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COMPATIBILITÀ TRA IL FAVOREGGIAMENTO ED IL REATO DI CUI ALL’ART. 270 C.P.

 

COMPATIBILITÀ TRA IL FAVOREGGIAMENTO ED IL REATO DI CUI ALL’ART. 270 C.P.

Pubblicato il 10/02/2016 autore Paola Montone

L’indagine sulla compatibilità del reato di favoreggiamento rispetto a quello di associazioni sovversive necessita di una preliminare disamina circa la struttura delle suddette fattispecie delittuose.

In tal senso, il reato di favoreggiamento viene preso in considerazione dal legislatore, alla stregua di due articoli, il 378 ed il 379 c.p., che disciplinano rispettivamente il favoreggiamento personale e quello reale.

Queste due ipotesi di reato sono accomunate dal bene giuridico, rappresentato dal corretto e celere svolgimento dell’attività giudiziaria, considerato che l’amministrazione della giustizia non può trovare ostacolo nella condotta agevolatrice di privati volta a fornire un aiuto a soggetti autori di un crimine.

Proprio in considerazione dell’importanza del bene giuridico tutelato, entrambi i reati sono costruiti alla stregua di reati di pericolo, prescindendosi dall’effettiva realizzazione dell’intento di agevolare il reo.

Ai sensi dell’articolo 378, il favoreggiamento è personale, in quanto la condotta è causalmente orientata ad aiutare il reo “ad eludere le investigazioni dell’Autorità […] o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti”, mentre il favoreggiamento è reale quando l’aiuto si risolve nell’ “assicurare il prodotto o il profitto o il prezzo di un reato”.

Ecco allora che le due condotte divergono da un punto di vista naturalistico solo per la differente direzione finalistica dell’azione, configurandosi pur sempre una condotta di tipo agevolatrice.

Si tratta, poi, di due reati comuni, che, da un punto di vista dell’elemento soggettivo, richiedono un dolo generico ovvero la coscienza e volontà del soggetto agente che con la propria condotta sta fornendo un contributo all’autore di un reato presupposto, potendosi trattare di un contributo di tipo personale ovvero reale, nei termini sopra evidenziati.

Ai fini della risoluzione della tematica in esame, è interessante evidenziare l’incipit delle due norme, entrambe contenenti una clausola di riserva.

L’articolo 378 c.p. colloca la condotta di favoreggiamento in un momento temporale successivo alla commissione di un delitto, come confermato dall’espressione “dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce l’ergastolo o la reclusione e fuori dei casi di concorso nel medesimo”.

L’articolo 379 c.p., poi, fa salvi i casi di concorso nel reato, ex articolo 110 c.p., oltre che i casi di ricettazione, riciclaggio ed impiego di danaro, ai sensi degli articoli 648, 648 bis e 648 ter.

Con riferimento al favoreggiamento personale emerge la necessità, al fine di garantire allo stesso una propria autonomia configurativa, che la condotta di ausilio avvenga post delictum, risolvendosi altrimenti in una condotta atipica di concorso nel reato.

Sul punto, si ritiene che il fondamento della punibilità della condotta del complice sia ravvisabile non tanto nella teoria condizionalistica (che non riesce a spiegare l’incidenza eziologica di apporti marginali nella commissione del reato) né nella teoria agevolatrice (che non riesce invece a spiegare la punibilità del complice maldestro) quanto nel criterio della prognosi postuma, indagando l’idoneità ex ante dell’apporto fornito dal complice ai fini della commissione del reato in concorso.

Alla luce di quest’ultima considerazione e del rilievo della natura del reato di favoreggiamento quale reato di pericolo, per la cui configurazione non si richiede, cioè, che l’aiuto si risolvi in un’effettiva e concreta agevolazione del crimine, emerge come l’unico criterio dirimente ai fini della distinzione tra il concorso di persone nel reato ex articolo 110 e la condotta di favoreggiamento sia soltanto il criterio temporale, di guisa che si avrà favoreggiamento solo post delictum ovverosia dopo che è stato commesso il reato.

Questa precisazione trova piana applicazione quando il reato presupposto del favoreggiamento abbia le caratteristiche strutturali di un reato istantaneo ovvero di un reato in cui risulta immediata la lesione del bene giuridico.

Al contrario, il criterio distintivo sopra delineato appare del tutto sfumato laddove venga in rilievo la commissione di un reato permanente.

Difatti, la struttura di questa tipologia di reato si caratterizza per la circostanza che la lesione del bene giuridico si protrae nel tempo, tanto che il reato permanente viene fatto rientrare nel novero dei reati di durata, accanto a quello abituale, continuato (anche se qui l’unificazione della condotte è solo quoad poenam) ed al reato a condotta frazionata o a consumazione prolungata, quale sub specie del reato permanente.

Ora, con particolare riferimento proprio al reato permanente, la dottrina maggioritaria distingue una prima fase di perfezionamento del reato, che si ha quando si vengono a configurare tutti i requisiti minimi necessari ai fini dell’integrazione della fattispecie di reato, da una successiva fase che è quella della consumazione e che coincide col momento in cui la lesione al bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice raggiunge la sua massima intensità lesiva possibile.

Dunque, mentre con la condotta di perfezionamento del reato quest’ultimo viene ad esistere, con l’ultimo atto della condotta il reato si consuma e viene a cessare. Ciò posto, è evidente come si configuri una possibile incompatibilità tra il reato di favoreggiamento e la categoria dei reati permanenti, in considerazione di una logica deduzione.

Se il favoreggiamento può configurarsi dopo che è stato commesso un delitto e se il reato permanente si caratterizza per una lesione giuridica protratta nel tempo di guisa che la consumazione viene a coincidere con la cessazione del reato, ciò implica che si potrà configurare favoreggiamento solo quando il reato, da un punto di vista ontologico, non esiste più.

In altri termini, l’aiuto prestato dopo la fase di perfezionamento del reato e prima che il reato raggiunga la sua massima intensità lesiva si rivolverà sempre in un concorso di persone nel reato, dando vita ad una fattispecie plurisoggettiva eventuale ex articolo 110, e mai in una condotta di favoreggiamento: si consideri, infatti, che poiché il reato in realtà non si è ancora consumato non si può parlare a rigore di commissione di reato, quale presupposto per l’integrazione della fattispecie di cui al 378 c.p..

Per meglio comprendere il motivo di frizione che emerge nel tentativo di configurare un favoreggiamento in relazione ai reati permanenti si può assumere a parametro di riferimento proprio l’articolo 270 c.p..

Nella specie, si tratta di un delitto inserito nel libro secondo, dedicato ai delitti contro la personalità dello Stato, laddove si assiste ad un’anticipazione della tutela sotto il duplice profilo dell’elemento oggettivo e soggettivo.

Sotto il primo aspetto, non può non evidenziarsi come si tratti di un reato di pericolo in cui il soggetto agente viene punito già per il solo fatto della costituzione in sé dell’associazione, oltre che dell’organizzazione, della direzione ovvero della partecipazione (ipotesi questa corredata da un trattamento sanzionatorio più mite).

L’anticipazione della tutela così evidenziata si giustifica in considerazione della capacità criminale dell’organizzazione, la quale si sostanzia nella direzione ed idoneità della stessa a “sovvertire violentemente gli ordinamenti economici o sociali…ovvero a sopprimere violentemente l’ordinamento…dello Stato”.

Ecco allora che la scelta di una tutela anticipata del bene giuridico si correla alla verifica dell’idoneità della associazione, per il modo in cui è organizzata e per gli strumenti di cui dispone, a perseguire in concreto l’obiettivo sovversivo che si prefigge, di guisa che si perviene ad una vera e propria oggettivizzazione del dolo specifico, il quale assurge ad elemento strutturale della fattispecie.

Ciò posto, sulla base di una mera interpretazione letterale del reato di favoreggiamento ed applicando il sillogismo sopra richiamato, se ne dovrebbe dedurre che finché è in vita l’associazione sovversiva non vi sono spazi configurativi per il reato di favoreggiamento, visto che qualsiasi condotta alla quale consegua un aiuto, funzionalmente orientata alla persona membro dell’associazione ovvero al bene frutto del singolo reato posto in essere in conformità allo scopo dell’associazione, non è altro che una condotta partecipativa rispetto all’associazione sovversiva stessa: più correttamente il soggetto agente sarà considerato concorrente esterno nel reato associativo in quanto privo dell’affectio societatis, non facendo parte in maniera stabile della struttura organizzativa criminale.

Il favoreggiamento sarebbe in tesi incompatibile col reato di cui al 270 c.p., così come con tutti i reati permanenti e quindi anche con l’associazione per delinquere di cui al 416. Difatti, il favoreggiamento potrebbe configurarsi solo quando l’associazione si è sciolta visto che solo in tale momento potrebbe considerarsi consumato il reato, avendo questi raggiunto l’apice della pericolosità o lesività.

Ma con la cessazione del reato permanente si apre l’area del post factum non penalmente rilevante, di guisa che se ne dovrebbe trarre un argomento a conferma della tesi dell’incompatibilità.

Questa argomentazione, che sembra prima facie conforme a quelli che sono gli elementi costitutivi sia del reato di favoreggiamento che di quello permanente, non convince nella parte in cui è lo stesso articolo 378 c.p. che non esclude affatto dal suo ambito applicativo questa tipologia di reati.

Difatti, dove il legislatore ha voluto, ha espressamente escluso la ravvisabilità del reato di favoreggiamento a fronte della previa commissione di alcune tipologie di reati: il riferimento è all’incipit dell’articolo 379 c.p. che fa salvi i casi di cui agli articoli 648, 648 bis e 648 ter, ove si evince la ratio legis di evitare di punire due volte la medesima condotta, visto che anche le fattispecie da ultimo richiamate presuppongono la commissione di un reato.

Inoltre, al di là dell’argomento ubi lex voluit dixit, è possibile evidenziare il rischio che, così interpretando la norma in esame, si determina un disparitario trattamento sanzionatorio, punendo in maniera più rigorosa chi in realtà ha solo posto in essere una condotta post delictum, come può accadere in relazione ad un singolo reato-scopo. Si perverrebbe, poi, ad un’irragionevole interpretatio abrogans dell’articolo 378, visto che la disposizione non potrebbe trovare applicazione in presenza di una particolare tipologia di reati, quale quelli permanenti.

Ma vi è di più: è lo stesso legislatore che con la legge numero 646 del 1982 ha sancito expressis verbis la piena compatibilità del favoreggiamento con i reati permanenti. Si consideri, infatti, l’aggiunta del comma secondo alla stregua del quale è prevista “in ogni caso la pena della reclusione non inferiore a due anni” quando il delitto presupposto commesso è quello dell’associazione a delinquere di stampo mafioso, ragion per cui tra i reati presupposti del favoreggiamento ben può configurarsi quello associativo e dunque anche quello sovversivo in esame.

Ed allora, scartata la validità del criterio temporale per questa specie di reati di durata, la dottrina e la giurisprudenza hanno recuperato il profilo della compatibilità del reato di favoreggiamento col reato permanente facendo leva sulla direzione finalistica dell’azione, così pervenendo anche ad una più chiara distinzione tra il favoreggiamento ed il concorso nel reato.

In tal senso, si è ritenuto opportuno valutare se il soggetto agente, nel momento in cui pone in essere la condotta agevolatrice, sia consapevole o meno dell’incidenza che questo suo aiuto possa sortire sulla conservazione e sul rafforzamento dell’associazione.

In tale ipotesi, dovrebbe ravvisarsi un concorso esterno nel reato visto che l’adesione psicologica al reato si converte in una condotta che concorre coscientemente insieme ad altri a realizzare il fine perseguito dall’associazione.

 Se, al contrario, il soggetto agente si rappresenta e vuole esclusivamente che il suo aiuto si risolva a favore del singolo componente dell’associazione, senza per questo involgere l’associazione, allora egli dovrà rispondere di favoreggiamento: in questa ipotesi la sua condotta si inserisce all’interno di una condotta posta in essere da altre persone e che rimane loro soggettivamente ed oggettivamente riferibile, senza cioè farla propria per il tramite di un’adesione psicologica ovverosia di una riferibilità psichica.

Stando così le cose, il favoreggiamento risulterebbe pienamente compatibile anche con il reato di associazione sovversiva, laddove l’aiuto prestato ridondi solo a favore del singolo associato e non dell’intera associazione e del fine sovversivo dalla stessa perseguito, nel qual caso si dovrebbe configurare più correttamente un concorso esterno nel reato associativo.

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