Descriva il candidato i passaggi storico-istituzionali che portarono alla nascita della Repubblica Italiana.

Descriva il candidato i passaggi storico-istituzionali che portarono alla nascita della Repubblica Italiana.

di Tiziana Maier

La nascita della Repubblica Italiana è scandita da una serie di eventi fondamentali che si dipanano soprattutto lungo l’arco di tempo di circa tre anni.

Sicuramente il primo significativo tra questi è rappresentato dalla riunione del Gran Consiglio del Fascismo con cui i gerarchi fascisti invitarono Mussolini a far riappropriare il re Vittorio Emanuele III della sua prerogativa di comando delle forze armate.

Per meglio comprendere l’importanza di questo passaggio è necessario sintetizzare brevemente quanto è accaduto in Italia durante il regime fascista. Quest’ultimo, infatti, si era insediato ormai nel 1922 dopo che il re aveva deciso di conferire il mandato a Mussolini per formare un nuovo governo.

I primi anni di governo furono per così dire moderati; la vera e proprio svolta autoritaria avvenne in conseguenza del delitto del deputato Giacomo Matteotti: il discorso del 3 gennaio 1925 rappresenta in questo senso uno spartiacque in quanto, attraverso detto discorso, Mussolini si assunse la responsabilità morale e politica del delitto, dopo che, nei mesi precedenti, vi erano state aspre contestazioni e si era aperta una crisi di governo.

Da questo momento in poi, le residue libertà presenti nel Regno d’Italia vengono eliminate; Mussolini, attraverso le c.d. “leggi fascistissime” diventa capo del Governo, verranno implementate le censure alla stampa e sciolti i partiti dell’opposizione.

Tuttavia, la decisione di entrare in guerra a fianco di Hitler maturerà nel decennio successivo, in seguito alla diversa gestione della politica estera. Anche in questo campo, all’inizio possono essere individuate delle analogie con la modalità con cui era stata diretta la politica estera durante gli anni dell’Italia liberale.

Ed infatti, nei primi anni ’30 l’obiettivo di Mussolini fu quello di essere accettato dalle altre potenze. Per questo motivo, di fronte alla politica nazista di allargare lo spazio vitale della Germania all’Austria prima e ad altre nazioni poi (Cecoslovacchia, Boemia, Moravia), durante la Conferenza di Stresa del 1935, egli è concorde con i ministri francese e inglese per riaffermare i principi contenuti nel Trattato di Locarno reagendo perciò a ogni tentativo di modificare il Trattato di pace siglato a Versailles al termine della prima guerra mondiale. In realtà, questo fronte comune viene meno qualche mese più tardi con la decisione di Mussolini di invadere l’Etiopia per conquistarsi “un posto al sole”. A tal riguardo, la condanna da parte della Società delle Nazioni che non poteva tollerare come un Paese ad essa aderente, l’Etiopia, venisse invaso e conquistato da un’altra Nazione, fa scattare delle pesanti sanzioni economiche nei confronti dell’Italia.

Da questo momento in poi inizia l’avvicinamento alla politica tedesca (la Germania non era membro della Società delle Nazioni, sicchè in questo periodo fornisce aiuti all’Italia) che portano all’asse Roma-Berlino, un patto di amicizia stipulato tra Italia e Germania nel 1936, cui segue, l’anno successivo, l’ingresso dell’Italia nell’anti-Komintern di cui facevano parte Germania e Giappone e attraverso cui si voleva combattere l’Internazionale comunista.

Peraltro, anche gli aiuti forniti al generale Franco durante la guerra civile spagnola consolidarono maggiormente l’unione tra queste due potenze i cui destini saranno definitivamente intrecciati con la firma del patto d’acciaio nel 1939 il quale impegnerà l’Italia ad entrare in guerra a fianco della Germania.

Proprio questo è un passaggio cruciale: fino alla stipula del suddetto patto, il re deteneva ancora formalmente uno tra le sue prerogative storiche, ossia quella di comandare le forze armate e proprio per questo il popolo italiano sperava di non essere coinvolto in una ulteriore e sanguinosa guerra poiché il re si sarebbe opposto. Invece, nel maggio del 1939, successivamente alla firma del patto d’acciaio, Mussolini si assunse il comando delle forze armate, di fatto essendo libero di decidere circa l’ingresso nel conflitto.

Solo il 10 giugno 1940 Mussolini, affacciandosi al balcone di Piazza Venezia, dichiarerà l’entrata in guerra dell’Italia. Il ritardo rispetto al momento in cui ha preso avvio la guerra (1º settembre 1939) è dovuto al fatto che le difficoltà incontrate dall’esercito italiano durante la campagna d’Etiopia hanno reso ancora più manifesta la fragilità e debolezza dell’esercito stesso. Infatti, la vittoria è stata resa possibile principalmente grazie alla superiorità numerica, ma a fronte di grandi perdite e di difficoltà numerose. Questo aveva compromesso ancora di più la già scarsa fiducia dell’esercito.

Per questo motivo Mussolini si considera “non belligerante” (formula inventata proprio da Mussolini stesso pur di non minare il suo orgoglio evidenziando la neutralità del paese) ma è solo quando la guerra sembra volgere favorevolmente a Hitler che Mussolini decide di entrare in guerra. Infatti, lo iato temporale di pochi mesi non era certo sufficiente a colmare l’arretratezza dell’esercito (e ciò pur se dall’epoca di Crispi quasi un terzo delle spese erano devolute proprio a favore delle spese militari) e, appunto, siffatta tempistica si comprende proprio perché Mussolini credeva di poter ottenere numerosi benefici a fronte di qualche sacrificio umano e in breve tempo.

Inoltre, la vittoria bellica avrebbe anche riappianato le divergenze all’interno del partito stesso: era presente, infatti, una corrente che mirava alla riappacificazione con le forze orientali.

Le previsioni circa una guerra agevole si rivelarono errate: basti pensare alla prima campagna di Grecia che si risolse solo con l’intervento di Hitler dopo sette mesi di battaglia, nonostante il dispiegarsi di numerosi uomini dell’esercito italiano.

Nondimeno, nel 1941 restava solo l’Inghilterra a combattere e lo scenario in Europa era sostanzialmente in mano alla Germania. Sarà con la decisione di invadere la Russia e con il coinvolgimento degli Usa dovuto all’attacco della base di Pearl Harbor da parte del Giappone che le sorti del conflitto muteranno.

Verso l’inizio del 1943, in un incerto scenario bellico, durante la Conferenza di Casablanca, le tre grandi potenze rappresentate da Churchill, de Gaulle e Roosvelt, oltre a decidere la necessaria resa incondizionata degli avversari, stabilirono la strategia da adottare nel Mediterraneo, in particolare, si riteneva fondamentale l’invasione della Sicilia in quanto l’Italia rappresentava un punto strategico per l’ingresso in Europa.

Il 1943 segna quindi uno snodo all’interno della guerra; tuttavia, sarà un anno fondamentale anche per la nascita della Repubblica Italiana. Ed infatti, all’inizio dell’anno, Mussolini decise di eliminare la corrente c.d. frondista dal partito.

Proprio però questa “epurazione” porterà alla seduta del 24-25 luglio del 1943. Per i primi mesi dell’anno vi erano stati numerosi contatti tra il re e i gerarchi fascisti, addirittura fecero visita a Vittorio Emanuele III anche alcuni di quei liberali che erano stati traditi dallo stesso regnante nel momento in cui quest’ultimo decise di affidare il mandato a Mussolini piuttosto che a Salandra. Il re si dichiarava favorevole ad un rovesciamento del regime a patto che qualcuno ne avesse preso l’iniziativa. In questo senso, vi erano stati anche dei contatti con le forze occidentali per comprendere la loro posizione e il bombardamento su Roma a luglio del ’43 fu un monito con cui si voleva evidenziare che le forze dell’occidente non erano più disposte ad aspettare. Del resto, già a inizio luglio le Forze alleate erano sbarcate in Sicilia dove trovarono poca resistenza da parte dell’esercito.

Durante la seduta del Gran Consiglio del Fascismo, l’iniziativa venne assunta proprio da quelle forze frondiste, in particolare da Grandi che propose a Mussolini che il re tornasse a capo delle forze armate. Molti furono i voti favorevoli e l’ordine Grandi venne approvato.

Il 25 luglio Mussolini si recò dal re e cercò di sminuire questa delibera, evidenziando come essa avesse portata solo consultiva e come il Gran Consiglio del Fascismo non si riunisse ormai da molto tempo. Tuttavia, il re approfittò per dare ordine ai carabinieri di arrestare Mussolini e conferire il mandato a capo del governo al generale Badoglio. La scelta di avvalersi di generali o comunque dell’esercito nei momenti di difficoltà è in linea con la tradizione che aveva caratterizzato la monarchia (si veda ad esempio, la nomina di Pelloux nel 1898).

Da questo momento in poi l’Italia entrerà nel caos, complice anche l’incapacità del monarca di gestire la situazione. Ed infatti, nonostante la gioia e l’esultanza della popolazione per la caduta del regime, la guerra a fianco ai tedeschi continuava. Al contempo però, si trattava con gli alleati, soprattutto perché si voleva evitare quella resa incondizionata stabilita nella Conferenza di Casablanca.

I quarantacinque giorni che separano l’Italia dalla destituzione di Mussolini alla firma dell’armistizio consentono però alle forze antifasciste di riorganizzarsi. Come precedentemente evidenziato, con le leggi fascistissime del ’26 vengono sciolti tutti i partiti diversi da quello fascista.

Nondimeno, l’attività antifascista non poteva dirsi terminata, anzi, molto spesso questa veniva condotta soprattutto all’estero, ad esempio tramite Radio Londra e i discorsi svolti da Togliatti in esilio a Mosca oppure attraverso quotidiani esteri fondati da antifascisti.

Addirittura nel 1942 si assiste alla fondazione di due nuovi partiti: la DC, Democrazia Cristiana, nata sulle spoglie dell’ex Partito Popolare Italiano di Don Sturzo che vede alla guida Alcide De Gasperi e che grazie alla protezione del Vaticano riesce a mantenere delle ramificazioni sul territorio, nonché il Partito d’Azione, nato anch’esso grazie all’attività clandestina. Il Partito Comunista Italiano, invece, riuscì a mantenere una qualche minima forma di organizzazione, anche grazie alle sovvenzioni dell’URSS.

Nonostante, quindi, la volontà di Mussolini di eliminare tutto ciò che fosse ostile al regime, sono proprio queste forze, assieme al Partito Liberale Italiano (ricostruito nel ’43 per volontà di Croce ed Einaudi) e al Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, che si riuniranno assieme all’interno del Comitato nazionale delle opposizioni e che dopo l’8 settembre daranno vita al Comitato di Liberazione Nazionale (CLN).

Queste forze, per vero, furono molto critiche nei confronti della Monarchia e di Badoglio in quanto essi venivano considerati corresponsabili dell’avvento del regime. Era per questo, dunque, che volevano essere i referenti del popolo italiano; al contrario, il re si era convinto di poter governare assieme ai soli comandi militari una volta caduto il fascismo.

Per questo motivo, le forze riunite nel CLN chiesero il ripristino delle libertà soppresse durante il regime, nonché la liberazione dei prigionieri politici e chiesero altresì di essere legittimate all’interno del Governo. Tuttavia, esse non avevano la forza sufficiente e, del resto, agli occhi degli Alleati, gli unici interlocutori restavano il re e il governo Badoglio. Le trattative per l’armistizio continuarono fino al 3 settembre, quando a Cassibile viene firmata la resa incondizionata dell’Italia, con l’impegno a mantenerne il segreto fino allo sbarco alleato sulle coste della penisola. Dopo che già un emittente estera ne aveva diffuso la notizia, l’8 settembre viene reso noto alla Nazione che le forze Alleate hanno concesso la resa all’Italia.

Questo è un altro momento decisivo per la nascita della Repubblica: il governo, il re e la casa reale fuggirono a Brindisi mentre nel nord la presenza dei tedeschi, forza fino a prima amica, è ancora più massiccia dopo che l’invasione della Sicilia aveva reso evidente che gli Alleati avrebbero ben presto risalito la penisola.

L’esercito viene di fatto privato di una guida e di istruzioni, gettando gran parte dell’Italia nella confusione più totale. Peraltro, a questa situazione si aggiunge la liberazione di Mussolini che, il 12 settembre, viene prelevato dal Gran Sasso da un gruppo di paracadutisti tedeschi. L’Italia a questo punto è divisa in tre parti: al Sud ci sono le forze Alleate che stanno liberando la penisola e i territori sono sottoposti alla loro amministrazione e direzione (c.d. AMGOT), al centro-nord si combatte ancora contro l’esercito tedesco, mentre viene costituita la Repubblica Sociale Italiana situata a Salò con a capo Mussolini -sebbene quale capo fantoccio in quanto la direzione era saldamente nelle mani tedesche-. In questo contesto, cruciale è l’appello del CLN alla resistenza: era necessario che il popolo sopito da anni di regime lottasse per riconquistare le proprie libertà e senza la quale lotta non potrà esserci piena legittimazione per gli antifascisti.

Per questo motivo la Resistenza si intreccia anche con le vicende dei partiti membri del Comitato di Liberazione Nazionale. Dall’8 settembre si crearono gruppi isolati che, facenti capo ai diversi partiti, nelle montagne e nelle zone isolate, agirono con azioni di sabotaggio dei tedeschi e dei fascisti, mentre con il passare del tempo dette azioni vennero estese anche nelle città attraversi i gruppi di azione patriottica (c.d. gappisti). Non è facile trattare di questo periodo storico perché il periodo della Resistenza è stato caratterizzato non solo per essere una guerra per la liberazione dall’invasore oltre che una guerra civile tra fascisti e antifascisti, ma anche per essere stato visto come una guerra di classe caratterizzato da volontà rivoluzionarie tra i ceti della società. In questo senso, possono essere comprese le critiche rivolte nei primi anni della Repubblica, critiche alimentate anche dalla conflittualità che spesso si è creata tra le stesse brigate facenti capo a diversi partiti. Sicuramente, la Resistenza ha contribuito alla liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo e questo contributo è diventato sempre più evidente con il passaggio del tempo e, in particolar modo, con l’ingresso del CLN all’interno del Governo.

Invero, questo processo è durato svariati mesi proprio perché da un lato, vi erano le forze antifasciste che non riconoscevano il governo Badoglio e la Monarchia a guida del paese: il regime aveva dimostrato le debolezze dello Statuto Albertino che, quindi, non forniva sufficienti garanzie per evitare che l’esperienza fascista si sarebbe riproposta. Dall’altro lato, il re e Badoglio erano gli unici garanti del patto con gli Avversari. Detta conflittualità culminò nel gennaio del 1944, quando il CLN chiese al re di abdicare e di indire un apposito referendum con cui gli italiani avrebbero scelto la forma di governo.

I contrasti descritti furono però superati con la c.d. svolta di Salerno: il leader del PCI, Togliatti, ritornato dall’esilio in Russia, propose di mettere da parte la pregiudiziale contro il re e Badoglio e di concentrare le forze sulla guerra di liberazione, rinviando la scelta tra Monarchia e Repubblica al termine della guerra. Dal canto suo, il re si sarebbe impegnato ad affidare la Luogotenenza del regno al figlio Umberto, una volta in cui gli alleati avrebbero liberato Roma.

Da questo momento in avanti, ci sarà una maggiore partecipazione dei partiti antifascisti, dapprima entrando a far parte del governo Badoglio e, con la liberazione di Roma (4/5 giugno 1944), Badoglio si dimetterà e verrà costituito un governo dal solo Comitato di Liberazione con a capo Ivanoe Bonomi (appartenente al Partito Democratico del Lavoro, nato nell’aprile del 1943).

L’ingresso del CLN nel governo, significherà anche un potenziamento della Resistenza, fino ad un vero e proprio riconoscimento della stessa, come avvenne con il CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) il quale, nel dicembre del ’44 dopo un difficile inverno per contrasti tra il movimento, governo e alleati, sarà riconosciuto dal governo stesso come rappresentante dell’Italia occupata.

Testimone del legame con le sorti della Resistenza sono poi proprio le dimissioni di Bonomi nel 1945, quando viene fatto spazio a Parri affinchè il governo fosse maggiormente rappresentativo di quel vento del Nord che stava soffiando. Maurizio Parri era stato infatti un partigiano e, dopo la liberazione dell’Italia avvenuta il 25 aprile 1945, si voleva dare maggiore rilevanza al valore politico e simbolico -superiore, talvolta, rispetto alla forza reale- avuto dai partigiani nella lotta per la liberazione.

Devesi segnalare che durante il governo Bonomi, venne emanato il decreto luogoteneziale che attuava la tregua istituzionale siglata a Salerno: si stabiliva che, al termine della guerra, sarebbe stato indetto un referendum per far decidere agli elettori la forma istituzionale dello Stato (e sarebbero state le prime elezioni a suffragio universale esteso anche alle donne), nonché l’elezione dell’Assemblea Costituente deputata a redigere una nuova Carta Costituzionale. A tal riguardo, sarebbe stata ininfluente la forma istituzionale scelta poiché comunque, anche se avesse vinto la Monarchia, lo Statuto Albertino doveva essere rivisto stanti le debolezze che aveva dimostrato di possedere. In quello stesso anno, poi, venne istituita la Consulta Nazionale (che, ad esempio, ratificò il decreto luogotenenziale con cui si demandò la scelta istituzionale, nonché il suffragio universale) e che venne soppressa in vista dell’elezioni dell’Assemblea Costituente.

Il cammino che porterà alla nascita della Repubblica non si esaurì con la Liberazione: il governo Parri durerà in carica pochi mesi per i contrasti sulla volontà di imporre delle imposte alle industrie. Alla fine del 1945 la DC riuscirà a “imporre” alla guida del governo il proprio esponente, Alcide De Gasperi che impresse una svolta moderata: i progetti di riforme economiche vennero messi da parte. Per vero, ciò provocò grande delusione all’interno dei militanti di sinistra, i quali anelavano a prospettive di miglioramento; cionodimeno, i partiti di riferimento (PSIUP e PCI) continuarono a supportare il governo nella speranza di poter vincere le successive elezioni.

Il 2 giugno 1946 fu la data fissata per scelta istituzionale e l’esito delle votazioni riflette quella spaccatura tra centro-nord e sud avutasi durante la Resistenza. Per pochi milioni di voti, infatti, l’esito è favorevole alla scelta Repubblicana, sicché, è proprio questa data che sancisce la nascita della Repubblica Italiana, dove con una scelta istituzionale opposta alla Monarchia, si è voluto dare una cesura al passato liberale e fascista che aveva caratterizzato il Regno d’Italia.

Questa divisione all’interno del Paese, del resto, si spiega proprio per le differenti esperienze e le diverse conseguenze della Resistenza. Da un lato, il sud fu estraneo alla guerra civile, estraneità che è resa evidente, ad esempio, con la esigua risposta di partecipazione alla richiesta di coscrizione del governo oppure con la nascita di movimenti come il qualunquismo di Giannini, i quali, di fatto, svolgono una contestazione anche nei confronti del neo-nato governo. Questa discordante esperienza storica è d’aiuto per capire il perché è proprio il Sud ad essere la prima culla di movimenti neofascisti nei primi anni della Repubblica (MSI). Il centro-nord, invece, fu protagonista in prima linea della guerra di liberazione e ben si comprende la volontà di prendere le distanze dal il fascismo e di sentirsi parte di un ordine nuovo.

Peraltro, la scelta a favore della Repubblica è dovuta, in parte, anche per l’atteggiamento della Corona che, fuggendo dal nemico e con un repentino cambio di fronte, lasciò il paese nella confusione più totale. In realtà, il re cercò comunque di influenzare la scelta istituzionale venendo meno a quel patto di tregua: a maggio del 1946, poco meno di un mese prima del referendum, decise di abdicare a favore del figlio Umberto. Questa mossa non ebbe gli effetti sperati e il re e la famiglia reale lasceranno per sempre l’Italia per il lungo esilio in Portogallo.

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