CRITERI DI RIPARTO DELLA GIURISDIZIONE IN MATERIA ESPROPRIATIVA
CRITERI DI RIPARTO DELLA GIURISDIZIONE IN MATERIA ESPROPRIATIVA
Pubblicato il 9/02/2016 autore Ester Castagnino
Il presente tema richiede un esame dei criteri di riparto di giurisdizione attualmente vigente in materia espropriativa. A tale proposito sarà necessario effettuare un excursus normativo e giurisprudenziale che, negli anni, ha caratterizzato la materia, fino ad arrivare all’attuale sistema normativo di riferimento sancito dal vigente codice del processo amministrativo e dal d.P.R. n. 327/2001, in seguito chiamato TUEdilizia.
Le controversie nascenti in materia espropriativa si vedono caratterizzare da un forte intreccio tra situazioni giuridiche qualificabili come diritti soggettivi (ad es. il diritto al risarcimento del danno aquiliano) e interessi legittimi (ad es. corretto esercizio del potere espropriativo da parte delle p.a.). In forza di tale quadro il legislatore è stato spinto necessariamente a devolvere le controversie in esame alla c.d. giurisdizione del giudice amministrativo esclusivo prevista espressamente dall’art. 103 Cost.. Al fine di poter meglio individuare gli attuali criteri di riparto della giurisdizione in materia espropriativa sarà necessario dare una definizione di giurisdizione amministrativa esclusiva alla luce di due importanti pronunce della Corte Costituzionale dettate in diritto amministrativo, quali la n. 204/2004 e la n. 191/2006. Queste due sentenze sono state rilevanti non solo in quanto hanno fissano i criteri per poter individuare, con certezza e in applicazione del principio di effettività di tutela, quando una materia sia coperta dalla giurisdizione amministrativa esclusiva, ma altresì tali pronunce traggono la loro rilevanza laddove si sono spinte a dare una definizione al concetto di “mero comportamento”, dettando principi importanti in materia di incompetenza e carenza di potere in astratto.
Le due sentenze della Corte Costituzionale, in particolare, sono intervenute nel sancire l’incostituzionalità degli artt. 33 e 34 del d.lgs. 89/1990 e l’art. 53 TUEdilizia, nella parte in cui devolvevano al giudice amministrativo esclusivo la competenza in materia urbanistica ed edilizia, “anche riguardo ai comportamenti posti in essere dalla p.a.”. La Corte ha sottolineato l’importanza data dal limite che l’art. 103 Cost. detta al legislatore nell’individuazione delle materie. La competenza che il giudice amministrativo ha “in particolari materia anche sui diritti soggettivi” non può legittimare il legislatore ad eccedere in modo discrezionale e incondizionato nella sua delega. Egli, infatti, dovrà individuare l’area di giurisdizione esclusiva non in base semplicemente al dato oggettivo della materia ma guardare al dato soggettivo delle situazioni giuridiche soggettive coinvolte. La Corte si sofferta, dunque, sull’importanza del limite costituzionale delle “particolari materie”, superando il criterio della giurisdizione per “blocchi di materie” adottato fino a quel momento dal legislatore, dando, invece, rilevanza a quelle “materie particolari” rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità. Si sottolinea che dette materie devolute al giudice amministrativo esclusivo devono inerire comunque all’esercizio del potere della p.a., in quanto in esse la presenza dell’interesse legittimo prevale su quella del diritto soggettivo, tanto che se tale diritto mancasse la giurisdizione spetterebbe al giudice amministrativo di legittimità. Si tratta infatti di materie in cui la p.a. agisce sempre in veste di autorità e in cui uno scorretto esercizio del potere comporta necessariamente una lesione di interesse legittimo. Il legislatore ordinario può ampliare l’area della giurisdizione ordinaria ma è necessario che la materia già sia coperta dalla giurisdizione di legittimità, che compartecipi della stessa natura e in cui la p.a. agisca quale autorità. Risulta così ribadita la centralità, ai fini del riparto di giurisdizione, del criterio basato sulla natura della situazione soggettiva; al contempo, si individua nell’esercizio del potere pubblico autoritativo l’elemento che fonda la giurisdizione amministrativa.
A tale proposito la Corte introduce una distinzione tra il “comportamento” della p.a. collegabile all’esercizio di un pubblico potere e il “mero comportamento”. Si affermava, in quella sede, la compatibilità con il disposto costituzionale di cui all’art. 103 nel rimettere alla giurisdizione esclusiva del g.a. la competenza rispetto a quei “comportamenti” della p.a. riconducibili all’esercizio di un pubblico potere. Incostituzionalmente illegittima era, invece, la devoluzione alla giurisdizione esclusiva delle controversie relative a quei “meri comportamenti” della p.a. sganciati totalmente dal potere pubblico.
Le due sentenze della Consulta hanno avuto importanti ripercussioni nel diritto amministrativo sia in riferimento al dibattito dottrinario e giurisprudenziale sorto relativamente alla nozione di carenza di potere in astratto, sia in sede di delimitazione dell’ambito applicativo dell’art. 21-septies l. 241/1990 ai fini di individuazione della giurisdizione competente laddove sancisce la nullità del provvedimento adottato in “difetto assoluto di attribuzione” e ancora in tema di riparto di giurisdizione a fronte di risarcimento del danno causato da un provvedimento amministrativo ad un diritto soggettivo c.d. indegradabile, infine a fronte della possibilità di garantire un più effettivo sistema di tutela dell’interesse legittimo ex art. 24 Cost., sancendo un passaggio della natura del giudizio amministrativo da giudizio sull’atto a giudizio sul rapporto.
Tornando alla materia espropriativa bisogna sottolineare le importanti conseguenze che anche in questo campo dette pronunce hanno avuto in tema di riparto della giurisdizione. In un contesto normativo così delineato, fermo restando la giurisdizione del g.a. circa la legittimità degli atti della procedura espropriativa, si è sviluppato un dibattito giurisprudenziale in materia di occupazione appropriativa e usurpativa al fine di individuare il giudice competente a pronunciarsi sulla richiesta di risarcimento del danno causato dalla p.a. al proprietario del suolo irreversibilmente trasformato.
Ricorre il fenomeno di occupazione appropriativa laddove la p.a. espropriante occupi, in modo continuativo, un suolo privato in forza di una dichiarazione di pubblica utilità che fissi il termine entro il quale il decreto di esproprio debba venir emesso, e detto decreto non sia stato adottato dalla p.a. ovvero sia stato adottato ma oltre in termini stabiliti. Tale figura di occupazione, di origine giurisprudenziale, è stata oggetto negli ultimi anni di continue censure da parte della giurisprudenza internazionale, in quanto l’ordinamento italiano nell’andarla a disciplinare espressamente, non ha fatto altro che legalizzare un illecito, un’espropriazione indiretta, in contrasto con i principi Cedu ex art. 117 Cost., dapprima con l’art. 43 TUEdilizia, e successivamente con il nuovo art. 42bis TUEdilizia.
Con una sentenza del 1997 la Cassazione ha introdotto invece il fenomeno dell’occupazione usurpativa. Si parla di occupazione usurpativa c.d. pura laddove la p.a. occupi un suolo privato senza che sussista una dichiarazione di pubblica utilità, quindi senza che sia stato avviato il procedimento amministrativo di espropriazione, ovvero nel caso in cui la dichiarazione di pubblica utilità sia stata emessa ma non fissi al suo interno il termine entro il quale il decreto di esproprio debba essere adottato. Si parla, invece, di occupazione usurpativa c.d. spuria laddove la dichiarazione di pubblica utilità ci sia stata ma sia stata impugnata e caducata ex tunc.
L’occupazione acquisitiva nasceva in giurisprudenza come illecito istantaneo ad effetto permanente, in quanto l’irreversibile trasformazione del suolo del privato si poneva come dies a quo per l’acquisto della proprietà del fondo in capo alla p.a. e come dies a quo per l’esercizio del privato dell’azione di risarcimento del danno subìto. A fronte di occupazione usurpativa, invece, non si trasferisce la proprietà sull’immobile alla p.a. in forza della trasformazione irreversibile, tanto che non solo il privato potrà esperire i normali strumenti possessori e petitori previsti dalla legge oppure esperire l’azione risarcitoria. In forza del fatto che la proprietà rimane in capo al privato non si pone un problema di prescrizione dell’azione risarcitoria.
In tema di natura dell’illecito cagionato dalla p.a. al privato è importante citare una recentissima pronuncia delle Sezioni Unite del 2015 in forza di cui i giudici hanno sottolineato che entrambe le forme di occupazioni sono illeciti permanenti il quale cessa necessariamente con la restituzione e non si ha alcun effetto traslativo della proprietà, equiparando le due figure di occupazione.
L’aspetto che in questa sede più ci interessa in tema di occupazione acquisitiva e usurpativa attiene all’individuazione dei criteri di riparto della giurisdizione. Sarà necessario ripercorrere l’excursus giurisprudenziale che ha visto coinvolgere le Sezioni Unite e l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, dibattito che ha preso le mosse dalle sopra citate sentenze della Corte Costituzionale e l’importante distinzione tra “comportamento amministrativo” e “mero comportamento”.
Già sotto il vigore dell’art. 34 d.lgs. 89/1990 la giurisprudenza amministrativa escludeva la possibilità che si potesse riconoscere al g.a. la competenza in materia di occupazione usurpativa quale comportamento della p.a., devolvendola al g.o. Si sottolineava altresì che la sfera di operatività dell’art. 34 dovesse arrestarsi a fronte di attività poste in essere dalla p.a. iure privatorum e danni arrecati da comportamenti meramente materiali coperte dalla giurisdizione del g.o. (es. danni da insidie stradali, danni da fauna selvatica).
In particolare, a seguito della sentenza n. 204/2004 della Consulta, le prime pronunce delle Sezioni Unite hanno sostenuto la riconducibilità della giurisdizione al g.o. in tema di risarcimento del danno aquiliano non solo per quanto riguardava l’occupazione usurpativa, ma anche per l’acquisitiva. L’occupazione usurpativa veniva vista come “mero comportamento” della p.a., quindi mero atto fattuale privo di un collegamento con un pubblico potere e come tale di competenza del g.o.. In realtà secondo i giudici si tratterebbe di mero comportamento anche quella della p.a. che occupi e trasformi un suolo privato senza adottare nei termini il decreto di esproprio che formalizzerebbe il potere autoritativo.
La giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria, di contro, in tema di riparto di giurisdizione sulla domanda da risarcimento del danno da occupazione hanno limitato la competenza del g.o. esclusivamente per quanto riguarda l’usurpativa c.d. pura in quanto semplice e mero comportamento illecito privo di un collegamento con il potere pubblico. Ricadrebbero, invece, nell’ambito di competenza del g.a. le controversie relative all’occupazione acquisitiva e usurpativa c.d. spuria, in quanto in entrambi i casi si tratta di comportamenti espressioni di autorità pubblica.
In definitiva il riparto di giurisdizione tra g.o. e g.a. in materia di risarcimento del danno da occupazione illegittima si fonda sulla sussistenza o meno da parte della p.a. di un comportamento meramente materiale ovvero un comportamento sorretto da pubblico potere.
In riferimento al tema dell’occupazione della p.a. si può richiamare una recente pronuncia delle Sezioni Unite del 2013 in cui si è affrontato il caso in cui si sia verificato uno sconfinamento e occupazione di suolo privato diverso da quello indicato nella dichiarazione di pubblica utilità e conseguente decreto di esproprio. In quella occasione i giudici, richiamando la pronuncia della Consulta del 2004, hanno ricondotto la competenza al g.o., affermando come lo sconfinamento che ricade su suolo diverso è un mero comportamento fattuale e non rientra nel potere autoritativo.
Allo stato attuale il parametro normativo di riferimento in materia, che consacra le soluzioni giurisprudenziali esaminate fino ad ora, è costituito dall’art. 133, comma 1, lett. f) e g) c.p.a., che devolve alla giurisdizione al g.a. tutte le controversie relative ad atti e provvedimenti emanati dalla p.a. in materia urbanistica ed edilizia, nonché tutte quelle aventi ad oggetto atti, comportamenti e accordi che, in materia di espropriazione, risultino anche mediatamente riconducibili all’esercizio di un pubblico potere. Ulteriore parametro normativo da richiamare è l’art. 7, comma 1 c.p.a., il quale riconosce la giurisdizione del g.a. anche in riferimento a quei comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio del potere pubblico.
L’art. 133 sopra citato, in ultimo, devolve al g.o. tutte le controversie concernenti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa. Si parla a tale proposito della c.d. opposizione alla stima volto alla rideterminazione ex novo di dette indennità.
Un riparto di giurisdizione tra g.a. e g.o. è, altresì, rinvenibile in riferimento all’istituto alternativo al decreto di esproprio quanto agli effetti: la c.d. cessione volontaria.
Tale istituto rientra nella categoria dei c.d. accordi sostitutivi di provvedimenti amministrativi ex art. 11 l. 241/1990, ed è disciplinato all’art. 45 TUEdilizia. Si tratta, infatti, di un accordo bilateralmente posto in essere tra il soggetto espropriante e il soggetto espropriato ed ha una valenza sostitutiva di quello che è il decreto di esproprio conclusivo del procedimento amministrativo. In tema di riparto di giurisdizione circa le controversie relative alla cessione volontaria rileva l’art. 53 TUEdilizia. Detta norma devolve, infatti, al comma 1, devolve la giurisdizione al giudice amministrativo in via esclusiva. Il successivo comma 3, art. 53, invece, devolve al g.o. la competenza sulle controversie in cui si vada a contestare il valore dell’indennità di esproprio.
Ulteriore aspetto da trattare in riferimento ai criteri di riparto della giurisdizione in materia espropriativa attiene all’istituto delle retrocessione, disciplinato agli artt. 46-48 TUEdilizia. Tale strumento consente al privato la restituzione a titolo originario ed ex nunc del proprio immobile espropriato, nel caso in cui la p.a. non abbia realizzato in tutto o in parte l’opera pubblica per la quale era stato emanato il decreto di esproprio. Si pone come diritto potestativo. La retrocessione è totale quando l’opera non è stata totalmente realizzata o almeno iniziata entro il termine di dieci anni decorrente dalla data di esecuzione del decreto di esproprio, ovvero nel caso in cui sia stata realizzata un’opera totalmente diversa dall’originaria, in sostituzione della stessa e si stravolgano gli assetti territoriali originariamente previsti, ed ancora nel caso in cui vi sia stata un’impossibilità materiale e giuridica tale da impedire la realizzazione dell’opera. Affinché la retrocessione totale operi è necessario che la stessa p.a. manifesti la propria volontà di non volersi più avvalere dell’immobile. In questo caso si è concordi, in conformità alla pronuncia n. 204/2004 più volte citata, nell’affermare la sussistenza di un diritto soggettivo alla restituzione del suolo con conseguente sua azionabilità innanzi al g.o.. Questo in quanto il mancato utilizzo dell’immobile per i fini prestabiliti inizialmente si pone come mero comportamento. Sarà così necessario che non si sia verificato alcun inizio essenziale dell’opera nei suoi elementi costitutivi.
Diversa è l’ipotesi della retrocessione parziale in cui, invece, l’opera di pubblica utilità sia stata realizzata solo su una parte del suolo espropriato. In tal caso si può chiedere la restituzione della parte di suolo non utilizzata e si può avere retrocessione solo sui beni che non servono all’esecuzione dell’opera pubblica. Ai fini dell’individuazione del giudice competente si deve affermare che in tema di retrocessione parziale la p.a. ha esercitato il potere autoritativo realizzando l’opera su parte dell’immobile espropriato, tanto che il proprietario sarà titolare di un interesse legittimo alla restituzione della parte di suolo non utilizzata.
Ultimi istituti rilevante in materia di riparto di giurisdizione sono il c.d. provvedimento di requisizione e la c.d. occupazione d’urgenza. L’istituto della requisizione prefettizia, che trova la propria disciplina circa l’an, quando e quomodo, nel TUEL, è un atto di necessità e urgenza, ed ha un’efficacia limitata nel tempo tanto che a fronte di un eventuale mancata restituzione dell’immobile requisito, il privato gode delle azioni petitorie, possessorie e risarcitorie innanzi al g.o.. L’occupazione d’urgenza, disciplinata all’art. 22-bis TUEdilizia si concretizza in una particolare forma di occupazione di suolo privato, ma pur sempre finalizzata alla successiva espropriazione, nei casi in cui l’avvio dei lavori richieda una particolare urgenza, tale per cui non sia possibile attendere il completarsi dell’iter espropriativo. L’istituto in esame, in realtà, ha posto una serie di problematiche circa gli strumenti ti tutela esperibili dal privato a fronte di un uso illegittimo dell’istituto, e circa il corretto riparto di giurisdizione in materia. A fronte di un iniziale chiusura per il privato di esercitare azioni volte alla restituzione del bene occupato, si riconosceva allo stesso esclusivamente l’esercizio dell’azione risarcitoria del danno subito ex art. 2043 c.c.. Si precludeva, quindi, al privato la possibilità di adire innanzi al g.o., e si riteneva che l’eventuale decreto di esproprio sopravvenuto in corso di giudizio risarcitorio faceva sì che la domanda risarcitoria si convertisse in opposizione alla stima. Solo in una fase successiva la giurisprudenza si è adeguata alla distinzione tra comportamento amministrativo e mero comportamento, riconoscendo alla luce di ciò, la possibilità per il privato di agire innanzi al g.o. a fronte di una riduzione in pristino, trattandosi, l’occupazione abusiva in esame, di un mero comportamento non coperto da decreto di esproprio.