Ammissibilità dell’omicidio preterintenzionale aberrante

Ammissibilità dell’omicidio preterintenzionale aberrante

L’ammissibilità dell’omicidio preterintenzionale aberrante, da tempo riconosciuta in sede pretoria, è fortemente osteggiata dalla dottrina dominante, che ravvisa un’incompatibilità insanabile, sia strutturale che funzionale, tra i due istituti.

Per comprendere meglio la portata del dibattito, è necessario una breve disamina differenziata delle due figure citate.

L’omicidio preterintenzionale, disciplinato dall’art. 584 c.p., collocato sistematicamente nei delitti contro la persona, costituisce, unitamente al reato di aborto preterintenzionale, l’unica ipotesi conosciuta dall’ordinamento italiano di delitto “oltre l’intenzione”. L’art. 42 comma 2 c.p., infatti, dopo aver previsto che nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto se non l’ha commesso con dolo, fa salvi proprio tali delitti, purché siano “espressamente preveduti dalla legge”. Ancora, l’art. 43 comma 1 c.p. stabilisce che il delitto può definirsi “oltre l’intenzione” quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente.

E, a tal proposito, l’art. 584 c.p. punisce chiunque, con atti diretti a commettere i delitti di lesioni o di percosse, cagiona la morte di un uomo. Ebbene, l’evento più grave, ossia la morte, deve atteggiarsi come conseguenza non voluta dell’evento meno grave, la condotta base, la quale, invece, deve essere necessariamente oggetto di volontà e rappresentazione del soggetto agente. Ed infatti, l’opinione maggioritaria, valorizzando l’espressione “atti diretti”, richiede che la condotta base sia necessariamente sorretta dal dolo diretto. Pertanto, l’agente deve compiere atti univocamente rivolti a percuotere o a ledere, dovendosi accertare la riconducibilità di tali atti al profilo volitivo e rappresentativo del soggetto agente. E, a tal proposito, già da tempo vengono accolte interpretazioni estensive delle due condotte menzionate: per lesione, si intende qualsiasi atto rivolto a danneggiare l’integrità psico-fisica della vittima, mentre le percosse vengono individuate negli atti di manomissione violenta dell’altrui persona.

Ebbene, se l’omicidio preterintenzionale è collocato sistematicamente nella parte speciale del codice penale, dedicata ai singoli delitti, il reato aberrante è invece posizionato nella parte generale, segnatamente nel capo dedicato al concorso di reati.

Ed invero, il legislatore prevede due ipotesi di reato aberrante: la cd. “aberratio ictus” (art. 82) e la cd. “aberratio delicti” (art. 83).

Ai sensi dell’art. 82 c.p., quando, per un errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato o per un’altra causa, è cagionata offesa a persona diversa da quella alla quale l’offesa era diretta, il colpevole risponde come se avesse commesso il reato in danno della persona che voleva offendere (“aberratio ictus monoffensiva”). Qualora, oltre alla persona diversa, venga attinta anche la vittima designata, il colpevole soggiace alla pena stabilita per il reato più grave, aumentata fino alla metà (“aberratio ictus plurioffensiva”).

In forza dell’art. 83 c.p., invece, se, per un errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato o per un’altra causa, si cagiona un evento diverso da quello voluto, il colpevole risponde dell’evento non voluto a titolo di colpa (“aberratio delicti monoffensiva”). Se il colpevole ha cagionato sia l’evento voluto sia quello non voluto, si applicano le regole sul concorso di reati (“aberratio delicti plurioffensiva”).

Se questo è quanto, appare allora evidente come, in entrambe le ipotesi di reato aberrante, si sia in presenza di un cd. “errore-inabilità”: non si riscontra, infatti, un errore che ha comportato un vulnus al corretto formarsi della volontà (“errore-vizio”), bensì un errore che si è manifestato nel momento attuativo di una volontà che si è formata correttamente.

Orbene, da quanto preliminarmente esposto, emerge “prima facie” la riconducibilità dell’omicidio preterintenzionale e del reato aberrante alla controversa responsabilità oggettiva ex art. 42 comma 3 c.p.: la disposizione, infatti, stabilisce che è la legge a determinare i casi nei quali l’evento è posto “altrimenti” a carico dell’agente come conseguenza della sua azione od omissione.

In entrambe le fattispecie oggetto di disamina, infatti, si ha una palese deroga ai principi ordinari in tema di dolo o colpa: infatti, nell’omicidio preterintenzionale, il soggetto agente risponde dell’evento più grave non voluto soltanto in forza del nesso di causalità materiale esistente tra quest’ultimo e il reato base voluto; nel reato aberrante, il dolo esistente nei confronti della vittima designata o con riguardo al delitto voluto, viene traslato, in forza di una “fictio iuris”, nei confronti della vittima diversa e con riguardo al delitto non voluto.

E, a tal proposito, per evitare spiacevoli frizioni con il principio di personalità della responsabilità penale ex art. 27 comma 1 Cost, già da tempo dottrina e giurisprudenza offrono una lettura correttiva e costituzionalmente orientata di entrambe le fattispecie.

Infatti, l’omicidio preterintenzionale viene considerato un’ipotesi di dolo misto a colpa, intesa come prevedibilità ed evitabilità dell’evento morte, da accertarsi ex ante ed in concreto. Pertanto, l’autore delle lesioni o delle percosse dolose risponderà di omicidio preterintenzionale soltanto se l’evento morte era conseguenza prevedibile ed evitabile in concreto ed in base a tutte le circostanze del caso. Indagine analoga dovrà essere condotta in relazione al reato aberrante, dovendosi accertare, anche in tal caso, la colpa in concreto: si dovrà verificare se l’agente potesse prevedere, nelle circostanze concrete in cui ha operato, che l’offesa da lui progettata si sarebbe potuta verificare nei confronti di una vittima diversa da quella designata (aberratio ictus), oppure che il reato ideato si sarebbe potuto tramutare in un delitto diverso (aberratio delicti).

Se così è, a tal punto della trattazione, è doveroso discorrere dell’ammissibilità dell’omicidio preterintenzionale aberrante, da ravvisarsi nella condotta di chi, con atti diretti a ledere o a percuotere la vittima designata, per un errore nell’uso dei mezzi di esecuzione o per un’altra casa, uccide una persona diversa.

Come accennato in premessa, la giurisprudenza ammette tale figura criminosa, in base al combinato disposto degli artt. 82 e 584 c.p. Più nel dettaglio, la giurisprudenza basa la propria ricostruzione su due paradigmi, uno oggettivo e l’altro soggettivo.

Il primo paradigma si basa sull’omogeneità del bene giuridico attinto dell’omicidio e delle lesioni, che è in entrambi i casi l’integrità fisica: è proprio tale circostanza che impone l’applicabilità dell’art. 82 in luogo dell’art. 83 c.p., che, viceversa, richiede la commissione di un reato “diverso”, diverso proprio perché offensivo di un bene giuridico disomogeneo.

In forza del paradigma soggettivo, se si accerta la ricorrenza del dolo di lesioni/percosse nei confronti della vittima designata, tale elemento psicologico, in base ad una fictio iuris, sarà traslato sia nei confronti della vittima diversa sia con riguardo al reato diverso, ex art. 82 c.p.

Di conseguenza, se il soggetto ha compiuto atti rivolti a ledere/percuotere la vittima designata (ex art. 584 c.p.) e, per un errore nell’uso dei mezzi di esecuzione o per un’altra casa, ha ucciso una persona diversa (ex art. 82 c.p.), risponderà “come se avesse commesso il reato in danno della persona che voleva offendere” e, quindi, di omicidio preterintenzionale aberrante.

Ebbene, tale orientamento è stato confermato in tempi recentissimi, seppur per il momento soltanto in sede cautelare, a proposito della triste e drammatica vicenda “di Piazza San Carlo a Torino”.

Come è noto, durante lo svolgimento di una partita di calcio, una persona veniva travolta ed uccisa da una folla in tumulto. La fuga disorganizzata e disordinata era stata causata da una reazione di panico collettiva dovuta ad uno spray urticante, che era stato improvvisamente spruzzato da alcuni soggetti ed indirizzato ad alcuni spettatori – diversi dalla vittima – al fine di derubarli.

Ebbene, la giurisprudenza ha ritenuto sussistente, in via preliminare, il reato di omicidio preterintenzionale ex art. 584 c.p. In prima battuta, l’utilizzo dello spray è stato ritenuto – sulla base dell’interpretazione estensiva della quale si è già dato atto – agevolmente riconducibile alla nozione di “atti diretti a ledere”: l’aver adoperato uno spray urticante è, infatti, un atto violento rivolto ad arrecare danno all’altrui persona.

E, a tal proposito, poiché l’art. 584 c.p. richiede implicitamente che lesioni/percosse e morte colpiscano lo stesso soggetto passivo, la responsabilità degli autori è stata ritenuta sussistente in base al combinato disposto dell’art. 584 medesimo e art 82 comma 2 c.p. (aberratio ictus plurioffensiva, poiché oltre alle vittime designate, è stata arrecata offesa anche ad una persona diversa).

Infatti, la morte della persona diversa non è stata causata dalla condotta dolosa lesiva (l’utilizzo dello spray urticante), bensì dalla reazione di panico diffuso che ha innestato la fuga collettiva.

Ebbene, la Cassazione in sede cautelare ha ricondotto tale reazione di panico a “un’altra causa” di cui all’ art. 82 c.p., ravvisando il nesso di causalità tra la condotta dolosa originaria e l’evento morte, non essendo intervenuti fattori interruttivi. Pertanto, agli autori è stato contestato l’omicidio preterintenzionale aberrante, confermando l’orientamento pretorio favorevole all’ammissibilità di tale figura. A titolo ulteriormente esemplificativo, si può citare anche il noto “caso della culla”: è stato contestato il reato di omicidio preterintenzionale aberrante al soggetto che, durante una lite, aveva scaraventato una culla contro il proprio interlocutore, ignaro dell’infante che ivi dormiva e cagionandone la morte.

Ebbene, nonostante il procedere pretorio deciso e consolidato, la dottrina, come si già accennato, è fortemente contraria all’ammissibilità di tale figura, criticando i predetti paradigmi oggettivo e soggettivo.

In relazione al paradigma oggettivo, si ritiene la presunta omogeneità tra bene giuridico del reato di omicidio e quello delle lesioni o delle percosse opinabile e abbastanza azzardata: è lo stesso codice penale a distinguere tra reati contro la vita (omicidio) e reati​ contro l’incolumità​ fisica (lesioni/percosse). I due beni giuridici, quindi, non sono sovrapponibili: è altresì innegabile come, anche in presenza di un grave vulnus all’integrità psico-fisica, non sempre scaturisce un pericolo anche per la vita.

Ma è in relazione al paradigma soggettivo che, secondo tale tesi, si palesano i maggiori ostacoli al riconoscimento di tale controversa figura, ritenendosi del tutto arbitrario l’utilizzo della fictio iuris per far traslare l’elemento psicologico dalle lesioni all’omicidio.

Nell’omicidio preterintenzionale, infatti, è solo l’evento più grave a non essere voluto (se pur con il correttivo della prevedibilità), mentre, di converso, la condotta base deve necessariamente consistere in “atti diretti a ledere o percuotere”. E, a tal proposito, emerge palesemente la contraddittorietà nel ritenere, da un lato, gli atti diretti a ledere/percuotere la vittima designata e, dall’altro lato, ritenere gli stessi atti diretti contemporaneamente, per un errore di esecuzione, contro una persona diversa.

Se per errore di esecuzione o “per un’altra casa”, viene cagionata la morte di una persona diversa rispetto a quella che si voleva soltanto ledere o percuotere, viene completamente meno la possibilità di applicazione dell’art. 584 c.p.: l’agente, infatti, non era in dolo rispetto alla vittima uccisa, difettando quindi nei suoi confronti il requisito della direzione degli atti. Pertanto, i principi in materia di colpevolezza e di personalità ostano alla punibilità a titolo di omicidio preterintenzionale di un soggetto che aveva agito con il solo dolo di lesioni/percosse, tra l’altro nei confronti di una vittima diversa. E a tale difetto di elemento psicologico, di certo non può sopperirsi tramite la fictio iuris ex art. 82 c.p.: il dolo dell’omicidio preterintenzionale, infatti, in relazione alla fattispecie base, deve essere reale e non un surrogato oppure un equivalente fittizio.

L’identità del soggetto leso/percosso ed ucciso è un requisito implicito e necessario dell’ art. 584 c.p., perché funge da presupposto per la ricorrenza della direzione degli atti, dai quali deve scaturire l’evento morte: la morte della vittima è derivata da quegli atti violenti che le erano stati rivolti contro.

Secondo la dottrina, oltre a tale incompatibilità funzionale, tra le due figure in oggetto esiste anche una non rimediabile incompatibilità strutturale: mentre, infatti, il delitto preterintenzionale è un fenomeno unitario, nel reato aberrante si assiste sempre ad una duplicità o di soggetti passivi o di eventi lesivi. Ancora, nell’aberratio ictus ex art 82 c.p., il reo risponde, seppur per fictio iuris e con i correttivi della prevedibilità ed evitabilità in concreto, sempre “secondo l’intenzione” e giammai “oltre l’intenzione”: opinare diversamente significherebbe estendere la responsabilità penale al di fuori dei binari rigidamente prefissati, in spregio ai principi di legalità e di colpevolezza.

Tra l’altro, ritornando al caso della partita di calcio a Torino, la dottrina ritiene che la giurisprudenza abbia completamente obliterato il requisito della prevedibilità in concreto: anche a voler ritenere esistente l’omicidio preterintenzionale aberrante, si sarebbe dovuto accertare che gli autori del fatto, in base a tutte le circostanze concrete, avrebbero potuto prevedere che dall’impiego della bomboletta spray sarebbe potuta scaturire quella reazione di paura collettiva che avrebbe potuto condurre alla morte di qualcuno dei soggetti coinvolti.

Ma, come si è visto, la dottrina nega già a monte la compatibilità tra i due istituti: l’agente non potrà rispondere della morte della vittima non designata a titolo di omicidio preterintenzionale perché gli atti violenti non erano ad essa “diretti”.

Pertanto, secondo il filone ermeneutico maggioritario, nell’ipotesi in cui la vittima designata sia rimasta incolume e, per un errore, sia rimasta uccisa una persona diversa, il colpevole dovrà rispondere, sussistendone gli estremi, di omicidio colposo, potendo rispondere, altresì, di tentativo di lesioni nei confronti della vittima designata, sussistendo però l’idoneità e la direzione univoca degli atti ex art. 56 c.p., requisiti, invero, di difficile riscontro atteso l’errore di esecuzione. Se, invece, il soggetto lede la vittima designata e per errore uccide contemporaneamente una persona diversa, risponderà in concorso formale dei reati di omicidio colposo e lesioni dolose.

Per completezza, si dà atto di una certa tesi dottrinale che ritiene applicabile all’ultima ipotesi citata il combinato disposto degli artt. 584 e 83 c.p. Nell’aberratio delicti, infatti, viene commesso un reato diverso da quello programmato, realizzandosi pertanto una lesione ad un bene giuridico diverso, in modo analogo a quanto avviene nell’omicidio preterintenzionale: incolumità individuale per le lesioni, vita per l’omicidio. Tra l’altro, tale orientamento ravvisa un rapporto di genus e species tra le due fattispecie: l’art. 83 c.p. è il “genus” di tutte le ipotesi di difformità tra voluto e realizzato.

Tale tesi è, però, avversata da un filone ermeneutico considerevole: innanzitutto, si sottolinea come l’art. 83 c.p. richiede un evento che sia semplicemente “diverso”, mentre nell’omicidio preterintenzionale, ex artt. 43 e 584 c.p., l’evento deve essere “più grave”. Ancora, l’art. 83 c.p. non può essere considerato norma generale, perché richiede che la discrasia tra voluto e realizzato sia dovuta segnatamente “ad un errore di esecuzione”: obiezione, questa, invero facilmente superabile se si mettesse in evidenza che l’art. 83 c.p. menziona anche una generica “altra causa”.

In conclusione, appare palese come l’ammissibilità dell’omicidio preterintenzionale aberrante sia tutt’oggi del tutto aperta.

In attesa di un intervento risolutivo delle Sezioni Unite o, ancora meglio, del legislatore, si auspica che, qualunque sia la soluzione che si intenda privilegiare, siano sempre rispettati i principi di legalità e di colpevolezza.

                                               G M

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