DISCIPLINA PENALE DEI DELITTI DI FALSO DOPO IL D.LGS. 7/2016

ELOISE CUCIT

Corso magistratura on-line mp3 2016/2017

DISCIPLINA PENALE DEI DELITTI DI FALSO DOPO IL D.LGS. 7/2016

I delitti contro la fede pubblica sono previsti dal Titolo VII (artt. 453-498 c.p.), suddiviso a sua volta in quattro Capi, sulla falsità in monete, sulla falsità in sigilli, sulla falsità in atti, e sulla falsità personale.

In senso lato, il bene giuridico tutelato dai c.d. delitti di falso è la fede pubblica, cioè la fiducia del pubblico in determinati oggetti o simboli, per una specifica esigenza di certezza e affidabilità dei traffici economici e giuridici. Tuttavia, all’interno dei Capi si possono poi individuare dei beni giuridici più specifici, e a volte anche più beni giuridici presenti in un singolo Capo. Nel Capo I è disciplinata la falsità in monete, che si caratterizza per un elevato numero di fattispecie e la notevole anticipazione della tutela penale. È una tutela penale severa e particolarmente anticipata in virtù dell’importanza del bene giuridico tutelato, ossia la certezza dei mezzi di pagamento. Il Capo II riguarda la falsità in sigilli. Qui all’interno dello stesso Capo vi sono differenti beni giuridici. Negli artt. 467-472 c.p., il bene giuridico tutelato è il sigillo dello Stato; negli artt. 473 e ss. c.p., il bene giuridico tutelato è l’autenticità dei segni distintivi e dei marchi. Nel Capo III è prevista la falsità in atti, che riguarda reati ritenuti, dalla dottrina maggioritaria, plurioffensivi. Per cui il bene giuridico, da un lato, è l’aspettativa sociale di conformità ai fatti di alcuni atti provenienti dalla PA, dall’altro lato, la tutela del privato che beneficia di quel determinato atto. Il Capo IV, infine, riguarda le falsità personali. Qui il bene giuridico tutelato è la certezza e la garanzia circa l’identificazione della persona.

Innanzitutto, secondo la dottrina, si deve distinguere tra ipotesi di falsità penalmente irrilevanti e penalmente rilevanti. Viene esclusa la rilevanza penale del falso grossolano, del falso innocuo, e del falso inutile. È grossolano il falso immediatamente riconoscibile, tale da non far cadere in errore alcuno. È innocuo il falso che risulta inoffensivo per la concreta inidoneità ad aggredire gli interessi coinvolti. Infine, il falso è inutile quando la falsificazione ha per oggetto un documento irrilevante o ininfluente ai fini della situazione giuridica che lo coinvolge.

Il settore dei delitti di falso è sempre stato uno dei settori più complessi del nostro codice penale, per quanto attiene ai concetti utilizzati, ai diversi contrasti giurisprudenziali e dottrinali sviluppatisi sulla sua interpretazione e applicazione, all’effettiva esigenza di tutela nella materia, e al numero forse troppo ampio delle fattispecie. E, in particolare, molto discusse sono state le falsità in atti, o anche dette falsità documentali. Oggetto di queste falsità è genericamente il documento, ma la sua nozione è controversa. In particolare, nelle falsità documentali, l’oggetto materiale su cui incide la condotta penalmente rilevante sono gli atti pubblici e le scritture private. Inoltre, il codice nelle falsità in atti distingue tra due differenti tipi di falsità, quella materiale, che attiene alla genuinità dell’atto, e quella ideologica, che va a tutelare la veridicità di un atto. Non sempre è facile individuare questa distinzione, perché spesso la falsità materiale include quella ideologica. Secondo la tesi maggioritaria, la falsità materiale è definibile come la contraffazione o alterazione di un documento; mentre, la falsità ideologica consiste in un atto che esiste giuridicamente, che è stato emanato da un soggetto legittimato a emanarlo, ma che è falso nel suo contenuto.

Nell’impostazione originaria del codice penale, si distinguevano principalmente le falsità in atti pubblici, materiali (art. 476 c.p.) e ideologiche (art. 479 c.p.), la falsità in scrittura privata (art. 485 c.p.), la falsità in foglio firmato in bianco su atto privato (art. 486 c.p.) e in atto pubblico (art. 487 c.p.), l’uso di atto falso (art. 489 c.p.), la soppressione, distruzione e occultamento di atti veri (art. 490 c.p.).

La l. n. 67/2014 ha delegato il Governo alla riforma della disciplina sanzionatoria, al fine di deflazionare il sistema penale, nel rispetto dei principi di offensività, proporzionalità e sussidiarietà della pena. Tale delega è stata esercitata con i decreti legislativi nn. 7 e 8 del 2016, che sono intervenuti dettando disposizioni in materia, rispettivamente, di abrogazione e di depenalizzazione. Infatti, con il primo decreto si sono abrogati alcuni reati previsti nel codice penale, con contemporanea sottoposizione dei medesimi fatti a sanzioni pecuniarie civili che si aggiungono alla condanna al risarcimento del danno. Con il secondo decreto, si è operata una depenalizzazione di fatti di reato di minima gravità in illeciti amministrativi. Questi decreti seguono il primo decreto di attuazione della delega prevista dalla l. n. 67/2014 in materia di pene detentive non carcerarie, il d.lgs. n. 28/2015, che ha inserito nel nostro ordinamento la figura della non punibilità per particolare tenuità del fatto.

La scelta del legislatore delegato di distinguere la riforma in due decreti è determinata dal fatto che il decreto di depenalizzazione ha riguardato reati procedibili d’ufficio, mentre quello di abrogazione ha riguardato reati procedibili a querela di parte.

L’art. 2, co. 3, l. n. 67/2014 nella lettera a) ha previsto la delega al Governo per procedere all’abrogazione di alcuni reati previsti dal codice penale, e nella lettera c) la contestuale introduzione di sanzioni pecuniarie civili in relazione a questi reati. Per quanto interessa, è stata prevista la delega all’abrogazione dei delitti contro la fede pubblica, limitatamente alle condotte relative a scritture private, ad esclusione delle fattispecie previste dall’art. 491 c.p., ossia dei documenti privati equiparati ad atti pubblici agli effetti della pena (art. 2, co. 3, lett. a), n. 1). La legge delega, infatti, ha previsto un’eccezione per gli oggetti materiali del testamento olografo, della cambiale, e del titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore.

Passando all’analisi del d.lgs. n. 7/2016, in attuazione della delega, esso è suddiviso in due Capi, il primo dedicato all’abrogazione di reati e alle modifiche del codice penale (artt. 1 e 2), e il secondo agli illeciti sottoposti a sanzioni pecuniarie civili (artt. 3-13).

Il Capo I si apre con la norma che prevede l’abrogazione di una serie di delitti specifici (art. 1), tutti procedibili a querela, tra cui il reato di ingiuria (art. 594 c.p.), di sottrazione di cose comuni (art. 627 c.p.), e di appropriazione di cose smarrite, del tesoro o di cose avute per errore o caso fortuito (art. 647 c.p.). Inoltre, alle lettere a) e b) del suddetto art. 1 è stata prevista l’abrogazione degli artt. 485 e 486 c.p., ossia rispettivamente dei delitti di falsità in scrittura privata e di foglio firmato in bianco.

L’art. 2, poi, prevede, di conseguenza all’abrogazione, degli adattamenti necessari al coordinamento delle norme collegate a quelle abrogate. E, quindi, è stato riformulato l’art. 488 c.p.; è stato abrogato l’art. 489, co. 2 c.p.; è stato modificato il primo comma e abrogato il secondo comma dell’art. 490 c.p.; è stato riformulato l’art .491 c.p., che di conseguenza è divenuto una nuova fattispecie autonoma di reato, non più circostanza aggravante; è stato modificato l’art. 491 bis c.p.; e, infine, è stato adeguato l’art. 493 bis c.p. I nuovi artt. 490 e 491 c.p. prevedono due fattispecie autonome di reato, rispettivamente la soppressione, distruzione e occultamento (art. 490 c.p.) e la falsità oltre all’uso dell’atto falso da parte di chi non è concorso nella falsificazione (art. 491 c.p.) di testamenti olografi, cambiali o altri titoli di credito trasmissibili per girata o al portatore, anche in forma informatica. Dal punto di vista sanzionatorio, sono state riprese le stesse pene stabilite nelle vecchie formulazioni, variabili a seconda che il fatto sia stato commesso da un pubblico ufficiale o da un soggetto privato. È stata adeguata la norma sulla perseguibilità a querela (art. 493 bis c.p.) per i casi di cui agli artt. 490 e 491 c.p. relativi alla cambiale o altro titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore.

La novità più rilevante del decreto di cui si tratta è stata la previsione delle sanzioni pecuniarie civili. Si tratta di un’inedita figura sanzionatoria per il nostro ordinamento che per il carattere punitivo richiama in parte i c.d. punitive damages.

Il Capo II (artt. 3-13), infatti, prevede la tipizzazione degli illeciti che sono sottoposti a queste sanzioni pecuniarie civili e la conseguente disciplina sostanziale e processuale. Il legislatore delegato ha reintrodotto, quindi, le fattispecie abrogate sotto forma di illeciti civili, basandosi per la loro individuazione sulle condotte che integravano i reati abrogati.

L’art. 3 dispone al primo comma che la commissione dolosa dei fatti previsti dal successivo art. 4, obbliga, oltre che alle restituzione e al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, anche al pagamento di una sanzione pecuniaria civile. Il secondo comma, poi, prevede che il termine di prescrizione per l’obbligo del pagamento della sanzione pecuniaria civile è lo stesso di quello concernente il risarcimento del danno, ex art. 2947, co. 1 c.c., ossia cinque anni dal giorno in cui il fatto è commesso.

L’art. 4 contiene la tipizzazione degli illeciti che danno luogo alla sanzione pecuniaria civile. Questi illeciti sono distinti in due categorie in base ai limiti edittali. Infatti, per quanto riguarda le sanzioni, queste sono suddivise in due grandi gruppi in ordine di crescente gravità, desunta dalle pene originarie, rispettivamente da € 100 a € 8 mila, e da € 200 a € 12 mila. Nel primo gruppo rientrano gli illeciti civili che richiamano le condotte dell’ingiuria, del danneggiamento semplice e dell’appropriazione di cose smarrite, del tesoro o di cose avute per errore o caso fortuito. Nel secondo gruppo, invece, rientrano gli illeciti civili che richiamano i delitti di falso.

Con riguardo ai delitti di falso abrogati, ai sensi dell’art. 4, co. 4, lett. a), b), c), d) ed e), le condotte aventi a oggetto falsità in scritture private (nelle quali l’art. 4, co. 6 fa rientrare anche gli atti originali e le copie autentiche di essi, quando tengano conto degli originali mancanti), anche se compiute con documento informatico, rilevano come illeciti civili se commesse con dolo, fatta eccezione per le condotte aventi a oggetto documenti che erano equiparati agli effetti della pena agli atti pubblici. Per questi illeciti civili, è stato eliminato il riferimento al fine di arrecare a sé o ad altri un vantaggio, circoscrivendone la punibilità per le sole ipotesi effettivamente produttive di danno.

Per quanto attiene alla disciplina dei nuovi illeciti civili, il legislatore ha voluto, da un lato, conferire la competenza al giudice civile per l’irrogazione delle sanzioni, e, dall’altro lato, devolvere le somme derivanti dal pagamento di tali sanzioni in favore della Cassa delle ammende.

Inoltre, in base all’art. 5, per la determinazione dell’importo della sanzione, il giudice deve tenere conto della gravità della violazione, della reiterazione dell’illecito, dell’arricchimento del soggetto responsabile, dell’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della propria azione, della personalità e delle condizioni economiche dell’agente.

L’art. 6 disciplina autonomamente la reiterazione, individuando i presupposti e le condizioni necessarie affinché l’illecito possa ritenersi reiterato. Si ha reiterazione quando l’illecito è compiuto nei quattro anni successivi alla commissione, da parte dello stesso soggetto, di un’altra violazione della stessa indole che sia stata accertata con provvedimento esecutivo. La nozione di “violazione della stessa indole” richiama quanto stabilito dall’art. 8 bis, l. n. 689/1981, in tema di reiterazione della violazione amministrativa, ossia la sostanziale omogeneità o la comunanza dei caratteri fondamentali delle violazioni. I provvedimenti esecutivi dovranno essere iscritti in un apposito registro informatizzato per la cui disciplina l’art. 11 rinvia all’emanazione di un decreto ministeriale.

L’art. 7 prevede che nel caso in cui alla realizzazione di uno o più illeciti cooperino più individui, la sanzione pecuniaria civile è estesa a tutti i concorrenti.

Infine, gli artt. 8 e 9 contengono la disciplina processuale. Il competente giudice civile può irrogare d’ufficio la nuova sanzione pecuniaria civile solo nel caso in cui accolga la domanda di risarcimento, ed è a tal fine sufficiente il raggiungimento del livello probatorio occorrente in un processo civile ai fini della domanda di risarcimento del danno. Pertanto, il procedimento potrà avere corso solo su impulso di parte nelle forme dell’azione di risarcimento danni. La sanzione non potrà essere inflitta qualora l’atto introduttivo sia stato notificato nelle forme previste dall’art. 143 c.p.c. per la notifica a persona irreperibile, salvo che emerga con certezza che il convenuto era conoscenza del procedimento. Si prevede quale norma di chiusura l’applicazione del codice di procedura civile in quanto compatibile ai fini dell’applicazione della sanzione pecuniaria. L’art. 9 dispone la possibilità di pagamento rateale, il divieto di copertura assicurativa, e la non trasmissibilità agli eredi dell’obbligo di pagamento, in ragione del carattere personale della responsabilità. Infine, si rinvia all’emanazione di un successivo decreto ministeriale per quanto riguarda la disciplina dei modi e dei termini di pagamento, nonché delle forme di riscossione dell’importo dovuto. Anche se non espressamente previsto dalla legge delega, il legislatore delegato all’art. 10 ha previsto che i proventi delle sanzioni pecuniarie civili siano devoluti a favore della Cassa delle ammende.

Con riguardo alla disciplina intertemporale, il decreto ha operato una abolitio criminis ai sensi dell’art. 2, co. 2 c.p. Analizzando nello specifico la normativa, l’art. 12 distingue tra procedimenti in corso e procedimenti già conclusi.

Al primo comma prevede l’applicazione della sanzione pecuniaria civile per i fatti commessi prima dell’entrata in vigore dello stesso (6 febbraio 2016), per i quali non sia già intervenuta una pronuncia irrevocabile, in deroga alla regola generale dell’ art. 11 disp. prel. c.c. Pertanto, la disciplina opera retroattivamente, con il limite della sentenza o del decreto irrevocabili.

Per i procedimenti penali in corso, quindi, il giudice dovrà dichiarare che il fatto non è previsto dalla legge come reato, con un provvedimento che si distingue in base alle diverse fasi del procedimento. Se si è ancora in fase di indagini, il PM dovrà chiedere l’archiviazione perché il fatto non è previsto come reato; se, invece, l’azione penale è stata esercitata, si applicherà la regola generale dell’art. 129 c.p.p., per cui il giudice in ogni stato e grado del processo dovrà dichiarare d’ufficio con sentenza che il fatto non è previsto dalla legge come reato. Se il dibattimento è nella fase finale, sarà emanata sentenza di assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato ex art. 530, co. 1 c.p.p. Inoltre, il giudice adotterà i provvedimenti conseguenti (dissequestro ed eventuali sanzioni accessorie).

Invece, per i procedimenti già conclusi prima dell’entrata in vigore del decreto con sentenza di condanna o decreto irrevocabili, l’art. 12, co. 2 prevede, in linea con la regola generale dell’art. 2, co. 2 c.p., che il giudice dell’esecuzione, nell’osservanza dell’art. 667, co. 4 c.p.p., deve revocare la sentenza o il decreto, dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato, adottando i provvedimenti conseguenti, ferme le disposizioni concernenti gli interessi civili.

Tuttavia, fin dai primi commenti alla riforma, si è posto il problema, nei procedimenti conclusi con sentenza non definitiva, della possibilità per il giudice penale dell’impugnazione, contestualmente alla sentenza di proscioglimento, di provvedere sul risarcimento del danno richiesto dalla parte civile e, congiuntamente, sulle nuove sanzioni pecuniarie civili, in quanto non è prevista una analoga disposizione transitoria come quella dell’art. 9, co. 3, d.lgs. n. 8/2016.

Secondo l’interpretazione prevalente, il giudice dovrebbe limitarsi alle statuizioni penali, essendo poi onere della parte offesa promuovere l’eventuale azione davanti al giudice civile, competente per l’irrogazione delle sanzioni pecuniarie civili, in virtù anche di quanto stabilito dall’art. 578 c.p.p., tenendo conto che la riassunzione del procedimento dinanzi al giudice civile sarà possibile entro il termine di prescrizione quinquennale. Per questo orientamento, l’art. 578 c.p.p. è norma eccezionale non suscettibile di applicazione analogica ed è lo stesso legislatore che ha volontariamente previsto questa possibilità solo per i casi di cui al d.lgs. n. 8/2016 e non per il d.lgs. n. 7/2016, che invece espressamente riconosce la competenza del giudice civile per irrogare le nuove sanzioni pecuniarie civili.

Secondo altra interpretazione, invece, dovrà trovare applicazione il principio stabilito dall’art. 11 disp. prel. c.c. Per cui il giudice penale, nel momento in cui dichiara il proscioglimento, dovrà pronunciarsi comunque sugli effetti civili. Questo perché l’art. 2, co. 2 c.p. fa riferimento ai soli effetti penali, consentendo di dedurre il perdurare degli effetti civili a seguito di abolitio criminis. Trova così applicazione l’art. 11 disp. prel. c.c., in virtù del quale sarebbe salvo il diritto acquisito della parte civile a vedere esaminata la propria azione civile in sede penale. Inoltre, la disciplina del d.lgs. n. 8/2016 dovrebbe ritenersi a valenza generale e le fattispecie di cui al d.lgs. n. 7/2016 dovrebbero essere ricondotte a quelle di cui all’art. 578 c.p.p., con conseguente applicazione analogica di quest’ultimo. Infine, questa sarebbe l’unica interpretazione rispettosa del principio della ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost. e del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost.

È sorto, quindi, un contrasto giurisprudenziale all’interno della stessa Corte di Cassazione, a seguito del quale sono intervenute le Sezioni Unite.

Inizialmente, la questione era già stata rimessa alle Sezioni Unite, nel febbraio 2016, ma gli atti erano stati restituiti alla Sezione rimettente, perché il contrasto non era ancora in atto. A giugno 2016, formatosi il contrasto tra la Seconda e la Quinta Sezione, la questione è rimessa nuovamente alle Sezioni Unite, relativamente ai poteri del giudice dell’impugnazione in ordine agli effetti civili della condanna pronunciata per un reato successivamente abrogato.

Le Sezioni Unite, nel settembre 2016, hanno negato la possibilità per il giudice penale di pronunciarsi sulle statuizioni civili, condividendo l’orientamento prevalente. La decisione trova giustificazione, innanzitutto, nel dato letterale della riforma, poiché nella disciplina transitoria di cui all’art. 12, d.lgs. n. 7/2016 non viene fatta alcuna menzione ai poteri del giudice dell’impugnazione, e viene espressamente attribuita la competenza del giudice civile, come giudice competente a conoscere dell’azione di risarcimento danni. Analizzando parallelamente i due decreti, si ravvisa una precisa scelta del legislatore di non riconoscere alcun potere sul punto al giudice penale, in forza del principio “ubi noluit non dixit”. Questa differenza tra i decreti è molto probabilmente determinata dal fatto che il d.lgs. n. 7/2016 riguarda ipotesi delittuose che erano procedibili a querela, a differenza di quelle del d.lgs. n. 8/2016, procedibili d’ufficio, di conseguenza tutelavano beni giuridici differenti. Inoltre, la Corte ribadisce il carattere eccezionale dell’art. 578 c.p.p., nonché dell’art. 9, co. 3, d.lgs. n. 8/2016, con conseguente divieto di applicazione analogica. Infine, la Corte rigetta ogni dubbio di incostituzionalità della disciplina, non ravvisandosi alcuna violazione dei principi del giusto processo e di uguaglianza. Di conseguenza, il giudice penale dell’impugnazione quando dichiara che il fatto non è previsto dalla legge come reato, dovrà revocare anche i capi della sentenza concernenti gli interessi civili.

Nonostante, l’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite, una parte della dottrina solleva delle perplessità circa la scelta interpretativa della Corte di Cassazione, propendendo per l’orientamento opposto e paventando dei dubbi di incostituzionalità della normativa, in quanto si nega alla persona offesa il diritto di ottenere una statuizione sulle sue pretese risarcitorie, costringendola a iniziare un nuovo processo in sede civile.

Tanto premesso, occorre accennare, infine, al contrasto che sussiste circa la natura e la funzione di queste nuove sanzioni pecuniarie civili.

Nella relazione ministeriale al decreto viene richiamata la funzione general-preventiva e compensativa a vocazione pubblicistica della nuova sanzione pecuniaria. Inoltre, lo stesso art. 5, d.lgs. n. 7/2016 riferendosi ai criteri di commisurazione della sanzione sembra richiamare l’art. 133 c.p., e l’importo è devoluto alla Cassa delle Ammende, oltre a non essere trasmissibile agli eredi come ogni sanzione penale. Sembra, quindi, prevalere la tesi della natura sostanzialmente penale della sanzione, richiamando la figura dei punitive damages.

Si definiscono “punitive damages” quei danni punitivi in virtù dei quali il risarcimento del danno diventa una pena civile volta a punire il soggetto responsabile dell’illecito. Qui non si mira più a risarcire e reintegrare la persona lesa dal danno, ma si mira a punire il colpevole per dare un esempio anche per il futuro (da qui il concetto di “exemplary sentence”), riconoscendo in tal modo alla norma civile gli stessi effetti di rieducazione e orientamento dei comportamenti dei consociati tipici della norma penale. È una condanna al risarcimento del danno sproporzionata rispetto all’entità effettiva del danno subìto della parte lesa.

Nel nostro ordinamento, vi è un’apertura da parte del legislatore in favore della riconoscibilità dei danni punitivi, ammessi nella legislazione di alcuni Stati stranieri. In particolare, sono utilizzati come tecnica di tutela del consumatore (ad esempio, art. 158, l. n. 633/1941 sul diritto d’autore; art. 96 c.p.c., sull’abuso del processo; art. 614 bis c.p.c., sulle misure di coercizione indiretta; art. 26 c.p.a., sulle spese di giudizio; art. 114 c.p.a., sulle astraintes; art. 187 TUIF, sulle sanzioni predisposte dalla Consob).

Ciò nonostante, la nostra Corte di Cassazione, è sempre stata contraria al riconoscimento di sentenze civili straniere che facevano riferimento ai punitive damages, ritenendole contrarie al principio generale dell’ordine pubblico.

Sicuramente, la nuova figura di sanzione pecuniaria civile introdotta con il d.lgs. n. 7/2016 ha rialimentato il dibattito, configurando un ibrido che si colloca tra il civile e il penale.

In conclusione, questo intervento, giustificato da una finalità deflattiva del processo penale, ha inciso su condotte di minima gravità, la cui novità più rilevante è che il giudice civile può, anche d’ufficio, irrogare la nuova sanzione pecuniaria civile, senza necessità di un’ulteriore istruttoria. Per quanto attiene ai delitti di falso, le falsità in scritture private e di foglio firmato non bianco non hanno più rilevanza penale, salvo il testamento olografo, la cambiale e gli altri titoli di credito trasmissibili per girata o al portatore. Tanto premesso, a differenza di quanto affermato da parte della dottrina, l’interpretazione della Cassazione non priva la persona offesa del proprio diritto a un giusto processo, avendo la stessa la possibilità di ottenere in sede civile il risarcimento del danno. E molto probabilmente questa sentenza si inserisce in quel filone di pensiero per cui bisogna sempre di più separare le pretese punitive dello Stato dalle richieste risarcitorie delle parti private. È, tuttavia, innegabile che forse tale scelta legislativa necessitava di un’analisi più approfondita, soprattutto per quanto riguarda il caso della parte civile che ha già affrontato più di un grado di giudizio in sede penale, al cui proposito potrebbe essere sollevata in futuro questione di legittimità costituzionale.

Guarda anche

  • Reato di atti persecutori e omicidio aggravato.

  • L’incidenza dei sistemi di videosorveglianza nei reati contro il patrimonio

  • CONTINUAZIONE DEL REATO: LA SUA COMPATIBILITA’ CON IL GIUDICATO, LA RECIDIVA E I REGIMI PROCESSUALI CHE IMPLICANO UNO SCONTO DI PENA

  • Natura giuridica dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa