IL FONDAMENTO DEL POTERE REGOLAMENTARE DEL GOVERNO: IN PARTICOLARE I REGOLAMENTI INDIPENDENTI

IL FONDAMENTO DEL POTERE REGOLAMENTARE DEL GOVERNO: IN PARTICOLARE I REGOLAMENTI INDIPENDENTI

Il regolamento è un atto formalmente amministrativo ma sostanzialmente normativo: benché, infatti, depositari del potere regolamentare siano PA e Governo, tali atti presentano le caratteristiche degli atti normativi.

E difatti, il regolamento non ha destinatari specifici e determinati (generalità), è suscettibile di applicazione ad un numero indefinito di ipotesi concrete (astrattezza) ed è idoneo ad innovare l’ordinamento giuridico (innovatività).

Per tali ragioni, il regolamento non è suscettibile di ledere immediatamente le posizioni giuridiche dei soggetti destinatari, poiché non è direttamente applicabile e necessità di un atto di attuazione.

Di conseguenza, al di fuori delle ipotesi eccezionali in cui il regolamento presenti un contenuto immediatamente lesivo, esso non è autonomamente impugnabile dal privato, potendo, al massimo, essere disapplicato dal giudice.

Da quanto esposto, si può evincere che il regolamento si inserisca nel novero delle fonti, segnatamente nelle fonti di secondo grado, pertanto in posizione subordinata alla legge.

Ebbene, a seguito della presente necessaria premessa, è adesso indispensabile ricercare il fondamento del potere regolamentare del Governo, tematica profondamente influenzata dal mutare dell’assetto statale, poiché involge a monte il rapporto tra poteri dello Stato, soprattutto tra Parlamento e Governo. E quanto esposto si riscontra soprattutto con riguardo ad una categoria specifica di regolamenti: quelli indipendenti, che il Governo emana nelle materie in cui manchi una disciplina di legge.

Per tali ragioni, l’individuazione del fondamento del potere regolamentare non può prescindere da un approfondito excursus storico.

In epoca pre-repubblicana, i rapporti tra Governo-Corona e Parlamento risultano caratterizzati da separazione ma anche da equiordinazione, pertanto mentre il Parlamento è depositario del potere legislativo, il Governo è titolare di quello regolamentare. E tale ultimo potere, nella vigenza di una Costituzione flessibile come lo Statuto Albertino che ha introdotto un regime di fonti elastico e non rigido, può essere esercitato senza necessità di una legge di legittimazione.

Il Governo, pertanto, può autonomamente emanare regolamenti, anche nelle materie in cui difetti una disciplina normativa (i regolamenti indipendenti), poiché il fondamento è da rinvenirsi nel riparto di competenze Parlamento/Governo flessibile e nella maggiore duttilità dell’atto regolamentare rispetto a quello legislativo.

Con l’avvento del potere della borghesia, il predetto rapporto paritetico tra Governo-Corona e Parlamento viene scardinato, imponendosi, viceversa, la primazia del Parlamento, avvertendosi, altresì, l’esigenza di tutelare i cittadini da arbìtri e soprusi del potere Esecutivo.

E gli strumenti all’uopo destinati vengono individuati in una più marcata separazione dei poteri e nella affermazione del principio di legalità, inteso come subordinazione di ogni potere dello Stato alla legge del Parlamento.

Se così è, l’esercizio del potere regolamentare da parte del Governo deve necessariamente rinvenire il proprio fondamento in una legge che lo preveda e lo legittimi. Di conseguenza, il Governo potrà emanare regolamenti indipendenti soltanto in presenza di una legge che preveda tale potere e purché non si tratti di materie coperte da riserva di legge. Viceversa, in presenza di riserva di legge, il Governo potrà emanare regolamenti soltanto su delega legislativa.

Or dunque, la presenza di una riserva di legge preclude l’emanazione soltanto dei regolamenti indipendenti, ben potendo il Governo superare tale sbarramento tramite il ricorso ai regolamenti delegati.

Il fondamento del potere regolamentare è da rinvenirsi, in tale epoca storica, in una risalente legge del ‘900, definita come legge di legittimazione generale del potere regolamentare, in linea con una Costituzione flessibile come lo Statuto Albertino.

Da quanto sommariamente esposto, si evince che già in epoca pre-repubblicana e in presenza di un riparto delle fonti flessibile, è riconosciuta l’importanza del principio di legalità e, di conseguenza, la necessità che il potere regolamentare trovi il suo fondamento in una legge di legittimazione, per quanto generica e generale. Con specifico riguardo ai regolamenti indipendenti, essi sono espressione di una forte autonomia riconosciuta al Governo, seppur in presenza di una legge legittimante e per materie non riservate alla legge.

Ebbene, il quadro giuridico sopra esposto è destinato a mutare nuovamente con l’avvento della Costituzione del ‘48 e dei valori di cui Essa è portatrice.

In via preliminare, è stato introdotto un sistema delle fonti rigido: di conseguenza, la primazia della legge non è più derogabile.

Ancora, mentre la separazione tra poteri dello Stato si fa più marcata e netta, anche il principio di legalità riceve nuova linfa, divenendo principio informatore e ispiratore dell’intero ordinamento giuridico.

 Ed invero, nonostante la mancanza, almeno con riguardo al diritto amministrativo, di una norma specifica della Carta Fondamentale del ‘48 che sancisca in modo espresso tale principio, non è revocabile in dubbio che esso “respiri” attraverso un combinato disposto di norme: artt. 3, 23, 24, 103, 111, 113 e soprattutto 97 comma 2° Cost., secondo il quale i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che ne siano assicurati il buon andamento ed imparzialità.

Ebbene, nonostante la portata restrittiva dell’articolo da ultimo citato, è ormai incontestata la sua interpretazione estensiva, riferita, cioè, non soltanto al momento organizzativo della PA ma anche e soprattutto a quello attuativo ed esecutivo.

Se questo è quanto, la nuova dimensione pervasiva ed omnicomprensiva del principio di legalità presenta ricadute di non poco momento.
In via preliminare, l’organizzazione dell’intera azione amministrativa tramite norme di legge risponde ad esigenze di garantirne buon andamento, efficienza, economicità ex artt. 97 comma 2° Cost. e 1 L. 241/ 90.

Ancora, l’iter di formazione democratico della legge protegge i cittadini da abusi del potere Esecutivo.

Infine, anche il fondamento del potere regolamentare del Governo e in particolare dell’emanazione dei regolamenti indipendenti risulta mutato, non mostrandosi più sufficiente una legge di legittimazione generale come quella del passato.

Innanzitutto, il principio di legalità viene, allo stato attuale, declinato in una duplice accezione: come legalità formale, che impone l’esistenza di una norma attributiva del potere amministrativo; nonché come principio di legalità sostanziale, in forza del quale la legge non può limitarsi ad attribuire il potere pubblico, dovendo anche individuarne presupposti, limiti e contenuto.

Non sarebbe sufficientemente tutelante nei confronti dei cittadini una legge che conferisca un potere pubblico senza segnare il limite oltre il quale il potere deve arrestarsi, legittimandosi così prevaricazioni e ed abusi. Di conseguenza, una norma attributiva generica dovrà ritenersi incostituzionale per violazione del principio di legalità sostanziale ex art. 97 comma 2° Cost.

Quanto asserito è figlio del passaggio da una concezione “debole” di legalità, intesa semplicemente come non contrarietà dell’azione amministrativa alla legge, dovendosi, pertanto, ritenere permesso tutto ciò che la legge non vieta, ad una concezione “forte” di legalità.

Pertanto, l’agire amministrativo non soltanto non deve porsi in contrasto con disposizioni di legge, ma deve essere anche autorizzato dalla legge nonché conforme al contenuto previsto dalla legge medesima.

Trasferendo quanto esposto al potere regolamentare del Governo, si può ravvisare il fondamento costituzionale nell’art. 87 comma 5° Cost., che menziona espressamente i “regolamenti”. In forza di ciò, può ritenersi che, nonostante la Costituzione abbia introdotto un sistema delle fonti gerarchico e rigido, Essa non manifesti, però, una netta chiusura verso i regolamenti governativi, purché vengano autorizzati da una norma di legge (legalità formale) che ne stabilisca in modo puntuale il contenuto (legalità sostanziale). Pertanto, alla legge è preclusa soltanto la creazione di una fonte a sé concorrenziale ma non il conferimento della legittimazione al Governo all’emanazione di una fonte a sé subordinata.

Ed ancora, il nuovo volto del principio di legalità ha colorato di un diverso significato anche il principio di riserva di legge: non soltanto, infatti, il Governo non può esercitare il proprio potere regolamentare nelle materie riservate alla legge, ma è lo stesso Parlamento a non poter autorizzare il potere regolamentare governativo nelle materie a Se Stesso riservato, pena la violazione del principio di legalità ex art. 97 comma 2° Cost.

Pertanto, nelle materie riservate al Parlamento il potere regolamentare può esercitarsi, al massimo, nelle forme di attuazione o di integrazione, giammai in modo autonomo ed indipendente, atteso il principio di “preferenza della legge”: la legge appare la sola idonea ad assicurare nelle materie coinvolte una tutela piena ed adeguata.

Infine, concorrono a sottolineare il ruolo di garanzia della legge anche la cd “funzione unilaterale della legalità” secondo la quale la legge non deve mai ridursi a mero atto autoritativo ma essere sempre espressione della volontà popolare, nonché la “funzione bilaterale della legalità”, in forza della quale soltanto la predisposizione ex ante di presupposti e limiti del potere regolamentare impedisce abusi sui soggetti amministrati.

Ebbene, ricostruito, non senza​ difficoltà, ​il fondamento del potere regolamentare, strettamente connesso, come si è visto, al principio di legalità, si può adesso discorrere dei controversi regolamenti indipendenti.

Essi trovano espressa menzione nell’art. 17 comma 1° lettera c) L. 400/88, ove si riconosce il potere del Governo di emanare regolamenti nelle materie in cui manchi la disciplina di legge, sempre che non siano materie riservate alla legge.

Ebbene, il presente atto normativo ha il merito di aver provveduto ad un riordino del potere regolamentare, individuando tipologie e iter procedimentale di emanazione, nel rispetto dei principi costituzionali sopra esposti.

Con specifico riguardo ai regolamenti indipendenti, occorre interrogarsi innanzitutto sulla loro ammissibilità e poi sulla portata del loro riconoscimento ad opera della L. 488.

Una certa tesi, infatti, ritiene non ammissibili tali regolamenti, nonostante il richiamo da parte della L. 488.

Infatti, il riconoscimento di una legittimazione generale ad emanare regolamenti nelle materie in cui manchi una disciplina di legge sembra un arretramento ad un concetto di legalità “debole”, in forza del quale è sufficiente che l’agire amministrativo non si ponga in contrasto con disposizioni di legge. Ancora, la mancata predisposizione legale di limiti e contenuto di tali regolamenti appare idonea ad arrecare un vulnus al principio di legalità sostanziale nel senso sopra chiarito.

Ed invero, dal fronte opposto, si è sottolineata la sterilità della questione, ritenendosi il conflitto con il principio di legalità sostanziale più apparente che reale, poiché, in concreto, è difficile rinvenire materie che, per quanto non coperte da riserva di legge, siano realmente sprovviste di una disciplina normativa, anche in minima parte.

Infine, un altro orientamento ritiene tali regolamenti senz’altro ammissibili, atteso il riconoscimento espresso ad opera della legge dell‘88.

Ma allora, se si sceglie di aderire alla tesi dell’ammissibilità, il baricentro del problema si sposta inevitabilmente sulla portata della legge dell’88. Ci si chiede, in altre parole, se tale riconoscimento generale è idoneo a fungere da fondamento al riconoscimento del potere governativo di emanare regolamenti indipendenti, oppure, viceversa, sia necessaria una legge ad hoc.

Sul punto, non è riscontrabile un’unanimità di vedute.

Secondo una prima tesi, con riguardo ai regolamenti indipendenti si può eccezionalmente accogliere una concezione di legalità “debole”, poiché essi devono ritenersi un retaggio dell’autonomia regolamentare governativa del passato. Se così è, la legge dell’88 deve considerarsi legge di legittimazione generale dei regolamenti indipendenti, nonostante difetti di specificità.

Tale ricostruzione è avversata dall’opinione dominante che la ritiene inconsistente, irrispettosa del quadro costituzionale attuale e finanche pericolosa, poiché avalla strumentalizzazioni e abusi governativi.

Il principio di legalità sostanziale nel senso sopra chiarito non può mai subire limitazioni, soprattutto nelle materie non regolamentate da norme di legge e, pertanto, più esposte ad invasioni e sconfinamenti governativi.

Pertanto, in un ordinamento caratterizzato da principio di legalità sostanziale, preferenza della legge, concezione forte di legalità, non vi è spazio per una legge di autorizzazione generale, pena, altrimenti, un ritorno al passato ed ad un sistema delle fonti flessibile.

Se così è, occorre allora restituire alla​ L 400/88 il ruolo che le è proprio: un ruolo di riordino, ricognitivo e sistematico, ma non di legge di legittimazione generale. Tale legge mira semplicemente all’individuazione delle tipologie e dell’iter di emanazione dei regolamenti, lungi da atteggiarsi come fondamento normativo dei regolamenti indipendenti. Così opinando, avendo la legge dell’88 un valore meramente ricognitivo, l’emanazione dei regolamenti indipendenti è subordinata alla ricorrenza di una legge ad hoc che ne attribuisca lo specifico potere, prevedendo, in modo puntuale, contenuto, limiti e presupposti, come impone il principio di legalità.

Infine, una tesi minoritaria ravvisa il fondamento del potere governativo di emanazione dei regolamenti indipendenti direttamente nell’art. 117 comma 6° Cost., senza necessità di un’intermediazione legale.

In conclusione della presente disamina, si può asserire che il fondamento del potere regolamentare, soprattutto con riguardo ai regolamenti indipendenti, non può mai prescindere dalla conformità al principio di legalità sostanziale. Principio che, con il suo nuovo volto, ha assunto ormai una dimensione pervasiva e oltremodo garantistica.

G M

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