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INTERESSE NON PATRIMONIALE DEL CREDITORE NELLE OBBLIGAZIONI E DANNO DA VACANZA ROVINATA ALLA LUCE DEL NUOVO CODICE DEL TURISMO

 

INTERESSE NON PATRIMONIALE DEL CREDITORE NELLE OBBLIGAZIONI E DANNO DA VACANZA ROVINATA ALLA LUCE DEL NUOVO CODICE DEL TURISMO

Pubblicato il 27/05/2015 autore Paola Montone

La rilevanza dell’interesse non patrimoniale del creditore trova espresso riconoscimento all’interno dell’articolo 1174 c.c., dettato in materia di obbligazioni in generale.

Suddetta disposizione, infatti, prescrive come la prestazione obbligatoria debba avere carattere patrimoniale e “deve corrispondere a un interesse, anche non patrimoniale, del creditore”.

Il legislatore prescinde da una valutazione sul contenuto dell’obbligo, rilevando la circostanza per cui l’adempimento della prestazione sia in grado di soddisfare l’interesse creditorio, in assenza del quale il vincolo giuridico perderebbe il proprio carattere di serietà e soprattutto non potrebbe essere considerato meritevole di tutela.

In particolare, l’interesse creditorio deve sussistere al momento della costituzione del rapporto obbligatorio, ma anche nella fase dell’inadempimento dell’obbligazione medesima.

Confermativa dell’assunto è la previsione di cui all’ultimo comma dell’articolo 1256 c.c., che prescrive l’estinzione dell’obbligazione quando “il creditore non ha più interesse a conseguire” la prestazione anche nell’ipotesi in cui la stessa sia divenuta solo temporaneamente impossibile per una causa non ascrivibile al debitore.

Ma anche laddove l’obbligazione trovi la propria fonte nel contratto, non può non evidenziarsi come il legislatore riconosca la più ampia autonomia contrattuale ai pasciscenti nella conclusione di contratti atipici, purché gli stessi siano finalizzati a soddisfare “interessi meritevoli di tutela” alla stregua del secondo comma dell’articolo 1322 c.c..

Nello stesso senso, è interessante notare come per l’ordinamento sia valida anche la stipulazione di un contratto che sortisca effetto a favore di terzi, subordinando la validità dell’operazione negoziale all’interesse dello stipulante. Infine, finanche nella fase di patologia contrattuale, la valutazione dell’importanza dell’inadempimento ai fini della risoluzione del contratto deve tenere conto dell’interesse della parte non inadempiente.

Ciò posto, la circostanza per cui l’articolo 1174 parli espressamente di interesse, anche non patrimoniale, del creditore non consente automaticamente di affermare che in caso di lesione di suddetto interesse sia configurabile un danno di natura non patrimoniale, soprattutto se lo stesso derivi da un inadempimento contrattuale.

Difatti, la tutela dell’interesse non patrimoniale del creditore sembrerebbe trovare espresso riconoscimento solo nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, alla stregua della previsione di cui all’articolo 2059 c.c., che riconosce espressamente la risarcibilità del danno non patrimoniale, anche se nei soli casi previsti dal legislatore.

L’impossibilità di riscontrare un’analoga disposizione all’interno della materia contrattuale ha portato parte della dottrina ad escludere la risarcibilità della lesione di un interesse non patrimoniale causativo di un danno, quando siffatto danno derivi dall’inadempimento di un contratto.

In particolare, se è vero che l’articolo 1174 c.c. fa riferimento alla natura dell’interesse creditorio, che ben può essere anche non patrimoniale, purché comunque valutabile da un punto di vista economico, siffatta disposizione non sembra occuparsi affatto della tipologia di danno risarcibile. Inoltre, come già accennato, l’articolo 2059 c.c. è sintomaticamente contenuto all’interno del titolo IX del libro sulle obbligazioni, concernente i fatti illeciti e quindi il modello della responsabilità aquiliana e non quella contrattuale. Nel corpo normativo dedicato ai contratti in generale, dunque, non è riscontrabile una disposizione simile a quella dell’articolo 2059 c.c. che, per di più, contiene una chiara affermazione del principio di tipicità vigente in materia di risarcibilità dei danni non patrimoniali.

La circostanza per cui siffatta posta di danno possa essere risarcibile nei soli casi previsti dalla legge costituirebbe proprio un’espressa causa ostativa alla possibilità di estenderne l’applicazione anche alla materia contrattuale. Ciò era tanto più vero alla stregua dell’orientamento dottrinale e giurisprudenziale anteriore alle affermazioni di principio elaborate dalla Corte di Cassazione nel 2003 e poi nel 2008 con le note sentenze di San Martino.

Difatti, prima della riscontrata necessità di procedere ad un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 2059 c.c., se ne circoscriveva l’ambito applicativo, oltre alle specifiche ipotesi previste dal legislatore, alla fattispecie del danno morale da reato, quale pretium doloris conseguente alla commissione di un fatto di reato, alla stregua del contenuto dispositivo dell’articolo 185 c.p., non a caso considerabile anch’esso un’espressa previsione legislativa di risarcibilità del danno non patrimoniale.

     Rimaneva esclusa la risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento contrattuale, sia alla stregua di un’interpretazione restrittiva dell’articolo 2059 c.c. ma soprattutto alla luce dell’articolo 1321 c.c. ed in considerazione della funzione strettamente economica assolta dallo strumento contrattuale, di regolamentazione di rapporti giuridici aventi mera natura patrimoniale.

     L’applicazione di siffatta tesi determinava, però, un diverso grado di tutela dell’interesse non patrimoniale del creditore a seconda che tale interesse trovasse la propria fonte in un rapporto contrattuale od extracontrattuale, con una conseguente disparità di trattamento ingiustificata. Per tentare di mitigare l’iniziale presa di posizione assunta dalla dottrina sul punto, la giurisprudenza ha progressivamente ammesso la possibilità di cumulare l’azione di risarcimento del danno ex articoli 1223 e seguenti c.c., derivante dall’inadempimento o dal ritardo nell’adempimento delle obbligazioni contrattuali e che trova la propria giustificazione nella lesione dell’interesse patrimoniale del creditore, con quella di risarcimento del danno ex articoli 2043 c.c.. Si è sostenuto, infatti, che accanto al contenuto proprio del programma negoziale dedotto nel contratto è ben possibile assistere alla violazione di obbligazioni generalmente riconducibili al canone del neminem laedere ed afferenti alla sfera degli interessi di natura non patrimoniale del creditore.

Questa differente impostazione giurisprudenziale è strettamente correlata all’avvenuto riconoscimento della categoria del contatto sociale qualificato, ossia di quel rapporto contrattuale di fatto che comporta l’assolvimento di obblighi di protezione nei confronti non solo del beneficiario della prestazione ma anche nei confronti di particolari soggetti terzi rispetto al rapporto obbligatorio, il cui interesse è meritevole di tutela, al pari di quello del soggetto creditore, alla stregua del principio di buona fede e soprattutto di quello di affidamento.

L’assolvimento di obblighi di protezione sono stati ravvisati, ad esempio con riferimento al rapporto paziente-medico all’interno del contratto di spedalità, che può ritenersi stipulato con l’azienda ospedaliera al momento dell’accettazione stessa del paziente, ovvero con riferimento alla responsabilità della pubblica amministrazione in caso di violazione dell’interesse legittimo all’adozione non solo di un provvedimento espresso ma soprattutto entro i termini prestabiliti dalla legge.

In queste ipotesi non può non evidenziarsi la sussistenza di un interesse non patrimoniale, riconosciuto meritevole di tutela in considerazione del contenuto obbligatorio derivante proprio da quel contatto sociale qualificato, che giustifica la circostanza per cui il soggetto faccia affidamento nella tutela di un proprio interesse che ha chiara natura non patrimoniale.

È soltanto con la prospettazione di una nuova interpretazione dell’articolo 2059 c.c. che si giunge, però, a ritenere pienamente tutelabile la lesione dell’interesse non patrimoniale del creditore derivante dall’inadempimento contrattuale per il tramite del riconoscimento della tutela risarcitoria, quale strumento minimale di protezione dell’interesse, che dev’essere sempre accordata a prescindere dalla fonte dell’obbligazione.

Infatti, la lettura costituzionalmente orientata dell’articolo 2059 c.c., come consacrata dalle sentenze gemelle del 2008, consente oggi di affermare la risarcibilità del danno non patrimoniale, oltre che nei casi previsti dalla legge e dell’ipotesi del danno morale da reato, anche in presenza della lesione di interessi costituzionalmente tutelati ed afferenti la persona umana. Risarcibile, però, non è la lesione in sé, quanto le conseguenze derivanti dalla lesione dei diritti inviolabili, ai quali viene data tutela solo se trovano riconoscimento all’interno della Carta Costituzionale, di guisa che ea varie poste di danno non patrimoniale, da quello morale soggettivo a quello esistenziale fino ad includere quello parentale, catastrofale o tanatologico, hanno una mera valenza descrittiva, configurandosi un solo danno non patrimoniale.

In particolare, la limitazione della risarcibilità al danno-conseguenza si giustifica non solo in considerazione del contenuto dispositivo di cui all’articolo 1223 c.c. che postula la risarcibilità del danno che sia “conseguenza immediata e diretta” dell’evento lesivo, rappresentato dall’inadempimento, ma anche tenendo presente la funzione del sistema della responsabilità civile, che non ha una finalità punitiva quanto piuttosto una finalità compensativa, a fronte delle conseguenze della lesione ingiustamente patite da un soggetto.

Partendo dalla prospettiva per cui il danno non patrimoniale non perde la sua tipicità nel momento in cui la tutelabilità dell’interesse di parte è comunque subordinata all’accertata violazione di un diritto fondamentale avente copertura costituzionale, allora si deve ritenere che è indifferente la circostanza per cui la violazione dell’obbligo trovi la propria fonte in un rapporto contrattuale ovvero extracontrattuale.

Il rischio dell’adesione a tale tesi, però, è quello di allargare a dismisura le maglie di tutela dell’interesse non patrimoniale, visto che, in ogni caso, s’impone un giudizio di meritevolezza di tutela, un po’ come avviene al fine di dare ingresso nel nostro ordinamento a tipologie contrattuali atipiche ex articolo 1322, comma secondo, c.c..

Eppure questo aspetto è stato preso in considerazione dalla giurisprudenza del 2008 che ha sapientemente fatto ricorso ad alcuni parametri di riferimento, al dichiarato scopo di contenere il fenomeno delle liti bagatellari.

Sulla base dei principi di solidarietà sociale e di tolleranza, per come ricavabili alla stregua del contenuto dispositivo dell’articolo 2 Cost., non tutti i danni non patrimoniali possono essere risarciti, in specie quelli che si sono risolti in meri fastidi o disappunti personali. Occorre, pertanto, che il danno sia serio, nel senso che deve superare la soglia di tollerabilità minima che comunque deve conformare l’esistenza di ogni essere umano e che la lesione presenti un carattere di gravità tale da escludere la risarcibilità di un pregiudizio  marginalmente incidente sulla sfera personale del soggetto.

Questo correttivo all’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 2059 c.c. consente, dunque, di affermare la risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento contrattuale. Tale soluzione giuridica rinviene, oggi, un preciso referente normativo non solo nell’articolo 1174 c.c., che contempla espressamente la possibilità che la prestazione corrisponda ad un interesse non patrimoniale del creditore, ma anche negli articoli del codice civile citati in premessa, che, nel conferire rilevanza all’interesse del creditore, non distinguono tra interesse patrimoniale e interesse non patrimoniale del creditore.

L’assunto troverebbe, poi, un’ulteriore conferma nell’articolo 1218 c.c. laddove, ancora una volta, il legislatore, nel disciplinare il regime di responsabilità del debitore in caso di inadempimento dell’obbligazione, prescrive l’obbligo del risarcimento del danno, senza limitare l’ambito applicativo della disposizione alla risarcibilità del solo danno non patrimoniale.

Ciò posto ed evidenziato l’iter giurisprudenziale che ha gradatamente condotto a ritenere risarcibile il danno non patrimoniale da inadempimento contrattuale, occorre ora soffermarsi su una particolare tipologia di danno non patrimoniale, rappresentato dal danno da vacanza rovinata.

L’espressione è stata utilizzata in maniera pedissequa dal legislatore del 2011, che, nell’approvare il codice del turismo, disciplina, difatti, la risarcibilità di tale voce di danno.

Prima di approfondire il contenuto del pregiudizio oggetto di tutela ed i presupposti applicativi per la risarcibilità di siffatta voce di danno non patrimoniale, importa premettere come la disciplina sui servizi turistici era originariamente contenuta all’interno del Codice del consumo agli articoli 82 e seguenti del D.lgs. 206 del 2005.

La forte spinta comunitaria ad una maggior tutela dei soggetti che usufruiscono dei servizi turistici ed in modo particolare dei servizi collegati alla vendita di un pacchetto turistico “tutto compreso” ha portato il legislatore a riunificare tutta la disciplina concernente il mercato del turismo all’interno di un unico corpo normativo, il codice del turismo per l’appunto. Il legislatore del 2011 ha innovato l’originario assetto normativo contenuto nel Codice del consumo proprio con la previsione di cui all’articolo 47 del codice del turismo.

La previsione della risarcibilità del danno da vacanza rovinata e la particolare dizione utilizzata dal legislatore per qualificare questa voce di danno rappresentano, in realtà, la trasposizione della precisa presa di posizione assunta dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea che, per prima, è giunta a riconoscere la risarcibilità del danno morale correlato all’impossibilità da parte del turista di godere del tempo di relax, proprio della vacanza.

Così ricostruita la genesi dell’articolo 47 del codice del turismo è interessante evidenziare come il legislatore abbia definito il danno da vacanza rovinata come quel danno conseguente al mancato godimento del “tempo di vacanza” nonché “all’irripetibilità dell’occasione perduta”. Dunque, l’espressione danno da vacanza rovinata ricomprende, da un punto di vista descrittivo, tanto il danno morale, legato alla mancata realizzazione di un progetto di vacanza per il quale sono state spese risorse economiche, energie e nel quale erano state risposte aspettative di relax, tanto il danno biologico, per lesione dell’integrità psico-fisica.

Il fondamento legittimativo della previsione in esame risiede nella considerazione per cui il fisico umano necessita di periodo di riposo e di svago rispetto alla routine di vita lavorativa che determina elevati livelli di stress, i quali hanno un’incidenza negativa non solo sul profilo della produttività, ma soprattutto sul benessere psichico della persona.

In tal senso, a conferma dell’importanza dell’equilibrio psico-fisico del lavoratore, si pone anche l’articolo 36 della Costituzione che, non a caso, prescrive il diritto al riposo settimanale ed a ferie retribuite, ai quali non è possibile rinunciare.

Ne consegue che l’impossibilità, anche solo parziale, di usufruire del periodo di svago e relax, secondo le modalità prospettate dal contratto del turismo organizzato ed a causa del mancato o inesatto adempimento delle obbligazioni assunte con la vendita del pacchetto turistico, trasforma quello che originariamente doveva essere un momento di distensione e di svago in un’occasione perduta.

Orbene, presupposti applicativi dell’articolo 47 sono la fruizione di un pacchetto turistico e dunque di un servizio turistico tutto compreso, alla stregua dell’articolo 34 del codice del turismo, e il mancato o inesatto adempimento delle obbligazioni assunte dall’organizzatore di viaggio e dall’intermediario con la vendita del pacchetto turistico.

In particolare, il mancato adempimento si configura quando il turista non ha proprio potuto usufruire del pacchetto turistico per un motivo che, in tesi, non dev’essere imputabile alla condotta colposa del turista medesimo. L’inesatto adempimento, poi, trova espressa definizione legislativa alla stregua dell’articolo 43 del codice del turismo che fa riferimento a quelle “difformità degli standard qualitativi del servizio promessi o pubblicizzati”, che, una volta venduto il pacchetto turistico, vengono a costituire delle espresse condizioni contrattuali pienamente vincolanti per la parti, che possono essere oggetto di modifica unilaterale solo nelle ipotesi previste dall’articolo 41 del codice, con salvezza di tutta un serie di facoltà e diritti esercitabili.

Tra questi si inscrive proprio il diritto al risarcimento del danno da vacanza rovinata, la cui richiesta viene legittimata solo a fronte di un inadempimento di non scarsa importanza.

Infatti, il richiamo espresso operato dall’articolo 47 del codice del turismo all’articolo 1455 c.c. potrebbe apparire improprio, considerato che l’importanza dell’inadempimento assurge, nel codice civile, a criterio giudiziale per valutare l’accoglibilità o meno della domanda di risoluzione di parte, volta, cioè, ad incidere sulla validità del contratto e non sul profilo risarcitorio, come avviene, invece, nel codice del turismo.

In realtà, la previsione si inscrive nella logica di tutelare l’interesse non patrimoniale del creditore nei limiti in cui l’inadempimento o l’inesatto adempimento ne abbiano realmente pregiudicato la soddisfazione, in linea, cioè, con i limiti posti dalla giurisprudenza di legittimità alla risarcibilità del danno non patrimoniale.

Così configurato il nuovo quadro legislativo prospettato dal codice del consumo, occorre chiedersi se il principio della risarcibilità del danno non patrimoniale da vacanza rovinata poteva trovare ingresso nel nostro ordinamento prima della previsione di cui all’articolo 47 del codice del consumo. In verità, tenendo in considerazione le coordinate ermeneutiche fatte proprie dalle sentenze gemelle del 2008 e soprattutto la postulata irrilevanza della fonte del rapporto obbligatorio ai fini del riconoscimento della configurabilità e connessa risarcibilità del danno non patrimoniale, deve ritenersi che già prima del 2011 il danno da vacanza rovinata poteva trovare tutela, in quanto espressione di un danno non patrimoniale da inadempimento contrattuale.Tale affermazione di principio poteva essere giustificata non soltanto valorizzando il contenuto dispositivo di cui all’articolo 1174 c.c. ma soprattutto tenendo in considerazione la causa del contratto di vendita di pacchetto turistico, alla luce della moderna concezione della causa in concreto.

In tal senso, il superamento di una visione meramente patrimonialistica dei rapporti giuridici contrattuali e la crescente rilevanza accordata alla persona, quale parte del contratto attraverso il quale vengono trasfusi interessi di diretta pertinenza della stessa, ha condotto a rimeditare la tradizionale visione della causa quale mera funzione economico-sociale.

La visione della causa in concreto, infatti, importa una disamina più stringente sul contenuto contrattuale, al fine di individuare qual è l’interesse reale che le parti hanno inteso perseguire attraverso il ricorso a quella particolare tipologia di contratto o anche per il tramite della conclusione di contratti atipici se ritenuti meritevoli di tutela dall’ordinamento.

In tal senso, la valorizzazione della causa quale funzione economico-individuale consente anche di esaltare l’importanza dell’interesse non patrimoniale dedotto dalla parte all’interno dello strumento contrattuale e di chiarire all’interprete l’esatta portata del concetto di inadempimento e di importanza dello stesso. Si intende alludere alla circostanza che solo una volta individuata la causa in concreto del contratto, sarà possibile affermare la sussistenza di un inesatto adempimento, il quale, dunque, potrà essere definito tale solo prendendo in considerazione gli interessi trasfusi nel contratto.

Ora, è evidente che alla stregua della concezione della causa in concreto del contratto, è innegabile come la causa del contratto di vendita di un pacchetto turistico sia permeata da quella finalità turistica che contraddistingue un interesse non patrimoniale a godere di un meritato periodo di vacanza e che spinge il turista a stipulare proprio quella particolare tipologia di contratto del turismo organizzato, avente ad oggetto un pacchetto turistico tutto compreso.

Se, dunque, già alla luce della teorica della causa in concreto era possibile affermare la risarcibilità del danno non patrimoniale, il profilo innovativo della previsione espressa di un danno da vacanza rovinata si individua nella circostanza per cui il legislatore ha espressamente correlato la configurazione e la risarcibilità di un danno non patrimoniale ad un inadempimento contrattuale, consentendo di generalizzare l’applicabilità anche in ambiti diversi da quelli del codice del turismo.

In tal senso, un’ulteriore questione giuridica correlata alla previsione di cui all’articolo 47 del codice del consumo consiste proprio nella verifica della possibilità di estenderne l’applicazione oltre l’ambito dei pacchetti turistici espressamente presi in considerazione dall’articolo medesimo.

Se, alla stregua delle considerazioni sin ora articolate, si assume la possibilità di risarcire la particolare categoria del danno non patrimoniale nell’ipotesi in cui esso derivi causalmente da un inadempimento contrattuale, allora si deve rispondere positivamente al quesito in oggetto, pur con una serie di precisazioni.

Si tratta, ancora una volta, di far riferimento a quei filtri posti dalla giurisprudenza di legittimità alla risarcibilità del danno non patrimoniale e consistenti nella valutazione della serietà della lesione e della gravità del danno, che consentono di selezionare i danni risarcibili nella misura in cui la lesione dell’interesse della parte sia risultata concretamente offensiva ed abbia superato i limiti di tolleranza minima imposti dal principio di tolleranza.

Stando così le cose, l’espressa risarcibilità del danno da vacanza rovinata da inadempimento di un contratto di vendita di pacchetti turistici non rivestirebbe carattere di specialità quanto di applicazione di un principio generale, che, con riferimento alla materia del turismo, è stato trasposto in una disposizione legislativa espressa a tutela di una parte contrattuale più debole, il turista, rispetto all’altra rappresentata dall’organizzatore o dall’intermediario di viaggio ed in considerazione dell’assenza non solo di una parità formale tra le parti ma anche di una parità sostanziale, vista la mancanza di una vera e propria trattativa sul contenuto del contratto di vendita del pacchetto turistico.

L’espressa tipizzazione del danno da vacanza rovinata comporta, poi, un indubbio vantaggio prabatorio per il soggetto turista, il quale, fermi i presupposti applicativi indicati dallo stesso articolo 47 del codice del turismo, dovrà limitarsi a dimostrare l’inadempimento o l’inesatto adempimento dell’organizzatore od intermediario di viaggio, in quanto è lo stesso legislatore che presume derivanti dalla condotta illecita dei suddetti soggetti danni di carattere non patrimoniale.

Al di fuori del presupposto applicativo dell’articolo 47, laddove, cioè, si contesti l’inadempimento di un contratto di turismo non avente ad oggetto un pacchetto turistico tutto compreso, il soggetto che faccia richiesta del risarcimento del danno non patrimoniale dovrà allegare, oltre alla circostanza dell’inadempimento, anche quella della lesione di un interesse di natura non patrimoniale che rappresenta la causa in concreto del contratto e che merita tutela risarcitoria alla luce del combinato disposto degli articoli 1174, 1123 e 2059 c.c., per come messo in correlazione dalla giurisprudenza con l’articolo 2 Cost..

In conclusione, la disamina della previsione del danno da vacanza rovinata di cui all’articolo 47 del nuovo codice del turismo e l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 2059 c.c. confermano la rilevanza della valutazione dell’interesse non patrimoniale e la sua tutelabilità anche e soprattutto quando lo stesso sia stato trasfuso nella causa in concreto del contratto.

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