Danno non patrimoniale da immissioni che superano la soglia della normale tollerabilità
di Carmen Oliva
SI PROCEDA CON LO
SVOLGIMENTO DELLA TRACCIA
La questione circa la risarcibilità del danno non patrimoniale da
immissioni che superano la soglia della normale tollerabilità si innesta nella
generale categoria delle azioni poste a tutela della proprietà ( rectius del
proprietario). L’art 832 c.c., nel riconoscere al proprietario il diritto di
disporre e di godere del bene in modo esclusivo, legittima lo stesso ad opporsi
a qualsiasi attività dei terzi che ne possano disturbare il libero e pacifico
godimento.
Dall’impianto normativo predisposto dal codice emerge chiaramente
che il proprietario è generalmente tutelato solo rispetto a quelle attività
materiali che i terzi svolgono sul suo fondo, ossia le c.d. immissioni
materiali, ( si pensi, ad esempio , allo scarico di liquami o di rifiuti)
mentre, di regola, non può opporsi alle attività che i vicini svolgono sui
fondi di propria titolarità ( c.d. immissioni immateriali). Queste ultime, in
particolare, assumono rilevanza, ai fini dell’opponibilità, solo quando superano
la soglia della normale tollerabilità, giacchè solo in tale caso esse
travalicano i limiti del libero godimento del fondo da parte del proprietario,
arrecando un possibile danno al vicino.
La ragione di tale preclusione è ovvia e consiste nel tutelare i
diritti, di pari rango, dei rispettivi proprietari dei fondi finitimi o
confinanti di godere dei beni di propria spettanza, svolgendo su di essi
attività lecite che, nel contesto dell’ esercizio di un proprio diritto, non
arrecano danni agli altri. In questo senso, la tutela avverso le sole
immissioni che superino la soglia della normale tollerabilità si giustifica
proprio per le conseguenze dannose che tali immissioni possono sortire sul
proprietario del fondo vicino: da qui, il riconoscimento per il soggetto leso
della possibilità non solo di ottenere la cessazione o, ove possibile, il
ridimensionamento delle immissioni, ma anche la possibilità di ottenere
l’integrale risarcimento del danno, contemplato in tutte le sue componenti e
dunque, anche nella componente non patrimoniale, la quale, come vedremo, ha
suscitato in giurisprudenza questioni decisamente rilevanti, sia in punto di
quantificazione che in punto di onere della prova.
La disciplina
sulle immissioni è contenuta nell’ art 844 c.c.., il quale dispone che “il proprietario di un
fondo non può impedire leimmissioni
di fumo o calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili
propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se nonsuperano la normale tollerabilità, avuto
riguardo anche alla condizione dei luoghi”; la disposizione, poi, prosegue
prevedendo che nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria deve
contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà,
potendo anche tener conto della priorità di un determinato uso.
La norma è chiaramente riferita alle c.d. immissioni immateriali,
consistenti nella produzione di fumi, calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e
propagazioni simili, destinati a diffondersi nelle proprietà circostanti. Esse
devono superare la soglia di normale tollerabilità, pertanto è su tale elemento
che dovrà fondarsi l’accertamento del giudice, anche avvalendosi dello
strumento della consulenza tecnica. Il superamento della soglia della normale
tollerabilità non determina di per sé e in maniera automatica la cessazione
delle immissioni e la risarcibilità del danno, potendosi, invero, configurare
diverse ipotesi.
Innanzitutto, se le immissioni non superano
la soglia della normale tollerabilità ( si pensi, ad esempio ai rumori
provenienti dall’ immobile del vicino che non superano il c.d. rumore di fondo
della zona), chi le subisce non è tutelato né attraverso un’azione diretta a
farle cessare, né attraverso un’azione diretta a ristorare il danno
eventualmente subito. Il destinatario delle immissioni è, pertanto, tenuto a
subirle, poiché “tollerate”, rientrando
le stesse nel normale esercizio del godimento di un bene da parte del
proprietario.
Diversamente, se
le immissioni superano la soglia della normale tollerabilità, ma sono
giustificate da esigenze di produzione, tenuto conto dell’uso specifico
dell’immobile da parte del proprietario, chi le subisce non ha il diritto di
farle cessare, ma può, ai sensi dell’art 844, comma 2, c.c. ottenere un
indennizzo per il pregiudizio eventualmente patito.
Qualora, invece,
le immissioni pur superando la soglia della normale tollerabilità, non
risultino giustificate da esigenze di produzione, chi le subisce ha il diritto
di chiederne la cessazione, ovvero il ridimensionamento entro i limiti della
normale tollerabilità, nonché l’integrale risarcimento del danno eventualmente
subito per effetto delle immissioni oltre la soglia.
Orbene, fatta
questa differenziazione, le maggiori difficoltà riscontrate dai giudici di
merito si annidano proprio attorno all’individuazione della soglia di normale
tollerabilità: è proprio tale accertamento, infatti, che determina l’esito
dell’azione e la conseguente corresponsione, a seconda dei casi, del
risarcimento del danno o dell’indennizzo ex art 844 comma 2 c.c..
Invero, già in
altre circostanze, riferite alla tutela di altri diritti ( quali ad esempio, la
salute, l’ambiente, la quiete pubblica) il legislatore si è preoccupato di
sancire variamente dei limiti, il superamento dei quali determina l’esercizio
della rispettiva tutela. Tali limiti, sono stati, nel corso degli anni, presi
come punto di riferimento al fine della determinazione della soglia di normale
tollerabilità delle immissioni, seppur non coincidendovi perfettamente. In
alcuni casi, la giurisprudenza si è espressa nel senso di ritenere che la
violazione dei limiti legali previsti dalla legge in tema di salute, ambiente e
quiete pubblica, importi per ciò solo, l’intollerabilità dell’immissione, anche
rispetto al proprietario del fondo vicino. Così, ad esempio, in tema di
immissioni acustiche, si è utilizzata la disposizione prevista in tema di
inquinamento ambientale, ritenendo superata la soglia di normale tollerabilità qualora
il rumore proveniente dal vicino superi di almeno 3 decibel il c.d. rumore di
fondo.
Altra
giurisprudenza, invece, abbandonando una individuazione aprioristica della
soglia di normale tollerabilità, ha più correttamente ritenuto di valutare
l’intollerabilità dell’immissione sul piano concreto, ossia caso per caso, tenendo conto non solo
del punto di vista del fondo che la subisce, ma anche della più complessa
condizione dei luoghi. In questo senso, il giudice è tenuto a considerare
diversi fattori quali : la destinazione naturalistica e urbanistica dei fondi,
le attività normalmente svolte nella zona, il sistema di vita e di abitudini di
chi vi opera; non rilevano, invece, né le condizioni soggettive di chi utilizza
il fondo, né l’attività da quest’ultimo svolta (si pensi ad esempio a una
guardia notturna che riposa nelle ore diurne e perciò non tollera rumori di una
certa portata).
Una volta
accertato il superamento della soglia della normale tollerabilità, sulla base
dei predetti indici concretamente assunti, il giudice è, altresì, tenuto a
verificare se il superamento di detta soglia sia dovuto all’espletamento di
attività di tipo produttivo. In questi casi, infatti, l’interprete è tenuto ad
operare un bilanciamento tra la tutela della proprietà ( prevista all’art 42
Cost) e la tutela della produzione ( parimenti prevista dalla Costituzione all’art 41). In sostanza, detto
bilanciamento deve tener conto delle conseguenze che l’eventuale cessazione
dell’attività produttiva possa determinare sulla collettività: in altre parole,
nel caso in cui tale cessazione comporti per la collettività un danno maggiore
rispetto al sacrificio imposto ai proprietari del fondo vicino, l’attività non
può essere cessata; per contro, ai proprietari del fondo vicino eventualmente
lesi spetta il solo indennizzo e non l’integrale risarcimento.
La scelta di riparare
il danno da immissioni oltre la soglia per attività produttive attraverso
l’indennizzo e non il risarcimento sembra confermare la tradizionale ( seppur
superata) teoria che ritiene il rimedio indennitario utilizzabile laddove
l’attività che dà origine al danno sia una attività lecita o comunque
autorizzata dall’ordinamento, per cui il danno, sebbene non è percepito come
“ingiusto”, viene comunque ristorato. Diversamente, il risarcimento soccorre nel
caso di attività illecita o, comunque, non autorizzata che determina, perciò,
nei confronti di terzi un danno “ingiusto”. Tale ipotesi si verifica quando il
superamento della soglia della normale tollerabilità non è giustificato
dall’esercizio di un’attività produttiva autorizzata dall’ordinamento ed è
perciò considerato un comportamento illecito.
Occorre tuttavia
precisare che, sia nell’ambito delle attività produttive che nell’ambito delle
attività non produttive, la questione dell’indennizzo/risarcimento va confinata
ai soli danni riferiti al godimento del diritto di proprietà e non ai danni ai
diritti fondamentali quali la salute, l’ambiente, ecc ecc, che certamente
meritano una tutela più pregnante. La disposizione di cui all’art 844 c.c. è,
infatti, preposta esclusivamente alla risoluzione del conflitto tra gli usi che
i proprietari dei fondi confinanti fanno dei rispettivi beni e non alla tutela
dei diritti fondamentali. Pertanto, nel caso in cui l’immissione ( tollerabile
o meno) sia tale da arrecare pregiudizio alla salute dei soggetti stanziati sul
fondo che li subisce o alla salubrità dell’ambiente, opereranno le disposizioni
civilistiche sulla responsabilità di cui agli art 2043 e 2058 c.c. , senza
limiti di sorta. Inoltre, essendo il diritto alla salute un diritto
fondamentale ai sensi dell’art 32 Cost, a tutela di tale diritto il cittadino
potrà sempre esperire l’azione inibitoria di cui all’art 700 c.p.c..
Fatta questa doverosa
premessa,è chiaro che a fronte dell’intollerabilità (accertata dal giudice di
merito) delle immissioni, il soggetto leso può ottenere il risarcimento della
lesione subita.
Il danno risarcibile è sia
il danno patrimoniale che il danno non patrimoniale, oltre al danno biologico.
Il primo si compone del danno
emergente (ossia la perdita subita) e del lucro cessante ( ossia il mancato
guadagno). Rientrano nella voce di danno patrimoniale, ad esempio, la perdita
patrimoniale consistente nelle spese sostenute per provvedere all’isolamento
acustico, ovvero le spese sostenute per limitare le immissioni o, ancora, la
perdita patrimoniale derivante dall’eventuale riduzione dell’attività
lavorativa causata delle esalazioni. Tale voce di danno dovrà essere allegata e
provata, anche attraverso la prova documentale.
Il danno non patrimoniale,
invece, che, ai sensi dell’art 2059 c.c. può essere risarcito nei soli casi
previsti dalla legge, include tutti i pregiudizi non immediatamente
quantificabili in termini economici, quali la sofferenza interiore,
l’invalidità fisica e psichica o il peggioramento della qualità della vita di
una persona. Esso ricomprende, perciò, varie voci di danno quale il danno
biologico, il danno morale, il danno esistenziale, che secondo le note sentenze
della Cassazione del 2008 (le c.d. sentenze di San Martino) non vanno
scomposte, ma unitariamente intese. Ciò al deliberato scopo di scongiurare
automatismi o duplicazioni risarcitorie che svuotino la portata della tutela
risarcitoria, improntata alla sola reintegrazione del danno subito e non anche
ad un ingiustificato arricchimento del danneggiato.
Il danno morale è un danno
soggettivo costituito dalle alterazioni normali di vita del soggetto leso. Esso
è definito dalla giurisprudenza come l’ingiusto turbamento dello stato d’animo
del danneggiato o anche come il patema d’animo o lo stato d’angoscia transeunte
generato dall’illecito.
Il danno esistenziale è,
invece, quel danno che comporta un peggioramento della qualità della vita di relazione
di un soggetto, riconducibile non ad un danno psico-fisico, ma ai valori che
caratterizzano l’esistenza della persona, dal momento che tali danni comportano una compressione
delle attività attraverso cui si realizza la personalità dell’ individuo o la
rinunzia forzata ad occasioni felici.
Infine, il danno biologico
consiste nella menomazione permanente e/o temporanea dell’integrità
psico-fisica della persona, comprensiva degli aspetti personali,
dinamico-relazionali, passibili di accertamento medico legale e indipendentemente da ogni riferimento alla
capacità di produrre reddito.
Il danno biologico viene
spesso accomunato al danno alla salute. In realtà, benché la distinzione tra le
due voci di danno in concreto sia estremamente ardua, esse sul piano
concettuale si distinguono perché il danno biologico consiste nella lesione in
sé per sé considerata ed è un danno evento, mentre il danno alla salute
consiste negli effetti pregiudizievoli per la salute che sono conseguenza della
lesione ed è un danno conseguenza.
Nell’ambito della
risarcibilità del danno da immissioni sonore oltre la soglia della normale
tollerabilità questa distinzione è risultata per lungo tempo evanescente,
giacchè una parte della giurisprudenza intendeva il danno biologico quale danno
alla salute latu sensu. Secondo tale giurisprudenza, nell’ambito delle
immissioni acustiche, il risarcimento del danno non patrimoniale doveva
riguardare non la potenziale lesività del rumore prodotto, ma le sole
conseguenze che il rumore comportava sulla salute psico-fisica del soggetto,
sulla base del nesso di causalità la cui dimostrazione spettava al danneggiato.
In sostanza, secondo tale orientamento, il danno doveva essere escluso, anche
nel caso di attività rumorosa eccedente il limite della normale tollerabilità,
ove mancava la prova di un’effettiva lesione alla salute del molestato. Tale
orientamento si basava prevalentemente sul principio, stabilito dalla
giurisprudenza di legittimità, secondo cui quello che rileva ai fini della
risarcibilità del danno è il danno conseguenza e non il danno evento.
A fronte di tale
orientamento è stato osservato che, in realtà, il grado di intensità del rumore
superiore alla soglia di tollerabilità determina in ciascun individuo reazioni
di diverso tipo (tra cui paura, ira, disperazione) che sebbene non integranti una vera e propria
lesione alla salute sono, comunque, tali da compromettere la capacità del
soggetto di produrre e ricevere le utilità, di qualunque natura, derivanti
dall’attività lavorativa e, in genere, dal mondo esterno. È per tali ragioni
che viene in rilievo una nozione di danno biologico che prescinde
dalla effettiva sussistenza di menomazioni organiche dell’integrità
psicofisica. La Corte di Cassazione, infatti, ha stabilito che per ottenere il
risarcimento del danno non patrimoniale non occorre che il disturbo arrecato
dal frastuono al riposo( diurno e notturno), nonché alla vivibilità
dell’ambiente domestico e all’equilibrio della mente, sconfini necessariamente
in una patologia. Nel caso di immissioni sonore intollerabili, ciò che rileva
non sono le lesioni c.d. organiche all’individuo, ma l’oggettiva capacità del
rumore di travolgere l’equilibrio della persona, intesa come soggetto teso a
realizzare le sue funzioni psichiche, e ad espletare le attività rispondenti
all’esercizio delle sue qualità soggettive e sociali.
Tale orientamento, ad oggi
seguito dalla giurisprudenza maggioritaria, ha ribadito l’importante principio
secondo cui il risarcimento del danno derivante da un fenomeno immissivo
intollerabile non interessa necessariamente il danno alla salute. Posto che
quest’ultimo potrà essere oggetto di ristoro esclusivamente ove concretamente
accertatane la relativa sussistenza, la tutela risarcitoria della vittima
è sostanzialmente sganciata dal danno
alla salute, giacchè il danno che rileva ai fini della risarcibilità è il danno
derivante dalla lesione al normale svolgimento della vita
familiare. Infatti, le immissioni intollerabili, anche in assenza di
specifiche dimostrazioni da parte del danneggiato, possono comunque essere
considerate fonte di compromissioni che vanno a incidere sulle attività
realizzatrici svolte dal soggetto in seno alla propria abitazione.
La giurisprudenza di
legittimità che si è espressa sul punto ha individuato nell’ambito delle
immissioni intollerabili la ricorrenza della lesione del “diritto al normale
svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione e il
diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita
quotidiane”. Tali posizioni, troverebbero garanzia nella stessa Costituzione,
nonché espressa tutela ai sensi dell’art 8 della Convenzione europea dei
diritti dell’uomo.
Sulla base di quanto
affermato dalla Suprema Corte, il giudice ha perciò, la facoltà di liquidare il
danno non patrimoniale sulla sola base dell’esame complessivo della vicenda
oggetto di causa, e pertanto, a prescindere dalla prova del danno biologico
quale danno alla salute psico-fisica del soggetto. La Suprema Corte ha infatti
chiarito che l’assenza di un danno biologico documentato non osta al
risarcimento del danno non patrimoniale conseguente ad immissioni
illecite, purchè siano stati lesi il diritto al normale svolgimento della
vita familiare all’interno della propria abitazione ed il diritto alla
libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, quali
diritti costituzionalmente garantiti e tutelati dall’art. 8 della Convenzione
Europea dei diritti dell’uomo, la prova del cui pregiudizio può essere
fornita anche con presunzioni.
Sulla scorta di quanto
affermato, una volta provato il superamento della soglia di tollerabilità delle
immissioni, il danno non patrimoniale sarebbe sempre risarcibile, anche quando
non sia stata fornita dal danneggiato la prova del danno patrimoniale o del
danno biologico.
Tale assunto è stato
interpretato da una parte della giurisprudenza nel senso di ritenere
configurato il danno non patrimoniale da immissioni intollerabili in re ipsa,
una volta accertato l’illecito superamento della soglia di normale
tollerabilità delle immissioni. In tal caso il danneggiato è sgravato
dell’onere probatorio circa l’esistenza del danno che, essendo diverso dal
danno patrimoniale e dal danno biologico (che pure necessita della prova),
viene desunto dall’accertamento del superamento della soglia di tollerabilità,
senza ricorrere alla prova documentale. Una nota sentenza della Cassazione del
2017, aderendo a tale orientamento, ha affermato espressamente che, una volta accertato
che le immissioni superino la soglia della normale tollerabilità di cui
all’art. 844 c.c., il danno risarcibile da immissioni risulta sussistente
in re ipsa e,
dunque, non abbisogna di una specifica prova. Si tratta, secondo la sentenza in
commento, di un danno non patrimoniale a sé stante, diverso da quello derivante
da lesione del diritto alla salute ed autonomamente qualificabile come danno al
normale svolgimento della vita personale e familiare.
In realtà, la risarcibilità del danno non
patrimoniale in re ipsa impatta con il già citato principio, affermato dalla
giurisprudenza di legittimità, secondo cui ciò che rileva ai fini della
risarcibilità è il solo danno conseguenza che, per essere risarcito, deve
essere necessariamente allegato e provato dal danneggiato.
Sulla scorta di tale considerazione, la Suprema Corte,
pronunciatasi nel 2019, ha ritenuto, contrariamente al suo precedente, che il
danno non patrimoniale da immissioni superiori alla normale tollerabilità non
possa ritenersi sussistente in re ipsa, giacchè identificare il danno con la
lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare e a mantenere
le proprie abitudini di vita tra le mura domestiche, sganciandolo dalla prova
specifica, trasformerebbe il danno de quo in un vero e proprio danno punitivo,
la cui ammissibilità nel nostro ordinamento è, per altro, dibattuta, mancandone
di un’espressa copertura normativa.
Ne consegue che
il danneggiato che ne chieda in giudizio il risarcimento è tenuto a provare di
aver subito un effettivo pregiudizio in termini di disagi sofferti in
dipendenza della difficile vivibilità della casa, potendosi a tal fine avvalere
anche di presunzioni, purchè gravi, precise e concordanti, sulla base di
elementi indiziari (da allegare e provare da parte del preteso danneggiato)
diversi dal fatto in sé dell’esistenza di immissioni di rumore superiori alla
normale tollerabilità.