BREVI RIFLESSIONI IN MERITO AL REGIME PATRIMONIALE DEI BENI DESTINATI AD UN PUBBLICO SERVIZIO.

Sommario. 1. La natura dei beni pubblici. 2. La oggettivizzazione dell’attività amministrativa. 3. Il caso particolare delle infrastrutture dedicate al servizio di telefonia.

Di Serafino Ruscica

1.         La natura dei beni pubblici.

La destinazione pubblica è l’elemento centrale e, per i beni demaniali, discende ex lege per il fatto della sola esistenza del bene in natura e per la appartenenza ad una delle categorie previste come proprietà riservata. Da ciò discende che la inclusione del bene negli elenchi dei beni demaniali ha carattere dichiarativo, al pari degli atti di delimitazione del demanio e delle pronunce giurisdizionali all’esito di un eventuale contenzioso in materia[1]. Per il demanio artificiale non è previsto in generale un provvedimento espresso di destinazione pubblica e per lo più si ricorre al concetto di demanializzazione implicita (es. derivante dalla costruzione di un acquedotto) o tacita (es. apertura al pubblico di una strada). Anche in questo caso, perciò, la dottrina attribuisce carattere dichiarativo alla classificazione nel senso che la classificazione registra eventi maturati prima e al di fuori di essa [2]. Alla stessa stregua, la cessazione della demanialità dipende dalla cessazione della destinazione del bene (es. distruzione dell’immobile, inaridimento della sorgente) ed anche in questo caso la relativa, dichiarazione prevista dall’art. 829 c.c., si ritiene abbia effetto dichiarativo[3].

Ciò è molto chiaro per il c.d. demanio naturale ex art. 822 primo comma c.c. poiché per questi beni la sclassificazione dipende da mutazioni naturali. Il carattere dichiarativo è meno evidente per il demanio artificiale (strade, opere di difesa nazionale, acquedotti, aerodromi, etc.) in cui invece la perdita della demanialità può anche dipendere dalla volontà della P.A.

Va tuttavia considerato che, anche in relazione al demanio artificiale, non è previsto (come per l’acquisto) un provvedimento, né tipico né costitutivo di sclassificazione. Pertanto, così come per il demanio artificiale l’atto di classificazione registra fatti e/o volontà maturati altrove, similmente anche la perdita della demanialità dipende dal venir meno dell’uso pubblico, il che spesso trova riscontro in atti amministrativi impliciti (es. chiusura al traffico di un aeroporto). In realtà, anche per il demanio artificiale è previsto che debba intervenire la sclassificazione ex art. 829 primo comma c.c., ma, sempre secondo la dottrina prevalente, anche in questo caso la sclassificazione, presuppone la ricognizione di una volontà preesistente desumibile anche meri da comportamenti della P.A. incompatibili con l’uso pubblico.

Vicende analoghe si verificano per il patrimonio indisponibile (art. 826 c.c.) dal momento che anche esso può essere naturale (foreste, miniere, cave, beni artistici nel sottosuolo) o artificiale (caserme, uffici, arredi degli uffici) e altri beni (non tipizzati) destinati uso pubblico (es. autovetture). Per il patrimonio indisponibile naturale la applicazione dello speciale regime discende, come per il demanio naturale, da eventi indipendenti da ogni volontà per solo il fatto di venire in esistenza con quelle caratteristiche e, di converso, il regime viene meno per effetto dello snaturamento del bene che perde le sue caratteristiche (es. foresta bruciata, cava esaurita, etc.).

Anche per il patrimonio indisponibile artificiale si può quindi pervenire alle stesse conclusioni raggiunte per il demanio artificiale[4].

La destinazione al pubblico servizio non si rinviene in provvedimenti ad hoc, ex se di natura costitutiva, bensì si evince da atti e/o comportamenti ricognitivi della volontà maturata aliunde della P.A.(es. bando di appalto per costruire un pubblico ufficio). Analogamente si può concludere in relazione alla perdita della indisponibilità (trasferimento dell’ufficio in altra sede, chiusura della caserma). Va infatti osservato che, a differenza dei beni demaniali, non è previsto per il patrimonio indisponibile un provvedimento di sclassificazione analogo a quello previsto dall’art. 829 per i beni demaniali. Di conseguenza, a parte alcuni provvedimenti tipici (es. radiazioni di navi da guerra) la perdita della indisponibilità, o meglio la revoca della destinazione pubblica, va ricondotta non poche volte a comportamenti o atti della P.A. incompatibili appunto con il mantenimento della destinazione pubblica.

Comunque, una volta che per effetto di provvedimenti espressi (sclassificazione) ovvero di provvedimenti impliciti e/o di comportamenti concludenti, i beni siano transitati dal demanio o dal patrimonio indisponibile a quello disponibile, gli stessi passano tout court sotto il regime della proprietà privata, sono perciò liberamente alienabili, sono pignorabili, usucapibili, possono assumere qualsiasi destinazione anche diversa dall’uso pubblico.

2. La oggettivizzazione dell’attività amministrativa

La attività amministrativa, tradizionalmente monopolio della Pubblica Amministrazione in senso soggettivo, viene sotto vari aspetti e varie forme demandata o affidata o concordata con soggetti privati[5] .

Si fa strada il concetto che i pubblici interessi possono essere curati e perseguiti anche tramite il concomitante interesse privato, e ciò viene canonizzato in via generale inserendo nel diritto amministrativo il provvedimento negoziato di cui all’art. 11 della legge 241/1990.

Una conferma di tale indirizzo si ritrova nell’art. 118 ultimo comma della Costituzione come modificato dalla legge costituzionale n. 3/2001, con riferimento alla cosiddetta sussidiarietà orizzontale. Corollario del principio di sussidiarietà orizzontale secondo cui i privati, se più idonei, possono realizzare attività di interesse generale, è anche quello che essi debbano poter usare i mezzi necessari per questa attività e, di conseguenza, che tra tali mezzi possono essere compresi, a seconda dei casi, anche beni pubblici nel senso tradizionale prima passato in rassegna. Corollario del principio di sussidiarietà orizzontale secondo cui i privati, se più idonei, possono realizzare attività di interesse generale, è anche quello che essi debbano poter usare i mezzi necessari per questa attività e, di conseguenza, che tra tali mezzi possono essere compresi, a seconda dei casi, anche beni pubblici nel senso tradizionale prima passato in rassegna.

In questa ottica, ripresa anche dall’art. 118 quarto comma della Costituzione, si valorizza e rivitalizza, anche il principio, già contenuto nell’art. 42 della Costituzione, della funzione sociale della proprietà privata, al cui godimento possono perciò essere posti limiti nell’interesse generale.

In effetti, come verrà anche meglio chiarito in prosieguo, l’accento si sta sempre più spostando dal proprietario del bene all’uso del bene medesimo. Non è più importante accertare di chi è il bene, quanto l’uso che se ne fa.

Perde vigore la convinzione che l’uso pubblico è garantito solo se il proprietario è un soggetto pubblico anch’esso. [6] In effetti, dottrina e giurisprudenza prevalenti sono orientate nel ritenere che i beni già demaniali e/o patrimoniali, costituenti le reti trasferite alle società succedute agli enti pubblici economici, rimane applicabile a questi beni lo stesso vincolo di destinazione cui erano in precedenza assoggettati, e così, ad esempio, oltre a riprodurre formule analoghe a quelle utilizzate per beni destinati all’esercizio ferroviario si definiscono “pubbliche” le reti telefoniche malgrado la loro proprietà sia attribuita a soggetti privati. A questo proposito è interessante evidenziare che l’elemento pubblicistico viene ravvisato dal legislatore soltanto nell’essere la rete utilizzata interamente, o prevalentemente, per fornire servizi di comunicazione elettronica o telefonica accessibili al pubblico[7].

In sostanza, come già avvertito in precedenza, si sta consolidando una communis opinio sul fatto che, ancorché in assenza di una precisa normativa a carattere generale, i beni destinati a pubblici servizi a rete mantengono il loro regime speciale anche dopo la privatizzazione formale degli enti pubblici cui appartenevano. Nel caso della privatizzazione dell’ANAS S.p.A. di cui all’art. 7 del D.L. 138/2002 come modificato dall’art. 76 della L. 289/2002 è stato precisato – ripetesi – che il trasferimento alla società della rete stradale e autostradale non modifica il regime di cui agli articoli 823 e 829 primo comma c.c. dei beni demaniali trasferiti.

Di conseguenza, non è sufficiente risolvere il problema dei beni demaniali o patrimoniali indisponibili trasferiti, ma occorre anche darsi carico del regime dei nuovi beni della rete acquistati o fatti costruire dalle società privatizzate [8]. Sotto questo profilo, come già accennato, appaiono più utili per la soluzione della questione in esame le norme che attribuiscono alle società privatizzate ed ai gestori delle reti talune funzioni amministrative in vista della esecuzione delle opere necessarie alla realizzazione delle nuove infrastrutture a rete [9]. In altri termini, le forme di pubblicità della realizzazione di tali beni sarebbero l’indice più rilevante della pubblicità della loro destinazione e quindi (anche se non dichiarato) del loro futuro regime una volta venute in essere. Sotto altro profilo, poi, la destinazione ad un uso pubblico, coerente con la natura di questi beni, ne impone, nel loro uso, la sottoposizione ad un preciso regime di regolazione da parte di pubblici poteri (a seconda dei casi organi burocratici tradizionali o Autorità di regolazione indipendenti).

Il riconoscimento della destinazione ad un uso collettivo di tali beni e la necessità di regolarne l’uso comporta quindi anche in definitiva, la necessità di ammettere l’esistenza di un corrispondente vincolo di uso pubblico, almeno finché permanga tale destinazione [10]. Di conseguenza, per tali beni più che un provvedimento formale di classificazione rileva la destinazione effettiva e dal momento che i vincoli di uso pubblico esistono e permangono indipendentemente dalla natura giuridica del proprietario. Si può rilevare come, anche in questo caso prevalga l’aspetto conformativo della disciplina del bene rispetto all’assetto proprietario e come tale aspetto conformativo assuma sempre più le caratteristiche di un onere reale che affetta il bene in quanto tale e che ne segue le sorti.

3. Il caso particolare delle infrastrutture dedicate al servizio di telefonia.

Dopo aver svolto delle riflessioni di carattere generale sull’evoluzione del regime dei beni pubblici e sulla stessa oggettivizzazione dell’attività amministrativa, svolgiamo alcune riflessioni su una questione di stringente attualità, stante le con le recenti modifiche al codice delle comunicazioni elettroniche. È il caso di valutare se l’autorizzazione a costruire opere infrastrutturali dedicate al servizio di telefonia, in un momento storico in cui tale servizio deve assumere il carattere della universalità, possa imprimere una caratura pubblicistica al regime del bene cui l’impianto accede. Spesso le opere infrastrutturali vengono costruite su beni degli enti pubblici qualificano come appartenenti al demanio disponibile.

Bisogna ricordare allora che i beni del patrimonio disponibile  sono commerciabili, e possono formare oggetto di negozi traslativi di diritto privato purché permanga lo specifico vincolo di destinazione all’uso pubblico, fino a quando non venga espressamente rimosso nelle identiche modalità con cui è stato costituito, e ciò in coerenza con l’art. 828, comma 2, c.c., la cui ratio deve essere individuata nel salvaguardare la destinazione dei beni dalle aggressioni dei privati o da atti di mala gestio (Cass. SS.UU. 16 febbraio 2011, n. 3813). Bisogna allora valutare se, considerata la natura di impianto di servizio pubblico degli impianti di telecomunicazione  espressamente riconosciuta dalla legge, nonché data la natura di queste infrastrutture strettamente funzionale all’adempimento degli obblighi di servizio universale, e considerato altresì che il codice delle telecomunicazioni detta per la disciplina della costruzione degli impianti un regime speciale autorizzatorio di carattere pubblicistico e derogatorio rispetto alla costruzione di impianti appartenenti a privati ed esclusivo interesse privato; considerato altresì la sottoposizione dei servizi di telecomunicazione alla vigilanza e dal potere disciplinare di un’autorità amministrativa indipendente come la AGCOM, tutto ciò non imponga una rimeditazione del regime giuridico del bene sul quale la costruzione accede.

La dottrina che ha studiato il fenomeno delle dismissioni immobiliari, cui si è fatto cenno nel primo paragrafo, è giunta alla conclusione per cui i beni originariamente demaniali o patrimoniali indisponibili degli enti pubblici economici a seguito della privatizzazione sono transitati nel regime privatistico dei beni disponibili tuttavia mantenendo inalterati gli obblighi di destinazione d’uso a carattere pubblicistico e connesse alla natura di opere di servizio pubblico che li caratterizzano.

Si potrebbe in conclusione anche ipotizzare che l’autorizzazione a costruire un impianto di telefonia su un bene appartenente al patrimonio disponibile produca un effetto di modifica del regime giuridico del bene medesimo: l’autorizzazione alla costruzione dell’impianto di telefonia imprimerebbe un vincolo di destinazione d’uso pubblicistico all’area. Di conseguenza bisognerebbe eventualmente valutare l’applicazione dal punto di vista tributario, del regime noto come canone unico patrimoniale introdotto la legge n. 108/2021, in sede di conversione del decreto legge n. 77/2021 (“Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure”), ha introdotto un nuovo comma 831-bis nell’art. 1 della legge n. 160/2019, in materia di impianti di comunicazioni elettroniche. Taluni recenti arresti giurisprudenziali, benché in obiter, interpretano il nuovo comma 831-bis come “norma di favore”, che consente agli impiantisti di sostituire il versamento del canone unico patrimoniale con il versamento dell’importo forfettario di € 800,00, in considerazione “della particolare natura degli impianti in questione, trattandosi di opere di urbanizzazione primaria direttamente strumentali alla soddisfazione di interessi pubblici in relazione ai quali il legislatore ha inteso prevedere uno statuto normativo particolarmente agevolativo[11]. L’equilibrio del bilancio locale, perciò, potrebbe essere comunque garantito aumentando “con riferimento alle altre tipologie di occupazione, l’importo della tariffa[12]. L’onere derivante dal principio dell’invarianza del gettito di cui al comma 817 dev’essere perciò ripartito tra le altre tipologie di concessione del suolo pubblico in uso a privati, diverse dalle infrastrutture di rete (ad es. pubblici esercizi, spazi pubblicitari etc.).


[1] v. RENNA “La regolazione dei beni a destinazione pubblica”, Giuffrè, 2004, 26

ss. e dottrina ivi richiamata in nota 46

[2] v. M.S. GIANNINI “I beni pubblici” Roma, 1963, 110 ss.

[3] v. CERULLI IRELLI “Proprietà pubblica e diritti collettivi”, Padova, 1983,

[4] v. RENNA, op. cit., 73

[5] v. PALMA – FORTE “I beni pubblici in appartenenza individuale” in Annuario cit., 282 ss.

[6] CERULLI IRELLI “Utilizzazione economica” cit. paragrafo 4 v. anche G. CORSO “I beni pubblici come strumento essenziale dei servizi di pubblica utilità” in Annuario 2003 cit., 29 ss 2003 della Associazione italiana dei Professori di diritto amministrativo Giuffrè, 2004, 3 ss.

[7] v. Si fa rinvio alla definizione del Codice delle Comunicazioni elettroniche di cui al D.Lgs. 259/2003

[8] v. RENNA op. cit., 123.

[9] L’art. 1 sexies del D.L. 239/2003 modificato dalle L. 186/2004 e 239/2004 nel settore energetico

[10] . v. RENNA op. cit., 123;  v. la norma generale di cui all’art. 14 comma 4 bis del D.L. 333/1992; l’art. 7 secondo comma del D.L.138/2002 per l’ANAS; l’art. 1 sexies del D.L. 239/2003 modificato dalle L. 186/2004 e 239/2004 nel settore energetico.

[11]  T.A.R. Veneto, sez. III, sent. 29 novembre 2021, n. 1427.

[12]  T.A.R. Veneto, sez. III, sent. 29 novembre 2021, n. 1427.

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