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AUTORITÀ AMMINISTRATIVE INDIPENDENTI E LEGALITÀ DI REGOLAZIONE

AUTORITÀ AMMINISTRATIVE INDIPENDENTI E LEGALITÀ DI REGOLAZIONE

corso magistratura on-line mp3 2016/2017

ELOISE CUCIT

Le autorità amministrative indipendenti sono enti od organi pubblici posti a tutela di determinati settori sensibili, dotati di particolari cognizioni tecniche e di sostanziale indipendenza dal potere esecutivo, con autonomia organizzativa, finanziaria, contabile, e normativa.

La prima autorità indipendente nasce negli USA, nel 1887. Qui la nascita delle autorità indipendenti è caratterizzata storicamente per il passaggio da una fase economica assolutamente liberista a una fase in cui vi è la necessità del controllo statale in economia, a differenza di quanto accaduto successivamente in Europa, in cui al contrario si è passati da una fase di particolare rigidità economica a una fase neo-liberista. In particolare, la prima commissione indipendente americana si occupava dei piccoli contenziosi e reclami che i proprietari terrieri presentavano contro le aziende private delle strade ferrate. Gli imprenditori privati, proprietari delle linee ferroviarie, spinti dal profitto, procedevano a pratiche scorrette e a veri e propri soprusi nei confronti delle parti più deboli per indurre i proprietari terrieri a vendere gli appezzamenti di terreno a condizioni economiche sfavorevoli, sui quali costruire le nuove reti ferroviarie. Per dirimere queste controversie nacque, nel 1887, “The poor man’s court”, che è il primo esempio di independent commission, cioè l’autorità di natura amministrativa che ha funzioni conciliativo-regolative.

Il fenomeno di cui si tratta, che negli USA prende oggi il nome di “independent regulatory agency”, si è poi sviluppato nella legislazione europea. Infatti, le autorità indipendenti furono introdotte nel Regno Unito, come “independent commission”, e in Francia come “autorités administratives indépendantes”; mentre in Italia la prima autorità indipendente è stata la CONSOB nel 1974, ma la vera e propria esplosione del fenomeno si ha dal biennio 1992-1994.

Si tratta di un fenomeno giuridico più che di un istituto. Questo perché il modello europeo delle autorità indipendenti è caratterizzato dal fatto che esse nascono nel momento storico in cui si passa dalla crisi dello Stato sociale alla tendenza economica di tipo neo-liberista. Finché il potere economico viene mantenuto dallo Stato attraverso un modello, che si potrebbe definire per lo più dirigista, in cui è lo Stato che è regolatore del mercato e che lo ha irreggimentato e disciplinato, non c’è bisogno di autorità che lo controllino. Tuttavia, quando il modello dirigista e dello Stato sociale entrano in crisi, a partire dagli anni ’90, e si sviluppa il fenomeno delle privatizzazioni, si rende necessario un atto di rinuncia dello Stato, che si trasforma in semplice soggetto regolatore, ritirandosi dalle partecipazioni societarie, privatizzando, e abbandonando il suo intervento in settori strategici della vita economico-sociale. Questo ritiro si accompagna al rischio di monopoli di tipo privato, in sostituzione del monopolio pubblico, potendo portare ad alterazioni nella concorrenza e al mancato rispetto dei diritti del consumatore, in quanto vi è un nesso stringente tra la tutela del consumatore e le pratiche anticoncorrenziali. Da questo punto di vista, infatti, in alcuni settori strategici della vita economica (ad esempio, delle comunicazioni, della distribuzione dell’energia elettrica e del gas, dei trasporti, dei servizi postali), gestiti prima da colossi statali e da società pubbliche, l’avvento della privatizzazione avrebbe potuto portare alle anomalie di abuso di posizione dominante e di concentrazione del potere economico nelle mani di pochi imprenditori privati. Per evitare questo, è stata sviluppata una rete di autorità amministrative indipendenti, la cui caratteristica fondamentale è il loro stretto legame con il principio della libertà di concorrenza, tranne che nel caso del Garante Privacy, in cui non è coinvolto il diritto amministrativo del mercato e della libertà di concorrenza.

In Italia, non esiste una disciplina unitaria sulle autorità indipendenti. Il legislatore si è occupato unitariamente dell’argomento una sola volta, con la l. n. 205/2000, quando ha inserito il rito speciale dell’art. 23 bis nella l. n. 1034/1971 per i provvedimenti adottati dalle autorità amministrative indipendenti, poi ribadito oggi nell’art. 133 c.p.a., nel riconoscere che tali controversie sono sottoposte alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, e nell’art. 119 c.p.a., dove tra le materie sottoposte al suo rito speciale ha compreso anche i giudizi aventi a oggetto i provvedimenti adottati dalle stesse, ad esclusione di quelli relativi al rapporto di servizio dei loro dipendenti.

Queste autorità sono autonome, perché hanno autonomia organizzativa, contabile, finanziaria, e normativa. Esse godono di una autonomia organizzativa, che si esprime nei rapporti di lavoro con i propri dipendenti, disciplinati autonomamente rispetto alle leggi generali dello Stato in materia con accesso tramite concorso. Esse godono, poi, di autonomia contabile, nel senso che non sono sottoposte al controllo della Corte dei Conti. Ulteriormente, godono di autonomia finanziaria, in quanto non sono sottoposte a vincoli di bilancio statale. Esse, infatti, devono presentare un bilancio, ma non sono finanziate dallo Stato. Se fossero finanziate dallo Stato, verrebbe meno il requisito dell’autonomia, perché sarebbero finanziate dallo stesso soggetto che dovrebbero controllare. Si collocano, pertanto, fuori dallo Stato-apparato, nell’ambito dello Stato-comunità. Perciò, per garantire l’autonomia rispetto al Governo, queste autorità devono autofinanziarsi e a tal fine sono stati individuati dei sistemi di auto-contribuzione. Per cui i soggetti che vigilano sul mercato sono sostenuti economicamente dagli operatori del mercato medesimo, attraverso sistemi di contributi e tassazioni obbligatori (ad esempio, l’Agcom è finanziata attraverso un contributo obbligatorio a carico degli operatori delle comunicazioni). Infine, hanno un’autonomia regolamentare. Esse possono dettare regolamenti, di organizzazione (che disciplinano, ad esempio, l’accesso del personale tramite concorso), esecutivi, ma soprattutto indipendenti, cioè delle regole comportamentali, che hanno un’efficacia esterna per gli operatori del mercato e che danno luogo alla c.d. legalità di regolazione.

Inoltre, queste autorità sono indipendenti dagli altri poteri dello Stato. E questa indipendenza consente loro di espletare un controllo autonomo e severo in settori particolarmente sensibili della collettività, quale il settore dei servizi pubblici essenziali. Questo significa che le autorità indipendenti, dal punto di vista organizzativo, rompono lo schema classico dell’organizzazione amministrativa ministeriale di tipo cavouriano.

Sono soggetti amministrativi e i loro atti sono oggettivamente e soggettivamente amministrativi, impugnabili innanzi al giudice amministrativo.

Si distinguono in autorità di settore e autorità trasversali. Le prime sono preposte in via esclusiva a uno specifico settore economico (ad esempio, la CONSOB); le seconde, invece, sono riconosciute a tutela in generale di specifici interessi pubblici (ad esempio, l’AGCM).

Rispetto a esse si pone, innanzitutto, un immanente problema di legittimità democratica, perché, in genere, nel sistema delle fonti, tutti i soggetti che dettano delle regole hanno la copertura della legittimazione democratica, mentre le autorità indipendenti sono caratterizzate da un deficit di democraticità, che è dato dal fatto che i loro membri non sono scelti tramite il metodo democratico, ossia non sono eletti dai cittadini. Pertanto, si pone il problema della loro legittimazione costituzionale.

Le autorità indipendenti, infatti, non possono configurarsi come P.A. in senso tradizionale, perché lo schema dell’art. 95 Cost. non si attaglia alla loro organizzazione.

Secondo una prima tesi, un fondamento costituzionale si può rintracciare nell’art. 117 Cost., nella parte in cui fa riferimento al diritto dell’Unione Europea.

Secondo un’altra tesi, si potrebbe individuare un fondamento nell’art. 41, co. 2 Cost., che fa riferimento all’iniziativa economica privata e ai suoi limiti.

Queste, però, sono tesi che consentono di dare alle autorità indipendenti un fondamento di tipo implicito e, invece, si dovrebbe ricercare un fondamento esplicito all’interno dei precetti costituzionali.

Si deve, quindi, individuare il loro fondamento costituzionale nell’art. 97 Cost. Sicuramente l’art. 95 Cost. non esaurisce la nozione di P.A., perché si occupa solo delle autorità amministrative che sono riconducibili allo schema del potere ministeriale. Questo non esclude, tuttavia, che non esistano altri soggetti pubblici, qualificabili come P.A. in senso oggettivo e soggettivo, che pur non rientrando nell’art. 95 Cost., espletino e perseguano i fini pubblici del buon andamento e dell’imparzialità. Perciò il loro fondamento costituzionale può essere rintracciato nell’art. 97 Cost.

Fino a qualche anno fa, il bisogno di individuare un fondamento costituzionale per queste autorità era fortemente sentito, alla luce del problema del deficit di democraticità dei regolatori. La legalità di regolazione delle autorità indipendenti, infatti, non sembrerebbe ammissibile in quanto, da un lato, contrastante con il principio di legalità e, dall’altro lato, caratterizzata da questo deficit di democraticità.

Ciò nonostante, oggi il problema del deficit di democraticità si può dire superato, perché i tentativi di prevedere espressamente un fondamento costituzionale sono tutti naufragati e, inoltre, anche gli attuali progetti di revisione costituzionale non hanno minimamente preso in considerazione la possibilità di costituzionalizzare le autorità indipendenti. Infatti, oggi la giurisprudenza prevalente del Consiglio di Stato ritiene che esse abbiano ottenuto ormai una sorta di costituzionalizzazione implicita. Per questo, anche in mancanza di un espresso riconoscimento nella Costituzione formale, le autorità indipendenti hanno avuto un riconoscimento nella Costituzione materiale. Non si sente più il bisogno, quindi, di un forte aggancio costituzionale. E i problemi relativi al deficit di democraticità dei regolatori sono stati superati attraverso il ricorso alla legalità procedurale, e quindi alle garanzie di partecipazione della l. n. 241/1990.

Come anticipato, la legalità di regolazione delle autorità amministrative indipendenti rimane comunque un argomento ancora problematico.

Le autorità indipendenti svolgono anche funzioni normative c.d. di regolazione, cioè hanno il potere di dettare delle norme vincolanti per coloro che appartengono a quel particolare settore del mercato di cui si occupano. Si tratta di una legalità di regolazione nel senso che le fonti e i regolamenti emanati dalle autorità indipendenti formalmente hanno natura secondaria (sono regolamenti), ma di fatto intervengono in un settore in cui non vi è una specifica e puntuale disciplina legislativa. La caratteristica della legalità di regolazione è, quindi, quella di muoversi all’interno di ampi spazi lasciati vuoti dal legislatore. Dato che il legislatore non può legiferare in materie caratterizzate dalla rapida obsolescenza tecnologica e dall’esistenza di un sapere squisitamente tecnico-specialistico, non gli resta che delegare e lasciare spazio alla legalità di regolazione. Questo consente di individuare le due principali attività della autorità indipendenti, l’attività di regolazione e l’attività di controllo. L’attività di regolazione consiste nel dettare ex ante delle regole volte a evitare situazioni di disparità di trattamento; mentre, l’attività di controllo si traduce in un’attività ex post, in cui sono sanzionate condotte che siano poste in essere dai protagonisti del mercato in violazione delle regole dettate dall’autorità stessa.

Il potere di regolazione in capo alle autorità indipendenti dà luogo al problema della compatibilità dei regolamenti indipendenti emanati dalle stesse con il principio di legalità. Allo stesso tempo, l’utilizzazione di tali regolamenti da parte di soggetti regolatori che non hanno una legittimazione democratica rende la questione ancor più problematica. Sul punto si scontrano tre visioni del rapporto tra potere amministrativo e principio di legalità.

Secondo la visione formale, non si può mai rinunciare alla garanzia della legalità, e tutti i poteri amministrativi devono essere espressamente riconosciuti dalla legge, a pena di violazione del principio di legalità.

Secondo la visione sostanziale, oggi l’attività amministrativa si sviluppa secondo il raggiungimento di obiettivi, di risultati, e i poteri sono implicitamente riconosciuti come strumentali e, dunque, come mezzi rispetto a un fine.

Secondo una soluzione intermedia, sostenuta recentemente dal Consiglio di Stato, infine, quando si parla di autorità indipendenti, se si tratta di attività di regolazione pro-concorrenziale, si può condividere la teoria dei poteri impliciti e, quindi, si può ritenere che non è necessario che sia espressamente riconosciuto il potere di emanare un certo tipo di atto, tutte le volte in cui quell’atto si ponga come mezzo rispetto al fine istituzionale dell’autorità. Il potere di emanare regolamenti e di disciplinare determinati settori può, pertanto, essere implicitamente riconosciuto. Però, se si pensa al potere di controllo e sanzionatorio delle autorità, essendo le sanzioni provvedimenti che incidono negativamente sulla libertà costituzionale di impresa, la teoria dei poteri impliciti non può essere condivisa. Questo perché sussiste la riserva di legge costituzionale di cui all’art. 23 Cost., per il quale non può essere imposto un sacrificio economico se non nei casi previsti dalla legge, e la riserva di legge di cui alla l. n. 689/1981. Le sanzioni sono un sacrificio economico, perciò l’autorità può irrogare delle sanzioni, solo nei casi previsti dalla legge, anche se si tratta di sanzioni amministrative. Qui si espandono nuovamente le esigenze di democraticità e tutela del cittadino, che impongono un espresso riconoscimento legislativo dei poteri sanzionatori, e si esige il massimo rispetto del principio di legalità.

Da un punto di vista storico, la teoria dei poteri impliciti si sviluppa negli USA, quando si doveva creare la prima banca federale, alla fine dell’800. La dottrina dell’epoca teorizzò l’idea che accanto ai poteri espressi attribuiti dalla Costituzione al Congresso si potevano individuare anche dei poteri impliciti.

Analizzando, in generale, le caratteristiche del potere implicito, esso, in primo luogo, non deve essere stato espressamente riconosciuto, perché altrimenti si tratterebbe di un potere esplicito. In secondo luogo, è necessario che si tratti di poteri che non devono essere talmente rilevanti che non possono essere impliciti, perché ci sono dei poteri talmente rilevanti che se esistono, sono stati espressamente riconosciuti, e se non sono stati espressamente riconosciuti, non esistono. Quando si tratta dell’ambito dei poteri impliciti, si esclude, infatti, che possano rientrarvi quei poteri fondamentali di uno Stato che devono essere riconosciuti espressamente. Infine, un potere implicito si fonda sul principio del mezzo a fine, cioè sull’idea che se una legge attribuisce a una P.A. il potere di raggiungere un obiettivo, implicitamente deve averle anche riconosciuto il potere di utilizzare i mezzi per raggiungere quell’obiettivo. Si fa riferimento a quella che viene definita “amministrazione di risultato”. Oggi, l’attività amministrativa è disciplinata dalla legge guardando al risultato, non più disciplinando solamente i procedimenti amministrativi in senso classico.

Questa visione dell’Amministrazione si sposa pienamente con la teoria dei poteri impliciti, in cui basta che il vertice indichi il risultato da raggiungere e implicitamente riconosca i poteri necessari per raggiungerlo.

E, infatti, il Consiglio di Stato ha riconosciuto chiaramente in capo alle autorità amministrative indipendenti il potere di emanare regolamenti indipendenti, giustificando il ricorso ad attività di regolazione con la teoria dei poteri impliciti. Le leggi istitutive delle singole autorità indipendenti sono leggi volutamente generiche, perché il legislatore dell’epoca era consapevole del fatto che stava disciplinando settori in rapida evoluzione, caratterizzati da un elevato tecnicismo e una rapida obsolescenza tecnologica (ad esempio, i trasporti, le comunicazioni), e che era fondamentale non dettare delle norme di dettaglio, facendo un uso pervasivo del principio di legalità. Pertanto, l’attività di regolazione delle autorità indipendenti si è preoccupata di riempire quegli spazi bianchi lasciati dal legislatore. Questo perché vi sono tre differenti modi di intendere il principio di legalità. In una prima accezione, alla P.A. è consentito fare tutto ciò che la legge espressamente non vieta. Per una seconda accezione, la P.A. può fare ciò che il legislatore l’ha autorizzata a fare e, di conseguenza, il principio di legalità si traduce nel fatto di verificare se quel provvedimento e quell’azione amministrativa siano stati previsti dalla legge. Infine, c’è un terzo modo di intendere il principio di legalità, ancor più pervicace e penetrante, secondo il quale non è sufficiente una sorta di clausola autorizzatoria, con la quale la legge individui quel potere amministrativo, ma è necessario anche che ne delimiti ambiti, limiti, oggetto, e contenuto. E nonostante la seconda sia una visione del principio di legalità piuttosto debole, essa è l’unica che consente di giustificare il potere delle autorità indipendenti. Se si guarda all’esercizio del potere di regolazione di queste autorità, di fatti, come anticipato, è difficile trovare nelle loro leggi istitutive delle disposizioni puntuali che delimitino i limiti, l’oggetto, e gli ambiti di questo potere. Non resta che accontentarsi di leggi istitutive che genericamente autorizzino queste autorità all’esercizio di un potere regolatore.

Tanto premesso, la teoria dei poteri impliciti è stata più volte applicata dalla giurisprudenza amministrativa, non solo in occasione del sindacato sulla legalità di regolazione (ad esempio, nel caso di esercizio del potere di autotutela nei confronti delle attestazioni SOA). Inoltre, oggi trova un forte addentellato normativo nell’art. 352 TFUE (ex art. 308 TCE), in cui si prevede che se si deve raggiungere un obiettivo, anche se non è stato conferito espressamente il potere di agire, tale potere è implicitamente riconosciuto nel momento in cui si è affidato il raggiungimento dell’obiettivo.

La giurisprudenza successiva ha, però, anche individuato delle camere di compensazione che hanno fatto da contrappeso rispetto a questo deficit di legalità di regolazione. In particolare, ha fatto applicazione del principio “notice and comment”. Le autorità indipendenti americane prima, e quelle europee poi, hanno iniziato a utilizzare la tecnica di far notiziare l’intenzione di voler emanare un regolamento su una determinata materia, consentendo ai soggetti potenziali destinatari dello stesso di poter partecipare a delle audizioni. Oggi, infatti, le leggi che disciplinano le autorità amministrative indipendenti prevedono questo procedimento delle c.d. public auditions. Di conseguenza, le autorità, prima di emanare un regolamento, sentono il parere delle associazioni di categoria, cioè di tutti i soggetti che saranno i destinatari di queste regole, e dopo che sono stati forniti e analizzati questi contributi, si procederà con le attività di regolazione. Per questo, questa particolare legalità di regolazione si pone come una via di mezzo tra l’attività normativa e l’attività amministrativa classica. È una attività normativa perché si traduce nel dettare delle regole vincolanti, però è una attività amministrativa classica perché passa attraverso la partecipazione diffusa.

Il deficit di legalità formale democratico che caratterizza le autorità amministrative indipendenti viene, dunque, superato dal rispetto della legalità procedurale, cioè dal fatto che comunque è assicurata una grande forma di partecipazione, alla luce della l. n. 241/1990. Questo perché i procedimenti di regolazione sono comunque dei procedimenti amministrativi, ai quali eccezionalmente si applica la l. n. 241/1990, salvo gli artt. 3 e 13.

In conclusione, alla luce di quanto premesso, si può ritenere che, distinguendo l’attività di regolazione dall’attività di controllo, la politica dell’amministrazione di risultato oggi risolve definitivamente ogni dubbio circa l’ammissibilità costituzionale dei poteri impliciti. E, inoltre, si può ritenere delineata una nozione di legalità di regolazione con ampi strumenti partecipativi, per la quale il rispetto dell’iter procedurale compensa il deficit di democraticità originario e il paventato difetto di legalità.

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