LE NUOVE GARANZIE MOBILIARI TRA REALITA’ E OBBLIGATORIETA’ DEL VINCOLO
LE NUOVE GARANZIE MOBILIARI TRA REALITA’ E OBBLIGATORIETA’ DEL VINCOLO
Pubblicato il 30/3/2016 autore Ester Castagnino
Il presente tema richiede una disamina dell’evoluzione dottrinaria e giurisprudenziale affermatasi nel nostro ordinamento a fronte dell’ammissibilità di nuove garanzie mobiliari a tutela del diritto di credito. Sarà infatti necessario guardare alle modalità con cui il nostro ordinamento ha cercato di conciliare un sistema di garanzie mobiliari fortemente rigido, tipico e caratterizzato dalla determinatezza dell’oggetto della garanzia pignoratizia, con l’esigenza di rendere il nostro sistema giuridico più funzionale e aderente al moderno ordinamento europeo.
Bisogna sottolineare, innanzitutto, come il termine “garanzia” nel nostro ordinamento civile viene utilizzato dal legislatore in diversi ambiti e con diverse accezioni. Si pensi al venditore tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi, ovvero alle forti garanzie che il codice di rito predispone a tutela del conduttore a fronte di vizi o pericolosità alla salute cagionati dalla cosa locata, ed ancora all’obbligo di garantire difformità e vizi dell’opera da parte dell’appaltatore, fino alle garanzie di buon funzionamento nei contratti predisposte a tutela del consumatore. In tutti questi ambiti, però, la finalità del legislatore è quella di associare al termine “garanzia” l’effettività del risultato traslativo.
Ai fini del presente tema, invece, è necessario guardare ad un concetto di “garanzia” diverso, inteso cioè come “privilegio” che l’ordinamento assicura ad un creditore al fine di rafforzare la sua posizione rispetto ad altri eventuali creditori del debitore, in deroga al principio generale di par condicio creditorum, sia vincolando beni specifici del debitore stesso, come avviene nel privilegio, pegno o nell’ipoteca, sia tramite la nascita di un nuovo rapporto obbligatorio, accessorio e solidare al principale, come si evince nella fideiussione.
Il nostro codice, a tale proposito, distingue i diritti reali di garanzia dai diritti personali di garanzia.
La disciplina predisposta dal legislatore del 1942 per le garanzie personali, si è rivelata sufficientemente elastica tanto da permettere alla prassi, da un lato di apportare una pluralità di emendamenti ai tradizionali e classici schemi codicistici, incidendo sul requisito dell’accessorietà materiale della fideiussione (un esempio si ha nella c.d. fideiussione omibus), e dall’altro, di importare da ordinamenti stranieri, in particolare di common law, figure negoziali atipiche ( si pensi alle garanzie autonome a prima richiesta, oppure alle lettere di patronage), le quali, alla luce della rapida richiesta e diffusione ottenuta nella prassi bancaria, hanno superato le iniziali oscillazioni manifestate da dottrina e giurisprudenza sulla loro liceità.
Al contrario il sistema delle garanzie reali tipiche si è andato sempre a caratterizzare per una forte rigidità formale. Quanto detto lo si evince, come vedremo successivamente in tema di pegno, per le sue tipiche modalità di costituzione, per la determinatezza dell’oggetto, la necessità che si precisi “la sufficiente indicazione del credito e della cosa” e per la realità del contratto (il pegno è infatti connotato dalla consegna e dallo spossessamento dell’oggetto stesso). Bisogna sottolineare come tali istituti si connotino, altresì, per importanti dogmi che hanno precluso qualunque accesso all’autonomia privata. Si pensi all’inderogabilità del principio della par condicio creditorum, al principio di tipicità dei diritti reali di garanzia, al loro numerus clausus. La ratio sottesa a questa rigida disciplina è stata ancorata all’esigenza di garantire i creditori da fenomeni di collusione o frodi da parte di chi costituiva la garanzia.
A conferma di ciò guardiamo innanzitutto alle caratteristiche tipiche dei diritti reali di garanzia, per poi soffermare l’attenzione sulle nuove figure di garanzie mobiliari invalse nella prassi bancaria a fronte della riconosciuta inadeguatezza della disciplina codicistica rispetto alle esigenze di flessibilità dettate dal mercato.
I diritti reali di garanzia, innanzitutto, si connotano per la loro opponibilità erga omnes e per la possibilità di farli valere anche nei confronti dei terzi a cui il bene sia stato alienato dal debitore (c.d. diritto di sequela). Si caratterizzano, altresì, per la specialità del loro oggetto, non potendosi costituire pegno o ipoteca collettivi, e tale vincolo di specialità porta con sé una causa legittima di prelazione, in presenza di cui il creditore che ne sia titolare è preferito, nel riparto del prezzo ricavato dalla vendita forzata di quel bene del debitore, rispetto ad altri creditori non privilegiati, detti chirografari. Sussiste, altresì, una forte accessorietà tra il diritto di credito e il distinto diritto di garanzia, accessorietà che necessariamente comporterà l’estinzione del diritto di garanzia in conseguenza dell’estinzione del rapporto obbligatorio.
Il contratto di garanzia mobiliare per eccellenza è il pegno, disciplinato ai sensi degli artt. 2786 e ss. c.c.. L’aspetto principale di detto contratto è la sua modalità di perfezionamento in relazione alla natura e necessaria determinatezza del bene su cui la garanzia stessa viene a nascere.
Vediamo, infatti, come il contratto reale di pegno, ai sensi dell’art. 2786 c.c., nel momento in cui ha ad oggetto un bene mobile o un documento che conferisce l’esclusiva disponibilità della cosa a garanzia dell’obbligazione, si perfeziona con la c.d. “consegna” al creditore del bene o del documento stesso.
Affinchè la prelazione e la garanzia nascano è necessario che il pegno risulti da “scrittura con data certa e che essa contenga sufficiente indicazione del credito e della cosa” ex art. 2878, comma 3 c.c.. Si tratta, come vedremo a breve, del disposto che più ha interessato il dibattito dottrinario e giurisprudenziale circa l’ammissibilità delle nuove figure di garanzie mobiliari connotate dalla futurità o dalla sostituibilità dell’oggetto dato in garanzia.
Il creditore non potrà usare la cosa, senza il consenso del costituente ex art. 2792 c.c., salvo sia necessario per la conservazione della stessa, e sarà tenuto alla sua restituzione, laddove siano stati interamente pagati il capitale dovuto e gli interessi. E’ indispensabile, pertanto, lo spossessamento del debitore, la concreta appropriazione da parte del creditore e la determinatezza della cosa data in pegno e del credito che si vuole garantire.
Nel diritto romano si ricorreva alla c.d. datio pignoris romana in cui in realtà non si aveva una vera e propria traditio, cioè non si realizzava un vero e proprio trasferimento di proprietà con la consegna. Questa forma impropria di datio acquisì poi la connotazione di conventio pignoris, quale vero e proprio patto tra il creditore e il proprietario del bene, solitamente il debitore, con cui pur restando la cosa presso il creditore, si conveniva che il creditore ne avrebbe preso possesso in caso di inadempimento, tanto che tale forma di patto finiva per confondersi con l’ipoteca, anche alla luce del fatto che il pegno poteva avere ad oggetto non solo un bene mobile ma ogni res, anche immobili.
L’oggetto del pegno può essere anche un diritto di credito ex art. 2800 c.c., ma in questo caso la prelazione ha luogo solo laddove “il pegno risulti da atto scritto, e laddove la costituzione di esso sia stata notificata al debitore del credito dato in pegno ovvero è stata da questo accettata con scrittura avente data certa”. Inoltre se il credito costituito in pegno risulta da un documento, il costituente è tenuto a “consegnarlo” al creditore ex art. 2801 c.c..
Infine, ai sensi dell’art. 2806 c.c. si riconosce la possibilità di costituire un pegno anche su diritti diversi dai crediti, aventi comunque ad oggetto beni mobili. In questo caso, però, la norma prevede che le modalità di costituzione si rifacciano alle forme rispettivamente richieste per il trasferimento dei diritti stessi (es. il pegno di quote di società a responsabilità limitata richiede l’annotazione nel libro dei soci).
A fronte della individuazione degli elementi caratterizzanti la costituzione del diritto di pegno e in particolare a fronte della determinatezza del suo oggetto alla luce dell’art. 2878, comma 3, c.c., è necessario guardare all’evoluzione dottrinaria e giurisprudenziale circa l’ammissibilità di nuove figure di pegno in cui tale determinatezza e tale forte materialità dell’oggetto è messa in crisi dalla flessibilità delle operazioni di finanziamento che la moderna prassi bancaria considera irrinunciabile in un’economia di mercato. Questo anche alla luce del fatto che per quanto riguarda il pegno di crediti e di altri diritti, l’art. 2807 c.c. nello stabilire un rinvio alle norme previste per il pegno su beni mobili, laddove compatibili, ha posta il problema circa l’estendibilità del rinvio anche alla previsione di cui all’art. 2878 comma 3 c.c.., e cioè se anche laddove il pegno avesse ad oggetto un diritto di credito o altro diritto su bene mobile, fosse necessaria una “ sufficiente indicazione” del diritto stesso.
Una prima discussione si è posta circa la possibilità di ammettere il c.d. pegno di cosa futura. Si tratterebbe di una fattispecie a formazione progressiva che trae origine da un accordo tra le parti avente solo effetti obbligatori, ed in cui ex art. 2878, comma 3, c.c., andranno determinate la certezza della data e la sufficiente specificazione del credito garantito. La cosa oggetto di pegno dovrà essere però sempre connotata da determinatezza. Nel richiamare la disciplina dell’oggetto del contratto si può infatti affermare come ex art. 1348 c.c. si sancisca la regola generale circa l’ammissibilità che l’oggetto del contratto non sia ancora esistente al momento della stipula dello stesso, purchè sia determinabile. Gli effetti reali del pegno e la prelazione che esso comporta saranno, infatti, differiti alla venuta ad esistenza del cosa e alla necessaria consegna di essa al creditore. In tale fattispecie la volontà delle parti è già perfetta nel momento in cui nell’accordo sono determinati sia il credito da garantire che il pegno; il bene, la sua venuta ad esistenza e la consegna appartengono ad un momento successivo e futuro, e a cui differire la realità del pegno stesso.
Diverse dal pegno di cosa futura, che come abbiamo appena sottolineato è una fattispecie a formazione progressiva, sono le figure del c.d. pegno omibus, diffuso nella prassi bancaria, e la c.d. “clausola di estensione della garanzia reale “. In entrambi i casi abbiamo un diritto esplicitamente previsto dalle normative uniformi bancarie che trova spazio in tutti i modelli operativi di conto corrente.
Si ha il pegno omibus quando il cliente correntista sottoscriva una clausola in cui acconsente a che un determinato bene, concesso in pegno a garanzia della banca in vista di crediti sorti da una determinata operazione e specifico rapporto, garantisca tutti i crediti anche futuri che la banca venisse a vantare nei confronti del cliente stesso. Questa figura di garanzia mobiliare si differenzia dalla figura di compensazione di cui all’art. 1853 c.c., in quanto nelle figure di pegno omnibus è la banca, che in quanto creditore privilegiato, si soddisfa sul pegno determinando il pagamento del debito, nella compensazione invece la banca dovrà sottostare alla possibilità che terzi creditori del correntista oppongano alla banca privilegi o garanzie sui beni di proprietà dello stesso e detenuti dalla banca.
La clausola di estensione di garanzia reale, invece, fa sì che siano automaticamente assoggettati al vincolo di garanzia del pegno e del diritto di ritenzione tutti quei beni (titoli, valori, denaro, crediti) di pertinenza del correntista e che per qualsiasi ragione, vengano ad essere detenuti dalla banca.
La dottrina e la giurisprudenza è sempre stata divisa circa l’ammissibilità del pegno omnibus e della clausola di estensione della garanzia. La posizione tradizionale ha sempre censurato l’istituto per violazione del requisito della sufficiente determinatezza e indicazione del credito e della cosa ex art. 2878, comma 3, c.c., anche in riferimento al fatto che l’estensione del pegno a beni futuri comporterebbe un deficit della realità data dalla consegna, e anche alla luce del fatto che condizione per la prelazione è la scrittura indicante data certa e indicazione del credito e della cosa. Diversi sono stati gli esiti sanzionatori. Parte della giurisprudenza si è espressa in termini di nullità della sola clausola omibus. Altra posizione, invece, ha affermato l’invalidità dell’intero pegno. Un terzo filone, oggi consolidato, ha ritenuto invece la validità della clausola tra le parti, non richiedendosi tra le parti alcuna formalità, ma sarà possibile l’opponibilità della prelazione ai terzi di quell’atto costitutivo della garanzia, laddove in esso si indichino elementi che comunque portino all’identificazione del credito garantito, ovvero il criterio di collegamento attraverso il quale pervenire all’identificazione del credito garantito. Sarà, invece, inopponibile quell’atto costitutivo di pegno in cui il credito garantito dal pegno, per la generalità di espressioni usate, possa essere individuato solo con l’ausilio di ulteriori elementi esterni alla scrittura stessa, ancora più se non preesistenti.
Nella prassi bancaria si riscontra altresì un’altra tipologia di pegno. Si tratta della figura del c.d. pegno rotativo, garanzia mobiliare in cui si consente la sostituibilità e mutabilità nel tempo dell’oggetto del pegno, senza comportare, ad ogni mutamento, la rinnovazione del compimento delle modalità richieste per la costituzione della garanzia o per il sorgere del diritto di prelazione. L’esigenza che si cela sotto questa particolare figura di pegno è, sicuramente, rinvenibile nel fatto di rendere durature nel tempo alcune forme di garanzia, senza frammentarsi in una pluralità di atti, ma anzi riconoscendo la possibilità di sostituire i beni oggetto di pegno, escludendo una novazione del rapporto. La caratteristica del pegno in questione è la clausola di rotatività, con al quale le parti convengono sulla possibilità di sostituire il bene originariamente costituito in garanzia, senza che tale sostituzione comporti novazione del rapporto di garanzia, e sempre che il bene offerto in sostituzione abbia identico valore.
La giurisprudenza di legittimità, nel finire degli anni novanta, riconosceva per la prima volta ed espressamente tale figura particolare di pegno, di origine dottrinaria, affermando come fossero ammissibili modificazioni oggettive che non facessero venir meno l’identità del rapporto giuridico, ma in cui, anzi si assicurasse comunque la situazione giuridica preesistente. Secondo i giudici la mutabilità dell’oggetto non può venir esclusa semplicemente in base al principio di tipicità dei diritti reali e neanche in vista delle norme che fissano i requisiti per la costituzione della garanzia pignoratizia. Sottolineavano, infatti, che le condizioni per realizzare la modificazione oggettiva della garanzia e di validità del patto di rotatività fossero: innanzi tutto il rispetto delle modalità tipiche di costituzione del pegno ogni qual volta avvenisse la sostituzione del bene stesso (consegnare i nuovi beni al creditore e accompagnare la consegna alla scrittura avente data certa con necessaria “indicazione specifica del credito e della cosa” ex art. 2787, comma 3 c.c.), e altresì il rispetto dei limiti del valore dei beni dati in pegno originariamente.
Non sono stati ritenuti coerenti con questa interpretazione i successivi arresti giurisprudenziali in cui, invece, si affermava la natura del pegno rotativo di fattispecie a formazione progressiva.
Connotati da una particolare apertura all’ingresso dell’autonomia privata nel settore delle garanzie mobiliari sono, invece, quegli orientamenti volti a qualificare il fenomeno del pegno rotativo come operazione economica complessa ma unitaria. Si è affermato che tale figura di pegno sia una deroga ai requisiti previsti dall’art. 2787, comma 3, c.c., in quanto gli indici della modifica oggettiva della garanzia possono essere ricercati nella scrittura originaria, non richiedendosi ulteriori formali atti di rinnovo del pegno, tanto che l’accordo iniziale sarebbe destinato a disciplinare anche le sequenze successive, in quanto ciò che conta non è l’individuazione del bene ma il suo valore economico, salvaguardato con la sostituzione dello stesso con beni di pari valore, riconducendo il patto rotativo al meccanismo della surrogazione reale. Sarebbe, quindi, efficacie nei confronti dei terzi quell’accordo iniziale in cui vengano indicati sia il meccanismo di rotatività, sia le indicazioni necessarie al fine di individuare nei successivi passaggi gli oggetti sui quali la garanzia nel tempo andrà a gravare. Si tratterebbe di un pegno anomalo e non atipico, in quanto non si altera la sua funzione tipica di garanzia.
Il pegno rotativo o fluttuante trova oggi espresso riconoscimento legislativo nell’art. 34, comma 2, dlgs. n. 213/1998 e nel d.lgs. n. 170/2004, in cui si riconosce espressamente l’utilizzo, nei contratti di garanzia finanziaria, della c.d. clausola di sostituzione, definita come clausola del contratto di garanzia finanziaria, che permette di sostituire, in tutto o in parte, l’oggetto della garanzia nei limiti del valore originario. Il d.lgs. n. 170 è stato frutto del recepimento della direttiva 2002/47, relativa ai contratti di garanzia finanziaria. L’obiettivo comunitario è sicuramente stato quello di garantire forme di armonizzazione della disciplina delle garanzie mobiliari a livello degli stati membri. L’assenza di un quadro giuridico uniforme sicuramente influiva negativamente sulla conclusione delle operazioni, e indirettamente sul livello complessivo di efficienza dei mercati.
Il decreto n. 170 acquista importanza anche per la particolare definizione che fornisce di “contratto di garanzia finanziaria”. Dalla lettura dei primi articoli del decreto si evince una particolare atipicità di disciplina rispetto al nostro sistema di contratti di garanzia reali. Si pensi alle modalità di costituzione della garanzia finanziaria, ai poteri di cui il creditore si vedere destinatario, e in particolare alla definizione che viene data di contratto di garanzia finanziaria ex art. 6: quegli “accordi in cui si verifica un vero e proprio trasferimento di proprietà di attività finanziarie con funzione di garanzia” ovvero “contratti di cessione del credito” ai quali non si applica l’art. 2744 c.c..
Il nostro sistema, come in precedenza visto, si connota da una forte tipicità dei contratti di garanzia reale, intimamente connesso sia con il principio di tipicità dei diritti reali di garanzia, sia con il principio di par condicio creditorum. In verità il sistema delle garanzie reali tipiche a causa della sua forte rigidità, come sopra sottolineato, ha visto aprirsi nella prassi l’utilizzo di schemi atipici di trasferimento di diritti a scopo di garanzia del credito.
A tale proposito al centro del dibattito si pongono una vasta gamma di figure che la dottrina ha raggruppato nella ormai nota categoria delle c.d. alienazioni a scopo di garanzia. Non si tratta, come abbiamo più volte sottolineato, di garanzie reali atipiche, inammissibili nel nostro ordinamento, ma di particolari modalità di atteggiarsi di schemi contrattuali e di obbligazioni regolati tipicamente dal legislatore in conseguenza dell’esplicazione di poteri di autonomia privata. Tali schemi si connotano dall’effetto traslativo che li accompagna.
A tale proposito sarà necessario individuare le singole figure di alienazioni a scopo di garanzia che sono state portate al vaglio delle corti e le posizioni giurisprudenziali in merito all’ammissibilità di questi trasferimenti anche alla luce del principio generale sancito ex art. 2744 c.c., in cui si prescrive la nullità del patto mediante il quale si conviene in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore (c.d. divieto del patto commissorio). La nullità comminata dalla citata norma deve essere collegata non alla struttura dell’atto negoziale, ma alla sua funzione economica.
In realtà la norma di cui all’art. 2744 pone con sé diverse posizioni interpretative circa quella che è la sua ratio. La posizione tradizionale, risalente al diritto romano, ha individuato la sua finalità nella tutela del debitore da pressioni, anche morali del creditore, che aspira a ottenere la proprietà del bene, nonché nel pericolo di sproporzione tra il valore del bene e l’importo del credito. Secondo tale tesi il debitore inadempimento non dovrebbe vedersi spogliato del proprio bene con possibilità che il creditore abbia un arricchimento ingiustificato ex art. 2041 c.c., laddove il bene avesse un valore superiore a quello del debito. Altra tesi più recente individuerebbe la ratio legis della norma nell’esigenza di tutela degli altri creditori del debitore rispetto al patrimonio del debitore. Si afferma, infatti, che il creditore garantito dal patto commissorio godrebbe in realtà di una inammissibile garanzia atipica. Infine vi è chi ne sottolinea una connotazione mista delle due predette tesi.
Alla luce di quanto sottolineato dalla giurisprudenza ormai consolidata, sono sicuramente nulli ex art. 2744 c.c. quei patti di trasferimento in proprietà al creditore del bene dato in pegno o ipoteca sotto la condizione sospensiva o risolutiva del mancato pagamento del debito nel termine convenuto, ovvero vendite con annesso patto di riscatto o di retrovendita.
Non si è, invece, mai dubitato sia in dottrina che in giurisprudenza sulla validità del c.d. patto marciano, cioè di quella pattuizione in base alla quale in caso di inadempimento il bene passa in proprietà del creditore, ma previa stima da eseguirsi da un terzo al momento dell’inadempimento, e con l’eventuale obbligo, in capo al creditore, di restituire al debitore l’eccedenza tra il valore del bene e l’importo del credito, evitando in questo modo un ingiustificato arricchimento. Sicuramente il patto marciano riduce l’iniquità che il debitore subirebbe in vista di un patto commissorio. In realtà vi è chi sottolineerebbe come la coartazione del debitore non verrebbe meno, anzi nonostante il patto marciano non si consentirebbe la possibilità di realizzare la maggior utilità possibile per il debitore. Questo alla luce del fatto che il debitore potrebbe conseguire un risultato ulteriore rispetto al valore stimato, vendendo il bene ad un soggetto particolarmente interessato all’acquisto, ad un prezzo sicuramente superiore al valore di mercato. Così argomentando si è affermato che il patto marciano vada a ledere il diritto del debitore d ottenere la migliore utilità del bene, pregiudicando indirettamente anche gli altri creditori, che perderebbero oltre al bene dato in garanzia, anche la possibilità di vedere aumentare il patrimonio del debitore. Sulla base di queste considerazioni si è affermato come sarebbe più opportuno, in luogo del patto marciano, configurare un trust a scopo di garanzia, che avrà il vantaggio di non pregiudicare ulteriormente la posizione del debitore.
Il trust è un istituto di common law che ha fatto ingresso nel nostro ordinamento con la ratifica della Convenzione dell’Aja del maggio 1985, avvenuta con la l. 364/1989. La sua duttilità e flessibilità può consentire di superare la staticità dei modelli giuridici delle garanzie classiche.
Il trust a scopo di garanzia opererebbe creando una segregazione patrimoniale dei beni inseriti nel trust fund, finalizzata al soddisfacimento di crediti determinati. Tali beni verranno amministrati dal trustee secondo un programma determinato, e al termine convenuto, in caso di inadempimento, sarà il trustee stesso ad alienare il bene tentando il maggior ricavato possibile, e non secondo il valore di mercato. L’istituto del trust porta con sé anche garanzie di maggior trasparenza e controllo delle operazioni, e efficienza nella tutela di entrambe le parti del rapporto. Rispetto al pegno il trust consentirebbe la gestione anche di complessi patrimoni finanziari, con criteri professionali. Si è affermato che la flessibilità organizzativa e gestionale del trust non sarebbe neppure paragonabile al più elastico istituto del pegno rotativo, con il quale l’unico elemento in comune sarebbe la surrogazione reale dell’oggetto con il controvalore del bene stesso.
Tornando al tema delle alienazione a scopo di garanzia vi sono però una serie di ipotesi in cui lo stesso legislatore ne riconosce espressamente la liceità. Si pensi al c.d. pegno irregolare a garanzia di un’anticipazione bancaria ex art. 1851 c.c.. La norma citata sancisce che la banca creditrice deve restituire al debitore solo la somma o quella parte di merci o titoli, eccedenti l’ammontare dei crediti garantiti. E’ necessario citare, altresì, le ipotesi di “autotutela esecutiva” del creditore sancite agli artt. 2803-2804 c.c. in materia di pegno di crediti, ove si prevede la possibilità che il creditore garantito riscuota il credito pignorato alla sua scadenza e trattenga la somma necessaria al soddisfacimento delle sue ragioni, previa restituzione dell’eventuale residuo al debitore.
E’ necessario sottolineare come sia in dottrina che in giurisprudenza si affermi la liceità della cessione del credito a fini di sicurezza di rapporti obbligatori. Al fine di ovviare alle rigidità della garanzia tipica sul credito, precedentemente vista ex art. 2800 c.c., nelle prassi bancarie si riscontra l’utilizzo di schemi desunti dal mondo dei contratti e delle obbligazioni, quale appunto è la cessione dei crediti a scopo di garanzia. All’atto di erogazione di un finanziamento, o anche successivamente, in corso di rapporto, le banche chiedono, a maggior garanzia delle loro ragioni, la cessione dei crediti che il debitore vanta verso terzi. La cessione dei crediti a scopo di garanzia è riconosciuta anche da talune fonti legislative (si pensi alla legge n. 260/1993 di ratifica ed esecuzione della convenzione Unidroit sul factoring internazionale).
La cessione comporta un effetto traslativo in favore del cessionario, il quale acquista una sorta di diritto di prelazione o di privilegio che gli assicura, in caso di inadempimento del cedente, la preferenza rispetto agli altri creditori in ordine al soddisfacimento sul credito ceduto. La cessione in esame si differenzia dalle altre figure di cessione pro soluto e pro solvendo (artt.1260 e ss c.c.), in quanto manca della funzione solutoria. La traslazione del credito ha lo scopo giuridico di assicurare al cessionario il soddisfacimento delle proprie ragioni nei confronti del cedente, nel caso in cui quest’ultimo non adempia l’obbligazione garantita. I sostenitori della legittimità della cessione in esame rispetto all’art. 2744 c.c. richiamano l’applicabilità dell’art. 2803 c.c. in tema di pegno su crediti. Tale norma, come già precedentemente citata, afferma che se il credito garantito è scaduto il creditore pignoratizio può, in autotutela, ritenersi quanto basta del denaro ricevuto per soddisfare il suo diritto, restituendo il residuo al costituente la garanzia. In tal senso l’operatività di questo principio in favore del creditore cessionario ha l’effetto di paralizzare l’applicazione dell’art. 2744 c.c. per il settore della cessione dei crediti, e di produrre un risultato affine a quello previsto per il patto marciano, ossia la presenza di un meccanismo di controllo della misura dell’assoggettamento del debitore alla responsabilità patrimoniale.
L’indagine effettuata nel presente tema ha avuto la finalità di sottolineare le difficoltà che il nostro sistema tradizionale di garanzie mobiliare ha riscontrato, a fronte di sempre più forti esigenze di elasticità di manovra e di certezza nel regolamento di interessi patrimoniali dei singoli, e la tendenza della prassi ad adottare strumenti si erosione di un sistema di antichi dogmi nemici dell’esplicazione dell’autonomia privata nel settore della tutela del credito.