Tema svolto di diritto civile: la divisione dei crediti ereditari.

La divisione dei crediti ereditari*

*Estratto da Temi svolti per il concorso in magistratura 2010, a cura di S. Ruscica, Cierre Edizioni, 2010.

di Nicola D’Agnese

Schema preliminare di svolgimento della traccia

–  Nozione di eredità.

–  I crediti e debiti ereditari.

–  La comunione ereditaria.

–  Le problematiche della divisione.

Dottrina

Basini, Crediti, debiti, e coeredità, in Famiglia, persone e successioni, 2009, 168.

Militerni, Le sezioni unite dettano il regime dei crediti ereditari, in Corriere giur., 2008, 1102.

Tafuri, Il problema della divisione (automatica o non) dei crediti ereditari, in Corriere giur., 1993, 55.

Giurisprudenza

Cass. Civ., Sez. Un., 28 novembre 2007, n. 24657

I crediti del de cuius – a differenza dei debiti – non si dividono automaticamente tra i coeredi in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria; ciò consente a ciascuno dei partecipanti di agire singolarmente per far valere l’intero credito ereditario comune o anche solo la parte di credito proporzionale alla quota ereditaria, senza necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri coeredi.

Cass. Civ., Sez. III, 5 settembre 2006, n. 19062

I crediti del de cuius, a differenza dei debiti (art. 752 c.c.), non si dividono automaticamente tra i coeredi in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria, secondo le regole dettate dagli art. 727, 757 e 760 c.c.; ne consegue che i compartecipi assumono la veste di litisconsorti necessari nei giudizi diretti all’accertamento dei crediti ereditari ed al loro soddisfacimento.

Legislazione correlata

Codice Civile, artt. 713, 732, 752, 754, 784, 757, 1111.

 

 

SVOLGIMENTO

L’eredità è il complesso della posizione giuridiche attive e passive che si trasmettono dal defunto ai suoi successori.

Relativamente alla titolarità di queste posizioni, essa spetta all’erede, che acquisterà l’eredità con effetto dal momento della morte dell’ereditando. Tale effetto retroattivo vale a colmare il vuoto tra l’apertura della successione e l’accettazione dell’eredità e ad assicurare la continuità dei rapporti successori.

Prima che si verifichi l’effetto retroattivo, si sottolinea, dell’accettazione, la titolarità dei diritti ed obblighi ereditari è provvisoriamente vacante ma destinata all’erede.

La nozione dell’eredità, come attenta dottrina precisa, vale a identificare la nozione di erede. Erede è, infatti, il successore universale del defunto, intendendosi come tale chi acquista l’eredità o una quota di essa.

L’erede, più precisamente, è colui che subentra nella generalità delle posizioni attive e passive del defunto o in una quota di essa, eccettuati i diritti specificamente attribuiti ai successori a titolo particolare.

La posizione dell’erede, si afferma in dottrina, è ormai essenzialmente ridotta al momento patrimoniale e non appare più sostenibile l’idea secondo la quale l’erede sarebbe una sorta di continuatore della personalità del defunto.

I criteri d’individuazione dell’erede sono i criteri normativi di accertamento del carattere universale o particolare della chiamata successoria. Tali criteri possono ricondursi a quello dell’attribuzione della qualità di erede e a quello dell’attribuzione dell’universalità dei beni o di una quota di essi.

Il primo criterio accerta come disposizione a carattere universale quella che nomina direttamente il designato quale erede o successore universale.

Il secondo criterio accerta, invece, come disposizione a carattere universale quella che attribuisce al designato l’universalità dei beni o una quota di essi.

In genere, all’erede si trasmettono tute le posizioni attive e passive del defunto, tranne quelle, come precedentemente detto, di natura strettamente personale e quelle di cui il defunto abbia disposto mediante legati.

Le posizioni attive comprendono la proprietà e gli altri diritti reali, esclusi i diritti di usufrutto, uso e abitazione. All’erede si trasmettono poi i crediti, i contratti, e i poteri autonomi sia sostanziali che processuali, tranne quelli di carattere personale e quelli dichiarati intrasmissibili.

A questo punto, giova precisare che se vi sono più eredi, i crediti si dividono ex abrupto in proporzione delle loro quote, non dimenticando che anche il diritto di risarcimento già spettante al defunto e che venga fatto valere per diritto ereditario si ripartisce secondo le quote.

Anche i debiti e i pesi ereditari si dividono automaticamente tra gli eredi in ragione delle loro quote senza vincolo di solidarietà. Ad avviso della Cassazione, con la morte di un debitore in solido il vincolo solidale non cessa fra gli eredi e gli altri condebitori, ma riceve una limitazione nei confronti dei singoli eredi, nel senso che ciascun erede rimane obbligato solidalmente con i debitori originari solo fino alla concorrenza della propria quota ereditaria.

Se il defunto era obbligato in solido con altri, è l’obbligazione solidale che si divide tra gli eredi. Anche su quest’ultimo aspetto non sono mancati pronunciamenti da parte del giudice di legittimità. In particolare, secondo il Supremo Collegio, la norma di cui all’art. 754 c.c., secondo la quale gli eredi rispondono dei debiti del de cuius secondo il valore della quota nella quale sono stati chiamati a succedere, con esclusione di qualsivoglia relazione di solidarietà tra le rispettive obbligazioni (giusto il principio nomina et debita hereditaria ipso iure dividuntur), deve essere interpretata nel senso che il coerede convenuto per il pagamento di un debito ereditario ha l’onere di indicare, al creditore, questa sua condizione do coobbligato passivo entro i limiti della propria quota, con la conseguenza che, integrando tale dichiarazione gli estremi, dice la Corte, dell’istituto processuale dell’eccezione propria, la sua mancata proposizione consente al creditore di chiedere legittimamente il pagamento per l’intero.

Ancora, giova evidenziare che allorquando il coerede paga oltre i limiti della sua quota ha diritto di rivalsa nei confronti degli altri coeredi art. 754 c.c. In tal caso è surrogato nei diritti di credito se questi erano muniti d’ipoteca o pegno, (nell’ipotesi di obbligazione indivisibile il coerede si avvale della surrogazione legale come se ne avvale il condebitore solidale: l’indivisibilità dell’obbligazione comporta, infatti, l’applicazione della disciplina della solidarietà), se la prestazione era indivisibile o se il creditore l’ha surrogato, la surrogazione, del resto, vale solo per la parte per cui gli altri coeredi devono contribuire.

Orbene, si forma, sui beni ereditari, una comunione tra coeredi se nel patrimonio ereditario subentrano più eredi, in base alla legge o in base a testamento.

Essa deriva dalla circostanza che più soggetti succedono contemporaneamente in un’unica eredità. Tale comunione viene riconosciuta come incidentale giacché si forma a prescindere dalla volontà dei partecipanti.

Al fine di poter ravvisare una situazione di comunione ereditaria è necessario che il de cuius abbia istituito più eredi per quote ideali, e non per beni singolarmente individuati. Restano esclusi i legati, esprimendo essi una vicenda successoria a titolo particolare.

Non diversamente da quanto accade nella comunione ordinaria, art. 1100 ss. c.c., nella comunione ereditaria non si ha l’appartenenza di beni singolarmente individuati ma a ciascun coerede spetta, sull’intero, un diritto commisurato alla quota che rappresenta la misura di partecipazione al tutto.

La comunione ereditaria, si precisa, è una specie della comunione ordinaria. Come attenta dottrina ricorda, mancando nel Codice Civile una disciplina capillare, se si escludono le norme relative alla vicenda dello scioglimento della comunione, artt. 713, 736 c.c., alla comunione ereditaria, si applicano, in quanto compatibili, le regole sulla comunione in generale, segnatamente agli artt. 1100, 1116 c.c.

Un istituto peculiare della comunione ereditaria è certamente il c.d. “retratto successorio”. Ai sensi dell’art. 732 c.c., il coerede, se vuole alienare ad un estraneo la sua quota ereditaria o parte di essa, deve notificare la proposta di alienazione, indicandone il prezzo agli altri coeredi, i quali hanno diritto di prelazione da esercitarsi entro il termine di due mesi dall’ultima delle notificazioni.

In mancanza di notificazione, costoro hanno diritto di riscattare la quota dall’acquirente e da ogni successivo avente causa, a prescindere dalla trattazione dell’acquisto, finché dura lo stato di comunione ereditaria.

In quanto opponibile erga omnes, il diritto di prelazione spettante ai coeredi configura un’ipotesi di prelazione reale, da cui si distingue l’ordinaria prelazione obbligatoria che ha efficacia solo tra le parti e che, a seguito del mancato adempimento dell’obbligo di denuntiatio da parte del promittente, consente al prelazionario di agire per il solo risarcimento del danno.

La ratio della norma è quella di tutelare il corretto svolgimento delle operazioni divisorie e ad evitare che esse avvengano tra persone diverse dagli istituiti e, quindi, tra persone non chiamate a succedere.

Presupposto del retratto, infatti, è che ancora sussista una condizione di comunione. La dottrina osserva che tanto è vero che l’esigenza di preferire attraverso il diritto di prelazione i coeredi non è più avvertita, allorché il coerede alieni ad estranei non la quota ma singoli beni della comunione ereditaria, condizionandone risolutivamente l’efficacia traslativa alla concreta assegnazione di quello specifico bene in sede di divisione: in tal caso, infatti, la comunione tra coeredi permane, né essa viene alterata sul piano soggettivo dei partecipanti, non dimenticando che la dichiarazione di riscatto non ha forma vincolata ed il diritto si ritiene rinunziabile.

La normativa sulla divisione ereditaria rappresenta una disciplina autonoma, per alcuni versi distinta da quella generale posta in materia di scioglimento della comunione ordinaria dagli artt. 1100 ss. c.c.

Come attenta dottrina evidenzia, ancorché, infatti, il tema della divisione possa essere ricondotto sul piano sistematico al generale fenomeno della comunione in generale, la cui disciplina va ad essa applicata, la previsione codicistica di uno specifico regime può far ritenere che si tratti d’istituto peculiare della materia successoria.

Del resto, a ben vedere, lo stesso presupposto è diverso, perché nell’ambito della vicenda mortis causa si tratta di dividere non semplicemente un bene comune ma un complesso patrimonio costituito da attività, passività, diritti ed obblighi.

Giova precisare, che alla comunione tra collegatari si applicano le regole in tema di scioglimento della comunione ordinaria, art. 1111 ss. c.c. La divisione ha efficacia dichiarativa, essendo già in astratto fissato quanto spetterà a ciascun coerede.

L’assegnazione delle varie posizioni concrete, conseguentemente, non realizza una vicenda traslativa, poiché questa si è già compiuta al momento dell’apertura della successione, in seguito alla delazione ed alla successiva accettazione.

La legge fa retroagire, come dottrina ricorda, gli effetti della divisione al momento in cui si è aperta la successione ed ogni coerede è reputato esclusivo proprietario dei beni che compongono la sua quota, sin da quel momento, come se non vi fosse mai stata comunione ereditaria.

L’effetto retroattivo desumibile dall’art. 757 c.c., ha carattere assoluto, nel senso che opera non solo nei confronti dei coeredi ma anche dei terzi. La retroattività viene spiegata come una conferma della voluntas legis di attribuire alla comunione carattere transitorio.

Orbene, l’art. 757 c.c., prevede che ciascun erede è reputato fin dalla nascita della comunione, come proprietario esclusivo dei beni che gli vengono attribuiti e (si considera) come successione non avesse mai avuto la proprietà degli altri beni ereditari.

Si evidenzia in dottrina che il carattere dichiarativo assicurerebbe il rispetto del principio di continuità nella titolarità dei rapporti giuridici. La precarietà e temporaneità della comunione ereditaria sono evidenziate dalla normativa che rende agevole lo scioglimento della stessa mediante divisione.

L’art. 713 c.c., dispone che i coeredi possono sempre domandare la divisione, la temporanea indivisibilità può dipendere dalla volontà del testatore, art. 713 c.c., dalla decisione del giudice, dalla volontà della legge, art. 715 c.c., o dalla volontà degli eredi, art. 1111 c.c.

Ciascuno dei soggetti che partecipavano alla comunione ottiene, in sede di divisione, la titolarità esclusiva su una parte determinata del bene o dei beni che erano comuni, corrispondente per valore alla quota spettante nello stato d’indivisione.

Con le operazioni divisionali, dunque, cessa la partecipazione congiuntiva, pro quota, all’interno ed a tale situazione si sostituisce l’attribuzione materiale dei beni o di parte di essi, a ciascun partecipante.

La giurisprudenza di legittimità, non ha mancato di effettuare precisazioni in tema di errore. Nel caso di errore che s’inserisca nella fase che precede le operazioni divisionali e quindi cada sui presupposti della divisione, quale l’esistenza di un testamento, oppure cada sulla determinazione del numero degli eredi, sono applicabili i principi generali sull’errore di cui agli artt. 1427 ss. c.c.

Inoltre, afferma la Cassazione, qualora si sia proceduto ad una divisione in base a norme di legge mentre esisteva un testamento non ancora scoperto al tempo della divisione, viene integrato un errore sul presupposto, della divisione che, secondo dottrina dominante, oltre che per giurisprudenza costante, darebbe luogo a nullità assoluta dichiarabile in ogni tempo, con la conseguenza che sarebbe necessario modificare la ripartizione dei beni fra gli eredi nel senso estrapolabile dal testamento.

La divisione deve invece ritenersi nulla se mancano i presupposti della divisione, come la qualità di erede in caso di divisione operata in base a testamento revocato o nullo, l’esistenza della comunione, o la mancata partecipazione di tutti i coeredi.

Ancora, va sottolineato che la disciplina della divisione ereditaria contempla inoltre il rimedio della rescissione per lesione in favore del coerede che provi di essere stato leso oltre il quarto rispetto alla quota di sua spettanza, art. 763 c.c., ancorché la divisione sia stata fatta dal testatore.

La rescissione della divisione si differenzia profondamente dall’omonimo rimedio contrattuale previsto in via generale dall’art. 1448 c.c.

In particolare, la rescissione della divisione prescinde totalmente dal requisito soggettivo dell’approfittamento dello stato di bisogno o di pericolo, configurandosi così come quale rimedio volto a ripristinare la situazione di fatto della comunione ereditaria nell’ipotesi di lesione oltre il quarto del diritto di uno dei condividenti derivante dalla divisione stessa.

A questo punto, vediamo le tipologie di divisione, che si possono prospettare ossia la divisione giudiziale, oppure quella effettuata dal testatore.

Allorquando non si raggiunga l’unanimità dei consensi, su iniziativa di qualsiasi coerede interessato, si procede alla divisione giudiziale, la quale può essere chiesta in qualsiasi momento, salvo sussista un divieto di divisione, da uno qualunque dei coeredi che dovrà convenire in giudizio tutti gli altri coeredi.

Per tale via prende forma, ai sensi dell’art. 784 c.p.c., un litisconsorzio necessario, di cui si dirà meglio in appresso. La divisione è statuita con sentenza impugnabile nelle ordinarie forme giurisdizionali, non essendo qui ammissibili le suddette impugnative contrattuali dell’annullamento e della rescissione.

Il procedimento di divisione consiste in una pluralità di operazioni che vanno dalla formazione della massa dividenda, alla formazione delle porzioni, concludendo con l’assegnazione delle porzioni. La formazione della massa da dividere ha la funzione ricognitiva d’individuazione di tutti i beni del patrimonio ereditario.

Ancora, si dovrà tenere conto di tutti i beni immobili e mobili, dopodiché si effettua la formazione dello stato attivo e passivo dell’eredità, al fine dell’individuazione delle porzioni ereditarie, i conguagli e i rimborsi che si devono tra loro i condividenti.

In tale momento s’innesta la collazione delle donazioni e l’imputazione dei debiti. Giova ricordare che la fase della composizione delle porzioni è retta dal principio secondo cui ogni coerede ha diritto a che nella sua porzione entri una quantità di mobili, d’immobili e di crediti di uguale natura e qualità, in proporzione del valore della quota.

Dunque il procedimento divisorio si apre solo dopo che sono state effettuate le porzioni, tramite l’assegnazione. La divisione, infine, può anche essere effettuata o indirizzata dal testatore, il quale, precludendo il sorgere della comunione, può stabilire quali beni assegnare ai singoli eredi, ivi compresi i legittimari.

Ovviamente non va tralasciato il fatto che la divisione disposta dal testatore esclude le altre forme di divisione, infatti, l’art. 734 c.c. riconosce al testatore la facoltà di dividere i suoi beni tra gli eredi comprendendo nella divisione anche la parte non disponibile e consente, inoltre, al testatore di dettare norme per formare le porzioni, di designare un terzo che formuli un progetto di divisione, di commettere all’esecutore testamentario la divisione.

Il testatore, però, incontra una limitazione ossia di comprendere nella divisione i legittimari e di non ledere il quarto della quota dei condividenti, infatti, la divisione è nulla se il testatore non abbia compreso qualcuno dei legittimari o degli eredi istituiti.

Ancora, allorquando il testatore, nel fare le porzioni, leda la quota di legittima spettante ad alcuno dei coeredi, questi potrà sempre agire con l’azione di riduzione.

L’art. 733 c.c., attribuisce al testatore la facoltà di stabilire particolari norme per formare le porzioni, che sono vincolanti per gli eredi salvo che l’effettivo valore dei beni non corrisponda alle quote stabilite dal testatore.

Gli articoli 758 e 759 c.c., dettano la disciplina della garanzia per le molestie ed evizioni derivanti da causa anteriore alla divisione.

Più precisamente, se un terzo sostiene che il de cuius non era proprietario di uno o più beni compresi nella porzione attribuita ad uno dei coeredi ed il coerede è costretto a rilasciare i beni richiesti, viene meno la corrispondenza tra la porzione assegnata e la quota ereditaria.

Il danno subito dalla persona cui è stato assegnato il bene oggetto di evizione, viene diviso tra tutti i coeredi i quali, sono tenuti tra di loro alla garanzia per molestie ed evizioni.

Infatti, se taluno dei coeredi subisce evizione, il valore del bene evitto, deve essere ripartito fra tutti i coeredi in proporzione al valore che i beni attribuiti a ciascuno di essi hanno al tempo dell’evizione, tenuto conto dello stato in cui si trovano al tempo della divisione.

L’evizione contemplata dall’art. 758 c.c., prescinde dalla colpa di alcuno dei condividenti e la relativa garanzia si basa sul principio di equità tra i condividenti e sulla ripartizione del rischio tra tutti i coeredi.

La garanzia, infine, di cui all’art. 758 c.c., non opera se sia stata esclusa con clausola espressa nell’atto di divisione o se il coerede soffra l’evizione per propria colpa; la clausola con cui si esclude deve essere, quindi, espressa e deve indicare i beni ai quali si riferisce. Ancora, dice la dottrina, che le molestie a cui allude l’art. 758 c.c., consistono nelle pretese giuridiche avanzate su un determinato bene, proponendo o minacciando di proporre, un’azione giudiziaria nei confronti del coerede.

Giunti a questo punto della trattazione, occorre concentrare l’attenzione, anche se già accennato precedentemente, sul tema dei debiti e crediti ereditari.

Già prima della divisione, con l’acquisto dell’eredità i debiti e i crediti del defunto si dividono di regola tra gli eredi, senza passare da una fase intermedia in cui si trovino a far parte della comunione ereditaria.

Pertanto, alla domanda se possono costituire oggetto di comunione i debiti ed i crediti ereditari, la risposta non può che essere negativa a differenza di quanto accade in ordine ai diritti reali, i debiti e i crediti ereditari devono essere sopportati da ciascun coerede in proporzione della propria quota di eredità.

Questa regola trova applicazione sia nei rapporti interni tra coeredi che nei rapporti esterni, di fronte ai creditori, pertanto se uno dei coeredi ha pagato per intero o in eccedenza rispetto alla quota a lui facente capo, ha diritto di regresso nei confronti degli altri.

Ergo, ciascun creditore del de cuius non può pretendere dal singolo coerede, sempre ché non si tratti di obbligazioni indivisibili, più di quanto proporzionalmente è imputabile alla quota ereditaria a quella devoluta ed in caso d’insolvenza di uno dei coeredi, questa inadempienza non può essere invocata nei confronti degli altri.

Come già accennato precedentemente, i debiti e i pesi ereditari si dividono automaticamente tra gli eredi in ragione delle loro quote e senza vincolo di solidarietà ai sensi dell’art. 752 c.c., salvo che il testatore abbia disposto diversamente.

La legge, giova sottolineare, che pone delle eccezioni alla regola della divisione pro quota e della responsabilità per i debiti ereditari. In primo luogo, il testatore può aver diversamente disposto, sicché la divisione del passivo ereditario può non avvenire in ragione proporzionale alle quote.

Inoltre, se i beni sono gravati da ipoteca il debitore è tenuto verso il creditore anche oltre la parte incombente su di lui, stante il principio che l’ipoteca è opponibile perfino al terzo acquirente non debitore.

Quanto, infine, ai crediti vediamo che questi si dividono automaticamente in proporzione delle rispettive quote, se vi sono più eredi. La regola della divisione automatica dei crediti ereditari è ribadita anche quando si tratti di credito originariamente solidale.

Nel caso, invece, di prestazione indivisibile ciascun erede può esigere l’intero, ma deve dare cauzione a garanzia dei coeredi, mancando, del resto, il vincolo di solidarietà dal lato attivo, il debitore, deve indicare chi sono gli eredi per effettuare il pagamento.

Ciò premesso, diventa più agevole affrontare la questione giuridica esaminata dalle S.U. della Corte di Cassazione nel 2007.

Il Supremo Collegio affronta il problema relativo alla configurabilità di un litisconsorzio necessario tra gli eredi del creditore, nell’azione per il pagamento di somme dovute al loro dante causa.

Dalla lettura degli artt. 727, 752 e 757 c.c., emerge che, mentre con riferimento ai debiti ereditari il legislatore ha espressamente previsto una responsabilità pro quota degli eredi, non si può concludere nello stesso senso con riferimento ai crediti ereditari.

Infatti, i debiti ereditari, al pari degli oneri e dei legati, si dividono fra di loro in proporzione della rispettiva quota ereditaria. È fatta, tuttavia, salva una diversa volontà del testatore che potrebbe attribuire il pagamento dei debiti a un solo coerede o ripartire l’onere degli stessi in modo non proporzionale, sempre nel rispetto della quota di legittima spettante a ciascun erede necessario.

Parimenti, i creditori possono chiamare in giudizio ogni coerede in proporzione della sua quota. Possono, invece, agire per l’intero nei confronti di ciascun erede solo nell’ipotesi in cui il de cuiusabbia disposto in favore dei creditori la solidarietà passiva tra i coeredi.

Se la regola quindi è quella della divisibilità per quota, non ci si può, tuttavia, esimere dal far presente che esistono eccezionali ipotesi d’indivisibilità. Tali ipotesi ricorrono quando: uno dei coeredi possiede il singolo bene oggetto del debito: in tal caso, il creditore potrà agire per l’intero nei suoi confronti; l’oggetto del debito è indivisibile: in tal caso il creditore può rivolgersi ad uno qualsiasi dei debitori che sia in grado di adempiere la prestazione; il debito risulta garantito da ipoteca gravante su un bene ereditario: in tal caso, è tenuto al pagamento il coerede cui è toccato il bene gravato da ipoteca; i debiti di natura tributaria previsti dalle norme di settore.

Con riferimento ai crediti ereditari, il legislatore non si è espresso al fine di colmare il vuoto normativo. La giurisprudenza si è più volte chiesta se il singolo erede possa vantare un credito proporzionale alla sua quota oppure se lo stesso possa vantare un credito per l’intero ammontare, salvo poi l’esercizio dell’azione di rivalsa da parte degli altri eredi.

Orbene, sulla questione si sono venuti a delineare due diversi orientamenti giurisprudenziali. Una tesi tradizionale, radicatasi a lungo in seno alla giurisprudenza, caldeggiava la ripartizione automatica pro quota sia dei debiti che dei crediti ereditari tra gli eredi, con la conseguenza di escludere la configurabilità del litisconsorzio necessario.

Da ciò si giungeva a sconfessare l’unicità e l’insindacabilità del rapporto di comunione e ad escludere, di conseguenza, la necessità dell’integrazione del contraddittorio nei riguardi degli eredi che non avessero partecipato all’azione di recupero del credito.

Altro indirizzo più isolato negava l’operare di una divisione automatica tra i coeredi dei crediti ereditari proporzionalmente alle rispettive quote. Si partiva, infatti, dal presupposto che i crediti ereditari, a differenza dei debiti, entrino comunque in comunione ereditaria.

Pertanto, considerato che il mantenimento della comunione dei crediti sino alla divisione soddisfa l’esigenza di conservare l’integrità della massa e di evitare qualsiasi iniziativa individuale, i compartecipi assumono le vesti di litisconsorti necessari nei giudizi diretti all’accertamento dei crediti ereditari ed al loro soddisfacimento.

Al riguardo si precisa che la disciplina del litisconsorzio necessario è dettata brevemente dall’art. 102 del c.p.c., il quale dispone che “se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti, queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo”.

Con il pronunciamento del 2007 delle S.U., si compone il dinanzi divisato contrasto giurisprudenziale, proponendo una situazione ibrida tra le due tesi in rassegna. Infatti, da un lato, sostengono le argomentazioni a favore dell’unicità della comunione ereditaria e, dall’altro, escludono l’obbligatorietà del litisconsorzio necessario.

A tale conclusione i giudici di legittimità giungono a seguito di un’analisi della normativa codicistica. Infatti, da un’attenta lettura delle norme, emerge che il principio tradizionale della ripartizione automatica tra i coeredi è stabilito solo con riferimento ai debiti dall’art. 752 c.c.

In relazione ai crediti ereditari, invece, una diversa disciplina sembrerebbe essere dettata dagli artt. 727 e 757 c.c. La prima disposizione, stabilendo che le porzioni debbano essere formate comprendendo nelle stesse, oltre ai beni immobili e mobili, anche i crediti, presuppone evidentemente che gli stessi entrino a far parte della comunione ereditaria.

La seconda, prevedendo che il coerede è reputato il solo successore nei crediti dal momento dell’apertura della successione, rivela inequivocabilmente che i crediti non si ripartiscono tra i coeredi in modo automatico, ma ricadono nella comunione ereditaria.

Una conferma si trae, altresì, dalla disposizione di cui all’art. 760, la quale, escludendo la garanzia per l’insolvenza del debitore di un credito assegnato a uno dei coeredi, fa necessariamente desumere che questi siano inclusi nella comunione ereditaria.

Non solo, l’articolo 1295, secondo cui l’obbligo si divide tra gli eredi di uno dei condebitori o dei creditori in solido in proporzione delle rispettive quote, non riguarda il credito del solo de cuius, ma concerne la diversa ipotesi del credito solidale tra lo stesso ed altri soggetti.

Nella sentenza in rassegna, le S.U. affrontano la questione in esame partendo proprio dall’analisi della disciplina che regola la comunione in generale.

In particolare, i giudici di legittimità espongono le seguenti osservazioni. In sede di comunione, ciascun partecipante può esercitare singolarmente le azioni a vantaggio della cosa comune, senza necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri partecipanti, in quanto il diritto di ciascuno di essi investe la cosa comune nella sua interezza.

La comunione ereditaria, infatti, è anch’essa una comunione. Ne consegue che ogni coerede può agire per la riscossione dell’intero credito, senza la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti degli altri coeredi.

La pronuncia sul diritto comune fatto valere in giudizio, infatti, spiega i suoi effetti nei riguardi di tutti i soggetti interessati. In via residuale, quindi, il litisconsorzio necessario in materia ha senso e si pone in termini di obbligatorietà, solo su un piano “strategico”, in quanto l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri coeredi può essere richiesta dal convenuto debitore se ed in quanto lo stesso abbia interesse ad una pronuncia che faccia stato, anche nei confronti di tutti i partecipanti alla comunione.

In conclusione, secondo le Sezioni Unite del 2007, i crediti del de cuius non si dividono automaticamente tra i coeredi in base alle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria.

Ciascuno dei partecipanti ad essa può agire singolarmente per far valere l’intero credito ereditario comune o anche la sola parte di credito proporzionale alla quota ereditaria, senza necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri coeredi.

Il Supremo Collegio, afferma nella sentenza che la partecipazione al giudizio di costoro può essere richiesta dal convenuto debitore in relazione ad un concreto interesse all’accertamento nei confronti di tutti della sussistenza o meno del credito.

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