Tema svolto di diritto civile: preliminare a favore di terzo.

Premessi brevi cenni sul contratto preliminare, il candidato esamini il contratto preliminare a favore di terzo ed il contratto preliminare di cosa altrui a favore di terzo.

di Elena Masetti Zannini

Il passaggio da un ordinamento di tipo autoritario, che ha caratterizzato epoche storiche passate, ad uno di tipo liberale, tipico dell’epoca moderna ed ampiamente influenzato dall’avvento della Costituzione, ha fortemente influito sul riconoscimento della autonomia negoziale delle parti e si è riverberato sugli strumenti di tutela previsti dall’ordinamento.

In particolare, e con specifico riferimento alla volontà di concludere un contratto, nella esplicazione di detta autonomia negoziale, i soggetti sono dunque liberi di “costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale” (ai sensi dell’art. 1321 del codice civile), determinandone liberamente il contenuto nei limiti imposti dalla legge (art. 1322, co. 1). Ebbene, la conclusione di un contratto tra due o più parti può pertanto avvenire attraverso varie tappe: può – cioè – confluire in una unica fase (allorquando alla proposta segua l’accettazione, secondo lo schema classico delineato dall’art. 1326, co. 1, id est rientersi perfetta nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte), o, viceversa, procedere attraverso più fasi, preliminari e prodromiche alla esecuzione del programma di interessi a cui tendono le parti medesime. In quest’ultimo caso, la fase preparatoria è caratterizzata da trattative (durante le quali l’ordinamento impone alle parti di comportarsi secondo buona fede – ex art. 1337 c.c. – al fine di non incorrere, in caso di violazione, nella conseguente responsabilità precontrattuale) e dalla assunzione di vincoli preparatori. E’ in tale ultimo ambito che può collocarsi il contratto preliminare.

La sua definizione giuridica ha suscitato non poche difficoltà in dottrina, stante la mancanza di una sua compiuta disciplina nel diritto positivo: poche, infatti, le norme dedicate a questa fattispecie, presenti sia nel codice civile (tra queste, giova ricordare gli articoli 1351 sulla forma, art. 2932 sull’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto, art. 2652, co. 1 n. 2 relativo alle domande riguardanti atti soggetti a trascrizione tra le quali si annovera anche le domande ex art. 2932), sia in alcune leggi speciali (quali il d. l. 69/1996 convertito in L. n. 30/1997, che ha introdotto i seguenti articoli: art. 2645-bis relativo alla trascrizione dei contratti preliminari, l’art. 2775-bis in tema di privilegio speciale sul bene immobile oggetto del contratto preliminare nel caso di mancata esecuzione dello stesso, nonchè il d.lgs. n. 122/2005 volto a tutelare il promissario acquirente di un immobile da costruire in caso di fallimento del costruttore-promissario venditore). In ogni caso, il contratto preliminare è pacificamente e generalmente definito quale contratto per mezzo del quale una parte (nell’ipotesi di contratto preliminare unilaterale) o entrambe (nell’ipotesi di contratto preliminare bilaterale) assumono l’obbligo di addivenire alla stipula di un successivo contratto definitivo. La struttura del contratto preliminare lo rende astrattamente compatibile con qualsivoglia fattispecie contrattuale. Sul punto tuttavia è bene rilevare il contrasto sorto in dottrina in merito alla compatibilità con il contratto di donazione, attesa la mancanza di vedute unanimi: tradizionalmente, la dottrina ha potato per la incompatibilità, stante il contrasto tra il concetto di “spontaneità” che caratterizza gli atti di liberalità, ed il concetto di obbligatorietà che permea il contratto preliminare.

Altra parte della dottrina, tuttavia addiviene alla soluzione opposta sulla base dei seguenti rilievi critici: la natura del preliminare si avvicina ormai sempre più a quella di un contratto “definitivo” obbligatorio (come verrà meglio spiegato nel prosieguo della trattazione) sicchè è sufficiente la sussistenza di tale spontaneità nel preliminare medesimo al fine di configurare un contratto preliminare di donazione. A ciò si aggiungano i seguenti rilievi: da un lato, il nostro ordinamento riconosce alle parti la possibilità di porre in essere una donazione obbligatoria; dall’altro, è presente la possibilità di porre in essere negozi molto simili al contratto preliminare che passano attraverso la donazione indiretta, e che, purtuttavia, non vengono colpiti da nullità (es: promessa di negotium mixtum cum donatione). La dottrina utilizza tali argomenti per sostenere la validità del preliminare di donazione, benchè, ad oggi, la giurisprudenza si attesti lungo il filone tradizionale, negandone la cittadinanza nel nostro ordinamento.

L’attenzione della dottrina si è altresì incentrata sulla natura del contratto preliminare tout court: esso produce, infatti, immediati effetti obbligatori e differiti effetti reali (nell’ipotesi maggiormente diffusa nella prassi, costituita dal preliminare di vendita di un bene immobile o mobile registrato). Le dispute sorte al riguardo e finalizzate ad un suo corretto inquadramento giuridico non sono aride ed improduttive di effetti, stante il riverbero che l’adesione ad una teoria piuttosto che ad un’ altra provoca nei seguenti ambiti: quello delle azioni esperibili in caso di inadempimento, quello della difformità tra il contenuto del preliminare ed il contenuto del definitivo, nonchè quello dei limiti all’intervento giudiziale nell’ipotesi di sopravvenienze intercorse nelle more della stipula del definitivo.

Sul punto, è possible delineare l’elaborazione di diverse teorie da parte della dottrina ed altrettandi orientamenti della giurisprudenza.

Una prima teoria, “figlia” della tradizionale definizione bettiana della causa del contatto quale interesse economico-sociale delle parti, rileva che per mezzo del contratto preliminare le parti assumono un obbligo di facere, cioè di prestare il consenso alla stipula del successivo contratto definitivo. Il preliminare, in questa impostazione semplice, risulta svutotato di contenuti, un mero strumento per il perseguimento del programma di interessi delle parti, programma che permea il solo contratto definitivo, ed al quale il preliminare è pertanto estraneo.

Il citato riverbero di questa teoria, nell’ambito delle azioni esperibili nei confronti del contratto preliminare in caso di inadempimento, id est nel caso in cui il promittente non voglia più prestare il proprio consenso alla stipula del definitivo, delinea il seguente quadro di tutele: il promissario potrà agire solamente per far valere la nullità del preliminare per mancanza di forma ad substantiam, ovvero potrà agire con l’azione di risoluzione per impossibilità sopravvenuta nel caso detta impossibilità si concretizzi nella morte di una delle parti, che renda impossibile la prestazione del consenso, ovvero potrà esperire l’azione di annullamento per incapacità o vizi del consenso.

Non sarà, invece, esperibile l’azione di nullità per illiceità dell’oggetto o della causa nè quella di rescissione e lesione per eccessiva onerosità sopravvenuta, in quanto azioni attinenti al programma negoziale del definitivo. Lo stesso discorso vale per l’azione di garanzia per i vizi della cosa venduta, esperibile esclusivamente nei confronti del definitivo (e ciò benchè i presuposti per l’esercizio della stessa siano presenti già al momento del preliminare), ovvero – con riferimento ai mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale di cui agli artt. 2900 e 2901 c.c. – per l’azione revocatoria, che sarà esperibile solo nei confronti del definitivo non ritenedosi il preliminare un atto dispositivo, e non pregiudicando dunque le ragioni dei creditori. Infine, l’azione surrogatoria non sarà esperibile dai creditori della parte non inadempiente per ottenere la stipula del definitivo non essendo il definitivo un atto meramente solutorio, bensì espressione di autonomia negoziale, il cui esercizio è rimesso esclusivamente alle parti.

Anche il termine per la proposizione della domanda giudiziale risente dei limiti di questa teoria: potrà proporsi l’azione solamente entro il termine di scadenza per la stipula del definitivo, perchè una volta intervenuto quest’ultimo, il preliminare esaurisce la sua funzione.

Un’ultima considerazione alla luce della esposta tesi: in caso di contrasto tra il contenuto del preliminare e del definitivo, prevarrà il definitivo, quale espressione dell’autonomia negoziale.

Molte le critiche sollevate in dottrina avverso detta elaborazione: in primo luogo, essa contrasta con il principio di economia dei mezzi giuridici, alla luce del quale si rivela oltremodo anti-ecomico l’obbligo di dover attendere la stipula di un definitivo inidoneo a soddisfare gli interessi finali (per esempio, nel caso di vendita di un bene viziato, I cui vizi siano emersi già in sede di preliminare) anzichè consentire l’immediata adozione dei rimedi esperibili. In secondo luogo, essa contrasta con il principio di buona fede quale strumento integrativo del contratto: infatti, la rilettura del principio di buona fede contrattuale espresso dall’articolo 1375 c.c. alla luce dei principi di solidarietà sociale espressi dall’art. 2 della Costituzione, ha portato alla elaborazione di un ulteriore obbligo in capo ai contraenti costituito dalla doverosità di attivarsi – nei limiti di un sacrificio non eccessivo – nei confronti dell’altra parte al fine di assicurare la stipula del contratto defintivo (per esempio, provvedendo a riparare i vizi di cui il bene promesso sia affetto, o a sostituirlo direttamente).

Si è pertanto ritenuta maggiormente aderente ai principi dell’ordinamento una definizione del contratto preliminare quale pactum non solo de contrahendo (che vincola le parti solamente alla prestazione del consenso alla stipula del successivo contratto definitivo) ma anche quale pactum de dando, dal quale sorge altresì l’obbligazione di facere, intesa quale obbligo di fare quanto possible per attuare il trasferimento della proprietà del bene (per comodità espositiva di fa riferimento al contratto preliminare di compravendita, essendo peraltro il più diffuso nella prassi commerciale) in capo al promissario, in modo da contribuire alla utile realizzazione del programma negoziale, ovvero all’effettivo soddisfacimento degli interessi ad esso sottesi. Detta teoria, “figlia” dell’affermarsi della elaborazione ferriana della causa del contratto intesa come insieme di interessi economico-individuali dei singoli contraenti, attribuisce al preliminare un contenuto – sotto il profilo delle obbligazioni correlate – più sostanzioso rispetto alla precedente teoria, cui consegue un ampliamento del ventaglio di azioni proponibili contro lo stesso in caso di inadempimento. A sua volta il contratto definitivo risulta permeato da una causa propria – connessa alla funzione del preliminare quale strumento di controllo delle sopravvenienze – e da una causa meramente solutoria, diretta all’esecuzione dell’obbligo assunto in sede di contratto preliminare. Peraltro, la specifica funzione di controllo delle sopravvenienze assolta dal preliminare è una riprova del fatto che il definitivo non è mai meramente adempitivo ma riveste la natura esso stesso di atto negoziale con causa propria, mediante il quale le parti, valutate l’incidenza delle sopravvenienze sul loro assetto di interessi, verificano la possibilità di addivenire alla stipula di un contratto definitivo che soddisfi utilmente detti interessi.

A livello rimediale, pertanto, stante la partecipazione del preliminare al programma finale al pari del definitivo, ed in considerazione dell’ l’obbligo de dando che lo connotta (cioè di porre in essere quanto necessario per far sì che il programma finale sia satisfattivo per entrambe le parti), molto più ampio si delinea il ventaglio di azioni esperibili da una parte in caso di inadempimento dell’altra, nei confronti del preliminare medesimo: oltre alle azioni previste dalla prima suesposta teoria, possono configurarsi altresì l’azione di nullità per illiceità dell’oggetto o della causa, la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni finali, gli articoli 1460 cod. civ. e 1461 cod. civ. nell’ipotesi in cui sia messo a repentaglio il conseguimento della prestazione conclusiva, le azioni a garanzia dei vizi e l’azione di esatto adempimento, nonchè quella revocatoria. Quanto all’azione surrogatoria, la Suprema Corte, pur aderendo alla esposta teoria e riconoscendone il corretto inquadramento, ha ritenuto con una recente pronuncia a Sezioni Unite che non sia esperibile nei confronti del preliminare, e ciò ha fatto ponendo l’accento sulla natura non meramente solutoria del definitivo medesimo.

Così strutturato, il preliminare potrà ritenersi inadempiuto non solo nell’ipotesi di rifiuto opposto da una delle parti di addivenire alla stipula del definitivo, ma altresì nel caso di omissione delle attività necessarie per rendere il risultato finale utilmente conseguibile.

Infine, nell’ipotesi di difformità tra il contenuto del preliminare e quello del definitivo, i sostenitori di questa tesi addivengono a souzioni diverse.

Una parte di loro, ponendo l’accento sulla natura solutoria del contratto definitivo, ritiene che la soluzione andrà cercata caso per caso, attraverso una indagine della volontà dei contraenti, onde verificare se detta difformità sia conseguenza della volontà di modificare alcune clausole del contratto preliminare, o invece di adempiere solo parzialmente al contratto preliminare medesimo, il quale è, quindi, suscettibile di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. solo per la parte rimasta inadempiuta.

Altra parte, viceversa, ponendo l’accento sulla natura negoziale del contratto definitivo, ritiene che in caso di difformità di contenuti operi una presunzione relativa di conformità del nuovo contratto (definitivo) alla volontà delle parti.

Resta in ogni caso salva la facoltà per i contraenti di dar prova del contrario, sicchè, contestualmente alla stipula del definitivo, le parti devono aver pattuito di far sopravvivere alcune prestazioni già previste nel preliminare. Tale prova dovrà risultare da atto scritto se la contrattazione ha ad oggetto un bene immobile. I sostenitori di questa soluzione sembrano rieccheggiare la precedente impostazione del contratto preliminare quale mero pactum de contrahendo, alla luce della quale è data prevalenza – nell’assetto degli interessi negoziali – in via esclusiva al solo contratto definitivo.

Infine, una tesi minoritaria ma pur sempre rilevante nel panorama delle teorie relative ala natura giuridica del preliminare, sostiene la sua natura di contratto obbligatorio “definitivo”, ritenendo cioè che il preliminare si avvicini ad una vendita definitive obbligatoria, in cui il promittente venditore si obbliga definitivamente a trasferire la proprietà del bene, mentre il promissario acquirente si obbliga definitivamente al pagamento del prezzo. L’effetto traslativo si produrrà solamente in un momento successivo, attraverso un atto meramente solutorio, da alcuni definito quale negozio giuridico con causa esterna, da altri come atto giuridico in senso stretto.

Senza voler ora entrare negli annosi dibattiti che hanno interessato e tutt’ora interessano il c.d. pagamento traslativo, giova rilevare in tal sede come questa tesi apra la strada alla nota scissione tra titulus e modus adquirendi attribuendo efficacia traslativa ad un atto ad efficacia meramente obbligatoria, in tal modo elevando il preliminare a contratto definitivo ad efficacia reale differita e relegando il definitivo ad atto meramente adempitivo di una obbligazione precedentemente assunta, non già privo di causa ma con causa esterna, contenuta – appunto – nel negozio concluso“a monte” .

Anche questa tesi non è andata esente da rilievi critici, tra i quali rileva quello secondo il quale detta tesi adombra la primaria funzione del contratto preliminare quale strumento di controllo delle sopravvenienze, la cui incidenza è liberamente valutabile dalle parti, libere quindi di addivenire ugualmente alla stipula del definitivo, persino nell’ipotesi in cui detta incidenza non sia meramente marginale ma essenziale (ovvero patologica).

Venendo ora più specificamente all’analisi del contratto preliminare a favore di terzo e del contratto preliminare di cosa altrui a favore di terzo, un corretto inquadramento delle problematiche sottese a queste fattispecie non può che prendere avvio da un principio fondamentale nel nostro ordinamento, costituito dalla necessaria corrispondenza contenutistica tra il contratto preliminare ed il contratto definitivo. Detto principio trova una giustificazione nel rimedio principe in caso di inadempimento del preliminareprevisto dall’art. 2932 c.c., id est nella possibilità di un intervento giudiziale nella fase patologica del rapporto negoziale, al fine di addivenire ad una pronuncia che “produca gli effetti del contratto non concluso”.

La norma in esame è stata per lungo tempo interpretata, tanto dalla dottrina maggioritaria quanto dalla giurisprudenza, come richiedente una identità tra due contratti sia sotto il profilo oggettivo (contenutistico) sia sotto quello soggettivo (identità dei contraenti).

La ratio di tale interpretazione è da rinvenirsi nel timore che, diversamente opinando, una pronuncia di accoglimento della domanda avanzata dal contraente non inadempiente sarebbe stata inutiliter data, in quanto di impossibile esecuzione.

Oggi, invece, può dirsi pressochè pacifica una interpretazione della citata norma che riconosce la sua compatibilità con uno “sfasamento” tra il contratto preliminare e quello definitivo sia “soggettivo”, id est relativo alle parti – e ciò stante il rilievo che assume il solo ottenimento della prestazione, indipedentemente dal soggetto che la esegue, e fatti salvi i rilievi sottesi ai contratti intuitu personae– sia “oggettivo” (di cui la giurisprudenza riconoscie la compatibilità con l’articolo 2932 c.c. in alcune ipotesi solamente, id est in quei casi in cui l’incidenza delle sopravvenienze sia non già essenziale (o patologica) ma meramente marginale, comportando uno squilibrio meramente economico tra le parti (si pensi al caso di preliminare di vendita di immobile da costruire, in cui oggetto del preliminare sia la vendita di cinque immobili, ma del definitivo quattro immobili soltanto; o, ancora, all’ipotesi in cui nelle more della stipula del contratto definitivo, al bene oggetto del preliminare venga apposto un vincolo storico artistico: il bene risulta pur sempre commerciabile, ma comporterà specifici oneri di conservazione e manutenzione in capo al promissario acquirente). A tale ultimo riguardo la Suprema Corte, in recenti pronunce, ha riconosciuto la possibilità di un intervento giudiziale finalizzato al riequilibrio del sinallagma contrattuale, pur senza perciò inquinare l’originaria volontà dei contraenti.

Nell’ambito del c.d. “sfasamento soggettivo” ben può inquadrarsi il contratto preliminare a favore di terzo, il quale può assumere nella volontà delle parti una duplice veste: quella di contratto nel quale le parti decidano che gli effetti del preliminare medesimo si producano direttamente in capo al terzo, o – viceversa – quella di contratto nel quale le parti concordino che siano gli effetti del definitivo a prodursi in capo al terzo.

Se quest’ultima ipotesi non solleva particolari problematiche, risultando compatibile con i principi dell’ordinamento giuridico, che la riconosce ai sensi dell’articolo 1411 c.c., è – invero – la prima delle delineate strutture a suscitare non poche perplessità, posto che potrebbe porsi in contrasto con uno dei principi cardine dell’ordinamento: il principio di relatività degli effetti del contratto di cui all’articolo 1372 c.c., il principio per il quale – secondo il noto brocardo latino – res inter alios acta neque nocet neque prodest.

La sua moderna interpretazione lo ha pacificamente relativizzato, al punto che oggi la costante giurisprudenza attribuisce il seguente significato: il contratto concluso tra due (o più) parti non produce effetti (favorevoli, come di seguito verà più chiaramente delineato) per i terzi che allo stesso sono rimasti del tutto estranei, salvo nei casi previsti dalla legge. Ciò a tutela di un altro principio cardine, implicante l’intangibilità della sfera giuridica altrui, a meno che I terzi non acconsentano al prodursi di effetti nei loro confronti. In altri termini, I terzi sono liberi di accettare il prodursi degli effetti di un contratto alla cui conclusione non hanno partecipato nei loro confronti. Come poc’anzi accennato, il principio in esame è stato relativizzato ad opera delle elaborazioni giurisprudenziali e dottrinali, di talchè oggi si ammette pacificamente la tangibilità della sfera giuridica altrui, con il solo riferimento alla produzione di effetti favorevoli. A tutela della intangibilità della loro sfera giuridica, tuttavia, la legge riconosce loro la possibilità di rifiutare gli stessi (una delle rare eccezioni a detto principio è costituita dall’ipotesi di donazione obnuziale, ai sensi dell’articolo 785 c.c.).

Alla luce delle esposte considerazioni, pertanto, la giurisprudenza non ritiene configurabile un contratto preliminare nel quale le parti si accordino affinchè gli effetti dello stesso si producano direttamente in capo al terzo (secondo lo schema delineato dal’articolo 1411 c.c.): ciò in quanto così strutturato, il preliminare ha come effetto quello di costringere il terzo ad obbligarsi a prestare il consenso alla stipula del definitivo. Effetto, questo, icto oculi sfavorevole al terzo e pertanto– per le suesposte considerazioni – contrastante con i principi dell’ordinamento.

La sola struttura del preliminare compatibile con la volontà del promittente venditore (nell’ipotesi – per esempio – di un contratto di compravendita) di sostituire a sè un terzo nella stipula del definitivo può ritenersi quella del contratto preliminare con promessa del fatto del terzo secondo lo schema previsto dall’articolo 1380 del c.c.: in tale ipotesi, il promittente assume l’obbligo di adoperarsi affinchè il terzo si impegni alla stipula del definitivo, rispondendo in proprio ai sensi della citata norma nell’ipotesi in cui il terzo non adempia tale “fatto promesso” dal promittente venditore.

Nella diversa ipotesi in cui l’effetto del preliminare sia favorevole al terzo (per es., consista nella produzione dell’effetto traslativo del trasferimento della proprietà dell’immobile in capo al medesimo), detto effetto si produrrà direttamente nei suoi confronti alla stipulazione del definitivo, ove lo stesso abbia dichiarato di volerne profittare (ai sensi dell’articolo 1411, co. 2 c.c.). Come ampiamente rilevato in dottrina, la peculiarità di questa fattispecie (che la differenzia da altre analoghe, quali il contratto per persona da nominare o la cessione del contratto), è data dal fatto che il terzo non assume mai la posizione di parte del contratto definitivo.

Di talchè, pur potendo agire – in caso di inadempimento del promittente venditore -nei confronti di quest’ultimo ai sensi dell’articolo 2932 c.c. (in virtù dell’aquisto diretto del diritto contro il promittente, ai sensi dell’art. 1411, co. 2 c.c.) parte sostanziale del contratto definitivo resta pur sempre il promittente acquirente del precedente contratto preliminare, ed egli solamente risponderà delle obbligazioni assunte.

Una interessante ipotesi sottoposta al vaglio della Suprema Corte in epoca non recente, si segnala per essere la stessa stata qualificata in termini di contratto preliminare a favore di terzo: la fattispecie ha riguardato una ipotesi di accordo in sede di separazione consensuale tra due coniugi in cui uno dei due si impegnava a mantenere il figlio, attraverso il trasferimento di un immobile in capo al figlio medesimo. Detto accordo è stato qualificato dalla Suprema Corte un contratto preliminare a favore di terzo, mentre il successivo atto di trasferimento dell’immobile in capo al figlio (terzo beneficiario del contratto preliminare) è stato inquadrato nell’alveo dei contratti con obbligazioni a carico del solo proponente ai sensi dell’art. 1333 c.c..

Venendo ora all’analisi del contratto preliminare di cosa altrui a favore di terzo, sotto il profilo della produzione degli effetti favorevoli di detto preliminare nei confronti del terzo, si rinviare a quanto ora esposto; quanto alla fattispecie del preliminare di cosa altrui, il suo inquadramento è fonte di ampi dibattiti nelle aule dei tribunali e delle accademie.

Il preliminare di cosa altrui può presentare la seguente struttura: il promittente si obbliga a contrahere (id est esprimere il proprio consenso alla stipula del definitivo) e a trasferire la proprietà della res promessa (pactum de dando).

Sotto il profilo oggettivo, la res può risultare totalmente altrui, o solo parzialmente di proprietà di un soggetto terzo.

Sotto il profilo soggettivo, il promissario acquirente può essere a conoscenza dell’altruità della cosa, ed accettare quindi consapevolmente il rischio della irreperibilità della medesima, ovvero esserne all’oscuro, per aver il promittente venditore celato maliziosamente tale aspetto.

La Suprema Corte in una recente pronuncia ha analizzato il caso di un bene totalmente altrui della cui altruità il promissario non era a conoscenza. Sono state poste, dunque, al vaglio dei giudici della Corte di Cassazione varie questioni: primariamente, se fosse esperibile dal promissario acquirente il rimedio previsto ai sensi dell’art. 1479 c.c. nell’ipotesi di vendita di un bene altrui; secondariamente, con quali modalità fosse eseguibile l’obbligazione assunta dal venditore nel contratto preliminare.

Quanto alla prima questione, la Corte ha dato risposta negativa, stante la differenza ontologica tra la vendita (definitiva) ed il prelinimare di vendita. Nel primo caso l’immediata esperibilità del rimedio della risoluzione da parte del compratore in buona fede discende dalla configurabilità di un inadempimento in capo al venditore, causato dal mancato trasferimento (immediato) del bene in capo al compratore, ai sensi del principio consensualistico di cui all’articolo 1376, per effetto del quale la proprietà passa in capo all’acquirente per effetto del solo consenso legittimamante manifestato tra le parti.

Nel contratto preliminare di vendita, invece, – caratterizzato come tutti I preliminari da uno iato temporale tra la stipula del preliminare e la stipula del definitivo – l’inadempimento del venditore non si è ancora verificato alla stipula del preliminare, ben potendo costui procurarsi la proprietà della cosa fino al momento della stipula del defintivo, sede deputata al verificarsi degli effetti reali traslativi. Sicchè, il promissario acquirente non può avvalersi immediatamente del rimedio di cui al 1479 c.c., ma dovrà attendere lo spirare del momento previsto dalle parti per la stipula del definitivo.

Infine, quanto alle modalità con cui questa prestazione può eseguirsi, e ferma restando l’impossibilità di costringere il terzo ad effettuare detto trasferimento trattandosi in tal caso di un effetto sfavorevole nella sua sfera giuridica per ciò solo inammissibile (si veda in proposito quanto esposto in merito al contratto a favore di tezo), la giurisprudenza ha riconosciuto l’ammissibilità di diverse modalità attuative: superata la tesi più risalente per la quale, stante l’impossibilità di costringere il terzo ad adempiere, l’unica modalità consentita è costituita dal doppio trasferimento (dal terzo al promittente venditore e da costui al promissario acquirente), è oggi riconosciuta la possibilità di attuare un trasferimento diretto dal terzo in capo al promissario acquirente, altresì previo rilascio da parte del terzo al promittente venditore di una procura irrevocabile a vendere – così evitando di intervenire direttamente nella stipula del definitivo. O, ancora, è possible e probabilmente di più rapida esecuzione, la stipula di un unico atto nel quale confluiscano le simultanee dichiarazioni di vlontà del promittente venditore, del promissario acquirente e del terzo.

In ogni caso, analogamente a quanto accade nell’ipotesi di contratto a favore di terzo, quest’ultimo non assume alcuna obbligazione nei confronti del promissario acquirente (per il suesposto principio – opportunamente relativizzato- di relatività degli effetti del contratto tra le parti ex art. 1372 c.c.). Da tale assunto la Sprema Corte ha derivato l’assenza di strumenti azionabili da parte del promissario acquirente direttamente nei confronti del terzo in caso di inadempimento del contratto preliminare.

Infine, un’ultima – ma non meno degna di nota – considerazione deve farsi a proposito degli effetti “prenotativi” della trascrizione del preliminare ai sensi dell’articolo 2645-bis del c.c. La dottrina che si è preoccupata di verificare i risvolti dello “sfasamento soggettivo” ed oggettivo nell’ambito della trascrizione, ha condotto la sua indagine a partire dall’inossidabile assunto che il meccanismo prenotativo della trascrizione del preliminare postuli la coincidenza tra preliminare e definitivo.

Conseguentemente, nel caso di discordanza oggettiva, ha rilevato che, ove la discordanza sia meramente quantitativa, la trascrizione mantiene il suo effetto prenotativo laddove si tratti di una riduzione quantitativa (si pensi al caso di un preliminare che abbia ad oggetto la vendita di cnque appartamenti e di un definitivo che ne contempli solamente quattro; in caso di aumento quantitativo, si ritiene che l’effetto prenotativo permanga per la stessa quantità prevista nel preliminare. Analogamente ha ritenuto nell’ipotesi di discordanza relativa al diritto oggetto del preliminare: l’effetto prenotativo permane ove il diritto oggetto del definitivo (es: usufrutto) sia compreso nel diritto oggetto del definitivo (es: proprietà).

Nel caso invece di discordanza qualitativa, id est di vendita di un bene diverso, l’effetto prenotativo non potrà più mantenersi.

Nell’ipotesi di “sfasamento soggettivo”, parte della dottrina ritiene che, in ogni caso, i mutamenti soggettivi debbano essere assoggettati a pubblicità immobiliare mediante trascrizione (non essendo all’uopo sufficiente una mera annotazione, il qui scopo è quello di completare le formalità, non già di effettuare una iscrizione ex novo).

Guarda anche

  • Anatocismo e prassi usurarie

  • Servitù atipiche e tutela esperibile

  • Parere diritto civile corso avvocati INPS

  • IL PRINCIPIO DI CONCORRENZA CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLA FIGURA DELL’ORGANISMO DI DIRITTO PUBBLICO.