteneva risarcibile il solo danno patrimoniale. Tale concezione si basa sul richiamo all’ art 1218 c.c. poiché considera la vacanza come la prestazione del contratto e l’obbligazione principale da adempiere da parte del debitore. Tale interpretazione pone al centro la rilevanza economica della vacanza senza considerare, a fini risarcitori, l’ interesse non patrimoniale del turista, menzionato anche dall’ art. 1174 c.c.

Sulla base di questa considerazione, un altro orientamento dottrinale ha rilevato come l’interesse non patrimoniale della vacanza verrebbe implicitamente dedotto  nel contratto e quindi patrimonializzato in relazione al costo della vacanza stessa. In questo senso, la valutazione economica del danno da vacanza rovinata si baserebbe sul computo delle ferie “sprecate” dal lavoratore subordinato o sul mancato guadagno del lavoratore autonomo nei giorni infelicemente trascorsi in vacanza.  Seguendo tale orientamento, però, l’interesse non patrimoniale non gode di sufficiente considerazione fino al paradosso di penalizzare  pensionati, studenti e disoccupati, poiché  così l’interesse non patrimoniale alla vacanza risulta strettamente legato alla capacità lavorativa. Tale orientamento oggi è considerato anacronistico, anche perché in contrasto con l’attuale disciplina consumeristica ( in cui rientra anche il contratto di viaggio) che definisce  il consumatore come colui che agisce al di fuori della propria attività commerciale, imprenditoriale o artigianale eventualmente svolta.

Attualmente la dottrina prevalente ritiene che il danno da vacanza rovinata sia un danno non patrimoniale derivante da inadempimento contrattuale. Tale inquadramento parte da un presupposto: quello della concezione ampia di “vacanza” quale bene produttivo sia di utilità patrimoniali che non patrimoniali.

Per di più, il diritto alla vacanza è un diritto inviolabile riconducibile all’art 2 Cost, rappresentando un momento di esplicazione della personalità dell’ uomo. Tale inquadramento consente di superare gli stringenti limiti di legge posti dall’art 2059 c.c. alla risarcibilità del danno non patrimoniale.

 La teoria del danno non patrimoniale da vacanza rovinata si è evoluta seguendo la scia della teoria generale sul danno non patrimoniale, incontrando particolare successo soprattutto con l’elaborazione del danno esistenziale., inteso come quel danno arrecato all’esistenza che si traduce in un peggioramento della qualità di vita, pur non essendo direttamente inquadrabile nel danno alla salute.

Il  danno esistenziale da vacanza rovinata si differenzia pure dal danno morale ( rispetto al quale presenta un quid pluris), in quanto non è solo una sofferenza interiore del danneggiato (c.d. sentire), ma rappresenta uno sconvolgimento incidente sulla qualità della vita che può essere oggettivamente rappresentato esteriormente (c.d. dover agire diversamente da quanto programmato).  Il danno esistenziale da vacanza rovinata si concreta , quindi, nel patimento di un danno da stress, nel  disagio e frustrazione per la mancata fruizione di un periodo di svago, nella consapevolezza, ad esempio, che la successiva occasione di vacanza potrebbe anche essere molto lontana nel tempo, perché subordinata  ad un nuovo periodo di ferie magari coincidente con quello del coniuge, degli amici,  delle vacanze scolastiche dei figli etc., oppure addirittura irripetibile ( si pensi ad un viaggio di nozze).

Per  quanto riguarda invece il danno biologico da vacanza rovinata, esso dovrebbe consistere in una lesione della salute medicalmente accertabile patita dal turista. Si tratta di una voce di danno ipotizzabile, ad esempio, per l’inadempimento di un tour operator , consistente nella scelta di una struttura alberghiera non in grado di assicurare l’ incolumità fisica dei suoi occupanti.

Tutte queste voci del danno non patrimoniale da vacanza rovinata, però, sono soggette a unificazione, in ossequio alla al regime bipartito di risarcimento del danno, sancito dalle già menzionate sentenze di San Martino, per cui il danno da vacanza rovinata si deve considerare come pregiudizio reddituale, meramente descrittivo dell’ onnicomprensivo danno non patrimoniale che, per essere risarcito, deve essere allegato e provato adeguatamente in giudizio.

Anche  la giurisprudenza si è espressa più volte sulla materia.

 Prima dell’entrata in vigore del Codice del Turismo, i giudici di merito affermavano che il danno da vacanza rovinata può rientrare nel pregiudizio non patrimoniale unicamente solo laddove si sia risolto nella significativa lesione di un interesse personale costituzionalmente protetto (diritto inviolabile della persona) a tre condizioni, e precisamente: che l’interesse leso abbia rilevanza costituzionale; che la lesione dell’interesse sia grave, nel senso che l’offesa superi una soglia minima di tollerabilità (in quanto il dovere di solidarietà, di cui all’art. 2 cost., impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza); che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari.

Dopo  l’entrata in vigore del  Codice del Turismo, invece, la risarcibilità del danno da vacanza rovinata quale componente non patrimoniale del danno ha trovato pieno riconoscimento anche sul piano normativo.

Secondo i giudici di merito infatti il contratto di viaggio tutto compreso (pacchetto turistico o package) è diretto a realizzare l’interesse del turista( quale consumatore) al compimento di un viaggio con finalità turistica o a scopo di piacere, sicché tutte le attività e i servizi strumentali alla realizzazione dello scopo vacanziero sono essenziali.

Pertanto, per accennare a degli esempi, la circostanza che il turista venga alloggiato, per una parte del periodo di soggiorno in una struttura alberghiera di livello qualitativo inferiore rispetto a quella prenotata all’atto dell’acquisto e, per la restante parte del periodo di viaggio, presso questa struttura, ma ancora in fase di ristrutturazione, con molti dei servizi promessi (palestra, spa e piscina, spiaggia attrezzata) non ancora ultimati, diminuisce in misura apprezzabile l’utilità che può trarsi dal soggiorno nella località turistica, dando luogo alla fattispecie della vacanza rovinata. Ancora, anche nell’ipotesi di smarrimento del bagaglio da parte del vettore aereo,  il turista ha diritto al risarcimento, oltre che del danno patrimoniale, del danno da vacanza rovinata, il quale è da considerarsi di maggiore gravità qualora si tratti  ad esempio di viaggio di nozze,  che è assolutamente irripetibile.

Quanto all’onere della prova, in tema di risarcibilità del danno non patrimoniale vige la regola generale per cui il danno deve essere provato e allegato. Tuttavia, nel caso di danno da vacanza rovinata, ricorrendo un inadempimento del tour operator,  secondo la giurisprudenza, il turista sarebbe tenuto a provare il solo contratto di viaggio, allegando le circostanze dell’inadempimento di controparte (ad es. tramite foto, filmati, testimonianze), col conseguente diritto del consumatore ad ottenere anche il  risarcimento del danno diverso e ulteriore rispetto a quello patrimoniale,  giacchè è già insito nella stipulazione stessa del contratto che esso risponda ad un’utilità quale il riposo, lo svago e la fuga dalla realtà quotidiana. Il tour operator, a sua volta,  per considerarsi esonerato dalla responsabilità, deve provare l’avvenuto adempimento del contratto.

In sostanza, in tema di danno non patrimoniale da vacanza rovinata, inteso come disagio psicofisico conseguente alla mancata realizzazione in tutto o in parte della vacanza programmata, la raggiunta prova dell’inadempimento esaurisce in sé la prova anche del verificarsi del danno, atteso che gli stati psichici interiori dell’attore, per un verso, non possono formare oggetto di prova diretta e, per altro verso, sono desumibili dalla mancata realizzazione della ‘finalità turistica’ (che qualifica il contratto) e dalla concreta regolamentazione contrattuale delle diverse attività e dei diversi servizi, in ragione della loro essenzialità alla realizzazione dello scopo vacanziero.

Per quanto riguarda la quantificazione del danno, infine, la riparazione deve essere integrale, equa, e accertata dal giudice in base alla consistenza del pregiudizio allegato.

Il giudizio avviene secondo il criterio di equità. Infatti, ai sensi dell’art. 1226 c.c., la quantificazione del danno non patrimoniale è rimessa in via equitativa al prudente apprezzamento del giudice di merito, non soltanto quando la determinazione del relativo ammontare sia impossibile, ma anche qualora la stessa si presenti particolarmente difficoltosa in relazione alla peculiarità del caso concreto.

In conclusione, i recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di risarcimento del danno non patrimoniale derivante da inadempimento, sotto la spinta propulsiva delle pronunce costituzionali e della disciplina comunitaria sia in materia di turismo che consumieristica, hanno portato il legislatore  a riconoscere espressamente la risarcibilità del danno da vacanza rovinata, quale danno prettamente non patrimoniale.  Questo riconoscimento, ormai consolidato, ha spinto i giudici di merito ad andare addirittura oltre, riconoscendo la risarcibilità anche del  “danno indiretto da vacanza rovinata”, inteso quale  pregiudizio non patrimoniale subito dai familiari del turista infortunatosi in vacanza ( a causa di difetti di manutenzione dell’alloggio ad esempio) per colpa del tour operator o di un suo ausiliario e consistente nel non aver potuto godere a pieno della vacanza come occasione di svago e di riposo conformemente alle proprie aspettative. Tale perdita  è quantificabile nel tempo di vacanza inutilmente trascorso oltre che nell’irripetibilità dell’occasione perduta. Nello specifico, il danno da vacanza rovinata per gli accompagnatori del turista infortunatosi incolpevolmente, può ritenersi indiretto dal punto di vista dell’eventus damni, in quanto ha avuto come fonte indiretta il danno biologico subito dal turista a causa delle lesioni riportate durante un momento di relax e diretto dal punto di vista delle conseguenze, giacchè anche gli accompagnatori del turista infortunato hanno dovuto cambiare le modalità di godimento della vacanza e le possibilità di svago e di usufruire pienamente delle attività ricreative della struttura turistica e del luogo di villeggiatura.

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