RICORSO IN CASSAZIONE PER MOTIVI DI GIURISDIZIONE ALLA LUCE DEI PRINCIPI EURO UNITARI

Pubblicato il 25/002/2016 autore Paola Montone

Nel processo amministrativo, l’esperibilità del ricorso in cassazione è ammessa soltanto per  motivi inerenti alla giurisdizione.

In realtà, ancor prima che l’articolo 111 della Costituzione riconoscesse la possibilità di ricorrere in Cassazione avverso le pronunce del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti solo “per motivi inerenti alla giurisdizione”, già il Testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato prevedeva espressamente all’articolo 48 l’impugnabilità delle decisioni pronunziate in sede giurisdizionale dinanzi alla Corte di Cassazione, circoscrivendone però la proponibilità “soltanto per assoluto difetto di giurisdizione del Consiglio di Stato”.

Ora, la formula più ampia adottata dalla Carta Costituzionale, che fa riferimento ai motivi concernenti la giurisdizione, così come riproposta all’interno del contenuto dispositivo dell’articolo 110 del codice del processo amministrativo, permette all’interprete di ritenere che il ricorso in Cassazione ben possa essere proposto anche in caso di difetto relativo di giurisdizione.

Ecco, allora, che importa preliminarmente chiarire proprio i concetti di difetto assoluto e relativo di giurisdizione, per poi valutare se il concetto di giurisdizione oggi accolto dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione è compatibile con i principi comunitari. In primo luogo, con l’espressione difetto assoluto di giurisdizione si fa riferimento all’ipotesi in cui in relazione alla questione dedotta in giudizio non possa ravvisarsi la giurisdizione di alcuna autorità giudiziaria. In merito, l’esempio sovente citato è quello della applicazione da parte del giudice amministrativo di una legge inesistente ovvero dell’invasione di competenza dell’amministrazione, di guisa che si verrebbe a configurare più propriamente un conflitto di attribuzione, visto che nel primo caso emerge una contrapposizione tra potere giudiziario e potere legislativo e nel secondo tra autorità giudiziaria e potere amministrativo.

Il difetto relativo di giurisdizione si configura, invece, in caso di superamento del limite esterno della propria giurisdizione, come quando, trattandosi di una controversia attribuita alla giurisdizione generale di legittimità, il g.a. compia delle valutazioni afferenti al merito amministrativo ovvero faccia rientrare nell’oggetto del proprio sindacato anche questioni di diritto soggettivo, che, dunque, non rientrano affatto nell’ambito della sua giurisdizione, che comunque sussiste.

Tra i motivi di giurisdizione che possono essere fatti valere innanzi alla Corte di Cassazione vi è poi l’ipotesi in cui l’autorità giudiziaria amministrativa ritenga di non avere giurisdizione in materia, il che comporta un vulnus di tutela per il soggetto privato ricorrente in giudizio.

In realtà, proprio la Corte di Cassazione ha aderito nel tempo ad una esegesi interpretativa del concetto di giurisdizione più ampia, non limitandosi ad una visione statica diretta alla mera individuazione della sfera di competenza attribuita dalla legge all’autorità giudiziaria, ma ampliandone l’estensione configurativa proprio alla luce dei principi comunitari. L’ordinamento giuridico interno, con particolare riferimento al diritto amministrativo, ha subito molto l’influsso del diritto europeo, in nome del riconoscimento di un principio di primazia dello stesso che tanto ha inciso su un ampliamento dei meccanismi di tutela del privato, nonché in termini di effettività della stessa.

Il riferimento ai principi di derivazione comunitaria è soprattutto al principio del giusto processo di cui all’articolo 6 della Convenzione e.d.u. e di cui è espressione lo stesso articolo 111 della nostra Costituzione, ma anche ai connessi principi del contraddittorio e della parità delle armi tra le parti processuali, nonché proprio al principio per cui i rimedi apprestati dal diritto interno non devono garantire una tutela formale ma sostanziale ossia effettiva, come si evince chiaramente dall’espressione fatta propria dal diritto europeo per cui “domestic remedies must be effective” ed oggi trasposta nell’articolo 1 del codice del processo amministrativo.

Ma non solo: non può, infatti, sottacersi la centralità del principio di piena giurisdizione (full jurisdiction), come da ultimo valorizzato proprio dalla Corte di Strasburgo nel noto caso Menarini, in tema di valutazione della pienezza ed effettività del sindacato giurisdizionale del g.a. sui provvedimenti sanzionatori delle autorità amministrative indipendenti, e che assurge a principio fondamentale proprio ai fini della tematica in esame.

Orbene, la necessità di garantire il rispetto di questo nucleo primigenio di principi euro-unitari ha spinto la Corte di Cassazione ad assumere la veste di organo regolatore della giurisdizione anche in relazioni a motivi dedotti dalla parte non tradizionalmente ascrivibili alla categoria del difetto di giurisdizione ma più propriamente afferenti ad ipotesi di abuso del potere giurisdizionale.

La categoria dell’abuso del potere giurisdizionale rappresenta, in verità, una categoria innovativa per il nostro diritto, non trovando la stessa una codificazione espressa ma piuttosto una legittimazione configurativa sempre alla stregua di quell’insieme di principi comunitari, che rappresentano il substrato comune della tradizione giuridica dei Paesi membri dell’Unione.

Di siffatta concezione dinamica del concetto di giurisdizione, ravvisabile, dunque, ogni qualvolta l’affermazione ovvero il diniego di giurisdizione da parte del giudice amministrativo si ponga in aperta violazione rispetto ai principi del giusto processo e dell’effettività della tutela, la Corte di Cassazione ha fatto applicazione in alcune note vicende che hanno interessato proprio il diritto amministrativo.

Tra i casi attenzionati dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, sempre nella veste di giudice regolatore della giurisdizione, uno dei più significativi è sicuramente rappresentato dalla questione relativa alla pregiudiziale di annullamento.

In merito, occorre evidenziare come la questione della pregiudiziale amministrativa nasceva ancor prima della storica pronuncia della Cassazione del 1999, allorché partendo dal presupposto della natura caducatoria-impugnatoria del processo amministrativo (che nasce come giudizio sull’atto), si ritenevano risarcibili i solo interessi legittimi oppositivi, fatti valere in giudizio dal privato proprio attraverso l’impugnazione dell’atto ritenuto pregiudizievole di siffatto categoria di interessi.

Ora, a differenza della categoria degli interessi legittimi pretensivi, non si è mai posto, in realtà, un problema di risarcibilità degli interessi legittimi oppositivi, in quanto si riteneva che gli stessi altro non fossero che diritti soggettivi, che erano stati affievoliti a seguito dell’emanazione di quel provvedimento amministrativo avente natura non ampliativa della sfera giuridica soggettiva, quanto piuttosto restrittiva. Il problema della pregiudiziale, che, beninteso si riproporrà anche con riferimento agli interessi legittimi pretensivi (dopo l’apertura alla loro risarcibilià operata dalla storica sentenza della Cassazione del 1999), si poneva in quanto, pur a fronte della fictio giuridica comportante l’assorbimento della categoria degli interessi oppositivi in quella dei diritti soggettivi affievoliti, per poterne affermare la risarcibilità occorreva comunque che il privato avesse azionato la tutela impugnatoria, ad esito della quale il privato avrebbe potuto godere di un diritto soggettivo pieno e solo in quanto tale risarcibile.

Proprio sul problema della pregiudiziale amministrativa, prima che intervenisse il codice del processo amministrativo a favore dell’abbandono della tesi dell’esistenza di una pregiudiziale di rito, vi era stato un contrasto giurisprudenziale tra la giurisprudenza amministrativa del Consiglio di Stato e la giurisprudenza della Corte di Cassazione circa la necessità o meno che la domanda risarcitoria fosse preceduta dall’esperimento di una tutela demolitoria avverso il provvedimento.

A fronte di una prima fase in cui la Corte di Cassazione era pervenuta a ritenere la questione di giurisdizione così prospettata infondata, in considerazione del dogma dell’irrisarcibilità dell’interesse legittimo, la Cassazione ha successivamente accolto il motivo di giurisdizione sotto il profilo del rito ma non nel merito, una volta constatato che il giudice dell’interesse legittimo è il giudice amministrativo, che, però, negava la propria giurisdizione in materia di risarcibilità di interesse legittimo svincolata dall’annullamento del provvedimento.

Il diniego di giurisdizione da parte del g.a. in materia comportava una deminutio di tutela, sub specie di una rinuncia ad una fetta di giurisdizione che si risolveva in una palese violazione del principio costituzionale di cui all’articolo 113 Cost., nella parte in cui “è sempre ammessa la tutela giurisdizionale…degli interessi legittimi”, ancor prima che in una violazione del principio di effettività della tutela di matrice comunitaria.

Questa nuova accezione del concetto di motivi inerenti alla giurisdizione si rinviene ancora con riferimento ad un questione che permane tuttora oggetto di dibattito tanto dottrinale quanto di contrasto giurisprudenziale. Si allude al problema dell’ordine di trattazione tra ricorso principale e ricorso incidentale, in relazione alla specifica ipotesi attenzionata da ultimo dall’Adunanza Plenaria del 2014, con riferimento al rito appalti, quando si tratti di una gara con due soli partecipanti.

In merito, la presenza di due soli partecipanti ha consentito ad una parte della giurisprudenza amministrativa di accordare una vera e propria preferenza a favore della preliminare trattazione del ricorso incidentale, qualora lo stesso esplichi un effetto paralizzante nei confronti del ricorso principale: quando, cioè, dall’accoglimento del ricorso incidentale emerge che il ricorrente in via principale non poteva proprio partecipare alla gara, non avendone ad esempio i requisiti prescritti dal Codice degli appalti, viene meno la sua stessa legittimazione ad agire di guisa che il ricorso incidentale impedisce al giudice di prendere in considerazione le doglianze rappresentate dal ricorrente principale.

Questo orientamento apparirebbe, in verità, non compatibile col principio di parità della armi, proprio in considerazione del rilievo che non ostano ragioni per cui anche il ricorso principale debba essere oggetto di trattazione, né potrebbe, in un’ottica di bilanciamento di interessi, ritenersi sempre soccombente l’interesse del ricorrente (che ben potrebbe comunque vantare un interesse mediato alla ripetizione della gara) a fronte dell’esigenza di garantire la celerità e la pronta risoluzione della causa, vertendosi in un rito accelerato quale quello degli appalti.

Queste obiezioni, che erano state fatte proprie già da una pronuncia dell’Adunanza Plenaria del 2008 e che, non a caso, avevano determinato il giudice nazionale a rimettere alla Corte di Lussemburgo una questione di pregiudiziale comunitaria con riferimento al caso Fastweb, trovano piena adesione da parte della Corte di Cassazione, che, ancora una volta adita per motivi di giurisdizione, aveva, per così dire, caldeggiato da parte dell’Adunanza Plenaria una revisione del proprio orientamento proprio alla luce dei principi eurounitari.

Come anticipato, la questione non può dirsi ad oggi completamente risolta pur dopo il recente arresto del 2014 dell’Adunanza Plenaria, con cui si è comunque riconosciuto l’effetto paralizzante del ricorso incidentale, pur circoscrivendolo all’ipotesi in cui con il ricorso incidentale si faccia valere un vizio afferente ad una fase precedente a quella oggetto di impugnazione, tale da inficiare proprio la legittimazione ad agire del ricorrente in via principale.

Rimane, dunque, il problema di verificare se il riconoscimento di siffatto effetto paralizzante non continui a tradursi in un diniego di giurisdizione del giudice amministrativo, con riferimento alla necessità di tutela della situazione del ricorrente principale, che in tal modo sarebbe irrimediabilmente compromessa, in spregio ai valori comunitari che considerano assolutamente inderogabile il principio della parità delle armi tra le parti processuali.

Ed ancora, si può far menzione di un’ipotesi in cui si è ravvisato da parte della Corte di Cassazione un travalicamento dei limiti della giurisdizione del giudice amministrativo, con riferimento all’annullamento di un provvedimento di esclusione dalla gara da parte della stazione appaltante, provvedimento che era stato motivato sulla base di un inadempimento delle prestazioni affidate all’operatore economico poi escluso.

La Corte di Cassazione ha evidenziato come l’esercizio di un siffatto potere giurisdizionale di annullamento del provvedimento di esclusione appare palesemente violativo della riserva di amministrazione, visto che il codice degli appalti nell’ipotesi in esame, di cui alla lettera f) dell’articolo 38, rimette alla valutazione della stazione appaltante il giudizio circa la sussistenza di tale causa di esclusione. Si configura, così, un difetto relativo di giurisdizione, considerata la valutazione nel merito operata dal giudice amministrativo in una materia sì attribuita alla giurisdizione esclusiva del g.a., ex articolo 133 lett.e), ma non certamente a quella di merito.

Infine, un’interessante pronuncia della Corte di Cassazione, sempre quale giudice regolatore della giurisdizione, è quella relativa all’accertamento della violazione dei limiti esterni della giurisdizione ad opera del Consiglio di Stato che aveva proceduto ad annullare un provvedimento senza adire in via pregiudiziale la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, pur a fronte della sussistenza di un contrasto interpretativo che avrebbe necessitato l’intervento chiarificatore della Corte stessa. In realtà, qui veniva in rilievo il rispetto del principio della “primautè” del diritto comunitario e dunque l’esigenza di evitare la ravvisabilità di una patente violazione del diritto comunitario ed una conseguente responsabilità dello Stato, rappresentato in tesi dal potere giudiziario.

Infine, non può sottacersi come la necessità di confrontarsi con i principi comunitari, sub specie di quello di imparzialità del giudizio, ha spinto parte della dottrina ad interrogarsi circa la compatibilità strutturale del ricorso in Cassazione al diritto europeo. In altri termini, la circostanza per cui a pronunciarsi sui motivi di giurisdizione sia la Corte di Cassazione, che in realtà è organo giurisdizionale di ultimo grado con riferimento al processo civile, potrebbe confliggere con la sentita esigenza di una imparzialità di giudizio da parte di un organo terzo ed imponendo, ad esempio, una differente composizione della Corte quando la stessa sia investita del ruolo di giudice della giurisdizione.

Difatti, dalla disamina della casistica giurisprudenziale sopra delineata potrebbe emergere il rischio che le valutazioni della Corte di Cassazione si risolvano in giudizi sul merito dell’adozione del potere giurisdizionale amministrativo più che in giudizio sul rispetto delle regole di riparto della giurisdizione.

In ogni caso, alla luce delle considerazioni sin qui svolte, sembra trovare conferma il rilievo per cui ancora un volta i principi euro unitari informano lo stesso operato dell’attività giurisdizionale e comportano una riconsiderazione delle categorie classiche del processo amministrativo e di quello ordinario, come può essere il mezzo di impugnazione del ricorso in Cassazione, ove al concetto stesso di motivo di giurisdizione ben può essere accordata un’accezione più ampia, maggiormente garante dell’esigenza di una tutela piena del soggetto ricorrente.

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