LE LIMITAZIONI ALLA PROPRIETA’ IMMOBILIARE DERIVANTI DAI REGOLAMENTI CONDOMINIALI, LA NATURA GIURIDICA DEI REGOLAMENTI E LA LORO OPPONIBILITA’ AI TERZI E AGLI AVENTI CAUSA
Maria Francesca Demuro
Il libro III del codice civile, relativo alla proprietà, contiene nel Titolo VII, Capo II, un’apposita disciplina dedicata al condominio di edifici, il quale si caratterizza per l’esistenza di più unità immobiliari facenti capo a diversi proprietari. Mediante tale articolato normativo, il legislatore si preoccupa di dettare una disciplina che consenta a ciascuno dei proprietari di immobili esistenti in un unico contesto spaziale, di convivere pacificamente ed esercitare, così, il proprio diritto senza al contempo pregiudicare in maniera indiscriminata il diritto altrui.
Sotto questo profilo, la disciplina del condominio di edifici risulta ispirata al principio desumibile dal combinato disposto degli artt. 832 e 833 c.c., oltre che dall’art. 42 Cost., secondo cui il diritto di proprietà si sostanzia nel potere di godere e di disporre del bene in maniera piena ed esclusiva, ma non è un diritto assoluto poiché non vive isolato, ma deve in ogni caso essere esercitato nel rispetto dell’altrui diritto di proprietà, di modo che tutti i proprietari possano legittimamente beneficiarne.
In quest’ottica, ben si comprende l’importanza e l’utilità del regolamento condominiale, mediante il quale vengono predisposte le regole che ogni condomino è tenuto a rispettare ed attuare.
Esso assolve una funzione che al contempo è ordinatoria e precettiva, nella misura in cui, da un lato, individua le parti comuni e le parti in proprietà esclusiva e, dall’altro, determina i diritti ed i doveri di ciascuno dei condòmini, al fine di consentire, per l’appunto, una convivenza ordinata e pacifica.
Il principale referente normativo a riguardo è l’art 1138 c.c. secondo il quale, quando in un edificio il numero di condòmini è superiore a dieci, è obbligatorio dotarsi di un apposito regolamento che deve contenere le norme relative all’uso delle cose comuni, alle spese, nonché all’amministrazione e alla tutela del decoro dell’edificio.
Tale regolamento, ai sensi del terzo comma, viene approvato dall’assemblea – composta da tutti i condòmini – con la maggioranza indicata dall’art. 1136, secondo comma, c.c. ed è vincolante ed obbligatorio per tutti i condòmini.
Una volta approvato, esso può comunque essere impugnato dai condòmini dissenzienti ed assenti, secondo la disciplina ed alle condizioni e termini stabiliti dall’art. 1107 c.c., con la precisazione che, se non impugnato tempestivamente, produce effetti anche nei confronti degli eredi e aventi causa dei singoli condòmini.
In ogni caso, tale regolamento non può pregiudicare i diritti di ciascun condomino, risultanti dagli atti di acquisto o dalle convenzioni.
Dalla lettura dell’art. 1138 c.c. emerge come il legislatore abbia scelto di imporre la predisposizione del regolamento per i condomini composti da più di dieci condòmini, non essendo, viceversa, obbligatorio dotarsi di un regolamento quando il numero è inferiore.
Il fatto, poi, che tale regolamento debba essere approvato dall’assemblea – almeno – a maggioranza dei componenti, determina la natura assembleare dell’atto, il quale, anche se non condiviso da tutti, nondimeno è vincolante ed obbligatorio per la totalità dei condòmini.
Proprio in ragione della natura assembleare di questo regolamento, il legislatore, nel fissarne il contenuto, si è preoccupato di specificare il limite del quarto comma.
La ratio del divieto – per il regolamento che sia stato approvato a maggioranza – di menomare i diritti dei singoli condòmini, infatti, è da ricercare in un’esigenza di tutela di coloro che non condividono l’assetto definito dalla maggioranza ma, al contempo, sono costretti a sottostarvi, in uno con la necessità di tutelare il legittimo affidamento da questi risposto in ordine alla stabilità delle situazioni e dei diritti precedentemente acquisiti.
Conseguentemente, qualora un regolamento condominiale sia stato approvato a maggioranza e contenga delle clausole che pregiudicano i diritti del singolo condomino in contrasto con l’art. 1138, comma 4, c.c., tali clausole sono da ritenersi nulle poiché la suddetta disposizione risulta avere, in parte qua, carattere inderogabile.
Discorso diverso vale, invece, nel caso in cui un regolamento assembleare di tal fatta sia stato approvato all’unanimità poiché, pur contenendo previsioni in ipotesi limitative della proprietà immobiliare dei singoli, il fatto che vi sia stato il consenso della totalità dei condòmini impedisce l’operatività della norma contenuta nel quarto comma dell’art. 1138 c.c.
Il regolamento avente natura assembleare, tuttavia, non costituisce l’unica tipologia di regolamento praticabile in materia di condominio di edifici, trattandosi, piuttosto, di un’ipotesi espressa di regolamento condominiale e, precisamente, di un’ipotesi di regolamento condominiale obbligatorio ex lege per i condomini con più di dieci partecipanti.
Ciò, se da un lato significa che per i condomini con più di dieci condòmini la legge impone di dotarsi di tale atto, dall’altro non vuol dire che condomini più piccoli debbano necessariamente rimanerne privi.
Invero, pur in assenza del requisito numerico previsto dall’art. 1138 c.c., nulla impedisce che i membri di un piccolo condominio si accordino per dotarsi di un proprio regolamento. Al contrario, tale facoltà è loro consentita in virtù del principio dell’autonomia negoziale – secondo cui tutto ciò che non è vietato dalla legge è consentito – consacrato nell’art. 1322 c.c.
La suddetta disposizione stabilisce, infatti, che le parti possono liberamente fissare il contenuto del contratto e financo dar vita a contratti atipici, purché in ogni caso siano rispettati i limiti imposti dalla legge e siano perseguiti interessi meritevoli di tutela.
Il precedente art. 1321 c.c., nel fornire la definizione di contratto, lo qualifica come l’accordo tra due o più parti, per costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale.
Ebbene, alla luce di tali disposizioni, può dirsi consentito che i condòmini, al di là dell’ipotesi contemplata dall’art. 1138 c.c., si accordino per regolare tra loro i rapporti condominiali ed i connessi diritti e doveri, i quali, concernendo i reciproci diritti immobiliari, hanno natura patrimoniale.
In virtù dell’autonomia contrattuale, dunque, è ammissibile un’ulteriore tipologia di regolamento condominiale, che ha, in questo caso, origine pattizia e quindi natura contrattuale.
Dalla natura contrattuale di tale regolamento, naturalmente, discende l’inapplicabilità dell’art. 1138, comma 4, c.c., a meno che non sia richiamato, per cui sarà ben possibile per i condòmini contraenti prevedere, in seno al regolamento, clausole limitative dei propri diritti, tanto sulle parti in proprietà esclusiva, quanto sulle parti comuni, fermo restando che, trattandosi di un atto espressione di autonomia privata contrattuale, troverà comunque applicazione quanto disposto dall’art. 1372 c.c., ai sensi del quale il contratto – e quindi il regolamento condominiale con esso predisposto – spiegherà i propri effetti solo tra i contraenti, vale a dire solo nei confronti di coloro che quell’accordo hanno accettato e sottoscritto, autolimitandosi e reciprocamente vincolandosi.
Dalle considerazioni svolte discende, dunque, come nella materia condominiale possano aversi due diverse tipologie di regolamenti condominiali: i regolamenti assembleari ex art. 1138 c.c. ed i regolamenti contrattuali ex artt. 1321 e 1322 c.c.
La diversa natura comporta, come si è succintamente visto, conseguenze differenti qualora nel regolamento siano inserite clausole limitative della proprietà dei singoli condòmini. Pare quindi opportuno, a questo punto, soffermarsi su questo tipo di clausole, in modo da analizzarne le conseguenze anche rispetto a eventuali terzi o aventi causa e non solo relativamente al singolo condomino pregiudicato.
Per clausola limitativa della proprietà immobiliare può intendersi, genericamente, qualunque statuizione che incida in senso pregiudizievole sulla natura ed estensione del diritto di proprietà, limitando di fatto le facoltà di godimento e di disposizione del bene.
In ambito condominiale, potrà trattarsi di limitazioni che possono riguardare i poteri di godimento e disposizione di parti comuni, ma potranno essere anche limitazioni relative al godimento ed alla disposizione dell’unità immobiliare di proprietà esclusiva del condomino.
A titolo esemplificativo, quanto alle clausole del primo tipo, si può immaginare una statuizione che impedisca ad un condomino di accedere ad un’area comune; quanto alle clausole del secondo tipo, si pensi ad una statuizione con la quale si impedisca di utilizzare la propria unità immobiliare in un certo modo, ovvero si faccia divieto di darla in locazione, oppure ancora si impedisca ad un condomino di alienare il proprio parcheggio in termini assoluti e non solo secondo i limiti ed alle condizioni previste dalla normativa speciale in materia (la quale consente l’alienazione del parcheggio in favore di residenti nello stesso comune).
In tutti questi casi si realizza una compressione al diritto di proprietà, le cui conseguenze si atteggiano diversamente a seconda che, rispettivamente, la clausola che la prevede sia contenuta in un regolamento avente natura assembleare ovvero contrattuale.
Se il regolamento è assembleare – e non vi è stata approvazione all’unanimità – trova senz’altro applicazione il comma 4 dell’art. 1138 c.c., ragion per cui tale clausola sarà affetta da nullità per violazione di una norma inderogabile, come pare essere la citata disposizione.
Ne consegue che tale clausola sarà innanzitutto impugnabile dal condomino pregiudicato ed al contempo dissenziente o assente, secondo quanto disposto dall’art. 1107 c.c., al quale è fatto rinvio.
Se si dovesse ritenere che comunque tale clausola sia radicalmente nulla, tuttavia, anche al di là dell’impugnativa, potrebbe ritenersi improduttiva di effetti ed inopponibile al condomino.
Qualora, invece, la clausola limitativa sia contenuta in un regolamento condominiale contrattuale, tale limitazione non sarà, per ciò solo, nulla. Al contrario, se tra i contraenti vi è anche il condomino che subisce la limitazione, la clausola risulterà senz’altro valida, poiché frutto dell’autonomia contrattuale esercitata dal condomino che, aderendo ad essa, ha acconsentito ed ha voluto tale effetto.
Rimane, tuttavia, da chiarire se ed in che misura o a quali condizioni simili clausole possano dispiegare i propri effetti anche nei confronti dei terzi e degli aventi causa del singolo condomino interessato.
Anche in questo caso, pare opportuno operare una distinzione tra regolamento assembleare e regolamento contrattuale.
Rispetto alla clausola limitativa inserita nel regolamento assembleare, si possono richiamare le considerazioni precedentemente svolte. Pertanto, se tale regolamento è stato approvato a maggioranza ed è stata prevista una clausola limitativa in violazione dell’art. 1138, comma 4, c.c., tale clausola risulta non solo non opponibile al condomino pregiudicato, ma altresì risulterà inopponibile anche a terzi ed aventi causa, poiché nulla perché contrastante con una disposizione che – nella parte in cui afferma “le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare” – pare essere inderogabile.
Nell’ipotesi in cui, viceversa, la clausola limitativa sia prevista nell’ambito di un regolamento condominiale contrattuale, le conclusioni paiono essere in parte diverse, anche perché in questo caso entrano in gioco altri fattori.
La premessa da cui partire è che le limitazioni alla proprietà immobiliare previste in un regolamento di fonte contrattuale sono in questo caso consentite ed efficaci per il condomino contraente.
Nondimeno, esse non sono automaticamente opponibili ai terzi ed agli aventi causa.
Sul punto, infatti, occorre tener presente che simili limitazioni hanno ad oggetto la proprietà immobiliare ed il legislatore, in materia di diritti reali immobiliari, prevede un’apposita forma di pubblicità, che al contempo garantisce l’opponibilità ai terzi, quale è la trascrizione.
Scorrendo il nutrito elenco degli atti soggetti a trascrizione di cui all’art 2643 c.c. e leggendo tale norma in combinato disposto con l’art. 2644 c.c., emerge che ai fini dell’opponibilità ai terzi, devono essere trascritti tutti gli atti ed i contratti che, tra l’altro, costituiscono la comunione dei diritti reali, costituiscono o modificano servitù, diritto di uso, diritto di abitazione, così come ogni altro atto o contratto che costituisce, trasferisce o modifica diritti reali su beni immobili.
Il tenore e la ratio di tali articoli consente, in prima battuta, di ritenere che tra gli altri atti o contratti soggetti a trascrizione possa farsi rientrare – anche se non espressamente considerato – il regolamento condominiale contenente limitazioni alla proprietà immobiliare.
A ciò si aggiunga quanto stabilito dall’art. 1110 c.c. in tema di comunione e, purtuttavia, applicabile in materia condominiale in virtù dell’art. 1139 c.c.
L’art. 1110 c.c. dispone che “quando la proprietà o altro diritto reale spetta in comune a più persone, se il titolo o la legge non dispone diversamente si applicano le norme sulla comunione”.
Ebbene, tale disposizione appare utile non tanto per ciò che dice testualmente, quanto per il principio che da essa può ricavarsi.
In particolare, la norma dà rilievo al titolo come fonte di disciplina – in questo caso – del bene che spetta in comune a più persone e sostanzialmente stabilisce che se il titolo non dispone nulla a riguardo o non detta una disciplina specifica, sia applica quella codicistica.
Il principio sotteso è, dunque, che dal titolo devono risultare chiare indicazioni sul contenuto, l’estensione ed i limiti della proprietà e dei diritti reali.
Alla luce di questi elementi e calando i principi da essi ricavabili sulla questione concernente l’opponibilità ai terzi o aventi causa delle clausole regolamentari limitative, si può allora ritenere che esse non siano opponibili a tali soggetti se non conosciute o non conoscibili.
Più precisamente, affinché tali clausole possano essere opposte ai terzi occorre che risultino o che comunque se ne dia atto nel titolo nonché, trattandosi di clausole limitative del diritto di proprietà su immobile, siano oggetto di trascrizione.
Volendo esemplificare: se un terzo acquista un’unità immobiliare facente parte di un condominio il cui regolamento – contrattuale – prevede che il proprietario di tale unità non possa in nessun caso alienare il parcheggio di pertinenza, quella clausola in tanto può essergli opposta e spiegare effetti, in quanto di essa ne sia stata fatta menzione specifica all’atto di acquisto – in sede di conclusione del contratto di compravendita – o comunque, in caso contrario, il regolamento sia stato appositamente trascritto prima della trascrizione dell’acquisto de quo.
A queste condizioni, infatti, il terzo è in grado di conoscere quello che sarà il suo futuro diritto e non potrà quindi invocare l’inopponibilità della clausola limitativa, poiché la trascrizione e/o la menzione della limitazione in sede di compravendita gli consentono di acquistare in maniera consapevole.