Ipotesi di svolgimento. Traccia estratta prove scritte carriera prefettizia 2021. La prima. Diritto Amministrativo/Costituzionale.

Analizzi il candidato il diritto dell’emergenza nel quadro del sistema delle fonti normative, alla luce del principio di legalità e con particolare riferimento all’attività normativa e regolamentare del Governo.


di Giulia Mascaro

Schema preliminare di svolgimento della traccia

  • L’emergenza nella Costituzione;
  • L’attività normativa e regolamentare del Governo nello stato di emergenza;
  • Il potere di ordinanza;
  • L’emergenza pandemica;
  • I D.P.C.M. e i problemi di compatibilità con il principio di legalità;
  • L’intervento della Consulta;
  • Brevi conclusioni.

Svolgimento

La Costituzione Repubblicana non prevede una disciplina generale dello stato di emergenza, salva l’ipotesi di stato di guerra: a norma dell’art. 78 Cost., infatti, le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari. La mancata previsione, in termini generali, dello stato di emergenza può ricondursi ad una precisa scelta dei Padri Costituenti di non legittimare deroghe al sistema di “pesi e contrappesi” tra organi costituzionali nelle situazioni più delicate e rischiose per la tenuta del sistema democratico, come quella di emergenza.

La Costituzione, prevede, invece, la possibilità, all’art. 13., di limitare la libertà personale individuale nei casi stabiliti dalla legge (“riserva di legge”) e con provvedimento dell’autorità giudiziaria (“riserva di giurisdizione”). Un potere limitativo è previsto anche con riguardo alla libertà di circolazione, la quale può essere limitata tramite legge, in via generale e per motivi di sanità o di sicurezza (art. 16). Inoltre, deve ricordarsi il potere del Governo (sancito dall’art. 77 Cost.) di emanare, sotto la propria responsabilità ed in casi straordinari di necessità ed urgenza, provvedimenti provvisori con forza di legge. Tali provvedimenti, noti come “decreti-legge”, devono essere convertiti in legge dal Parlamento entro sessanta giorni, pena la perdita di efficacia ex tunc.

Ciò brevemente chiarito, deve darsi atto che, nella vigenza di uno stato di emergenza, il Governo appare indubbiamente l’organo più idoneo a farvi fronte, poiché dispone di strumenti maggiormente adeguati – rispetto all’atto normativo – ad assicurare un intervento rapido e tempestivo.

Se così è, è indispensabile individuare il fondamento dell’attività normativa e regolamentare del Governo nelle situazioni di emergenza alla luce del principio di legalità, il quale non soltanto impone che limitazioni a diritti individuali avvengano in forza di una norma di legge (artt. 13, 16, 23, 25 Cost.), ma anche che ogni potere pubblico, a norma dell’art. 97 Cost., trovi il proprio fondamento in una legge (“legalità formale”) che ne fissi in modo specifico presupposti, contenuto e limiti (“legalità sostanziale”).

Il fondamento normativo del potere del Governo nel diritto dell’emergenza, oltre al già citato art. 77 Cost., può individuarsi, in prima battuta, nel d.lgs. n. 1/18 (Codice della protezione civile), il quale stabilisce che, al verificarsi di un’emergenza nazionale, il Consiglio dei Ministri delibera lo stato di emergenza e autorizza il Presidente del Consiglio dei Ministri, d’intesa con le Regioni interessate, ad emanare ordinanze in deroga alle disposizioni vigenti, a condizione che vengano individuate le disposizioni alle quali si intende derogare e siano rispettati i principi generali dell’ordinamento e del diritto europeo (artt. 24 e 25).

Ancora, un ruolo di spicco rivestono gli artt. 214, 215 e 216 del T.U.L.P.S., a norma dei quali lo stato di pericolo pubblico può essere dichiarato con decreto dal Ministro dell’Interno o, per sua delega, dal Prefetto, con l’assenso del Primo Ministro.

Deve menzionarsi, infine, l’art. 32 della l. n. 833/78, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, in base alla quale, se l’esigenza è nazionale, il Ministro della Salute ha il potere di emettere ordinanze in materia di igiene e sanità pubblica; se l’esigenza è locale o regionale, il potere di ordinanza spetta al Presidente della Regione o al Sindaco.

Il citato potere di ordinanza merita un approfondimento: esso, infatti, in presenza di una situazione emergenziale, si atteggia come potere di emanazione di ordinanze c.d. extra ordinem. Tali ordinanze si caratterizzano per il rispetto della legalità formale – individuando la legge i presupposti dell’urgenza che ne legittimano l’emanazione – mentre appaiono meno rispettosi della legalità sostanziale: infatti, il legislatore non individua in maniera specifica e puntuale il contenuto degli atti da adottare, poiché è direttamente l’autorità ad intervenire con le misure ritenute, di volta in volta, più appropriate per far fronte alla specifica urgenza, con il potere, altresì, di derogare alle disposizioni di legge vigenti.

Al riguardo, a titolo esemplificativo, possono citarsi, oltre al già mentovato art. 32 l. n. 833/78, anche il potere di ordinanza prefettizio di cui all’art. 2 T.U.L.P.S.; le ordinanze contingibili ed urgenti del Ministro dell’Ambiente ex art. 8 l. n. 59/87; infine, le più note ordinanze sindacali di cui all’art. 54, comma 4, T.U.E.L.

La Corte Costituzionale ha ritenuto legittime le ordinanze extra ordinem, a condizione che abbiano un’efficacia temporale limitata alla durata dell’urgenza; che siano assistite da congrua motivazione; che ricevano adeguata pubblicazione nell’ipotesi in cui presentino rilevanza super-individuale; che siano conformi all’ordinamento giuridico. Al riguardo, la Consulta, con la storica sentenza n. 115/11, ha dichiarato l’incostituzionalità del citato art. 54, comma 4, T.U.E.L. nella parte in cui prevedeva che le ordinanze in tema di sicurezza urbana e incolumità pubblica fossero “anche” urgenti, legittimando, così, l’emanazione di atti dal contenuto non preventivato anche al di fuori della situazione di urgenza, in spregio al principio di legalità.

Da ultimo, si dà atto che, allo stato attuale, l’opinione dominante riconduce le ordinanze contingibili ed urgenti agli atti amministrativi generali e non ai regolamenti, poiché carenti dei requisiti propri di questi ultimi, ossia innovatività, astrattezza e generalità: le ordinanze, infatti, non innovano in modo permanente l’ordinamento; trovano applicazione in casi specifici e puntuali; hanno destinatari non individuabili a priori ma individuabili a posteriori.

Tutto ciò chiarito, deve brevemente ma necessariamente citarsi – seppur non afferisca specificamente al diritto dell’emergenza – l’art. 17 l. n. 400/88, norma considerata come fondamento normativo della generale potestà regolamentare dell’Esecutivo. La norma, infatti, individua le tipologie di regolamenti emanabili differenziandoli in base al rapporto con la legge di cui costituiscono attuazione e in base al tipo di riserva di legge vigente in materia (assoluta o relativa). La legge prevede, inoltre, un rigoroso iter procedimentale (parere del Consiglio di Stato, visto e registrazione della Corte dei Conti, pubblicazione in Gazzetta Ufficiale) nonché l’emanazione con Decreto del Presidente della Repubblica. A tale ultimo proposito, l’art. 17 stabilisce che i regolamenti possano essere adottati anche con decreti ministeriali, laddove concernano materie di competenza dei singoli dicasteri.

Alla luce di ciò, il Governo, per far fronte ad un’improvvisa situazione emergenziale, può intervenire anche con un regolamento, nel rispetto dei presupposti e delle forme stabiliti dalla legge.

Tutto ciò posto e approfondito, è universalmente – e tristemente – noto che il diritto dell’emergenza è stato protagonista indiscusso, in tempi recenti, dell’ordinamento italiano, a causa dell’emergenza sanitaria generata dalla diffusione dell’epidemia da Covid-19.

In particolare, ruolo preminente è stato rivestito dal Governo, precisamente dal Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale ha fatto un largo uso dei D.P.C.M., apparsi sin da subito come lo strumento più flessibile e malleabile e, quindi, maggiormente idoneo ad assicurare una risposta immediata e tempestiva alla drammatica ed eccezionale situazione in atto.

Poiché con i D.P.C.M. sono state temporaneamente limitate libertà inviolabili dei cittadini (di circolazione, di riunione, religiosa, di impresa), sono sorte problematiche in relazione alla loro compatibilità con il principio di legalità costituzionale, nonché circa la loro natura giuridica.

Procedendo con ordine, deve sottolinearsi che il Governo ha emanato due decreti-legge (n. 6 e 19/20), successivamente convertiti in legge, i quali hanno costituito base legislativa e fondamento legittimante dei successivi D.P.C.M. Nello specifico, con il primo decreto, si è stabilito che il Presidente del Consiglio dei Ministri, su iniziativa del Ministro della Salute, adotta, “tramite proprio decreto”, ogni misura “di contenimento e di gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica”. Con il secondo decreto, sono stati ulteriormente precisati i confini del potere del Presidente del Consiglio.

Alla luce di quanto chiarito, i D.P.C.M. devono ritenersi rispettosi dei principi di legalità e di riserva di legge, atteso che i menzionati decreti-legge, successivamente convertiti in legge, ne hanno individuato contenuto, presupposti e limiti.

Più controversa è apparsa la natura giuridica degli atti in disamina: da un lato, infatti, essi si pongono come regolamenti attuati dei citati decreti-legge; dall’altro lato, hanno una durata limitata all’emergenza e derogano a norme di legge, come avviene con le ordinanze extra ordinem.

Al riguardo, secondo una prima tesi, i D.P.C.M. possiedono natura regolamentare, sulla base di molteplici argomentazioni. In prima battuta, presentano le summenzionate caratteristiche di innovatività, astrattezza e generalità. Essi, inoltre, sono stati emanati sulla scorta dei pareri del Comitato Tecnico Scientifico, i quali sono stati posti a fondamento delle scelte politiche ed amministrative assunte, con evidente spendita di discrezionalità tecnica da parte del Governo. Da ultimo, si sostiene che essi vadano ricondotti al già esaminato art. 17 l. n. 400/88, con conseguenziale natura regolamentare. Infatti, seppur la disposizione non menziona i decreti del Presidente del Consiglio, è pacifico che essi vadano ricondotti ai mentovati decreti ministeriali: Egli, infatti, è primus inter pares ed è responsabile dell’unità dell’indirizzo politico, con la conseguenza che sarebbe irragionevole precludergli l’emanazione di tali decreti.

Una differente tesi, all’opposto, riconduce i D.P.C.M. alle ordinanze extra ordinem, con conseguenziale natura di atto amministrativo generale: si evidenzia che essi non soltanto intervengono per far fronte ad uno stato di emergenza, ma, altresì, non innovano stabilmente l’ordinamento, ma, al contrario, sospendono temporaneamente le disposizioni di legge, proprio come avviene con le ordinanze.

La querelle è stata risolta da una recente pronuncia della Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dei decreti-legge nella parte in cui consentono ai D.P.C.M. di prevedere l’applicazione di una sanzione amministrativa per la violazione del divieto di uscire dalla propria abitazione: secondo il giudice rimettente, i decreti-legge avrebbero delegato a fonti sub-primarie (ossia i D.P.C.M.) l’individuazione di nuovi illeciti amministrativi, con evidente violazione del principio di legalità.

La Consulta ha respinto la censura, affermando che i D.P.C.M. non vanno ricondotti alle fonti primarie del diritto (caratterizzate da una inviolabile rigidità), bensì al sistema degli atti amministrativi: essi, infatti, non individuano comportamenti da sanzionare, ma si limitano a specificare il contenuto di disposizioni normative di rango primario. La scelta del ricorso ai D.P.C.M. si giustifica alla luce dell’esigenza di garantire una maggiore duttilità nella gestione dell’emergenza, duttilità estranea agli atti normativi primari e, di contro, consustanziale agli atti amministrativi, i quali, come noto, rispondono alla logica del “provvedere” e non del “prevedere” e, dunque, risultano in modo naturale votati alla necessità di adeguarsi alle esigenze del caso concreto.

Ancora, la Consulta ha chiarito che le c.d. “ordinanze-Covid”, emanate in esecuzione dei D.P.C.M., non sono ascrivibili alle ordinanze contingibili ed urgenti, bensì agli atti necessitati, attesa la predeterminazione normativa delle misure che possono essere adottate. Si evidenzia, infatti, che il Governo non è libero nella scelta di esse, ma deve attingere da un preciso bacino opzionale, costituito dall’elenco delle misure di cui all’art. 1, comma 2, D.l. n. 19/20.

In conclusione, da quanto esposto, può affermarsi che, anche in una situazione eccezionale come quella emergenziale, il principio di legalità e il sistema di pesi e contrappesi non possono mai subire compromissioni, dovendo essi sempre e comunque caratterizzare, anche nei momenti più complessi e drammatici, uno Stato di diritto.

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