La natura giuridica del diritto all’oblio ed i suoi controversi rapporti con il diritto di cronaca
di Gabriella Teta
L’evoluzione dell’ordinamento statale si è sempre mossa nel senso di valorizzare tanto la partecipazione del singolo alla vita della comunità di appartenenza, nella consapevolezza dei benefici della vita associata, quanto la tutela della sfera personale dell’individuo, l’insieme dei suoi diritti e dei suoi interessi, con esclusione della collettività.
Per tali motivi si trovano anche a livello costituzionale previsioni che garantiscono la massima tutela dell’iniziative collettive a cui ciascuno ha diritto di partecipare (artt. 15 e 18 Cost.), affiancate comunque da norme invece volte alla tutela dei luoghi e degli interessi personali di ciascun individuo, tra le quali l’art. 14 Cost. sull’inviolabilità del domicilio, l’art. 15 sulla libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra comunicazione e soprattutto l’art. 13 Cost. che sancisce l’inviolabilità della libertà personale genericamente intesa.
In particolare queste ultime norme contribuiscono alla delineazione dei limiti esterni della sfera di personale di ciascun individuo che, dunque, acquisisce rilevanza propria al punto da riconoscere un vero e proprio diritto alla riservatezza, inteso, in una accezione ampia, come il diritto alla non diffusione delle informazioni relative alla propria personalità ed individualità, essendo connesse alle proprie caratteristiche personali più intime. Si tratta di un diritto che entra così nel novero delle diritti fondamentali dell’individuo anche grazie alla previsione aperta di cui all’art. 2 Cost.
I caratteri del diritto alla riservatezza sono stati via via delineati anche mediante una lettura delle norme costituzionali da ultime citate contestualizzata al progresso storico, socio-culturale e tecnologico, il quale infatti ha fornito la società di strumenti il cui utilizzo è idoneo a pregiudicare tali libertà se non adeguatamente regolamentato.
Si comprende dunque come il suddetto diritto alla riservatezza assume fondamentalmente due sfaccettature principali, poiché appunto esso si estrinseca sia nel diritto ad escludere gli altri dalla propria sfera personale, sia come diritto di disporre dei propri dati e informazioni personali, di gestire la loro diffusione o meno, che finisce quindi con l’assumere le caratteristiche di quello che è stato definito come un vero e proprio diritto all’oblio, come si vedrà a breve.
Proprio l’esigenza di fornire una maggior tutela di entrambi questi aspetti del diritto alla riservatezza ha spinto il legislatore nazionale, e anche quello sovranazionale, a compiere diversi interventi normativi, volti da un lato a fornire una definizione del diritto alla riservatezza e, dall’altro lato, a regolamentare l’utilizzo dei dati personali per l’assolvimento di specifiche funzioni, decretando quindi i criteri per bilanciare il diritto alla riservatezza con altri diritti di pari rango.
Sul punto si deve citare in primo luogo il decreto legislativo n. 196 del 2003 recante il Codice in materia di protezione dei dati personali (da qui anche Codice Privacy o cod. Privacy) il quale si pone come finalità primaria quella di garantire che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, rispettando la dignità dell’interessato e ponendo particolare attenzione alla riservatezza, all’identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali (art. 2 cod. Privacy).
Il suddetto codice prescrive, tra i suoi principi attuativi, quello di necessità del trattamento dei dati, ponendosi quindi come obiettivo quello di ridurre l’utilizzo dei dati personali, escludendolo quando sia possibile realizzare le finalità ad essi connessi attraverso altre modalità (art. 3 Cod. privacy).
Di rilievo è anche la circostanza che attraverso il codice sulla privacy il legislatore abbia provveduto a individuare diverse categorie di dati sulla base delle sfere della personalità coinvolte, per poi provvedere a regolamentare in modo diverso il loro trattamento e l’accesso agli stessi.
Più precisamente è possibile individuare, in primo luogo, una serie di dati personali che possono essere definiti come ordinari (ricomprendono tutte quelle informazioni relative ad una persona fisica, identificata o identificabile, tra le quali si collocano anche numeri identificativi e quei dati che consentono una identificazione diretta dell’interessato (art. 4 lett. b) e c) cod. Privacy)), i dati c.d. sensibili, i quali riguardano l’origine etnica e razziale, le convinzioni religiose, filosofiche e politiche di un soggetto, la sua adesione a partiti o associazioni e, infine, i dati c.d. supersensibili essendo gli stessi idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale dell’interessato, i quali risultano quindi essere strettamente connessi all’intimità di ciascuno.
Accanto a questi si collocano poi i dati giudiziari, cioè quelli idonei a rivelare la sottoposizione del soggetto a provvedimenti adottati da un’autorità giudiziaria e connessi quindi alla applicazione di sanzioni amministrative e penali, oltre che alla assunzione della qualifica di imputato o di indagato in un procedimento penale (art. 4 c. 1 lett. e) cod. privacy).
Così individuate le principali categorie di dati riferibili ad un individuo il codice regolamenta, con le dovute diversità, il loro trattamento, cioè tutte le operazioni, compiute anche attraverso ausili informatici, concernenti la raccolta, la conservazione, la consultazione, l’estrazione, la diffusione, l’integrazione ma anche la cancellazione e la distruzione degli stessi (art. 4 c. 1. Lett. a) cod. privacy).
Dall’elenco delle operazioni che integrano il trattamento dei dati si evince chiaramente la distinzione rilevabile all’interno del generico diritto alla riservatezza, e tracciata in apertura del presente elaborato, potendosi infatti identificare attività che riguardano la raccolta e la diffusione, ma anche quelle che integrano un vero e proprio diritto all’oblio, cioè il diritto ad escludere l’ulteriore circolazione dei dati, potendo l’interessato richiedere la cancellazione o la distruzione degli stessi qualora non siano più idonei a soddisfare le originarie finalità che hanno determinato il loro trattamento.
Si delineano così i contorni di un diritto specifico, il diritto ad essere dimenticati, a non vedere ulteriormente diffusi dati afferenti la propria sfera personale, non potendo pretendersi una esposizione continua nel tempo di tali informazioni ove le stesse siano già state acquisite dalla collettività, avendo le stesse già soddisfatto le finalità assolte mediante la loro trattazione.
Dunque ai sensi dell’art. 7 c. 3 codice privacy l’interessato può richiedere la cancellazione dei propri dati, o la loro trasformazione in forma anonima, o comunque il blocco dei dati trattati in violazione della legge, includendovi quei dati originariamente raccolti, e diffusi, per il soddisfacimento di interessi riconosciuti dalla legge.
Il legislatore dunque riconosce che possa cessare l’utilità della raccolta e della diffusione di alcuni dati relativi all’individuo, potendo venire meno anche l’interesse che questi dati conducano alla specifica identificazione dell’interessato, ammettendo quindi la possibilità di provvedere alla cancellazione degli stessi che quindi non saranno più nella disponibilità di soggetti diversi dall’interessato.
Dunque in questi termini il diritto all’oblio assume una forma pretensiva, potendo l’interessato avanzare una richiesta al soggetto titolare del trattamento per ottenere dallo stesso la cancellazione o il blocco dei dati, ma esso può essere declinato anche in senso oppositivo, come previsto al comma 4 dell’art. 7 cod. privacy.
Detta norma sancisce appunto il diritto dell’interessato di opporsi, in tutto o in parte, sia al trattamento dei dati personali, anche qualora gli stessi si configurino pertinenti allo scopo per i quali dovrebbero essere raccolti (lettera a) comma citato), sia al trattamento di dati personali per fini pubblicitari o ricerche di mercato (lettera b) comma citato). In questo modo l’interessato può evitare che i suoi dati vengano sottoposti ad una qualsiasi operazione, configurandosi quindi come una opposizione anche preventiva, al contrario invece della cancellazione, di cui all’art. 7 c. 3 citato, che interviene sempre successivamente all’inizio del trattamento.
La disciplina del diritto alla riservatezza, anche intesa come diritto all’oblio, è venuta in rilievo anche recentemente con l’emanazione del Regolamento Ue 679 del 2016 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (da qui anche Regolamento Ue o Gdpr), che espressamente definisce il diritto alla protezione dei dati personali come diritto fondamentale (art. 1) e che si pone come la normativa fondamentale in tema di trattamento dei dati personali.
Al pari di quanto previsto dal legislatore nazionale, anche nel regolamento Ue vengono individuate diverse categorie di dati, i quali potranno essere trattati esclusivamente in conformità ai limiti e ai principi previsti dall’art. 5 del regolamento stesso, stabilendo in primo luogo la necessità che il trattamento si svolga in modo lecito, trasparente e corretto.
Successivamente si stabilisce il principio della limitazione delle finalità, sancendo appunto che la raccolta dei dati debba avvenire per finalità esplicite e legittime, che possono anche essere scientifiche e statistiche, connesse in ogni caso all’interesse pubblico, aggiungendo che i dati dovranno essere strettamente pertinenti e limitati a quanto necessario per garantire il rispetto delle finalità suddette (art. 5 lett. a) e b) gdpr).
Le finalità per le quali si procede al trattamento dei dati sono fondamentali anche per la determinazione degli interventi di adeguamento, cancellazione e rettificazione degli stessi, in quanto in ogni momento deve essere garantita l’esattezza dei dati rispetto agli scopi perseguiti, oltre che per la delimitazione della durata del trattamento (art. 5 lett. d) ed e) gdpr).
Infatti il regolamento Ue pone il principio della limitazione della conservazione, legittimando dunque l’interessato a richiedere la cancellazione dei proprio dati, in attuazione del proprio diritto all’oblio, qualora sia superato l’arco di tempo individuato come necessario per il soddisfacimento delle finalità perseguite con il trattamento dei suoi dati, riconoscendo la possibilità della prosecuzione del trattamento solamente qualora rilevi per scopi di archiviazione per interesse pubblico, di ricerca scientifica o storica, o a fini statistici.
Il diritto all’oblio in questi casi può essere garantito sia attraverso la cancellazione, sia attraverso l’adozione di adeguati strumenti tecnici che consentano di trattare i dati in forma anonima o attraverso pseudonimi, consentendo così che l’interessato non venga identificato (art. 89 c. 1 gdpr).
In ogni caso forma principale di attuazione del diritto all’oblio è costituita dalla possibilità per l’interessato di richiedere la cancellazione dei propri dati al titolare del trattamento, come previsto dall’art. 17 gdpr, oltre che nei casi in cui sia decorso il tempo utile per il soddisfacimento delle finalità sottese al trattamento degli stessi, anche qualora il trattamento sia avvenuto in modo illecito, o ancora quando venga meno il consenso dell’interessato e comunque in tutti quei casi in cui sussiste un obbligo giuridico di cancellazione dei dati previsto a livello di normativa europea o nazionale.
Come già visto nel codice della privacy, anche nel regolamento europeo il diritto all’oblio viene primariamente declinato nella sua forma pretensiva, riconoscendo all’interessato il diritto alla cancellazione dei dati al ricorrere di determinate condizioni, ma a questa facoltà si affianca anche la previsione del diritto all’opposizione al trattamento dei dati, che consente all’interessato di impedire, in qualsiasi momento, il trattamento dei propri dati ai sensi dell’art. 21 gdpr.
Così descritto il diritto all’oblio, inteso quindi come diritto ad impedire che i propri dati siano sottoposti a tempo indeterminato ad operazioni da parte di terzi ove le finalità del trattamento siano già state soddisfatte, si deve notare come esso, sia nel codice della privacy che nel regolamento europeo, sia venuto in considerazione nell’ambito di un giudizio di bilanciamento con altri interessi.
Infatti se da un lato si è visto che il trattamento è sottoposto al limite della finalità, che incide anche sulla sua durata, dall’altro lato il legislatore, sia nazionale che europeo, non ha trascurato di considerare come alcuni dati personali possano rilevare per la realizzazione di interessi pubblici, superando quindi la dimensione strettamente personale dell’interessato per soddisfare interessi della collettività, eludendo così il requisito della limitazione nel tempo del trattamento stesso.
Per tale motivo sia nel codice della privacy che nel regolamento europeo vengono individuati dei diritti che devono essere necessariamente bilanciati con il diritto all’oblio dell’interessato, risultando ad esso prevalenti per espressa previsione di legge, in quanto appunto posti a presidio di finalità di pubblico interesse.
In particolare l’art. 17 gdpr al comma 3 individua i casi in cui il diritto all’oblio non può essere esercitato, non potendo dunque procedersi alla cancellazione dei dati, riconoscendo lo stesso soccombente qualora si contrapponga al diritto alla libertà di espressione e informazione, o ancora quando il trattamento sia svolto nell’adempimento di un obbligo giuridico o per l’esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse, o se i motivi di pubblico interesse siano di carattere sanitario o riguardino l’esercizio del diritto di difesa, oltre comunque alle già citate finalità di ricerca di cui all’art. 89 gdpr.
Tra le ipotesi considerate prevalenti rispetto al diritto di oblio si colloca quindi un’altra libertà individuata come fondamentale sia dal regolamento, sia dalla nostra Costituzione, cioè la libertà di espressione e di informazione, prevista dall’art. 21 Cost., la quale si estrinseca nei diritti di cronaca e di critica idonei a soddisfare sia un’esigenza individuale, quanto un interesse collettivo, nei termini che ora si dirà.
In particolare si deve considerare come nel nostro ordinamento il diritto di cronaca sia stato oggetto di specifica attenzione, soprattutto in ambito penale, nel tentativo di definire i limiti dello stesso, nella consapevolezza che la libertà di espressione necessita di essere sottoposta a specifici limiti affinché non si realizzino lesioni di altri diritti fondamentali dell’uomo, ma che tali limitazioni non possono degenerare in forme di censura, idonee queste anche a precludere la circolazione di informazioni rilevanti per la collettività.
Per tali motivi la giurisprudenza è giunta a definire il diritto di cronaca come il diritto di narrare fatti rilevanti per la collettività, diffondendo tali informazioni tra i consociati purché siano rispettate peculiari condizioni, ovvero la verità dell’informazione fornita, la pertinenza della stessa e la continenza delle espressione utilizzate.
Più esattamente si ritiene che il diritto di cronaca sia espressione della libertà di cui all’art. 21 Cost., escludendo anche la rilevanza penale della condotta, solamente qualora il soggetto che lo esercita abbia in primo luogo verificato la veridicità dell’informazione che si accinge a diffondere, incombendo sullo stesso il dovere di non diffondere informazioni false e non verificate.
Al requisito della veridicità si deve aggiungere che l’informazione deve inoltre essere pertinente, deve quindi essere idonea a soddisfare un interesse pubblico attuale, essendo la collettività interessata a conoscere quei fatti in quel dato momento storico, anche in considerazione dei soggetti coinvolti.
Infine l’esercizio del diritto di cronaca è legittimo se a tali caratteri di veridicità e pertinenza si aggiunge anche quello della continenza, dovendo l’informazione essere diffusa con un linguaggio moderato e non offensivo, essendo ammesso il ricorso al turpiloquio solamente ove esso rappresenti il fatto, vero e pertinente, oggetto della cronaca (si pensi ad esempio ai recenti interventi della Cassazione sulla responsabilità del giornalista che riporta l’intervista diffamatoria del politico).
Si precisa che il citato requisito della veridicità dell’informazione è richiesto esclusivamente qualora ci si trovi in presenza dell’esercizio del diritto di cronaca, proprio per la finalità informativa da esso assolta, mentre invece non viene individuato come condizione per l’esercizio del diritto di critica. Quest’ultimo, infatti, in quanto espressione soggettiva dell’autore non può connotarsi come verità oggettiva, essendo sufficiente accertare la pertinenza e la continenza dell’opinione espressa, che in quanto tale è soggettiva e non oggettiva, ma deve comunque concernere argomenti di interesse pubblico attuale, oltre che essere esplicitata in termini moderati.
Dunque ove si accerti che ricorrano tutti gli elementi necessari al fine di qualificare come correttamente esercitato il diritto di cronaca esso deve essere considerato prevalente rispetto al diritto all’oblio, così come sancito dall’art. 17 c. 4 lett. a) del regolamento Eu, che nel giudizio di bilanciamento tra diritto alla cancellazione e la libertà di espressione e di informazione privilegia quest’ultima. Pertanto qualora l’utilizzo dei dati personali dell’interessato avvenga nel rispetto dei limiti del diritto di cronaca esso risulterà legittimo, potendo quindi essere negata la cancellazione dei dati richiesta dall’interessato, in nome della realizzazione di una finalità pubblica prevalente correlata alla conoscenza di quei fatti.
Tuttavia si può porre la questione di come contemperare i principi della limitazione della conservazione dei dati e della limitazione della finalità (art. 5 gdpr), posti a fondamento del diritto all’oblio, con il diritto di cronaca ora visto.
Più precisamente ci si può domandare se il diritto di cronaca legittimamente esercitato sia sempre da considerare prevalente rispetto al diritto all’oblio, anche quando l’informazione fornita faccia ricorso a dati personali la cui utilizzazione e diffusione avvenga oltre il limite di tempo entro il quale il trattamento era destinato a realizzare le sue finalità. Il problema si pone, dunque, quando venga utilizzato nuovamente un dato che è già stato oggetto di trattamento, ad esempio perché già inserito in fatti di cronaca, e che quindi è già stato acquisito dalla collettività essendo già soddisfatto il fine ultimo della sua diffusione, poiché da questo nuovo trattamento del dato potrebbe derivare un danno alla reputazione e all’immagine dell’interessato.
Si pensi, a titolo esemplificativo, alla riproposizione nella cronaca di fatti penalmente rilevanti a molti anni di distanza dallo svolgimento degli stessi, i quali siano già stati oggetto di diffusione nella immediatezza degli eventi. Si comprende come il soggetto interessato, il quale potrebbe aver intrapreso un percorso di reinserimento sociale a seguito della esecuzione della pena inflittagli, potrebbe essere danneggiato dalla nuova diffusione delle informazioni concernenti i fatti penalmente rilevanti ad esso attribuiti e già resi noti in passato, potendo risultare invece carente l’attualità dell’interesse collettivo a conoscere degli stessi.
Secondo un primo orientamento il diritto di cronaca non può prevalere sul diritto all’oblio qualora sia decorso un arco di tempo tale da far ritenere che l’utilizzo del dato personale non sia più idoneo a soddisfare la finalità per la quale era già stato sottoposto a trattamento (perché appunto già realizzata), salvaguardando così i principi di cui all’art. 5 gdpr.
Ritiene questo orientamento che qualora per il soddisfacimento della libertà di informazione si faccia ricorso a dati personali risalenti nel tempo si verrebbe ad invadere indebitamente la sfera personale del soggetto, il quale sarebbe a tempo indeterminato sottoposto all’accesso ai propri dati, violando il suo diritto all’oblio. Inoltre, aggiunge, verrebbe meno lo stesso requisito della pertinenza dell’informazione oggetto di cronaca, poiché non è ravvisabile un concreto interesse pubblico attuale alla conoscenza di dati risalenti nel tempo che siano privi di carattere storico ove gli stessi risultino essere già stati acquisiti dalla collettività, avendo quindi già assolto alla loro finalità con il precedente trattamento (nell’esempio citato essendo già stati oggetto di cronaca nella immediatezza degli eventi risulterebbe assente a distanza di tempo un concreto interesse alla riproposizione dell’informazione, la quale si risolverebbe esclusivamente in danno dell’interessato).
A questo orientamento si contrappone chi ritiene che invece la pertinenza dell’informazione debba essere indagata in concreto e che non possa essere esclusa a priori unicamente per il decorso del tempo o per la circostanza che la finalità del trattamento sia già stata realizzata. Infatti potrà essere considerato prevalente l’interesse pubblico alla conoscenza dell’informazione, rispetto al diritto all’oblio dell’interessato, qualora il dato personale venga utilizzato per fini statistici e scientifici, o ancora ritenendo che la pertinenza non derivi unicamente dalla contestualità del dato rispetto al trattamento (cronaca immediatamente successiva ai fatti), ma sia collegata al riconoscimento di un interesse ancora attuale nella collettività. Nell’esempio citato, dunque, si legittimerebbe la riproposizione dei fatti di cronaca risalenti qualora la collettività, fortemente turbata dagli eventi passati, abbia interesse a mantenere la memoria degli stessi.
Questo orientamento sottolinea però come nel caso in cui vengano in rilievo dati personali del tipo in oggetto la valutazione della pertinenza dell’informazione debba essere sottoposta ad un vaglio più stringente, in quanto l’accesso a tali dati a notevole distanza di tempo, nonché la loro diffusione, potrebbero comportare la lesione di altri diritti e libertà fondamentali dell’interessato (si pensi alla reputazione dello stesso, o, come nell’esempio in esame, al corretto sviluppo del percorso di risocializzazione intrapreso dal reo). Dunque dovrà essere profondamente indagata l’eventuale sussistenza di un attuale concreto interesse collettivo al recupero di un dato risalente, cosa rinvenibile ad esempio nell’ipotesi di fatti che abbiano fortemente turbato l’opinione pubblica.
Si può argomentare nel senso della necessità di fornire pregnante garanzia ad alcune libertà fondamentali anche sulla base del disposto dell’art. 10 gdpr, il quale concerne il trattamento dei dati personali relativi a condanne penali e reati, i quali potranno essere sottoposti a trattamento previo riconoscimento delle garanzie appropriate per i diritti e le libertà degli interessati. In tale norma infatti da un lato si afferma che in peculiari circostanze vi sono limiti al trattamento di alcuni dati proprio in ragione del coinvolgimento di alcuni diritti fondamentali, ma dall’altro lato il disposto resta comunque impreciso non individuando i criteri per l’applicazione di tali limiti.
Dal quadro ordinamentale così delineato sembrano dunque emergere delle questioni relative alle direttive e ai limiti applicativi del diritto all’oblio risultando quindi auspicabile un futuro intervento interpretativo della giurisprudenza, ma soprattutto del legislatore, che possa chiarire i termini esatti del bilanciamento tra il diritto di cronaca e il diritto all’oblio, essendo quest’ultimo strettamente connesso alla libertà dell’individuo che risulterebbe seriamente pregiudicata dalla sottoposizione dei dati all’accesso di terzi per un tempo indeterminato.