Concorso esterno in associazione mafiosa e principio di tipicità penale

Concorso esterno in associazione mafiosa e principio di tipicità penale

di Ludovica Vaccaro

Con l’espressione “concorso esterno in associazione mafiosa” si suole far riferimento al reato, derivante dal combinato disposto delle norme di parte generale sul concorso eventuale di persone (articoli 110 e seguenti del codice penale) e del delitto di parte speciale di associazione di stampo mafioso (art. 416-bis c.p.), che sanziona le forme di partecipazione alla consorteria mafiosa poste in essere da soggetti estranei alla stessa.

Si tratta di una fattispecie incriminatrice la cui ammissibilità è ancora oggi controversa poiché, in assenza di una previsione normativa ad hoc, i suoi limiti e la sua portata applicativa sono stati enucleati dalla dottrina e dalla giurisprudenza mediante una lunga e tormentata elaborazione; il che ha posto e continua a porre dubbi in merito alla compatibilità di tale figura di reato con il principio di legalità, nella sua dimensione formale e, soprattutto, in quella sostanziale.

Sin dalle prime pronunce giurisprudenziali sul tema sono sorte divergenze interpretative in merito all’ammissibilità dell’applicazione estensiva della disciplina sul concorso eventuale di persone alle fattispecie plurisoggettive necessarie e, in particolare, al delitto di associazione di stampo mafioso. I maggiori dubbi si sono concentrati sulla configurabilità di un concorso esterno materiale, non essendo stati riscontrati particolari ostacoli alla ammissibilità di un concorso esterno morale, ipotesi astrattamente ricorrente, ad esempio, qualora un soggetto ormai estraneo al sodalizio criminoso induca il proprio figlio ad abbandonare la propria carriera professionale legittima per assumere la direzione di una determinata organizzazione criminale, purché non si tratti di una generica istigazione.

Per quanto riguarda invece la rilevanza penale delle condotte materiali poste in essere da soggetti estranei al sodalizio criminoso, l’orientamento tradizionale, in passato prevalente, la escludeva recisamente, ritenendo la disciplina del concorso eventuale incompatibile con la struttura della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 416-bis c.p.

Si evidenziava, in particolare, che l’estensione della punibilità a titolo di concorso al soggetto esterno avrebbe richiesto sotto il profilo dell’elemento oggettivo, in forza del principio dell’unitarietà del titolo di reato sancito dall’art. 110 c.p., la realizzazione da parte del concorrente esterno di un contributo materiale del tutto identico a quello previsto dall’art. 416-bis c.p., rendendo difficile distinguere questa condotta da quella tipica posta in essere dall’associato e, di conseguenza, inutile l’applicazione di due regimi differenziati, poiché la condotta assume rilevanza già ai sensi dell’art. 416-bis c.p.

Allo stesso modo, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, si osservava che ai fini della punibilità era necessario che anche il concorrente esterno agisse con il dolo specifico richiesto dall’art. 416-bis c.p., dovendosi escludere la rilevanza penale per quei contributi esterni all’associazione sorretti da dolo generico o anche solo eventuale.

A sostegno della tesi negativa era utilizzata poi un’ulteriore argomentazione di carattere sistematico; dall’analisi delle altre fattispecie di parte speciale, in particolare gli articoli 307 e 418 c.p., nonché le circostanze aggravanti previste dall’art. 378 c.p. e dall’art. 7 della legge n. 203 del 1991, si poteva chiaramente desumere la scelta del legislatore di sanzionare in via tassativa solo alcuni contributi esterni all’associazione, dotati di un particolare disvalore penale, con la conseguente esclusione della punibilità per le altre forme di partecipazione esterna atipiche.

Questa impostazione fu criticata dalla maggior parte della dottrina perché ritenuta eccessivamente rigorosa e riduttiva dell’area operativa della disciplina del concorso di persone; inoltre, sul piano applicativo, una siffatta interpretazione non consentiva di contrastare in maniera efficace il dilagante fenomeno dell’infiltrazione mafiosa, il quale aveva raggiunto proporzioni allarmanti in determinate aree del Paese.

Per tali ragioni, a partire dal 1994 la Suprema Corte, dopo varie oscillazioni, inaugura un nuovo indirizzo ermeneutico, ammettendo la rilevanza penale del concorso esterno in associazione mafiosa in forza del combinato disposto dell’art. 110 c.p. con la fattispecie delittuosa di cui all’art. 416-bis c.p.

In generale la tesi favorevole alla configurabilità di un concorso esterno in associazione mafiosa muove da una diversa lettura delle norme poste a sostegno della tesi negativa; in primo luogo si osserva che l’art. 110 c.p. è una norma di parte generale, come tale applicabile a tutte le fattispecie incriminatrici di parte speciale, anche quelle plurisoggettive necessarie. Oltretutto la pacifica ammissibilità di un concorso eventuale morale nel reato associativo induce a ritenere configurabile anche un concorso eventuale materiale, stante l’assenza di una espressa distinzione da parte del legislatore.

In secondo luogo la tesi in esame esclude la piena sovrapponibilità, tanto sul piano oggettivo quanto su quello soggettivo, tra la condotta del compartecipe all’associazione mafiosa e quella del concorrente “esterno”; per quanto riguarda l’elemento oggettivo occorre infatti distinguere la condotta tipica dell’intraneus, prevista dall’art. 416-bis c.p., che consiste nella partecipazione alla vita dell’associazione mediante l’accettazione e condivisione del suo “statuto”, da quella del concorrente esterno, il quale, pur non ricoprendo un ruolo stabile all’interno del sodalizio criminoso né aderendo ai suoi programmi e scopi, apporta a quest’ultimo un contributo personale apprezzabile, agevolando la sua esistenza.

L’atipicità del contributo materiale del concorrente esterno si riflette anche sull’elemento soggettivo, non essendo necessario ai fini della punibilità che la condotta del concorrente esterno sia sorretta dal dolo specifico previsto dall’art. 416-bis c.p., ma essendo sufficiente che vi sia la coscienza e volontà di contribuire con il proprio apporto al mantenimento o consolidamento dell’associazione. Tale affermazione, che implica una differenziazione dell’elemento soggettivo dei concorrenti nel reato, non dovrebbe ritenersi in contrasto con il principio contenuto nell’art. 110 c.p., ai sensi del quale sono punibili a titolo di concorso eventuale tutti coloro i quali concorrono nel medesimo reato, poiché il codice penale conosce numerose ipotesi di concorso soggettivamente differenziato, come ad esempio gli articoli 48, 112, ultimo comma, 116 e 117, e la giurisprudenza tende ad ammettere la configurabilità di un concorso doloso in delitto colposo e, seppur non pacificamente, il concorso colposo in delitto colposo.

Infine, sotto il profilo sistematico, l’esistenza di fattispecie incriminatrici che sanzionano solo alcune ipotesi di contributi materiali alle associazioni criminali non dimostra l’inammissibilità del concorso esterno, semmai dimostrerebbe la sua esistenza; ciò sarebbe confermato dalla lettera degli articoli 307 e 418 c.p. i quali prevedono la clausola di salvaguardia “fuori dai casi di concorso nel reato”, chiaramente riferibile all’ipotesi di concorso eventuale e non alle fattispecie associative, richiamate attraverso il riferimento alle “persone che partecipano all’associazione”.

Una volta affermata la configurabilità del concorso esterno in associazione mafiosa e rinvenuta la sua fonte normativa nel combinato disposto degli articoli 110 e 416-bis c.p. la dottrina e la giurisprudenza si sono concentrate sull’individuazione puntuale degli elementi costitutivi di tale fattispecie incriminatrice, facendone emergere il principale profilo problematico, ossia l’intrinseco deficit di tipicità.

Sebbene infatti in linea astratta sia possibile distinguere il concorrente esterno dall’associato sulla base dell’appartenenza o meno del soggetto all’organizzazione criminosa sotto il profilo strutturale, non peraltro senza qualche difficoltà, tutt’altro che semplice è individuare i requisiti che l’apporto dell’extraneus deve soddisfare per essere rilevante a titolo di concorso eventuale in associazione mafiosa.

In un primo momento il criterio impiegato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte è stato quello della necessarietà ed infungibilità del contributo dell’extraneus ai fini della sopravvivenza dell’associazione criminale. In altri termini non ogni apporto da parte di un soggetto estraneo alla consorteria mafiosa rileva a titolo di concorso materiale, ma solo quel contributo che, in un momento di emergenza nella vita dell’associazione, si rivela indispensabile per la sua esistenza. Questa tesi, nota anche come “fibrillazionista” traeva origine essenzialmente dalle circostanze del caso concreto oggetto del giudizio e, proprio per questo, è stata abbandonata nelle successive pronunce giurisprudenziali, che hanno evidenziato l’assoluta mancanza di fondamento normativo dello stato di fibrillazione dell’organizzazione criminale quale presupposto del concorso esterno.

In seguito, pertanto, la dottrina e la giurisprudenza hanno enucleato nuovi criteri per individuare il campo di applicazione del concorso esterno in associazione mafiosa, modificandone i canoni inizialmente individuati, in ossequio ai principi del diritto penale. In particolare la successiva elaborazione dottrinale e giurisprudenziale ha valorizzato, da un lato, la rilevanza causale del contributo posto in essere dal concorrente in rapporto all’associazione, in termini di mantenimento e consolidamento della stessa; dall’altro, si è precisato il grado di consapevolezza circa la rilevanza del contributo che deve sorreggere la condotta del concorrente.

Quanto al primo profilo, nelle sentenze successive al 1994, la Suprema Corte ha affermato che è tipico ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 110 e 416-bis c.p. il contributo concreto, specifico, consapevole e volontario che abbia un’effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento dell’associazione e sia comunque diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso, sostanziandosi in una concreta attività collaborativa idonea a potenziare, consolidare o mantenere in vita l’associazione in relazione a congiunturali esigenze della stessa. In questa prospettiva non è sufficiente la mera dichiarazione di disponibilità da parte dell’extraneus, ma occorre accertare che questi ha fornito un apporto concreto ed effettivo a sostegno dell’organizzazione criminale.

Negli ultimi arresti giurisprudenziali più significativi in materia (2005 e 2012), la Corte ha altresì precisato che l’accertamento della rilevanza causale del contributo del concorrente esterno non può avvenire sulla base di un giudizio prognostico ex ante, perché in tal modo si giungerebbe sempre a ritenere il contributo idoneo a rafforzare o mantenere in forze l’associazione, ma deve piuttosto essere compiuto sulla base di un giudizio successivo che accerti che la condotta del concorrente esterno sia stata condizione necessaria per la realizzazione dell’evento in concreto, secondo un elevato grado di probabilità logica, escludendo, dunque, eventuali concause o cause sopravvenute da sole sufficienti a cagionare l’evento (art. 41 c.p.).

Questa conclusione, sebbene comporti maggiori difficoltà sul piano della prova della rilevanza penale del contributo del concorrente esterno, rende la fattispecie in esame più coerente con la disciplina del concorso eventuale di persone nel reato, che ne costituisce il fondamento, poiché in tanto può sostenersi la riferibilità del concorso esterno al combinato disposto degli articoli 110 e 416-bis c.p. in quanto il soggetto estraneo all’associazione mafiosa concorra a realizzare uno dei reati previsti dalla fattispecie incriminatrice di parte speciale. In quest’ottica il concorrente esterno è colui il quale con la propria condotta apporta un contributo rilevante per la direzione, gestione o organizzazione dell’associazione mafiosa, o fornisce aiuto ad uno o più partecipanti all’associazione.

Quanto sinora detto in relazione all’elemento oggettivo comporta, sotto il profilo soggettivo, la necessità che la condotta del concorrente esterno sia sorretta dalla coscienza e volontà di apportare un contributo rilevante per la realizzazione anche parziale del programma criminale previsto dall’art. 416-bis c.p.

Ai fini della punibilità a titolo di concorso esterno in associazione mafiosa, pertanto, il dolo deve investire sia il fatto tipico della fattispecie incriminatrice (art. 416-bis c.p.) sia il contributo causale recato dalla propria condotta di conservazione o al rafforzamento dell’associazione mafiosa, escludendo così la rilevanza penale di quelle condotte sorrette dalla mera accettazione del rischio che tale evento possa verificarsi.

Dall’applicazione dei superiori principi deriva una significativa restrizione dell’area di punibilità del concorso esterno in associazione mafiosa; ed infatti, secondo i superiori canoni non rientrano nell’ambito di applicazione del combinato disposto degli articoli 110 e 416-bis c.p. né le condotte finalizzate in via diretta alla realizzazione di uno degli scopi previsti dall’art. 416-bis, terzo comma, c.p., perché esse ben potranno essere qualificate come condotte di partecipazione all’associazione; né le condotte mediante le quali il soggetto esterno fornisce aiuto ad uno dei membri dell’associazione criminale con il solo fine di prestargli assistenza individuale, potendo rappresentarsi anche solo in termini probabilistici che la sua condotta è idonea ad agevolare l’associazione nella realizzazione del proprio programma criminoso, poiché in questi casi le condotte integreranno la diversa fattispecie di cui all’art. 418 c.p.

Per contro, appaiono più labili i confini tra il concorso esterno ed altre fattispecie incriminatrici, in particolare con il delitto di favoreggiamento personale e con l’aggravante prevista dall’art. 7 della legge n. 203 del 1991.

Per quanto riguarda la fattispecie di cui all’art. 378 c.p., il secondo comma introduce un’aggravante nell’ipotesi in cui l’agente aiuta ad eludere o a sottrarsi alle investigazioni dell’Autorità o alle ricerche un membro dell’associazione mafiosa, ponendo un problema di delimitazione dell’ambito di applicazione delle due norme.

In proposito l’orientamento prevalente, valorizzando il criterio cronologico, ritiene che il favoreggiamento ex art. 378 c.p. si sostanzia in un auxilium post delictum, che presuppone che l’organizzazione si sia sciolta, cioè che il delitto sia consumato. Ad una diversa conclusione deve giungersi se si valorizza la distinzione tra perfezionamento e consumazione, poiché in questa prospettiva ai fini della integrazione del delitto di favoreggiamento non è necessario che vi sia la consumazione della condotta ex art. 416-bis c.p. ma è sufficiente il suo perfezionamento e dunque il reato di cui all’art. 378, secondo comma, c.p. ben può configurarsi anche quando l’associazione criminosa, dopo essere stata costituita, continua ad operare, rendendo i confini tra questa fattispecie ed il concorso esterno più incerti.

Un discorso analogo può essere svolto per l’aggravante speciale prevista dall’art. 7 della legge n. 203 del 1991, in particolare in relazione al secondo comma, ove è previsto un aggravamento della pena per i delitti commessi al fine di agevolare l’attività delle associazioni di stampo mafioso; qualora si qualifichi tale circostanza come aggravante oggettiva, con conseguente irrilevanza circa la sussistenza del dolo specifico di cui all’art. 416-bis c.p. non si porrebbe alcun dubbio sulla diversa portata applicativa rispetto al concorso esterno in associazione mafiosa. Maggiori problemi derivano invece dalla qualificazione soggettiva di tale circostanza, che implicherebbe un’astratta sovrapponibilità con la figura del concorso esterno, seppure solo in relazione a condotte di per sé penalmente rilevanti.

Alla luce delle perplessità che riguardano i confini applicativi del concorso esterno in associazione mafiosa, ritornate nuovamente in auge a seguito della interpretazione della norma ad opera della Corte di Strasburgo, appare necessario un intervento chiarificatore del legislatore per definire tale figura di reato nel rispetto dei principi di tipicità, tassatività e determinatezza.

Nonostante gli sforzi della dottrina e della giurisprudenza per individuare con precisione i presupposti oggettivi e soggettivi del concorso esterno in associazione di stampo mafioso resta ancora il dubbio che questa fattispecie non abbia alcun fondamento positivo nel nostro ordinamento e, di conseguenza, si ponga in forte attrito con il principio di legalità di cui all’art. 25, secondo comma. Cost.

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