Home » Temi » La funzione del fondo patrimoniale, in particolare gli strumenti di tutela dei terzi creditori.

La funzione del fondo patrimoniale, in particolare gli strumenti di tutela dei terzi creditori.

La funzione del fondo patrimoniale, in particolare gli strumenti di tutela dei terzi creditori.

Il fondo patrimoniale ha fatto il suo ingresso nell’ordinamento italiano con la nota riforma del diritto di famiglia attuata con L. 151/75.

Infatti, ai sensi del novellato art. 167 cc, ciascuno o ambedue i coniugi possono costituire un fondo patrimoniale, destinando determinati beni, immobili e mobili registrati, o titoli di credito, “a far fronte ai bisogni della famiglia”.

L’art. 168 cc, anch’esso inciso dalla riforma, stabilisce che, salva pattuizione contraria, la proprietà dei beni costituenti il fondo patrimoniale spetta ad entrambi i coniugi, mentre l’amministrazione è regolata dalle norme sulla comunione legale.

Pertanto, ai sensi degli artt. 180 e ss cc, gli atti di ordinaria amministrazione possono essere compiuti anche da un coniuge singolarmente, mentre per quelli di straordinaria amministrazione è richiesto il consenso congiunto di entrambi i membri della coppia. In mancanza, l’atto può essere annullato dal coniuge pretermesso nel termine stabilito dalla legge.

Per completezza, si dà atto che, in seguito alla storica e recente L. 76/16, poiché per “coniuge”, agli effetti civili, si intende anche la parte dell’unione civile, allora anche i componenti dell’unione omosex possono dar vita ad un fondo patrimoniale per far fronte ai bisogni del nucleo familiare.

Ed invero, nonostante il predetto istituto sia entrato in vigore soltanto con la legge del ‘75, esso trova degli interessanti antecedenti aviti nella dote e nel patrimonio familiare. In particolare, con la dote la donna destinava parte dei suoi beni al soddisfacimento degli oneri economici da sostenere per il futuro matrimonio, perdendone la proprietà. Il patrimonio familiare, come l’attuale fondo patrimoniale, veniva costituito per le esigenze familiari, con la precisazione, però, che qualora fosse uno solo il coniuge conferente, l’amministrazione e la proprietà spettavano soltanto a quest’ultimo. Altresì, esso si caratterizzava per rigidità e perpetuità: infatti, l’alienazione dei beni costituenti il fondo doveva essere autorizzata dal giudice “in caso di necessità” oppure di “utilità evidente”.

Ebbene, entrambi gli istituti sono caduti sotto la scure della più volte citata riforma del ‘75, rivolta, come noto, ad attuare “l’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi” ex art. 29 comma 2° Cost.

Ed infatti, la riforma ha innanzitutto stabilito il divieto di costituzione di dote, sancendo la nullità di ogni convenzione che comunque tenda alla sua creazione (art. 166-bis cc). Con riguardo al patrimonio familiare, esso è stato trasformato in fondo patrimoniale, con riconoscimento, come già detto, della proprietà e dell’amministrazione in capo ad entrambi i coniugi e con caducazione dei predetti limiti al potere di alienazione.

Da quanto esposto, può agevolmente individuarsi la funzione del fondo patrimoniale nel vincolare e destinare determinati beni all’esclusivo soddisfacimento dei bisogni e delle esigenze del nucleo familiare: basti pensare alle spese per la manutenzione della casa adibita a residenza familiare; a quelle per i viaggi e le vacanze di tutta la famiglia; agli oneri per il mantenimento della prole.

Se così è, allora il fondo patrimoniale appare una “species” di quegli “atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela” che l’art. 2645-ter cc rende trascrivibili ai fini dell’opponibilità a terzi.

Con la precisazione che, in relazione al fondo patrimoniale, è stato già il legislatore “ex ante” a risolvere positivamente il giudizio sulla meritevolezza degli interessi perseguiti, da ravvisarsi nella protezione e nella tutela delle esigenze del nucleo familiare, rilevanti ex artt. 2 e 29 Cost. nonché 8 CEDU.

Ed invero, il favor verso le esigenze sottese alla costituzione del fondo patrimoniale si palesa anche e soprattutto in sede di esecuzione dei beni costituenti il fondo medesimo. A tal proposito, l’art. 170 cc stabilisce che l’esecuzione sui beni del fondo non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

La norma si presenta meritevole di attenzione per le conseguenze, di certo di non poco momento, in tema di garanzia patrimoniale generica e di tutela dei terzi creditori.

Ai fini di una maggiore comprensione, è opportuno ribadire che, ai sensi dell’art. 2740 comma 1 cc, il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni contratte con tutti i suoi beni, presenti e futuri.

Il comma 2° specifica che limitazioni di responsabilità sono ammesse soltanto nei casi stabiliti dalla legge. E a tal proposito, è indubbio che un “caso stabilito dalla legge” è da ravvisarsi proprio nell’art. 170 cc in tema di fondo patrimoniale.

Infatti, l’esistenza del fondo dà vita a due classi di creditori: “generali” e “particolari”.

Nello specifico, i creditori si definiscono “generali” se hanno contratto le obbligazioni per scopi estranei ai bisogni della famiglia, con la conseguenza che essi non potranno soddisfarsi sui beni del fondo. Pertanto, vi è una parziale deroga alla regola della garanzia patrimoniale generica: infatti, poiché i beni del fondo sono sottratti all’esecuzione, il debitore non sta rispondendo dell’obbligazione contratta con “tutti” i suoi beni.

Invece, i creditori “particolari” sono da ravvisarsi in coloro i cui crediti trovano causa e giustificazione proprio nello specifico scopo di far fronte alle esigenze familiari. Pertanto, essi potranno procedere all’esecuzione sui beni del fondo.

Ebbene, da quanto esposto, emerge che il fondo patrimoniale si presenta come particolarmente insidioso per la tutela delle ragioni del ceto creditorio. Infatti, non soltanto i beni che ne costituiscono oggetto sono sottratti all’esecuzione per quei crediti nati per scopi estranei ai bisogni della famiglia, ma proprio tale indisponibilità diminuisce la capienza della restante parte di patrimonio che costituisce la garanzia dei creditori generali. Pertanto, le pregevoli esigenze del nucleo familiare devono comunque essere contemperate con le ragioni creditorie, che costituiscono espressione della libertà di iniziativa economica privata, costituzionalmente tutelata ex art. 41 Cost. E, a tal proposito, deve darsi atto che uno dei maggiori assilli di dottrina, giurisprudenza nonché dello stesso legislatore, ha riguardato proprio l’esatta individuazione degli strumenti di tutela dei terzi creditori.

In prima battuta, la giurisprudenza si mostra molto rigida e rigorosa circa le condizioni che devono sussistere ai fini dell’opponibilità del fondo ai terzi creditori, non ritenendo sufficiente la trascrizione ai sensi dell’art. 2645-ter cc, ma richiedendo anche l’annotazione nell’atto di matrimonio. Infatti, il fondo è stato ricondotto alle convenzioni matrimoniali, che, ai sensi dell’art. 162 comma 4° cc, non possono essere opposte ai terzi se non sono state annotate a margine nell’atto di matrimonio. Pertanto, da un lato, i coniugi, per poter opporre il fondo ai terzi creditori, avranno il doppio onere di procedere sia alla trascrizione sia all’annotazione; dall’altro lato, i creditori dovranno essere particolarmente diligenti e consultare sia le trascrizioni sia le annotazioni apposte nell’atto matrimoniale.

Ancora, poiché l’art. 170 cc esclude dall’esecuzione sui beni del fondo i crediti che il creditore “conosceva” essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia, l’opinione dominante ritiene che non sia il creditore a dover provare la non conoscenza dell’estraneità del credito, ma, viceversa, è addossato sui coniugi l’onere di provare che il creditore fosse perfettamente consapevole dell’estraneità del credito ai bisogni della famiglia e che, quindi, sapesse che i beni del fondo esulassero dalla sua garanzia.

Ed invero, allo stato attuale, sussiste un acceso contrasto tra dottrina e giurisprudenza proprio in merito all’esatta interpretazione dell’espressione “scopi estranei ai bisogni della famiglia”.

La giurisprudenza si mostra molto garantista verso il ceto dei creditori particolari, ritenendo che per “scopi estranei” debbano intendersi soltanto quei crediti completamente avulsi dalle esigenze familiari, mentre, viceversa, vi rientrano anche quei crediti connessi con i bisogni della famiglia anche solo indirettamente: a titolo esemplificativo, si citano polizze fideiussorie o, addirittura, i crediti contratti nell’esercizio della propria attività lavorativa, poiché rivolta al sostentamento del nucleo familiare.

Tale ricostruzione è pesantemente criticata dalla dottrina, che la reputa arbitraria non soltanto perché in contrasto con il tenore letterale dell’art. 170 cc, ma anche perché eccessivamente protezionistica verso i creditori particolari, con detrimento alla classe dei creditori generali, che vedono di gran lunga diminuire la loro garanzia, con alterazione della “par condicio creditorum”, nonché con un particolare vulnus alle esigenze della famiglia, che è una formazione sociale costituzionalmente e convenzionalmente tutelata. Pertanto, secondo la dottrina dominante, rientrano nella garanzia dei creditori particolari soltanto quei crediti connessi direttamente ed immediatamente con i bisogni della famiglia, dovendosi, invece, ritenere “estranei” quei crediti che hanno un collegamento soltanto indiretto e mediato con le esigenze familiari.

Ciò posto, a tal punto della trattazione, l’attenzione deve concentrarsi sull’individuazione degli strumenti di tutela dei terzi creditori generali, poiché sono questi ultimi a subire un reale pregiudizio dalla costituzione del fondo, a differenza dei creditori particolari che possono rivalersi su di esso, a condizione che vantino un credito che trovi veramente causa e giustificazione nei bisogni della famiglia.

In prima battuta, si ritiene che i creditori possano far valere la nullità del fondo qualora sia stato costituito per scopi estranei ai bisogni della famiglia oppure con il preciso intento di arrecare pregiudizio ai creditori. Nel primo caso, l’atto di costituzione del fondo sarà nullo per violazione di norme imperative (artt. 1418 comma 1° e 167 cc), nel secondo per causa illecita (artt. 1418 comma 2° e 1343 cc).

Ancora, i creditori potrebbero far valere la natura solamente simulata e non reale del fondo. Con la precisazione che, poiché essi sono da considerarsi terzi rispetto all’atto simulato, potranno provare la simulazione “senza limiti” (art. 1417 cc).

Ed invero, lo strumento che riveste maggior utilità è da ravvisarsi senz’altro nell’azione revocatoria.

Ai sensi dell’art. 2901 comma 1° cc, il creditore può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni.

Come noto, l’azione revocatoria non ha una finalità recuperatoria, bensì cautelare ed un efficacia soltanto relativa: l’atto dispositivo è ed resta valido per la platea dei creditori, venendo dichiarato inefficace soltanto nei confronti del creditore che ha agito vittoriosamente in revocatoria. Pertanto, il creditore dovrà attendere il passaggio in giudicato della sentenza che ha accolto la sua domanda, per poi rivalersi sul bene oggetto dell’atto dispositivo che è stato dichiarato inefficace nei suoi confronti.

Ebbene, anche con riguardo al rapporto tra fondo patrimoniale ed azione revocatoria la giurisprudenza maggioritaria si è mostrata particolarmente tutelante nei confronti dei creditori.

In prima battuta, si ritiene che anche il fondo patrimoniale rientri nella locuzione “atti di disposizione”: infatti, pur rimanendo, i beni del fondo, nella proprietà dei coniugi conferenti, essi vengono comunque sottratti alla restante parte di patrimonio e, dunque, eliminati dalla garanzia patrimoniale generica, al pari di qualunque altro bene oggetto di un atto dispositivo in senso stretto.

Altresì, poiché il creditore deve provare il pregiudizio che l’atto reca alle sue ragioni, la giurisprudenza ritiene che tale prova può dirsi fornita anche solo adducendo la sproporzione tra l’importo dei beni conferiti nel fondo e le reali esigenze della famiglia.

Invece, resta ferma la prova, a carico del creditore, che il debitore conoscesse il pregiudizio arrecato, tramite l’atto, alle ragioni creditorie o, se è un atto anteriore al sorgere del credito, che il medesimo fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento.

Ed invero, deve darsi atto che, in tempi recenti, sembra emergere un particolare sfavor per i vincoli di destinazione non soltanto da parte della giurisprudenza, ma anche dello stesso legislatore, consapevole che tale vincolo, seppur rivolto al perseguimento di interessi meritevoli di tutela, è suscettibile di pregiudicare le ragioni della platea dei creditori.

Ed infatti, la recente L. 132/15 ha inserito nel codice civile il nuovo art. 2929-bis cc – modificato dalla successiva L. 119/16 che ne ha colmato le lacune – che ha introdotto un’azione che, in gergo pretorio, è stata immediatamente denominata “revocatoria semplificata”. La norma, infatti, consente al creditore, in presenza di determinati presupposti, di procedere direttamente all’esecuzione forzata, “ancorché non abbia preventivamente ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia”.

Ebbene, prima di analizzare se ed in presenza di quali condizioni il creditore possa avvalersi del nuovo istituto nei confronti del fondo patrimoniale, è bene analizzare brevemente la predetta “revocatoria semplificata”.

Infatti, la disposizione di nuovo conio, pur consentendo l’affrancazione dalla lunga e dispendiosa azione revocatoria, ha comunque un ambito applicativo più ristretto rispetto all’azione di cui all’art. 2901 cc.

In via principale, l’azione può essere proposta soltanto dal creditore pregiudicato “da un atto del debitore di costituzione di un vincolo di indisponibilità o da un atto di alienazione a titolo gratuito”, a condizione che sia stato compiuto “successivamente al sorgere del credito”. In tal caso, può procedere ad esecuzione forzata senza dover agire previamente in revocatoria, a condizione, però, che sia già munito di titolo esecutivo e che trascriva il pignoramento nel termine di un anno dalla data in cui l’atto è stato trascritto. Può agire anche il creditore anteriore che, entro un anno dalla trascrizione dell’atto pregiudizievole, interviene nell’esecuzione da altri promossa. Ancora, l’articolo chiarisce che se il bene è stato trasferito, per effetto dell’atto, ad un terzo, il creditore promuove l’azione esecutiva nelle forme dell’espropriazione verso terzi ed è preferito ai creditori personali del terzo proprietario nella distribuzione del ricavato.

E pur tuttavia, la disposizione non lascia sprovvisto di tutela il debitore che ha costituito il vincolo o compiuto l’atto gratuito: il comma 3°, infatti, specifica che il debitore, il terzo assoggettato all’espropriazione ed ogni altro interessato alla conservazione del vincolo, possono proporre opposizione all’esecuzione, quando contestano la sussistenza dei presupposti di cui al primo comma, oppure che l’atto abbia arrecato pregiudizio alle ragioni creditore, oppure che Il debitore abbia avuto conoscenza del pregiudizio arrecato.

Ebbene, oltre che con riguardo all’ambito applicativo – che, come si è visto, in ipotesi di “revocatoria semplificata” è molto più ristretto – dai commi 1 e 3° cc emerge un’ulteriore, profonda differenza tra l’azione ex art. 2929 bis cc e quella ex art. 2901 cc. Come detto, in caso di revocatoria ordinaria, grava sul creditore la duplice prova del pregiudizio subito e della sua conoscenza da parte del debitore. Nel caso, invece, di “revocatoria semplificata”, si presumono sia la lesività sia la conoscenza da parte del debitore, con un’inversione dell’onere della prova: è infatti il debitore, in sede di opposizione, a dover provare la non lesività dell’atto o che egli non era a conoscenza dei suoi profili pregiudizievoli.

Infine, l’ultimo comma dell’art. 2929 bis cc specifica che l’azione esecutiva non può esercitarsi in pregiudizio dei diritti acquistati a titolo oneroso dall’avente causa del contraente immediato, salvi gli effetti della trascrizione del pignoramento.

Ciò posto, analizzata sommariamente la nuova azione, occorre domandarsi se essa sia esperibile, in presenza dei presupposti menzionati, nei confronti di un fondo patrimoniale. La risposta positiva è necessariamente subordinata alla riconducibilità del fondo ad un “vincolo di indisponibilità” oppure ad un “atto di alienazione a titolo gratuito”.

Ebbene, l’opinione dominante ritiene che, nonostante il fondo patrimoniale sia propriamente un vincolo di destinazione, esso sia comunque riconducibile ad un vincolo di indisponibilità in senso lato da un punto di vista teologico-funzionale.

Ed infatti, la ratio di apprestare una tutela più forte per il creditore dinnanzi ad un vincolo di indisponibilità, è da ravvisarsi nella natura particolarmente pregiudizievole di tale atto, che, proprio per la sua natura indisponibile, è sottratto alla garanzia dei creditori.

Ma analoga situazione è da ravvisarsi anche in un vincolo di destinazione: se, infatti, determinati beni vengono immobilizzati per uno scopo ben preciso, potendo soddisfarsi su di essi soltanto coloro che vantino crediti connessi con questo scopo, allora tali beni diventano per gli altri creditori “indisponibili”. Pertanto, poiché i beni vengono sottratti alla garanzia patrimoniale generica, sorgono le medesime esigenze di tutela dei creditori che si palesano innanzi ad un vincolo di indisponibilità.

Di conseguenza, il creditore può agire con l’azione ex art. 2929-bis cc di fronte ad un fondo patrimoniale pregiudizievole.

Altresì, il fondo rientrerebbe comunque nel perimetro applicativo della norma in quanto “atto a titolo gratuito”, poiché il conferente non riceve alcun corrispettivo dalla costituzione del fondo. Altresì, il conferente non agisce con “animus donandi” (che renderebbe l’atto una donazione) bensì è mosso da un interesse economicamente valutabile, cioè di far fronte alle esigenze familiari.

In conclusione, nonostante il fondo patrimoniale sia rivolto al soddisfacimento di interessi pregevoli e meritevoli, esso non può comunque vulnerare le ragioni del ceto creditorio. Pertanto, dovrà procedersi ad un congruo bilanciamento in modo tale che tutte le esigenze e tutti i valori coinvolti ricevano adeguata tutela.

G M

Guarda anche

  • Ipotesi di svolgimento. Traccia estratta prove scritte carriera prefettizia 2021. La seconda. Diritto Civile.

  • Anatocismo e prassi usurarie

  • Servitù atipiche e tutela esperibile

  • Parere diritto civile corso avvocati INPS