DESTINAZIONE DELL’IMMOBILE AD ABITAZIONE FAMILIARE E TUTELA DEL PROPRIETARIO

 

 

 

DESTINAZIONE DELL’IMMOBILE AD ABITAZIONE FAMILIARE E TUTELA DEL PROPRIETARIO

Pubblicato il 25/11/2015 autore Silvia Rea

Il concetto di abitazione familiare ricomprende quell’insieme di beni,mobili ed immobili,finalizzati all’esistenza domestica della comunità familiare e alla conservazione degli interessi in cui essa si esprime e si articola.

Esso si riferisce pertanto all’abitazione in cui i coniugi stabiliscono la sede primaria della compagine domestica prescindendo dal titolo da questi vantato sull’immobile, che può essere condotto in locazione, di proprietà di essi coniugi o anche semplicemente concesso in comodato da soggetti terzi.

La casa coniugale diventa ,quindi, il principale strumento attraverso cui i genitori soddisfano le esigenze dei figli atteso che la conservazione e la predisposizione dell’ambiente domestico rientra,comunque, nell’ampio e poliedrico concetto di obbligo di “mantenimento” imposto ai genitori nei confronti dei figli ,ai sensi dell’art. 30 della Costituzione,ancorché nati fuori dal matrimonio.

Dunque,la casa familiare rappresenta uno degli strumenti fondamentali attraverso il quale si sviluppa la vita della famiglia, ciò ha indotto il legislatore ha fornirne una puntuale regolamentazione nel caso in cui intervenga la rottura della vincolo coniugale ( separazione, scioglimento del matrimonio o cessazione dei suoi effetti civili) o comunque la fine della relazione affettiva,in caso di famiglia non fondata sul matrimonio atteso che la tutela della filiazione, a mezzo della casa familiare,prescinde dal vincolo giuridico che lega i genitori.

Invero, con il D.lgs.154/13 il legislatore ha riformato tutti i principali aspetti della filiazione sia per quel che riguarda il rapporto tra genitori e parenti ( nozione di parentela,responsabilità dei genitori, successioni) sia per quel che attiene l’accertamento dello status e le relative azioni al fine precipuo di soddisfare una avvertita esigenza di maggiore attenzione alla tutela e agli interessi della prole.

In particolare,per quanto concerne l’assegnazione della casa familiare l’art. 106 co.1 lett. a) d.lgs.154/13 ha previsto l’abrogazione dell’art. 155 quater c.c.  “assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza”.

Quest’ultimo,di fatto, è stato integralmente riprodotto nell’ambito dell’art. 337 sexies co.1 c.c. e per questa ragione,come  ha giustamente osservato parte della dottrina, molte questioni dibattute riguardo all’interpretazione della disposizione abrogata possono considerarsi ancora attuali.

Ciò vale innanzitutto per la definizione di casa coniugale.

Nei confronti di questa è sostenibile da un lato la nozione soggettiva, cioè quella risultante dall’accordo dei genitori  recepito dal giudice ove non contrario agli interessi dei figli ( art. 337  ter co.2 c.c.) e dall’altro,l’accezione oggettiva definita come il luogo abitativo  fondato solo su criteri di abitualità, stabilità e continuità della dimora pregressa a prescindere da un eventuale accordo in tal senso dei genitori.

Tuttavia, è stato evidenziato che la nuova disposizione non consente di risolvere il problema ampiamente dibattuto in dottrina circa l’individuazione della natura giuridica del bene “casa familiare” con particolare riguardo alla sua qualificazione quale “bene con vincolo di finalizzazione” o “bene destinato ad uno scopo”.

Nel silenzio normativo il fondamento teorico di detta finalizzazione non può quindi neppure fondarsi sul regime di contribuzione solidale ai bisogni della famiglia ( art. 143 co.3 c.c.) o sul principio ad esso sovrastante e costituzionalmente rilevante della solidarietà coniugale ( artt. 29,30,31 Cost.).

Del pari, è stato evidenziato come conformemente alla precedente disposizione ( art. 155 –quater c.c.) all’interno della nuova formulazione il godimento della casa ex art. 337 sexies c.c. è attribuito dal giudice tenendo conto, in via prioritaria,dell’interesse dei figli a permanere nell’habitat domestico.

In ciò,dunque, il d.lgs.154/13 ribadisce nella sostanza la giurisprudenza dominante la quale ritiene che la ratio sottesa all’emanazione del provvedimento in parola sia quella restrittiva.

Pertanto, deve escludersi l’ammissibilità dell’assegnazione a favore del coniuge economicamente più debole in assenza di figli o ancora in presenza di figli maggiorenni ed autosufficienti in quanto ,in tale caso, unico strumento di tutela del coniuge debole è rappresentato dall’assegno divorzile che ha ,perciò, funzione e finalità diversa rispetto all’assegnazione della abitazione coniugale.

Dunque, deve ritenersi che il vincolo funzionale impresso all’abitazione cessa quando viene meno l’elemento strutturale che gli dà la linfa: la coabitazione tra figlio e genitore assegnatario.

Qualche problema può sorgere, invece, con riguardo all’interpretazione della locuzione “dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolamentazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo i proprietà”.

Sul punto appare condivisibile l’orientamento già invalso nel regime precedente secondo cui la norma in esame comporta una riduzione del quantum dell’assegno di mantenimento di cui è titolare il genitore non proprietario dell’abitazione.

Tale disposizione si applica all’ipotesi in cui l’immobile sia di proprietà comune di entrambi i genitori nonchè allorquando il genitore non assegnatario sia titolare di un diritto reale di godimento sull’abitazione, a tal proposito si pensi ad esempio all’usufrutto anche congiuntivo ed alla proprietà superficiaria.

Una questione abbastanza controversa con riferimento alla questione in esame risulta essere il rapporto intercorrente tra l’assegnazione della casa familiare e la tutela delle situazioni giuridiche dei terzi che vantano diritti sull’abitazione ,in particolare il diritto di proprietà.

Non di rado in siffatta situazione si rinviene uno scontro tra due contrapposti interessi,da un lato il diritto dell’assegnatario di garantire la continuità dell’habitat domestico alla prole,dall’altro quello del proprietario che,a seguito del provvedimento di assegnazione, potrebbe vedere inciso il proprio diritto di proprietà.

Ciò accade in particolar modo allorquando il proprietario dell’immobile adibito a casa coniugale è un soggetto terzo rispetto ai coniugi.

È stato osservato che nessuna particolare compromissione del diritto del proprietario si verifica nel caso di casa coniugale concessa in locazione ovvero nell’ipotesi in cui il giudice assegni  la casa familiare al coniuge affidatario della prole non originario intestatario del contratto di locazione.

Ebbene,in questo caso, con il provvedimento di assegnazione della casa familiare il contratto di locazione è ceduto ex lege all’altro coniuge il quale pertanto diventa a tutti gli effetti conduttore dell’immobile in questione

Ne discende che non vi è alcuna costrizione dei diritti del proprietario atteso che la successione del coniuge assegnatario nel contratto di locazione all’altro coniuge non modifica la natura del rapporto e del diritto in base al quale il conduttore detiene la cosa locata ma solo consente a  un soggetto,diverso dall’originario conduttore, di sostituirsi nella titolarità del contratto, rimanendo invariati  i relativi diritti ed assunzione di obblighi che ne derivano.

Maggiori problemi invece si pongono con riguardo ai diritti del terzo  proprietario dell’immobile circa la casa familiare concessa in comodato senza limiti di durata qualora sopraggiunga una crisi del rapporto coniugale.

In tal caso, come di seguito vedremo, si assiste ad una pluralità e diversità di interessi evocati dalla fattispecie in argomento, tutti richiedenti un necessario componimento.

Infatti, da un lato sussistono le esigenze di conservazione e di godimento dell’ambiente familiare e domestico da parte del coniuge assegnatario e soprattutto della prole,dall’altro si rinviene l’interesse del concedente la casa familiare in comodato a non rimanere coinvolto in tali vicende in qualità di terzo, in particolare sotto il profilo dell’impossibilità di ottenere la restituzione dell’immobile.

Onde comprendere le rispettive necessità del comodante e  del comodatario e ,in particolare, la tutela a quest’ultimo riconosciuta è necessario innanzitutto chiarire la natura giuridica del contratto di comodato.

Ebbene, sul punto si è assistito nel corso del tempo ad un vivace dibattito giurisprudenziale che ha visto l’avvicendarsi di diversi e contrapposti interventi giurisprudenziali da parte della Suprema Corte.

Già nel 2004 le Sezioni Unite hanno chiarito che nell’ipotesi di comodato di casa familiare, in caso di separazione o divorzio dei coniugi,il provvedimento di assegnazione dell’immobile  al coniuge affidatario dei figli minori o maggiorenni ma non autosufficienti economicamente, non modifica la natura e il contenuto del titolo di godimento dell’immobile.

Ciò comporta che il godimento del bene in favore dell’assegnatario resta regolato dalla disciplina del contratto di comodato negli stessi limiti che segnavano  il godimento del bene da parte della comunità domestica prima della crisi del rapporto coniugale.

La giurisprudenza ha cercato inoltre di chiarire anche il problema relativo alla determinazione del termine di durata dell’assegnazione della casa familiare ove lo stesso non sia stato espressamente convenuto dalle parti contrattuali al momento della concessione dell’abitazione in comodato.

Sul punto la Suprema Corte ha spiegato che con il comodato di casa familiare si imprime all’immobile un “vincolo di destinazione” alle esigenze abitative della famiglia.

Dunque, il termine di durata del contratto di comodato è ravvisabile nella cessazione del suddetto vincolo ovvero nel raggiungimento dell’indipendenza economica dei figli conviventi con il coniuge assegnatario.

Pertanto,con riguardo alla tutela riconosciuta al comodante ne discende che quest’ultimo nulla può opporre alla detta assegnazione potendo di fatto esercitare il diritto ad esigere la restituzione dell’immobile adibito a casa familiare di cui all’art. 1809 co.2 c.c. solamente ove il comodatario abbia cessato di servirsi del bene o nel caso in cui sopravvenga un imprevisto ed urgente bisogno ad esso comodante.

Orbene, con la cennata sentenza, viene precisata l’importanza della individuazione del “vincolo di destinazione dell’immobile” che perciò deve essere desunto dal giudice di merito mediante una attenta interpretazione della comune volontà della parti.

Perciò, ove le parti abbiano convenuto destinare il bene a casa familiare senza tuttavia prevedere alcun termine, il comodante non potrà chiedere la restituzione ad nutum al coniuge assegnatario essendo di fatto tenuto al rispetto dell’uso stabilito.

Al predetto orientamento non  sono mancate le critiche  di una parte della dottrina la quale,tra le altre cose, ha evidenziato che la soluzione offerta sul tema dalle Sezioni Unite si risolve in una sostanziale “espropriazione” delle facoltà e dei diritti del proprietario concedente l’immobile attesi i numerosi riflessi sulla sfera costituzionale della tutela della proprietà, del risparmio e della sua funzione previdenziale.

In tale crinale interpretativo si inserisce chi propone pertanto la necessità di eseguire una distinzione rispetto ai terzi proprietari concedenti,distinguendo tra coniuge del beneficiario, genitore del beneficiario e terzo estraneo.

Ebbene, sulla scorta di siffatta differenziazione si nota che  per il coniuge del beneficiario la compressione del proprio diritto di proprietà trova fondamento costituzionale nella tutela della famiglia, coniugi e figli, di cui agli artt.29-31 cost. e nella funzionalizzazione della proprietà ,ex art. 42 co.3 cost., a salvaguardia della solidarietà coniugale o post coniugale.

Parimenti, la compromissione delle facoltà del genitore del beneficiario proprietario possono ricondursi all’art. 148 c.c. ( concorso negli oneri) ai sensi del quale i coniugi devono adempiere gli obblighi di cui all’art. 147 c.c. nei confronti dei figli secondo quanto previsto dal nuovo artt. 316 bis c.c. d.lgs.154/13.

Di contro, la medesima compressione delle facoltà dei precedenti proprietari non trova invece fondamento giuridico con riferimento al terzo estraneo.

Recependo le critiche dottrinarie di cui sopra la Suprema Corte nel 2010  si è discostata dai principi enunciati dalle S.U. del 2014  ed ha inquadrato il comodato di casa familiare all’interno della fattispecie del  cosiddetto “comodato  precario” di cui all’art. 1810 c.c. .

In forza di ciò il comodante può richiedere la restituzione immediata dell’immobile senza che assuma rilievo il fatto che lo stesso sia adibito a casa familiare e sia stato assegnato in sede di separazione o divorzio dei coniugi all’affidatario dei figli.

Questa divergente interpretazione risponderebbe perciò ad un corretto contemperamento tra le esigenze del comodatario e quelle del concedente che ,a sua volta, necessita di una adeguata tutela.

A tal proposito è interessante notare come una parte della dottrina ha individuato un equo bilanciamento tra le ragioni del comodante e del comodatario, richiamando la clausola generale della buona fede e della correttezza.

Pertanto, l’esercizio del diritto di restituzione da parte del comodante non potrà porsi in contrasto con le regole di correttezza in executivis di cui all’art. 1375 c.c.

L’auspicata rimeditazione dell’orientamento accolto nel 2004 nei termini di cui sopra, non è però stata condivisa dalle Sezioni Unite che nel 2014 hanno fornito utili ed importanti chiarimenti in ordine alla qualificazione giuridica del comodato familiare, alla sua durata nonché alla tutela del proprietario ed al conseguente diritto alla restituzione dell’immobile.

Ebbene, con riferimento al primo punto la Suprema Corte, onde superare una delle principali critiche mosse al dictum del 2004 che, inquadrando il comodato di casa familiare in un comodato senza termine finiva praticamente per “espropriare” il comodante delle sue facoltà,ha ritenuto di dover giuridicamente collocare il comodato di casa familiare nell’ambito dell’art. 1809 c.c. cosi qualificandolo come “contratto a tempo determinato” o,comunque,per uso che consente di stabilire la scadenza contrattuale per relationem.

L’uso per relationem è quindi individuabile alla luce della destinazione, contrattualmente prevista, dell’immobile a casa coniugale indipendentemente dall’insorgere della crisi coniugale.

Orbene, la posizione del comodante,altrimenti eccessivamente svantaggiata rispetto a quella del comodatario, viene riequilibrata riconoscendogli il diritto, ex art. 1809 c.c., di richiedere la restituzione dell’immobile in caso di sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno.

In secondo luogo, le Sezioni Unite hanno altresì chiarito che relativamente alla durata del comodato di casa familiare il giudice di merito è tenuto ad interpretare l’intenzione delle parti di destinare l’immobile a casa coniugale accertando la sussistenza di un termine finale di godimento del bene.

Ciò comporta la scrupolosa verifica da parte del giudicante dell’intenzione delle parti tenuto conto delle rispettive condizioni economiche , della natura dei loro rapporti e degli interessi perseguiti.

Viene inoltre chiarita la distribuzione degli oneri probatori imposti alle parti contrattuali e quindi stabilito che,nel caso in cui  al coniuge separato affidatario della prole venga opposta la restituzione dell’immobile, questi ha l’onere di provare la pattuizione attributiva del diritto di godimento.

Di contro, sul piano processuale, spetta al comodante proprietario dell’immobile che invoca la cessazione del comodato, la prova del fatto costitutivo del diritto, dimostrando il raggiungimento del termine prefissato.

In altre parole, al comodante è demandato l’onere di dimostrare che sono cessate le esigenze che hanno giustificato la destinazione dell’immobile a casa familiare.

Le Sezioni Unite hanno perciò perimetrato il comodato di casa familiare all’interno della fattispecie codicistica di cui all’art. 1809 c.c.  e quindi secondo lo schema contrattuale del “comodato a tempo determinato”.

Da qui discendono anche tutta una serie di conseguenze circa i diritti del comodante connessi alla restituzione del bene.

Difatti, al concedente, in forza di quanto stabilito dall’art. 1809 c.c., è precluso l’esercizio del recesso ad nutum e può esclusivamente richiedere la restituzione dell’immobile in caso di “urgente e impreveduto bisogno”.

Le Sezioni Unite, tra l’altro,nella richiamata pronuncia  hanno spiegato che,essendo in gioco i valori della persona, in particolare le esigenze della prole, è necessario da parte del giudice operare massima attenzione al controllo di proporzionalità ed adeguatezza nella valutazione del bisogno fatto valere dal comodante con la domanda di restituzione.

Ebbene, parte della dottrina ha evidenziato come la disciplina di cui agli artt. 1809 e 1810 c.c. potrebbe, alla luce dell’interpretazione accolta dalle Sezioni Unite, sollevare alcuni dubbi con riferimento al comodato di casa familiare concessa da soggetto diverso dai coniugi.

Invero, si potrebbe rilevare un contrasto innanzitutto con gli artt. 3 e 42 della Costituzione in virtù del fatto che il comodante, sebbene estraneo alle obbligazioni che fanno capo ai coniugi,  resta vincolato a tempo sostanzialmente indeterminato  e a titolo gratuito.

Parimenti è stato indicato un possibile conflitto anche con gli artt. 3 e 42 Cost. in quanto sembra irragionevole che mentre il locatore della casa coniugale subisce la successione ex lege nel contratto di locazione del coniuge assegnatario continuando a percepire il canone e restando utilmente legittimato ad alienare efficacemente l’immobile a terzi, al comodante della casa coniugale non solo  non è assicurato alcun reddito  ma gli è sostanzialmente preclusa l’utile dismissione del suo diritto dominicale atteso che nessuno avrà interesse ad acquistare un bene da cui non potrà trarre alcun vantaggio per un periodo di tempo indeterminabile.

Ebbene, la dottrina più avveduta ha evidenziato che tali dubbi di legittimità costituzionale sono stati efficacemente fugati proprio dai principi enunciati dalle Sezioni Unite nel 2014 attesa la valorizzazione da queste operata del ruolo della volontà delle parti in ordine alla destinazione a casa familiare impressa con il contratto di comodato.

In altre parole, al giudice è stato demandato l’importante compito  di accertare positivamente la volontà effettiva e non presunta delle parti e quindi anche del terzo proprietario di imprimere all’immobile concesso in comodato la destinazione a casa familiare.

Per evidenziare come sia attuale e sempre problematico il tema del rapporto tra l’assegnazione della casa coniugale e la tutela del terzo – proprietario che vanta diritti sul bene, si precisa che una recente sentenza della giurisprudenza di legittimità  ( 24838/14),dopo essersi sostanzialmente conformata all’indirizzo espresso dalle S.U. del 2014, ha precisato che il comodatario ha diritto a proseguire il rapporto  per tutto il tempo per il quale si protraggono le esigenze familiari solamente nel caso in cui sia “inequivocabile” e certo che il rapporto abbia avuto origine in vista di una tale destinazione.

Orbene,in un’ottica di rinnovata attenzione anche verso le esigenze di tutela del terzo- proprietario è stato ,quindi, chiarito che nel caso di dubbio in ordine all’interpretazione della volontà dei contraenti, bisogna scegliere la soluzione  più favorevole alla cessazione del vincolo atteso che la posizione contrattuale di chi si impegna gratuitamente deve essere considerata con benevolenza ed indulgenza maggiori rispetto a chi si impegna dietro corrispettivo.

Sul tale punto la recente giurisprudenza di legittimità si è in parte discostata  dalla lettura fornita dalle Sezioni Unite del 2014 (che invece ha circoscritto in modo assai preciso il diritto al  rilascio riconosciuto al comodante) ed ha fornito un’interpretazione  dell’art. 1809 c.c. più largheggiante,in particolare per quanto concerne l’interpretazione del “bisogno” sottostante il diritto alla restituzione, ovvero maggiormente favorevole alle ragioni del terzo proprietario.

Tutto ciò, in una evidente ottica di contemperamento delle differenti esigenze sia esistenziali sia economiche che interessano da un lato i membri della comunità familiare dall’altro i soggetti terzi che vantano,rispettano a tale bene, diritti ed aspettative parimenti degni di tutela giuridica.

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