APPLICABILITA’ DELLA DISCIPLINA ANTI-USURA AGLI INTERESSI MORATORI

L’applicabilità della disciplina antiusura agli interessi moratori, questione complessa ed in parte ancora oggi aperta e dibattuta, non può prescindere da un breve excursus storico-sistematico dell’evoluzione che ha interessato proprio la legislazione anti-usura nell’ordinamento italiano.

L’ordinamento, infatti, combatte tale odioso e pericoloso fenomeno con una vasta gamma di strumenti, sia di natura penalistica, sia di natura civilistica.

L’usura, in via preliminare, è un reato previsto e punito dall’art. 644 cp, collocato sistematicamente nei delitti contro il patrimonio.

L’originaria formulazione della disposizione puniva chiunque, approfittando dello stato di bisogno di una persona, si facesse da questa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, interessi o altri vantaggi usurari.

Come si evince, si trattava di un’usura squisitamente “soggettiva” perché imperniata sull’approfittamento dello stato di bisogno della vittima, con la conseguenza che il bene giuridico tutelato era da rinvenirsi esclusivamente nel patrimonio di quest’ultima.

Ma allora, la norma appariva quasi totalmente sovrapponibile all’art.1448 cc, ai sensi del quale, se vi è sproporzione tra la prestazione di una parte e quella dell’altra e la sproporzione è dipesa dall’approfittamento dello stato di bisogno dell’altra parte, quest’ultima può domandare la rescissione del contratto, a condizione, però, che sussista la c.d. “lesione ultra dimidium”, ossia che la lesione ecceda la metà del valore della prestazione eseguita o promessa (art. 1448 comma 3° cc).

Pertanto, in relazione ad un contratto di scambio avente per oggetto la pattuizione di interessi usurari, la parte danneggiata poteva chiedere la rescissione per lesione, purché la pattuizione fosse dovuta all’approfittamento dello stato di bisogno della controparte e sempre che sussistesse la “lesione ultra dimidium”. In mancanza delle condizioni, la parte poteva chiedere la dichiarazione di nullità del contratto ex art. 1418 comma 1° cc (la c.d. “nullità virtuale”) per contrasto con norma imperativa, ossia l’art. 644 cp.

In relazione, invece, ai contratti di mutuo o, più in generale, di finanziamento, l’art. 1815 comma 2° cc, nella sua risalente formulazione, testualmente recitava “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e gli interessi sono dovuti solo nella misura legale”. Il contratto, quindi, restava valido, la clausola di pattuizione degli interessi usurari veniva dichiarata nulla e il mutuatario restava vincolato al pagamento degli interessi legali.

Ed invero, il descritto quadro giuridico è stato profondamente innovato dalla storica legge 108/96, che ha mutato il volto della fattispecie delittuosa in oggetto, incidendo anche, direttamente o indirettamente, sui suoi profili civilistici.

Mentre, infatti, il novellato art. 644 comma 1° cp punisce chiunque si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, il nuovo comma 3° specifica che è la legge a stabilire “il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari”. Da quanto esposto, è chiaro come adesso l’usura venga intesa in termini squisitamente oggettivi, poiché è il solo superamento del “tasso-soglia” che rende gli interessi pattuiti usurari, a prescindere dall’approfittamento dello stato di bisogno della​vittima.​ Quest’ultimo elemento rileva o come aggravante (art. 644 comma 5° n° 3 cp) oppure in relazione alla c.d. “usura in concreto”: ai sensi dell’art. 644 comma 3° secondo periodo cp possono considerarsi usurari gli interessi, anche inferiori al tasso-soglia, laddove essi, in concreto, risultino comunque sproporzionati poiché chi li ha dati “si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria”.

Emerge in modo plateale la voluntas legis di assicurare una tutela non più limitata al solo patrimonio della vittima dell’usura, ma rivolta ad un raggio di azione molto più ampio: il corretto andamento del mercato di credito, la tutela del risparmio, nonché generali finalità di contenimento del costo del denaro.

E tale riforma non poteva non impattare sugli aspetti civilistici del fenomeno dell’usura.

In prima battuta, la rescissione del contratto usurario ex art.1448 cc da rimedio generale per i contratti di scambio è divenuto rimedio residuale, adoperabile esclusivamente nell’ipotesi di “usura in concreto” o aggravata, sempre a condizione che sussista la “lesione ultra dimidium”. Quindi, il rimedio generale è rappresentato dall’azione di nullità ex art.1418 cc.

In relazione, invece, ai contratti di mutuo, la legge del ‘96, in un’ottica di coordinamento, ha modificato il citato art.1815 comma 2 °cc, che adesso stabilisce che “se sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”. La sanzione, pertanto, è molto più afflittiva rispetto al passato, poiché consiste nell’automatica trasformazione del mutuo da oneroso a gratuito, con la non debenza di alcun interesse.

Ed invero, nonostante la portata notevole della legge analizzata, essa ha comunque lasciato delle problematiche aperte e senza risposta. In modo particolare, come si è già accennato in premessa, è risultata controversa, almeno fino alla recente e degna di nota “ordinanza Rossetti”, l’applicabilità della disciplina anti-usura anche gli interessi moratori.

Ai fini di una maggiore comprensione, è doverosa una breve disamina delle tre tipologie di interessi che possono venire in rilievo nelle obbligazioni aventi ad oggetto beni fruttiferi: corrispettivi, compensativi e moratori.

Gli interessi corrispettivi sono dovuti per il semplice godimento del capitale, in forza della fisiologica fertilità del denaro. Ai sensi dell’art. 1282 comma 1° cc, infatti, i redditi liquidi ed esigibili di somme di denaro producono interessi di pieno diritto, salvo che la legge o il titolo stabiliscano diversamente.

Gli interessi compensativi, invece, consistono in una tecnica equitativa rivolta appunto a “compensare” il vantaggio della disponibilità di una somma di denaro spettante al creditore. Un esempio può ravvisarsi nell’art.1499 cc: la norma, infatti, stabilisce che, salva diversa pattuizione, qualora la cosa venduta e consegnata al compratore produca frutti o altri proventi, decorrono gli interessi sul prezzo, anche se questo non è ancora esigibile.

Infine, gli interessi moratori presuppongo l’inadempimento del debitore e la sua messa in mora. Ai sensi dell’art.1224 comma 1° cc nelle obbligazioni che hanno per oggetto una somma di denaro sono dovuti dal giorno della mora gli interessi legali, anche se non erano dovuti precedentemente e anche se il creditore non prova di aver subito alcun danno. Si tratta con tutta evidenza di uno strumento presuntivo, forfettario e con finalità risarcitoria e sanzionatoria. Altresì, benché gli interessi moratori richiedono un credito liquido ed esigibile, al pari degli interessi corrispettivi, essi non possono mai cumularsi con quest’ultimi, pertanto le due tipologie di interesse sono sempre dovuti in modo alternativo.

Ebbene, ferma restando l’applicabilità “fisiologica” della normativa anti-usura agli interessi corrispettivi, la sicura esclusione degli interessi compensativi in quanto frutto di una mera tecnica di compensazione, la “querelle”, come si è più volte​ ripetuto, si è posta con esclusivo riguardo agli interessi moratori, qualora il loro impatto sia stato pattuito direttamente dalle parti.

Una prima tesi sostiene la non applicabilità della normativa anti-usura agli interessi moratori, adducendo ragioni a carattere letterale e strutturale.

Sotto il profilo letterale, si sottolinea come l’art. 644 comma 1° cp sanzioni la promessa o la dazione di interessi o vantaggi usurari “in corrispettivo di una prestazione di denaro o altra utilità”, pertanto appare chiaro l’intento di limitare il giudizio sul carattere usurario degli interessi soltanto a quelli corrispettivi.

Sotto il profilo strutturale si mettono in evidenza le profonde differenze tra le due categorie di interessi in oggetto, ostativa a qualunque sovrapposizione: mentre, infatti, gli interessi corrispettivi attengono alla fase fisiologica del contratto, quelli moratori ineriscono alla sua fase patologica, poiché presuppongono l’intervenuto inadempimento e quindi assolvono ad una funzione sanzionatoria/risarcitoria.

Se così è, in mancanza di una legge chiara e specifica, non possono assoggettarsi alla medesima normativa due fenomeni così strutturalmente e concettualmente distinti. Ed invero, l’orientamento maggioritario si è schierato a favore dell’applicabilità della normativa anti-usura anche agli interessi moratori, superando le suesposte obiezioni con interpretazioni sistematiche e rivolte ad un generale rispetto della normativa anti-usura globalmente intesa.

In principio, il citato comma 1° dell’art. 644 cp va letto in necessario combinato disposto con il suo comma 4°, che espressamente stabilisce che per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni “a qualsiasi titolo” e delle spese collegate all’erogazione del credito. In modo non dissimile, l’art. 1 comma 1° L. 24/2001 (la legge di interpretazione autentica della L. 108/96) stabilisce che sono da intendersi usurari gli interessi che superano il tasso-soglia nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti “a qualunque titolo”: non appare, pertanto, revocabile in dubbio la riconducibilità anche degli interessi moratori alle somme legate all’erogazione del credito “a qualunque titolo”.

Altresì, l’art. 1815 comma 2° cc si limita a menzionare “gli interessi usurari” senza nessuna specificazione. Pertanto, tale formulazione linguistica, proprio per la sua genericità, appare idonea a ricomprendere anche gli interessi moratori.

A parere, quindi, della tesi in oggetto, dal combinato disposto delle norme citate non emergono elementi sufficienti per escludere l’applicabilità della legge anti-usura agli interessi moratori, dovendosi, invece, desumere l’esatto contrario.

Ancora, secondo tale tesi opinare diversamente tradirebbe anche le finalità della L. 108/96. Infatti, come si è già evidenziato, il legislatore con la nuova normativa anti-usura ha inteso perseguire ampie finalità di tutela, comprensive anche del generale andamento del mercato. Ma tale ambizioso progetto risulterebbe frustrato se l’ordinamento non sottoponesse anche gli interessi moratori al necessario rispetto del tasso-soglia.

Ed invero, tra coloro i quali aderiscono al secondo e maggioritario orientamento, sussiste un contrasto ulteriore.

Ci si chiede, infatti, laddove la pattuizione degli interessi moratori riguardi un contratto di finanziamento – che è invero l’ipotesi più frequente – e ne venga accertata la natura usuraria, se debba operare il disposto dell’art.1815 comma 2° cc, con la conseguente non debenza nemmeno degli interessi corrispettivi, oppure se il mutuatario resti obbligato solo per tali ultimi interessi.

Una certa tesi accoglie la seconda soluzione ritenendo che si sia in presenza di una nullità parziale (ex art. 1419 comma 1° cc), che interessa la sola clausola contenente gli interessi moratori, nullità che non si estende a quelli corrispettivi.

In via preliminare, si insiste sulla distinzione tra interessi corrispettivi e moratori che, proprio per la loro diversità ontologica, non soltanto non sono cumulabili ma non possono nemmeno considerarsi in modo unitario ai fini dell’usura, non essendo idonei i soli interessi moratori a travolgere tutti gli interessi pattuiti. Ancora, trasformare il mutuo da oneroso a gratuito appare una sanzione eccessiva per il mutuante, il quale, almeno con riguardo agli interessi corrispettivi è stato diligente nel rispettare il tasso-soglia. Senza contare che opinare diversamente potrebbe incentivare condotte fraudolente del debitore: egli, infatti, presa contezza del carattere usurario degli interessi moratori pattuiti, potrebbe essere indotto a ritardare ulteriormente l’adempimento, facendo sulla non debenza di alcun interesse.

E pur tuttavia, le suesposte argomentazioni vengono confutate da un altro orientamento, che ritiene non dovuti nemmeno gli interessi corrispettivi.

In prima battuta, si ritiene di poco pregio il richiamo al divieto di cumulo tra interessi corrispettivi e interessi moratori. Appare, infatti, privo di consistenza logica sostenere che gli interessi moratori non rilevino ai fini dell’usura in uno con gli interessi corrispettivi soltanto perché non si possono sommare a quelli corrispettivi, trattandosi di due fenomeni concettualmente distinti: il divieto di cumulo non osta alla trasformazione del mutuo da oneroso a gratuito.

Altresì, se si accoglie un’interpretazione ampia dell’art. 1815 comma 2° cc, comprensivo anche degli interessi moratori, allora pure questi ultimi ricadono sotto la sanzione prevista dalla disposizione, ossia la trasformazione del mutuo da oneroso a gratuito.

Infine, la tutela della diligenza del mutuante e il pericolo di comportamenti abusivi del debitore/mutuatario sono da considerarsi recessivi rispetto alla finalità, più volte ribadita, di attuare una lotta all’usura rigorosa e incisiva.

Ebbene, come si è già accennato nel corso della trattazione, la questione è stata affrontata e risolta, in tempi recenti, dalla giurisprudenza di legittimità con la c.d. “ordinanza Rossetti”.

Con tale ordinanza, la Suprema Corte ha ritenuto applicabile la normativa anti-usura anche agli interessi moratori, sottolineando che, ferma restando la diversità strutturale tra interessi corrispettivi e moratori, essi risultino comunque accumunati dalla medesima funzione.

E’ vero, infatti, che gli interessi corrispettivi attengono al momento fisiologico dell’obbligazione e quelli moratori al momento patologico, tra l’altro, possedendo questi ultimi una connotazione sanzionatoria sconosciuta agli interessi corrispettivi. Ma è pur vero che mentre gli interessi corrispettivi sono volti a remunerare il creditore per la somma di cui si è privato volontariamente, gli altri interessi mirano a remunerarlo per la somma di cui è stato privato involontariamente.

Ma allora, entrambe le categorie assolvono alla medesima funzione: remunerare il creditore per il capitale. Se così è, allora anche gli interessi moratori rientrano in quegli interessi convenuti “a qualunque titolo” e in quelle “remunerazioni a qualunque titolo collegate all’erogazione del credito” ex artt. 1 comma 1° L. 24/2001 e 644 comma 4° cp. E, per ciò solo, sono soggetti alla normativa anti-usura.

Infine, l’ordinanza in commento si è pronunciata anche con riguardo alla sorte del contratto contenente una pattuizione di interessi moratori usurari, non aderendo a nessuna delle due soluzioni sopraesposte e scegliendo invece una soluzione terza.

La Corte ha, infatti, dapprima ribadito la nullità della clausola con cui sono stati pattuiti gli interessi moratori usurari, ritenendo però non operante né la conversione del mutuo da oneroso a gratuito né la doverosità degli interessi corrispettivi se inferiori al tasso-soglia.

Invece, è stata predicata la trasformazione degli interessi moratori in interessi al seggio legale, con la doverosità di tale importo.

Pertanto, a parere della Corte, qualora gli interessi moratori si atteggino come usurari, la relativa pattuizione è da considerarsi nulla e l’importo verrà ridotto e riportato alla misura legale. Tale soluzione è stata ritenuta la più coerente con la causa e la struttura degli interessi moratori, comunque diverse rispetto a causa e struttura degli interessi corrispettivi, nonostante la comunanza di funzioni.

In conclusione, occorrerà verificare se “l’ordinanza Rossetti” abbia posto fine al dibattito oppure il contrasto rimarrà. Comunque sia, è certo che bisognerà sempre privilegiare la soluzione più conforme alla voluntas legis e che sia in grado di assicurare una lotta all’usura efficiente e rigorosa.

                                                                                                                GM

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