IL DIRITTO DI RECESSO NEI CONTRATTI DEI CONSUMATORI: IN PARTICOLARE L’IMPATTO SUGLI EFFETTI TRASLATIV
IL DIRITTO DI RECESSO NEI CONTRATTI DEI CONSUMATORI: IN PARTICOLARE L’IMPATTO SUGLI EFFETTI TRASLATIVI
Pubblicato il 21/04/2016 autore Silvia Rea
Il nostro ordinamento, in aderenza al code Napoleon e, prima ancora, alla tradizione dello ius honorarium, attribuisce al contratto forza di legge tra le parti ( art. 1372 co.1 c.c.).
Dunque,effetto immediato e diretto della conclusione dell’accordo è la nascita di un vincolo impegnativo per i contraenti e irretrattabile se non per mutuo dissenso o per altre cause ammesse dalla legge.
Ebbene, nel quadro complessivo delineato dall’art. 1372 co.1 c.c. l’istituto del recesso si staglia quale eccezione al principio di inscindibilità unilaterale del vincolo contrattuale.
Esso, infatti, rappresenta uno strumento di modificazione del contratto e consiste in un atto recettizio mediante il quale si estrinseca il diritto potestativo attribuito ad una o ad entrambe le parti di sciogliere il rapporto negoziale.
Orbene,prima di procedere all’esame nello specifico del recesso consumeristico si rende necessario una analisi generale dell’istituto de quo onde meglio comprendere le peculiarità che lo caratterizzano e differenziano rispetto al recesso esercitato dal consumatore nell’ambito del cosiddetto “secondo contratto”.
Innanzitutto, sempre in via generale il recesso va distinto da altri strumenti quali la revoca e la rinunzia diretti, a loro volta, ad incidere unilateralmente su preesistenti atti negoziali.
Difatti,mentre il recesso influisce sul rapporto, la revoca, invece, incide su un precedente atto ( si pensi alla revoca della proposta contrattuale ex art. 1328 c.c.) facendo,cosi,in modo che non si producano gli effetti.
Tra le altre cose, si evidenzia che la revoca, incidendo sull’atto, non può che avere portata retroattiva mentre il recesso, incidendo sul rapporto,può produrre effetti sia ex nunc che ex tunc.
Parimenti, l’istituto de quo si differenzia anche dalla rinuncia atteso che, mediante detto atto,il soggetto dismette una situazione giuridica attribuitagli da un precedente rapporto.
Il legislatore del 1942 ben conscio della forza derogativa del recesso rispetto alla indissolubilità del vincolo contrattuale ha ritenuto che il detto istituto avesse carattere “eccezionale” e fosse, addirittura, “pericoloso” .
Tant’è che la clausola standard che lo prevede a favore del predisponente è stata inserita tra quelle onerose di cui all’art. 1341 co.2 c.c..
In realtà, attenta dottrina, ha evidenziato che il recesso rappresenta uno strumento fisiologico di sistemazione degli interessi contrattuali attraverso il quale si opera un necessario bilanciamento tra il principio di irrevocabilità della volontà contrattuale e quello della inammissibilità dei vincoli perpetui alla libertà dei singoli.
Invero,a seconda della fonte che lo prevede, è possibile distinguere tra recesso legale o convenzionale.
In pratica, il recesso non solo è previsto dal legislatore in numerose norme sui singoli contratti ma è altresì uno strumento a disposizione dell’autonomia privata per definire, anche in deroga alla disciplina codicistica, presupposti, modalità e conseguenze del suo esercizio.
Orbene, l’art. 1373 c.c. distingue,nell’ambito del recesso convenzionale, tra contratti ad esecuzione istantanea e contratti di durata.
Per quanto riguarda la prima categoria, l’istituto del recesso è considerato ammissibile solo per i contratti ad esecuzione differita ovvero, quelli in cui almeno una operazione deve eseguirsi in un momento successivo alla conclusione del contratto.
In tal ultimo caso, il codice prevede,espressamente, l’ammissibilità del recesso a condizione che “il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione”.
La ratio di detto limite temporale,cosi come imposto dal legislatore ,stà nel fatto che l’esecuzione della prestazione o, ancora, l’accettazione della controprestazione sono condotte incompatibili con la volontà di recedere.
Di contro, con riferimento ai contratti di durata,l’art. 1373 co.2 c.c. distingue tra quelli ad esecuzione continuata o periodica.
Si tratta di contratti caratterizzati dal fatto che almeno una delle due prestazioni non si esaurisce in una operazione o in un unico fatto.
Per questa categoria negoziale il legislatore ha statuito che la facoltà del recesso può essere esercitata “anche successivamente” .
In questo caso il recesso opera con efficacia ex nunc.
Ciò significa che il rimedio in parola non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione.
Come avremo modo di osservare mentre il recesso consumeristico è necessariamente gratuito quello convenzionale può essere anche a titolo oneroso.
Di talché, si parla di multa penitenziale nel caso in cui il contraente si limiti a promettere che, qualora si avvalga della facoltà di recere, darà all’altra parte una data somma di denaro; il pagamento sarà quindi necessario affinchè il recesso produca i suoi effetti.
Differente dalla multa è poi la caparra penitenziale di cui all’art. 1386 c.c..
In tal caso, al momento della stipula del contratto, una parte versa all’altra una somma di denaro come corrispettivo della riconosciuta facoltà di recesso e, pertanto, senza che questa sia ancora esercitata.
Qualora a recedere sia l’altra parte questa sarà tenuta a corrispondere alla prima il doppio di quanto dovuto.
Come detto, la fonte del recesso può essere anche di tipo legale.
In quest’ultimo caso, con riferimento ad alcuni contratti tipici è lo stesso legislatore a contemplare la facoltà di recesso per una o per entrambe le parti.
Dunque, il recesso diventa espressione di un principio generale, quello della inammissibilità dei vincoli perpetui e pertanto è contemplato con riguardo a quei rapporti per i quali non è stabilito un termine finale.
Il recesso ordinario è anche definito come recesso ad nutum in quanto si riconosce,ad uno o entrambi i paciscenti, la facoltà di recedere in qualsiasi momento, a propria discrezione e ,quindi, sulla scorta di valutazioni normalmente insindacabili.
Tuttavia,alla stregua di qualsiasi diritto potestativo esso va esercitato nel rispetto del principio di buona fede e correttezza e, quindi, onde salvaguardare l’altrui affidamento,deve essere osservato un congruo termine di preavviso.
Il recesso ordinario si atteggia quindi a principio generale di necessaria temporaneità del vincolo negoziale.
Ciò comporta che non è consentito alla parte derogare attraverso patti che non ne consentano l’esercizio.
Ne discende che, eventuali clausole negoziali che escludessero o ostacolassero il diritto di recesso nei rapporti a tempo indeterminato, sarebbero da ritenersi nulle per contrarietà all’ordine pubblico.
Oltre al recesso legale ordinario si distingue il recesso legale straordinario.
Si tratta di un potere di scioglimento unilaterale, circoscritto ai contratti a tempo determinato, che numerose disposizioni attribuiscono ad uno o ad entrambi i contraenti in presenza di una “giusta causa” o giustificato motivo”.
In realtà, il legislatore,mediante l’utilizzo di formule c.d. elastiche,ha voluto ricomprendere una molteplicità di fattori sopravvenuti idonei a ledere,anche in via meramente potenziale,l’interesse vantato dalla parte alla prosecuzione del rapporto.
Tali eventi non devono essere necessariamente “straordinari” o “imprevedibili” essendo queste caratteristiche richieste esclusivamente in caso di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta.
Sempre con riferimento al recesso legale la dottrina distingue, in base alla funzione svolta, tra recesso determinativo, di autotutela, e di pentimento.
Nel primo caso il recesso ha la funzione di colmare in via integrativa la lacuna del contratto sulla sua durata atteso che, come già detto, il nostro ordinamento non ammette vincoli indissolubili e pertanto impossibili da sciogliere.
A sua volta il recesso di autotutela è diretto a fronteggiare quelli che sono i vizi originali o sopravvenuti del contratto che concretizzano un’alterazione dell’equilibrio contrattuale inizialmente voluto, anche a prescindere dal comportamento tenuto dalle parti.
Il nostro ordinamento contempla varie ipotesi di recesso di autotutela.
Si pensi fra tutte all’art. 1464 c.c. che prevede in caso di impossibilità sopravvenuta parziale della prestazione la riduzione del prezzo o il recesso.
Per quanto invece concerne il recesso di pentimento ( c.d. jus poenitendi) si evidenzia che tale forma è contemplata rispetto ad alcuni contratti di durata in modo da consentire,ad ognuno o entrambi i contraenti,di sciogliersi da un vincolo contrattuale a lungo termine in forza di una semplice personale valutazione della convenienza.
Detta tipologia di recesso, pur non dovendo essere motivata, è normalmente onerosa.
Ad esempio, l’art. 1671 c.c. che disciplina il recesso dal contratto appalto prevede che il committente può recedere dal contratto anche iniziato, ma dovrà tenere indenne l’appaltatore delle spese già sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno.
In generale, tale forma di recesso riguarda soprattutto i contratti aventi ad oggetto un facere e si tratta di ipotesi in cui il recesso è si immotivato ma comunque controbilanciato dal pagamento di un prezzo.
Secondo parte della dottrina il recesso di pentimento codicistico cui si è fatto riferimento non può considerarsi come ius poenitendi in senso stretto atteso che il vero e proprio recesso di ripensamento è riscontrabile solamente all’interno della disciplina consumeristica .
Il legislatore negli ultimi anni ha fatto sovente ricorso all’istituto del recesso nella materia consumeristica in particolare con riguardo a due fattispecie contrattuali ovvero i contratti conclusi al di fuori dei locali commerciali e quelli conclusi a distanza.
Entrambe le fattispecie in parola si caratterizzano per le particolari modalità di conclusione del negozio.
Invero, con riguardo al primo gruppo si è osservato che si tratta di contratti che si contraddistinguono per modalità di vendita particolarmente aggressive che lasciano sorgere il sospetto che il consumatore sia stato indebitamente vittima di tecniche di seduzione commerciale particolarmente invasive o pericolose da parte del professionista.
Mentre, per quanto concerne il secondo gruppo si tratta dei contratti a distanza, cioè di quei contratti conclusi, fra i vari mezzi, tramite fax, mail e siti internet e per i quali si ritiene che non vi sia stato un giusto scambio di informazioni o comunque, vista la particolare modalità di conclusione, una ridotta ponderazione degli interessi da parte del contraente debole.
Tradizionalmente il recesso nell’ambito del cosiddetto “secondo contratto”( ovvero,quello tra consumatore e professionista, caratterizzato da una disuguaglianza che nasce da un’asimmetria informativa in danno della parte debole ) è tradizionalmente inteso quale forma di tutela unidirezionale in favore del consumatore.
Tuttavia, come è stato osservato da un’attenta dottrina l’importanza accordata all’istituto in parola dal legislatore,prima comunitario e poi nazionale ,si è spinta sino a far si che esso rappresenti una forma di garanzia anche in favore del professionista.
Ciò in quanto lo jus poenitendi avrebbe il merito di dissolvere il velo di diffidenza dei consumatori nei confronti della contrattazione di massa e, quindi, ad invogliarli alla conclusione di detti negozi.
In particolare la disciplina del recesso consumeristico ha subito profonde modifiche a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs.n. 21/14 il quale, a sua volta, ha recepito la Direttiva UE 2011/83/CE, ed è oggi regolata agli artt. 52-59 del codice del consumo.
Si tratta di un diritto di ripensamento libero ( privo di motivazione), gratuito, formale ( sottoposto a specifiche modalità di forma e comunicazione stabilite dal legislatore) e da far valere entro un lasso temporale piuttosto ristretto.
Dette caratteristiche fanno sì che il recesso sia considerato una tecnica di protezione del contraente debole.
Espressione di ciò sarebbe,innanzitutto, il fatto che il consumatore non è tenuto ad esternare la motivazione della sua scelta di recedere, né tantomeno questo è tenuto al pagamento di alcunché in funzione della libera determinazione di sciogliere il vincolo contrattuale.
Altrimenti opinando ne discenderebbe un’attenuazione della tutela immaginata per la parte debole del negozio.
Tale discrezionalità non può tuttavia essere intesa in termini assoluti fino al punto di legittimare abusi.
Lo ius poenitendi non può infatti ritenersi sottratto ai principi generali del nostro ordinamento in tema di abuso del diritto, come espressione del principio di buona fede e del principio di solidarietà di cui all’art. 2 cost..
In particolare l’art. 52 del codice del consumo,cosi come modificato dal citato decreto legislativo, ha accordato al consumatore un periodo di quattordici giorni per recedere da un contratto concluso a distanza o fuori dai locali commerciali e, come detto, ha espressamente previsto che in capo al consumatore non gravi nessun obbligo neppure economico.
Viene,inoltre,chiarito che il termine di cui sopra inizia a decorrere differentemente a seconda del tipo di contratto in oggetto per cui, in caso di contratto di servizi dal giorno della conclusione del medesimo mentre , ad esempio, nell’ipotesi di contratti di vendita dal giorno in cui il consumatore o un terzo acquisisce il possesso fisico del bene.
Sempre in un’ottica di valorizzazione degli obblighi informativi che incombono in capo al professionista nell’ambito della fattispecie del c.d. secondo contratto, si è stabilito che qualora questi non fornisca al consumatore informazioni “chiare” e “comprensibili” circa la facoltà di attivare il diritto de quo il periodo di recesso viene prolungato in favore della parte debole per un periodo di “dodici mesi dopo la fine del periodo di recesso iniziale” ( art. 53 co.1 cod. cons.).
Il codice del consumo, inoltre, cosi come modificato dal d.lgs. 21/14,prescrive che prima della scadenza del periodo di recesso il consumatore deve informare il professionista della sua decisione di esercitare il diritto di ripensamento.
Ciò può avvenire sia mediante l’utilizzo di specifici moduli allegati al codice sia mediante una manifestazione esplicita della volontà di avvalersi del predetto diritto ( art. 54 codice cons.) ciò in linea con il principio della libertà della forma espresso dalla direttiva 2011/84/Ce.
Il secondo comma dell’art. 54 precisa, inoltre, che il recesso si intende validamente esercitato purchè la relativa comunicazione sia inviata al consumatore prima della scadenza del periodo di recesso, indipendentemente dal fatto che la ricezione avvenga in un momento successivo.
Il consumatore è ,quindi, tenuto al riparo da eventi che fuoriescono dalla sua sfera di controllo a patto che sia in grado di provare di aver esplicitato la propria volontà di sciogliere il vincolo contrattuale prima della scadenza del termine normativamente predeterminato.
Dunque,il legislatore ha chiarito che l’onere della prova relativa all’esercizio conforme del diritto di recesso grava in capo a colui che intende avvalersene, ovvero il consumatore.
Tra le altre novità introdotte dal d.lgs.21/14 vi è il novellato art. 55 del codice del consumo il quale disciplina gli effetti del recesso nei contratti a distanza o negoziati fuori dei locali commerciali.
La richiamata disposizione conferma la scelta legislativa di tenere distinti gli effetti solutori e liberatori connessi alla dichiarazione di recesso del consumatore da quelli relativi alle obbligazioni che sorgono con il recesso nel caso in cui il contratto abbia già avuto inizio o completa esecuzione.
Difatti, l’art. 55 del codice del consumo si limita a disciplinare lo scioglimento delle parti dagli obblighi derivanti dal contratto concluso o dalla proposta contrattuale mentre gli obblighi scaturenti dal recesso vengono disciplinati dagli articoli 56 e 57.
Per quanto riguarda l’impatto del recesso sugli effetti traslativi particolari considerazioni devono essere mosse con riferimento ai contratti ad effetti reali.
Difatti il codice del consumo , contrariamente a quanto previsto nei contratti in tema di multiproprietà, per i quali la legge vieta qualsiasi forma di corresponsione da parte del professionista,prima che sia interamente decorso lo spatium deliberandi,ammette l’esecuzione delle reciproche prestazioni medio tempore.
Tant’è che lo stesso art. 52 co. 3 del cod. cons. stabilisce espressamente che le parti “possono adempiere ai loro obblighi contrattuali durante il periodo di recesso”.
In conseguenza di quanto detto si vengono a delineare una serie di questioni in primis con riguardo alla allocazione del rischio per la perdita o il danneggiamento fortuito del bene durante lo spatium delibendi e, in secondo luogo, con riferimento alla opponibilità del recesso ai terzi.
Per quanto attiene al primo profilo si sono andate profilando due differenti teorie.
Una parte della dottrina, prendendo le mosse dalla logica di tutela sottesa a tutte le discipline consumeristiche e ritenendo di scindere dalle vicende della proprietà quelle del perimento fortuito del bene , ha affermato l’imputabilità del rischio in capo al professionista.
Di contro, un differente indirizzo ha ritenuto che il rischio del perimento fortuito del bene vada allocato in capo al consumatore conformemente alle regole che disciplinato i contratti aventi efficacia reale e al dogma res perit domino di cui all’art. 1465 co.1 c.c.
Quindi, impossibilitato alla restituzione, per il sopravvenire di fattori fortuiti il consumatore non potrebbe avvalersi efficacemente del recesso.
Tuttavia,detta teoria non è andata esente da dubbi, in particolare con riguardo alla compatibilità dell’istituto del recesso con la regola di cui all’art. 1376 c.c. che accorda effetti reali ai contratti traslativi.
Nel dettaglio non è chiaro se il recesso intervenga a fronte di un contratto già concluso o a fronte di un contratto in via formazione e che ,perciò, verrebbe a perfezionarsi solo se spirato il termine il consumatore decida di non avvalersi del diritto di ripensamento.
La dottrina prevalente ritiene che lo jus poenitendi , lungi dall’inserirsi in una logica di fattispecie a formazione progressiva , interverrebbe a contratto ormai posto in essere.
In pratica, nell’ambito della materia consumeristica con riguardo ai contratti che hanno ad oggetto il trasferimento di una cosa determinata l’esercizio della facoltà di scioglimento unilaterale giunge sempre dopo che il contratto ha avuto esecuzione e l’effetto traslativo si è prodotto.
Quanto detto sembra essere confermato anche dal tenore del novellato art. 55 del codice del consumo che, di fatto, attribuisce efficacia ex nunc al recesso, e dall’all’art. 52 co.3 del cod. consumo il quale,come accennato, riconosce,espressamente,alle parti del contratto la possibilità di adempiere ai propri obblighi durante il periodo di recesso.
Quanto detto induce,quindi,ad attribuire in capo al consumatore la responsabilità per le vicende che interessano il bene entro lo spatium deliberandi riconosciuto alla parte debole.
In secondo luogo, il recesso ha degli effetti anche con riferimento all’opponibilità dello stesso ai terzi.
Quali terzi coinvolti nella vicenda del recesso potrebbero venire in considerazione i creditori delle parti e gli aventi causa dell’acquirente.
Ebbene, la dottrina prevalente in linea con il principio secondo il quale il recesso consumeristico ha efficacia ex nunc ritiene che nel caso in cui il consumatore alieni a terzi il bene , l’esercizio del diritto di recesso determina un conflitto la cui risoluzione è garantita dalla regola di cui all’art. 1153 c.c. ( effetti dell’acquisto del possesso).
Nell’ipotesi di conflitto tra contraenti e creditori, l’irretroattività del recesso comporta che, qualora i creditori del consumatore acquirente sottopongano a pignoramento il bene oggetto del contratto prima dell’esercizio del recesso, ovvero successivamente, ma prima della riconsegna al professionista, la soluzione del conflitto dovrà ricercarsi nel disposto degli artt. 2913 e 2914 c.c.
Sempre nell’ambito del recesso consumeristico un particolare accenno merita anche la disciplina del recesso riferita alla multiproprietà ,di cui all’art. 73 e 74. del codice del consumo.
Dalla lettura delle citate disposizioni,l’una riguardante il diritto di recesso in generale l’altra dedicata alla modalità di esercizio e agli effetti se ne ricava che la tutela del consumatore risulta indubbiamente ampliata.
La ratio del diritto di ripensamento riconosciuto al consumatore nell’ambito dei contratti di multiproprietà si differenzia da quella che sottende a tale riconoscimento in altri settori della normativa di tutela del consumatore.
Non è infatti l’aggressività della sollecitazione che giustifica ( come nelle vendite a distanza o fuori dai locali commerciali)la disciplina del recesso.
Invero, in questo caso,il fondamento della tutela deve rintracciarsi anche nella complessità della formule contrattuali utilizzate, spesso laboriose ed articolate nonchè nella difficoltà di comprendere la natura del diritto che viene acquistato.
In particolare, l’art. 73 del codice del consumo prevede,espressamente,la facoltà del consumatore di esercitare il diritto di ripensamento dal contratto definitivo o dal contratto preliminare.
Di particolare rilevanza sono poi i comma terzo e quarto dell’art. 74 dedicati agli effetti del recesso nell’ambito in questione.
Ebbene, dopo aver precisato che il diritto di recesso pone fine all’obbligo delle parti di eseguire il contratto, si precisa che il consumatore che recede, non sostiene alcuna spesa, non è tenuto a pagare alcuna penalità né è debitore del valore corrispondente all’eventuale servizio reso prima.
Quest’ultima previsione prende in considerazione l’ipotesi in cui le parti pattuiscano un adempimento immediato dell’obbligo del venditore, consentendo in tal modo all’acquirente il godimento dell’immobile anteriormente allo spirare del termine per l’esercizio del diritto di recesso.
L’intento è quindi quello di ampliare al massimo la tutela del consumatore e di tutelare la libertà di scelta di quest’ultimo in maniera tale da consentirgli una serena ponderazione sulla convenienza e l’opportunità dell’acquisto senza quei condizionamenti di natura economica che, inevitabilmente, deriverebbero dal dover corrispondere somme di denaro al venditore.
È chiaro, quindi, che nella materia consumeristica al disequilibrio procedimentale si ritiene di sopperire rendendo forte il contraente debole il quale viene trasformato in arbitro del destino del contratto già concluso ove il consumatore decida di avvalersi del diritto potestativo che la legge eccezionalmente gli conferisce.
In questo modo, il recesso del consumatore agisce sugli effetti ma reagisce a fattori turbativi che, di fatto, risalgono al procedimento di formazione del contratto.