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Si soffermi il candidato sul limite d’ambito applicativo dell’istituto della multiproprietà immobiliare con particolare riferimento ai rapporti condominiali

Si soffermi il candidato sul limite d’ambito applicativo dell’istituto della multiproprietà immobiliare con particolare riferimento ai rapporti condominiali

La multiproprietà non è definita dal codice civile, nè dalle leggi speciali. L’art. 69 del codice del consumo reca una limitata nozione di contratto di multiproprietà, definendolo come “un contratto di durata superiore a un anno tramite il quale un consumatore acquisisce a titolo oneroso il diritto di godimento su uno o più alloggi per il pernottamento per più di un periodo di occupazione.”

Con il termine multiproprietà si designano, quindi, forme di godimento turnario dello stesso immobile da parte di più soggetti (multiproprietari). Secondo la dottrina, le principali caratteristiche della multiproprietà sono: la pluralità di diritti di godimento; la diversità soggettiva dei titolari di tali diritti; l’ identità del bene su cui tali diritti vengono esercitati in quanto si tratta della stessa porzione immobiliare; la delimitazione temporale dell’esercizio di tale diritto, consentito nel solo periodo annuale di assegnazione
nella multiproprietà.

 Il contenuto del diritto, dunque, è individuato non solo in base ad un criterio spaziale, ma anche temporale, atteso che esso attribuisce al titolare il diritto di godere e di disporre del bene, entro certi limiti, per un determinato periodo dell’anno solare, mediante l’avvicendamento nell’uso dell’immobile con gli altri proprietari, sulla base di quanto stabilito nel contratto di time sharing.

Circa la natura della multiproprietà, sono stati proposti tre inquadramenti sistematici, la cui rilevanza non è solo teorica, ma anche pratica, essendo diretta a stabilire la disciplina applicabile.  Secondo un primo indirizzo, l’evidente mancanza degli aspetti di pienezza, tipici della proprietà ( sia con riguardo alla facoltà di godimento che di disposizione, non essendo consentita la costituzione di diritti reali minori) ha condotto la dottrina a proporre un accostamento al condominio, quale figura idonea a dare rilevanza al coordinamento delle attività dei singoli proprietari.

In senso contrario,invece, si è rilevato che nel condominio di base vi è una proprietà solitaria cui accede quella comune, mentre nella multiproprietà vi è una comproprietà dello stesso alloggio. Inoltre, è diversa anche la fonte regolatrice dei due rapporti: infatti, nella multiproprietà, accanto al regolamento di condominio che disciplina l’uso delle cose comuni, vi è un regolamento privato per il godimento turnario. La disponibilità dell’immobile, inoltre, è soggetta a restrizioni di carattere reale( vincolo di destinazione, divieto di innovazioni, indivisibilità del bene)  riconducibili all’autonomia privata.

Secondo un altro inquadramento, la multiproprietà rappresenta un diritto di godimento, presentando caratteristiche proprie sia dei diritti reali che personali.

Il combinarsi nella struttura multiproprietaria di elementi reali ed elementi obbligatori ha suggerito la configurazione di un diritto reale atipico, attraverso un approccio innovativo rispetto al dogma del numero chiuso dei diritti reali, veicolato dal principio di cui all’art. 1322 c.c. e dall’assenza di un espresso divieto di creare  nuove modalità di godimento dei beni. In sostanza, la multiproprietà si innesta sullo schema base della proprietà, che abbina a situazioni di natura reale propri dei diritti minori, situazioni di natura relativa, proprie delle obbligazioni.

 Alla luce degli inquadramenti summenzionati possiamo definire la multiproprietà come diritto di godere e disporre di un immobile, a scopo normalmente abitativo, per un periodo limitato dell’anno ma in perpetuo. Tale diritto è trasmissibile inter vivos o mortis causa.

Nel corso del tempo si sono sviluppate diverse tipologie di multiproprietà. Per citare quelle più note basta ricordare la multiproprietà immobiliare (acquisto da parte delle persone di quote di proprietà delle unità immobiliari); la multiproprietà azionaria (acquisto da parte delle persone di quote della società proprietaria del complesso edilizio) e la multiproprietà alberghiera ( che ha ad oggetto un albergo)

Chiarite le caratteristiche della multiproprietà, occorre analizzarne la relazione con l’istituto del condominio, soprattutto alla luce del recente richiamo espresso  operato dal legislatore nella riscrittura dell’art.1117 c.c..

In realtà l’inserimento nel nuovo art. 1117 c.c. del riferimento alla multiproprietà appare superfluo, soprattutto con riferimento alla multiproprietà classica , ovvero quella immobiliare, in cui i multiproprietari, titolari pro quota del diritto di proprietà sulle unità immobiliare, non godono di una posizione differenziata rispetto ai titolari in comunione ordinaria.

Per tale ragione, la partecipazione di ciascun comproprietario al godimento dell’unità immobiliare in multiproprietà, è riconducibile alla comunione e, limitatamente alle parti ed ai servizi in comune a tutti i multiproprietari, al condominio ( in riferimento alla quota di pertinenza di ciascun comproprietario).

Come è noto, il condominio è una peculiare forma di comproprietà contraddistinta dalla convivenza di beni sia di proprietà individuale esclusiva sia comuni, posti in relazione di accessorietà rispetto ai primi. Esso è una comunione forzosa e perpetua di parti comuni di un edificio avente una disciplina costituita per alcuni profili, da norme specifiche e derogatorie e, per gli altri, da un generico rinvio a quelle previste per la comunione in generale.

Proprio questa particolare scelta tecnico – legislativa è all’origine delle molteplici questioni emerse ed affrontate in giurisprudenza perché rispetto a molte di esse è mancata, e continua a mancare, malgrado la recente legge n 220/2012, una risposta normativa precisa e/o univoca, il cui tentativo di risoluzione non può prescindere da un’analisi della definizione stessa dell’istituto de quo prima, per passare poi alla questione dell’estensione minima e massima dello stesso alle diverse figure di condominio e, in particolare, alla multiproprietà.

L’espressione “ condominio” designa il diritto soggettivo di natura reale( la proprietà comune) concernente le parti dell’edificio di uso comune e l’organizzazione del gruppo dei condomini, composta dall’assemblea e dall’amministratore;  organi  questi preposti alla gestione delle cose, degli impianti e dei servizi.

Le norme dettate dagli artt. 1117 – 1139 c.c. si applicano all’edificio nel quale più piani o porzioni di piano, appartengono in proprietà solitaria a persone diverse e un certo numero di cose, impianti e servizi di uso comune sono legate alle unità abitative da una relazione di accessorietà. Tale relazione può essere materiale o funzionale. Il primo tipo di legame (materiale) consiste nell’incorporazione tra entità inscindibili ( ovvero la congiunzione stabile tra entità separabili)  che si concreta nella necessità delle cose comuni, dei servizi e degli impianti per l’esistenza o per l’uso dei piani o delle porzioni di piano. Il secondo tipo di legame invece (funzionale) si esaurisce nella destinazione funzionale delle parti comuni all’uso o al servizio delle unità immobiliari. Il collegamento tra beni propri e comuni si definisce come relazione di accessorietà, perché l’espressione mette in evidenza, ad un tempo, sia il legame funzionale  che la connessione materiale. L’utilità strumentale per i beni in condominio che caratterizza la disciplina dell’istituto in esame  spiega anche il maggior rigorismo legislativo rispetto alla disciplina della comunione, in cui l’utilità dei beni è finale. La stessa indivisibilità dei beni in condominio  dipende dall’utilità strumentale, essendo strettamente legata al godimento delle unità immobiliari.

Dalla virtuale perpetuità del condominio deriva l’opportunità che i condomini non interferiscano nell’amministrazione delle parti comuni dell’edificio; invece dalla normale divisibilità della comunione segue che il comunista insoddisfatto dell’altrui inattività, può provvedere personalmente o chiedere lo scioglimento. A tale diversa utilità si deve il maggior rigore della disciplina in tema di condominio negli edifici rispetto alla comunione in materia di rimborso spese per la conservazione delle parti comuni anticipate da uno dei proprietari. Con riguardo al condominio, l’art. 1134 c.c. riconosce il diritto al rimborso soltanto per le spese urgenti; mentre, quanto alla comunione, l’art. 1110 c.c. dispone che il rimborso sia subordinato alla mera trascuranza degli altri condomini.

Va chiarito, al riguardo, che il concetto di urgenza, individua la stretta necessità, immediata ed impellente. Secondo la giurisprudenza, infatti,va considerata urgente la spesa che deve essere eseguita senza ritardo, ovvero la spesa,la cui erogazione non può essere differita senza danno o pericolo, secondo il criterio del buon padre di famiglia. Trascuranza, invece, significa negligenza, trascuratezza, omessa cura.

Relativamente alle spese necessarie per la conservazione delle cose comuni, l’art. 1110 c.c. riconduce il diritto al rimborso alla semplice inattività.

Quanto alla natura giuridica del condominio, come soggetto a sé stante rispetto alla persona dei singoli condomini, le sezioni unite della cassazione hanno più volte chiarito che esso è un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini. Non è infatti titolare di un patrimonio autonomo, né di diritti e di obbligazioni: la titolarità dei diritti sulle cose, gli impianti e i servizi di suo comune e la relativa responsabilità, nonché le obbligazioni contratte nell’interesse del condominio, non sono contratte in favore di un ente, ma nell’interesse dei singoli partecipanti. Di conseguenza la giurisprudenza ha avuto più volte modo di affermare che delle obbligazioni assunte verso terzi dal condominio nell’interesse comune ( per tramite dell’amministratore) rispondono direttamente i condomini personalmente e solidalmente tra loro e con l’amministratore ai sensi degli artt. 1123 e 1294 c.c..

Secondo la giurisprudenza consolidata, poi, l’amministratore del condominio riveste un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato con rappresentanza, con la conseguente applicazione al rapporto tra amministratore e condomini delle norme sul mandato.

Il condominio, ad ogni modo, secondo le SS UU della Cassazione si costituisce in seguito alla semplice coesistenza nello stesso edificio, o nel complesso di edifici, di più proprietà solitarie e di più cose servizi ed impianti destinati all’uso comune.

Sul punto la legge n 220/2012 con i nuovi artt. 1117 e 1117 bis C.C. non solo recepisce in toto le citate posizioni giurisprudenziali in tema di requisiti ma fornisce altresì un dettagliato, ma non tassativo, elenco di beni da considerare iuris tantum oggetto di comunione tra i quali figurano ex novo i pilastri, le travi portanti, i sottotetti, gli impianti per il condizionamento dell’aria, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione nonché quelli per la ricezione radiotelevisiva. Le  suddette norme precisano, altresì, che nel novero dei proprietari vanno inclusi anche i titolari di multiproprietà immobiliare e che il condominio viene in essere ipso iure et de facto, senza necessità di specifiche manifestazioni di volontà. Tale presunzione di condominialità può essere superata sia da un titolo contrario sia nel caso in cui la cosa per caratteristiche strutturali o destinazione oggettiva serva in modo esclusivo all’uso o al godimento di una parte esclusiva dell’immobile.

In riferimento all’ambito di applicabilità della disciplina legale del condominio sono comparsi dubbi circa la sua estensione minima e massima e in particolare alla riconducibilità in questa figura del condominio “parziale”, di quello “minimo” e del cd “supercondominio”, che hanno indotto la giurisprudenza ad effettuare precisazioni in merito ai requisiti e alla disciplina concreta applicabile.

E’ stata in questo senso affermata la sussistenza di un condominio parziale laddove vi siano opere o impianti destinati dalla legge o dal titolo legale a servire solo una parte dei comproprietari, con il conseguente onere delle spese di manutenzione e di conservazione solo a carico di questi ultimi.

E’ stata, infine, giustificata anche l’appartenenza del supercondominio alla categoria in esame, con l’applicazione della relativa disciplina, in ragione del collegamento funzionale dei vari edifici distinti ed autonomi con una serie di impianti o servizi comuni a tutti gli edifici e si è specificato altresì che per la sua costituzione non è necessaria una specifica manifestazione di volontà né del costruttore né di tutti proprietari delle unità immobiliari di ciascun condominio ma è sufficiente il semplice fatto materiale dell’esistenza di questo collegamento.

E’ stata, infine, delineata, anche con l’aiuto della giurisprudenza, la figura del condominio minimo, ossia il condominio composto da due soli partecipanti.

Occorre, in primo luogo chiarire che, affinché si possa dire che si sia costituito un condominio, non è necessaria alcuna formula sacramentale, ma è sufficiente che sia venduta una sola unità immobiliare dell’edificio :così, basterà la presenza di due differenti proprietari esclusivi di diverse porzioni dell’immobile (c.d. “condominio minimo”), definiti ai fini di legge “condomini”, perché si debba applicare la disciplina del condominio.

Sul punto, le Sezioni Unite della Cassazione, con un’importante sentenza del 2006, hanno chiarito che l’esistenza del condominio e l’applicabilità delle norme in materia non dipende dal numero delle persone che ad esso partecipano.

La questione di diritto sottoposta all’esame delle Sezioni Unite consisteva nello stabilire se nel caso di condominio composto da due soli proprietari (c.d. “condominio minimo”) debbano applicarsi le norme in materia di condomino ovvero quelle che disciplinano la comunione.

Va precisato, al riguardo, che la figura del “condomino minimo” deve considerarsi, più che altro, come una creazione della giurisprudenza di legittimità che, negli ultimi anni, non ha mancato di occuparsi della fattispecie in esame assimilandola- in maniera minoritaria- con le proprie pronunce a quella della comunione.
Questo parallelismo tra “condominio minimo” e “comunione”, per la giurisprudenza di legittimità si fondava e si concretizzava sulla impossibilità, dovuta alla presenza di due soli comproprietari, di applicare le maggioranze tipiche della disciplina sul condominio (artt. 1136 e 1134 cod. civ.) a tutte quelle situazioni concernenti il rimborso delle spese anticipate da un condomino ,non autorizzate o non deliberate, per le parti di uso comune.

In quest’ottica, dunque, per tale giurisprudenza minoritaria, alla fattispecie del “ condominio minimo” doveva applicarsi il dettato normativo operante in tema di comunione in base al quale al comunista spetta, il rimborso delle spese sostenute (art. 1110 c.c., e combinato disposto degli artt. 1139 e 1105 c.c.).

Nella fattispecie oggetto della sentenza del 2006, le Sezioni Unite, invece, hanno precisato, in controtendenza con tale giurisprudenza di legittimità, come anche nel caso di edificio in condominio composto da due soli partecipanti debbano applicarsi le norme che regolano e disciplinano il condominio negli edifici, sancendo un principio interpretativo di diritto unitario.

Nella sentenza infatti i giudici stabiliscono che nel caso di edificio in condominio composto da due soli condomini, il rimborso delle spese per la conservazione delle parti comuni anticipate da un condomino, regolato dall’art. 1134 c.c., è riconosciuto soltanto per le spese urgenti, e cioè quelle che devono essere eseguite senza ritardo e la cui erogazione non può essere differita senza danno, mentre è inapplicabile, nella suddetta ipotesi l’art. 1110 c.c., il quale subordina il diritto al rimborso delle spese anticipate da uno dei comunisti alla mera trascuratezza degli altri condomini.

Con la pronuncia in esame, le Sezioni Unite hanno statuito, senza giri di parole, l’applicabilità al condominio minimo delle norme proprie del condominio, anziché quelle sulla comunione.

Il percorso argomentativo della Suprema Corte evidenzia  come nessuna norma positiva prescriva , né expressis né per implicito, che l’assemblea di un condominio formato da due soli condomini, si costituisca e decida validamente con la presenza di tutti e due i condomini (anche se qualora la maggioranza non possa formarsi in concreto si renderà necessario adire l’autorità giudiziaria ex art. 1105 cod.civ.).
Il vulnus di norme a riguardo, in base a quanto statuito dalle Sezioni Unite, comporterebbe ipso iure l’applicabilità anche al “condominio minimo” dell’intero dettato condominiale: infatti, se è vero che per la nomina dell’amministratore e per il regolamento si richiede rispettamene il numero di quattro e più di dieci condomini(artt. 1129 e 1138 del cod.civ.,) , è anche vero che nessuna norma dettata in materia di condominio contempla invece il numero minimo dei condomini.

Deve concludersi, pertanto, che nulla si oppone a che il condominio minimo non venga disciplinato dalle norme in materia di comunione e che la fattispecie de quo sia considerata in tutto similare a quella dei condomini con più comproprietari in cui a causa dei più svariati motivi non si riesca a raggiungere una maggioranza.
In base all’assunto delle Sezioni Unite, infatti, al fine di disciplinare il c.d “condominio minimo”, il numero dei condomini si rivela irrilevante in quanto ciò che è necessario e sufficiente per asserire e configurare il parallelismo tra il condominio in edificio e il “condominio minimo” è, in realtà, la relazione di accessorietà tra cose proprie e cose comuni.

La giurisprudenza in esame sancisce, dunque, la profonda differenza esistente tra condominio composto anche solo da due comproprietari e comunione, fondando tale assunto non solo sul diverso concetto, ma anche sulla diversa funzione di utilità dei beni inerenti ad ambedue le fattispecie: strumentale ed indivisibile quella dei beni del condominio e, di contro, utilità finale quella dei beni della  comunione.
Allo stato attuale prevale   quindi l’orientamento della Corte in base al quale, in caso di controversie concernenti un condominio composto da due soli comproprietari, queste dovranno essere regolate in base alle norme che disciplinano il regime del condominio in edificio, se nell’edificio almeno due piani o porzioni di piano appartengano in proprietà solitaria a persone diverse.

Orbene chiarita la relazione tra multiproprietà e condominio, e acclarata l’applicabilità della disciplina sul condominio anche alle unità abitative in multiproprietà, data la novità riscontrata nella ristesura dell’art. 1117 c.c. laddove afferma che si parla di condominio anche se le unità immobiliari sono soggette a diritto a godimento periodico (facendo un chiaro  riferimento alla multiproprietà), resta da chiarire  se sia applicabile alla multiproprietà  anche la disciplina riguardante il condominio minimo, in particolare in quei casi in cui la normativa sulla comunione e il condominio si intersecano:  si pensi ad un condominio con due sole unità abitative di cui una in multiproprietà.

La soluzione a tale dubbio applicativo richiede un ragionamento per gradi.

Partendo dalla lettura del nuovo art 1117 c.c. sembra chiaro che la disciplina del condominio, nelle sue varianti, sia pacificamente applicabile anche agli immobili comprensivi di unità immobiliari in multiproprietà. Nel definire il condominio, il legislatore fa espresso riferimento alle unità immobiliari e al godimento periodico riferendosi però ai proprietari delle unità immobiliari, e non ai multiproprietari tra di loro. Questa specificazione, tuttavia, non sembra necessaria, dato che la multiproprietà immobiliare, dal punto di vista giuridico, è la forma più facilmente inquadrabile di condominio. Per cui, pacifico è che la disciplina del condominio si applichi anche alla multiproprietà, perché anche i multiproprietari sono condomini, in quanto riconosciuti tali dall’art. 1117 c.c.. Ciò in considerazione del fatto che ciascun immobile in multiproprietà è oggetto di comunione tra più proprietari i quali, a loro volta, insieme ai comproprietari degli altri immobili, sono contitolari delle parti comuni di pertinenza dei diversi  appartamenti.

Nel caso  di condominio con due sole unità immobiliari, di cui una in multiproprietà non diversamente, in conformità alla pronuncia della cassazione del 2006, troverà applicazione la disciplina del condominio e non quella della comunione.

Infatti, sul piano pratico  poco muta: due continueranno ad essere i regolamenti di cui l’acquirente deve avere conoscenza:  il regolamento condominiale disciplinante le parti comuni e    il regolamento della comunione in multiproprietà per le regole applicabili con riferimento al singolo immobile in proprietà turnaria tra i singoli comproprietari.

I maggiori dubbi  applicativi riguardano le altre problematiche connesse di cui il legislatore non fa menzione: si pensi, per esempio, alla partecipazione alle assemblee condominiali.  Nel condominio in multiproprietà tutti i comproprietari del singolo appartamento devono essere convocati alle assemblee condominiali, ma solo uno può avere diritto di voto. Tale diritto non può essere frazionato; ciò rende necessario, in caso di silenzio del regolamento condominiale sul punto,  un accordo su chi vota. In mancanza di accordo, invece, spetterà al presidente dell’assemblea condominiale estrarre a sorte chi avrà diritto di voto.

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