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Aggravante della latitanza nel concorso di persone nel reato.

SELENE DESOLE

 

Aggravante della latitanza nel concorso di persone nel reato.

 

Al fine di vagliare la problematica inerente l’estensibilità della circostanza aggravante della latitanza ai concorrenti nel reato a cui non sia soggettivamente riferibile, è opportuno operare un inquadramento generale sulle circostanze del reato e sugli interventi del legislatore sulla relativa disciplina.

Le circostanze del reato sono definite come elementi accidentali del reato, in quanto la loro presenza non è necessaria ai fini della configurazione di una fattispecie criminosa. La stessa etimologia del termine evoca la natura giuridica della circostanza: si tratta di elementi che “circum stant”, ovvero “stanno attorno” al reato; in questo, si distinguono dagli elementi costitutivi del reato, i quali, invece, debbono necessariamente sussistere affinché il reato possa considerarsi tale. Le circostanze, pur nella loro caratterizzazione di accidentalità, possono incidere sulle modalità di manifestazione del reato, per questo spesso si utilizza la terminologia “reato circostanziato”, per connotare la particolare forma di manifestazione del reato, sulla base della presenza di un elemento accidentale.

La disciplina generale delle circostanze è contenuta agli artt. 59 e ss. del c.p.

Le circostanze possono essere variamente classificate. In primo luogo, si deve fare cenno alla summa divisio tra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti: le prime si caratterizzano in quanto colorano il fatto di reato di un maggior disvalore, in virtù del quale si determina un aumento della pena; le seconde, invece, comportano una manifestazione del reato caratterizzata da un minor disvalore, il quale comporta una risposta punitiva attenuata da parte dell’ordinamento giuridico.

Una distinzione fondamentale è anche quella tra circostanze comuni, la cui disciplina è contenuta agli artt. 61 e 62 c.p., applicabili a qualsiasi reato di parte speciale, quando non ne siano elementi costitutivi o circostanze speciali, e circostanze speciali, le quali invece sono previste specificamente nelle fattispecie incriminatrici di parte di speciale.

Opportuno è anche il richiamo alla categoria delle attenuanti generiche, di cui all’art. 62 bis c.p., le quali sono caratterizzate da indeterminatezza e sono frutto della valutazione del giudice che ritenga le stesse idonee a giustificare una diminuzione della pena.

Altra classificazione è quella relativa al quantum di aumento o diminuzione di pena che la circostanza determina; si distingue quindi tra circostanze ad effetto comune, che comportano un aumento o una diminuzione della pena fino a un terzo della pena che dovrebbe essere inflitta per il reato commesso, circostanze ad effetto speciale, che comportano un aumento o diminuzione in misura superiore a un terzo; sono invece indipendenti quando la circostanza comporta variamenti o diminuzioni della pena in modo indipendente rispetto alla pena prevista per il reato base.

Infine, di rilievo ai fini della presente trattazione è la distinzione tra circostanze oggettive e soggettive di cui all’art. 70 c.p.; sono definite oggettive le circostanze che concernono la natura, la specie, i mezzi, l’oggetto, il tempo, il luogo e ogni altra modalità dell’azione, la gravità del danno o del pericolo, ovvero le condizioni o le qualità personali dell’offeso. Sono, invece, definite soggettive le circostanze che concernono l’intensità del dolo o il grado della colpa o le condizioni e le qualità personali del colpevole o i rapporti tra il colpevole e l’offeso, ovvero che sono inerenti alla persona del colpevole. L’ultimo comma dell’art. 70 c.p. specifica che le circostanze inerenti la persona del colpevole riguardano l’imputabilità e la recidiva.

Di eminente rilevanza nell’ambito della disciplina delle circostanze è la questione sulla riferibilità soggettiva delle medesime, o meglio sull’imputazione delle stesse.

La disciplina previgente all’entrata in vigore della l. 19 del 1990 prevedeva che le circostanze, sia aggravanti che attenuanti, dovessero essere valutate, rispettivamente, a carico o a favore dell’agente, anche se da lui non conosciute o per errore ritenute inesistenti. Tale disciplina si poneva in evidente contrasto con il principio, costituzionalmente garantito, di colpevolezza di cui all’art. 27 comma 1 Cost., nonché con il principio della finalità rieducativa della pena, di cui al comma 3 del medesimo art. 27 Cost.

È d’uopo un rimando alle linee fondamentali dei principi richiamati, al fine di comprendere appieno il contrasto con essi della previgente disciplina delle circostanze, in virtù del quale si è poi giunti alla riforma dell’art. 59 c.p. nel 1990.

Il primo comma dell’art. 27 sancisce la personalità della responsabilità penale: in ordine alla connotazione di personalità, gli interpreti hanno sostenuto che con essa deve intendersi che, non solo non si può essere penalmente responsabili per il fatto altrui, ma anche che il fatto deve essere riconducibile al soggetto agente, al quale la responsabilità è ascrivibile solo ove gli si possa muovere un rimprovero per aver tenuto una condotta, quanto meno, colposa. In sostanza, sulla base del primo comma dell’art. 27 Cost. si è affermato il divieto di responsabilità oggettiva nell’ambito penale.

Sulla scorta dell’affermazione di tale fondamentale principio, vi sono stati importanti interventi della Corte Costituzionale (sentenza n. 364 del 1988 sull’art. 5 c.p. e sentenza n. 1085 del 1988 sul n. 2 dell’art. 626 c.p.) che hanno fatto assurgere il divieto di responsabilità oggettiva a direttiva generale del sistema penale, la cui applicazione si combina con il principio del favor rei: la riferibilità soggettiva di un determinato elemento (sia esso costitutivo o circostanziale) è necessaria solo ove, alla presenza dell’elemento stesso, si ricolleghino conseguenze sanzionatorie. La ratio è chiaramente ricollegata al favor rei: infatti, se dall’elemento considerato consegue, invece, un trattamento favorevole per il reo, non è necessario accertare la sussistenza di un elemento soggettivo e di una rimproverabilità in capo allo stesso.

Per queste ragioni, la disciplina delle circostanze antecedente al 1990, che permetteva l’applicazione della circostanza aggravante anche se non conosciuta o conoscibile dall’agente, era in palese contrasto con il principio di colpevolezza e, di conseguenza, anche con quello della finalità rieducativa della pena, dal momento che il reo non è in grado di comprendere la pena irrogata se la stessa dipenda da elementi di cui questi non era a conoscenza, né poteva conoscere, con conseguente fallimento della funzione risocializzante che si riconnette al trattamento sanzionatorio penale.

La l. 19 del 1990 ha fatto proprio il principio di colpevolezza nell’ambito delle circostanze prevedendo che le circostanze che aggravano la pena siano valutate a carico dell’agente solo se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato la colpa; invece, le circostanze attenuanti, in applicazione del principio del favor rei, sono valutate a favore dell’agente anche se da lui non conosciute o non conoscibili, in quanto comportano un trattamento sanzionatorio di favore.

La delineazione di tali aspetti fondamentali della disciplina delle circostanze, permettere di affrontare con la dovuta analiticità la problematica specifica dell’estensibilità dell’aggravante della latitanza nel concorso di persone del reato.

Sulle circostanze nel concorso di persone si deve richiamare l’art. 118 c.p., il quale dispone che le circostanze che aggravano o diminuiscono le pene concernenti i motivi a delinquere, l’intensità del dolo, il grado della colpa e le circostanze inerenti la personalità del colpevole sono valutate soltanto riguardo alla persona cui si riferiscono.

Proprio su tale ultima espressione, ci si interroga su quali siano le circostanze inerenti la personalità del colpevole e, all’uopo, non può non farsi richiamo ad altra disposizione contenuta nel codice penale, precisamente all’art. 70, ove, nel distinguere tra circostanze oggettive e soggettive, si specifica che tra le soggettive rientrino quelle inerenti la personalità del colpevole e nell’ultimo comma dell’articolo de quo si definiscono tali quelle inerenti l’imputabilità e la recidiva.

Gli interpreti si sono chiesti se la definizione di cui all’ultimo comma dell’art. 70 c.p. possa essere ritenuta valida anche per il disposto dell’art. 118 c.p., in materia di concorso di persone. In un primo momento, si riteneva che la definizione di circostanze inerenti la persona del colpevole fosse quella di cui all’ultimo comma dell’art. 70 c.p.

Bisogna, però, anche dare conto del fatto che il testo dell’art. 118 ha subito una modificazione per effetto della l. 19 del 1990; nella precedente formulazione del medesimo si distingueva tra: – circostanze oggettive, che sono valutate sempre a carico o a favore di ciascun concorrente; – circostanze soggettive (qualificate dagli interpreti come soggettive oggettivizzate) che, non sono inerenti la persona del colpevole, ma hanno servito ad agevolare l’esecuzione del reato, che sono valutate anche a carico degli altri concorrenti; – infine, le altre circostanze, individuate in via residuale, valutabili solo a carico della persona a cui si riferiscono. Da tale precedente formulazione, si può osservare che le circostanze soggettive suscettibili di comunicabilità agli altri concorrenti del reato erano quelle non inerenti la persona del colpevole, ma idonee ad agevolare la commissione del fatto di reato; invece, le altre eventuali circostanze soggettive erano considerate unicamente a carico della persona cui riguardavano.

Ergo, la comunicabilità delle circostanze inerenti la persona del colpevole era esclusa e, considerata l’equivalenza dell’espressione utilizzata dal legislatore, gli interpreti hanno ritenuto che tali fossero solo le circostanze che riguardano l’imputabilità e la recidiva, come indicato dall’art. 70 c.p., ultimo comma; di conseguenza, l’aggravante della latitanza (di cui al n. 6 dell’art. 61 c.p.), non rientrando in tale novero, doveva includersi tra le circostanze soggettive comunicabili anche agli altri concorrenti, alla stregua di una circostanza soggettiva oggettivizzata.

Con la l. 19 del 1990, il testo dell’art. 118 c.p. ha subito un mutamento, con una semplificazione rispetto al dettato normativo precedente. Attualmente, la norma dispone che le circostanze che aggravano o diminuiscono le pene, concernenti i motivi a delinquere, l’intensità del dolo, il grado della colpa e le circostanze inerenti la persona del colpevole sono valutate soltanto riguardo alla persona a cui si riferiscono. Pertanto, ad oggi, l’art. 118 c.p. elenca una serie di circostanze che sono definibili come soggettive, ai sensi dell’art. 70 c.p., e tra queste sono ricomprese anche quelle inerenti la persona del colpevole. Tuttavia, nel mentre, si è fatta strada un’altra interpretazione del concetto di “circostanze inerenti alla persona del colpevole”, che si discosta dal disposto di cui all’ultimo comma dell’art. 70 c.p.; in virtù di tale impostazione, l’espressione “circostanze inerenti alla persona del colpevole”  sarebbe un’espressione conclusiva dell’elencazione, idonea ad includere nel novero delle circostanze non comunicabili ai concorrenti, tutte le altre circostanze di tipo soggettivo non espressamente indicate nell’art. 118. Sulla base di tale ricostruzione, si è sostenuto che la latitanza, allora, potrebbe essere ricompresa in tale generica formulazione, non ritenendo più sussistente un collegamento tra l’ultimo comma dell’art. 70 c.p. e l’art. 118 c.p.

In sintesi, a tutt’oggi vi sono due contrapposti orientamenti sulla comunicabilità dell’aggravante della latitanza agli altri concorrenti del reato a cui non si riferisca: – il primo orientamento sostiene che la latitanza non rientri tra le circostanze inerenti alla persona del colpevole in quanto non annoverata nell’ultimo comma dell’art. 70, con la conseguenza che la stessa dovrebbe ritenersi valutabile a carico di tutti i concorrenti del reato; tale impostazione ha avuto maggior seguito nel periodo precedente la riforma del 1990; – il secondo orientamento, invece, ritiene che l’espressione “circostanze inerenti la persona del colpevole “ nell’attuale art. 118 c.p., sia una formula di chiusura che ricomprenderebbe in sé anche l’aggravante della latitanza e, pertanto, la stessa dovrà essere valutata solo a carico della persona a cui si riferisce.

La giurisprudenza ancora non è unanime sul punto ed è senz’altro auspicabile un intervento chiarificatore da parte delle Sezioni Unite.

Tuttavia, non può non darsi conto di una fondamentale considerazione: la l. 19 del 1990 ha avuto quale pregio l’affermazione del principio di colpevolezza, combinato con quello del favor rei, nell’ambito della disciplina delle circostanze. Alla luce di tale principio, non pochi dubbi sorgono in ordine alla possibilità di estendere un’aggravante quale la latitanza anche in capo ai concorrenti non latitanti: si correrebbe il rischio di creare una sorta di responsabilità per fatto altrui, con violazione del divieto di responsabilità oggettiva di cui all’art. 27 Cost, del quale si è ampiamente detto nell’incipit della presente trattazione.

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