I rapporti tra il concorso di persone, il concorso di reati, ed il reato di autoriciclaggio
di Carmen OlivaS
I rapporti tra la disposizione di cui all’art 648ter1 c.p. e gli istituti generali del concorso di persone e di reati, richiede un’inversione dei termini della questione che parta, in primis, dall’analisi dei meccanismi di operatività dei due istituti, per poi verificarne la concreta applicabilità alla singola fattispecie delittuosa in commento.
L’istituto del concorso di persone nel reato si riferisce alle ipotesi in cui la commissione di un reato sia addebitabile a più soggetti. Il concorso è disciplinato dall’art. 110 c.p. che testualmente recita: “quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita”.
I requisiti strutturali del concorso sono: la pluralità di soggetti agenti; la realizzazione di un fatto illecito; la partecipazione di ciascun concorrente alla determinazione dell’evento; l’elemento soggettivo che non si limita alla coscienza e volontà del fatto criminoso, ma comprende anche la consapevolezza che il reato viene commesso con altre persone.
Affinché possa essere inquadrata la fattispecie del concorso, occorre la partecipazione di tutti i correi alla realizzazione del fatto illecito e il contributo causale di ciascuno deve estrinsecarsi in una condotta materiale esteriore.
Il concorso può essere materiale (il correo interviene personalmente nella serie di atti che danno vita all’elemento materiale del reato) o morale(il correo dà un impulso psicologico alla realizzazione di un reato che materialmente viene commesso da altre persone). Altra distinzione, poi, è quella tra concorso eventuale(quando il reato può indifferentemente essere commesso da un singolo soggetto o da una pluralità di persone) o necessario(quanto la realizzazione del reato richiede necessariamente una pluralità di persone es. la rissa, la corruzione ecc.).
A fronte del concorso di più persone nel reato, il codice prevede che a tutti i concorrenti venga applicata la pena prevista per il reato commesso e ciò a prescindere dal singolo apporto contributivo di ciascuno nella determinazione dell’illecito. Agli articoli 112 e 114 il codice penale si ammette, però, la possibilità per il Giudice di procedere a una graduazione delle pene a seconda del singolo apporto contributivo dei concorrenti alla determinazione del reato, mediante l’applicazione di circostanze attenuanti e aggravanti.
E’ quindi previsto un aumento di pena per i promotori e per gli organizzatori del reato, per quanti abbiano determinato a commettere il reato a un incapace (o minore degli anni 18) o a una persona sottoposta alla propria autorità. Una diminuzione di pena è invece prevista per i concorrenti che abbiano avuto una minima partecipazione al reato, ai minori degli anni 18 e agli infermi di mente.
Il concorso di più soggetti nell’ambito di una stessa fattispecie delittuosa non deve essere confusa con la diversa ipotesi in cui sia un solo soggetto a commettere più reati: ossia l’ipotesi in cui il concorso ricorra tra più reati e non tra più persone, essendo uno solo il soggetto agente.
Si parla di concorso di reati, infatti, quando un soggetto commette più reati. Tale concorso può essere materiale o formale. Ricorre il concorso materiale quando un soggetto, con più azioni, commette più reati: in tal caso si applicano tante pene quanti sono i reati commessi (anche se poi il legislatore ha previsto alcuni temperamenti). Ricorre il concorso formale, invece, quando un soggetto con una sola azione commette più reati: in tal caso, si applica la pena prevista per il reato più grave aumentata fino al triplo.
Il motivo per cui il legislatore ha preferito la disciplina meno grave del cumulo giuridico a quella del cumulo materiale risiede principalmente nella considerazione che chi ha agito una sola volta, seppur violando più disposizioni, è meno pericoloso di chi, volontariamente, ha agito più volte, superando ogni volta la controspinta inibitoria alla commissione di un delitto.
Entrambi i tipi di concorso, poi, possono essere omogenei o eterogenei: il concorso omogeneo si ha quando il soggetto viola più volte la stessa norma; il concorso eterogeneo, invece, si ha quando le violazioni concernono norme diverse.
La distinzione tra concorso materiale o formale, dunque, riposa sulla presenza di un’azione unica o di una pluralità di azioni.
Stabilire se in un dato caso ricorra pluralità o unità di azione sembra facile in teoria, ma in pratica presenta notevoli difficoltà. Ciò in quanto una azione ( rectius una condotta) può essere multipla ( cioè scomponibile in più condotte) dal punto di vista naturalistico, ma unica dal punto di vista giuridico. Dunque, occorre vagliare l’unicità o la pluralità della condotta dal punto di vista giuridico per poter applicare la disciplina sul concorso di reati. A tal fine la dottrina ha elaborato alcune teorie, ma nessuna di queste riesce a spiegare completamente il fenomeno, che è tuttora lasciato alla stretta valutazione dell’interprete.
Secondo una teoria, c.d. “finalistica”, affinchè l’azione sia giuridicamente unica, occorrono due requisiti principali: l’azione deve essere contestuale e deve essere diretta ad un fine unico. Occorre, poi, che il diritto consideri unitariamente l’azione in questione.
Tale teoria consente di considerare unico, dal punto di vista giuridico, anche il fatto composto in realtà da più azioni: essa spiega infatti, anche, il reato continuato che ricorre quando un soggetto viola una o più disposizioni di legge, con azioni diverse, per realizzare il medesimo disegno criminoso ( art 81, co 2 c.p.)
Contro tale teoria finalistica però si è mosso un duplice rilievo: innanzitutto, secondo tale teoria, non si potrebbe ravvisare unicità di scopo, e quindi di condotta, tra un reato colposo e uno doloso; in secondo luogo, non sarebbe possibile ravvisare il concorso tutte le volte in cui il soggetto abbia preso di mira più scopi; infine, tale teoria non terrebbe conto del fatto che lo stesso diritto ammette la pluralità di reati nonostante l’unicità dello scopo ( art 61 n.2 c.p.)o, al contrario, l’unità del reato in presenza di condotte plurime.
A questa teoria si è perciò contrapposta la teoria dell’ “evento” che ravvisa l’unità o la pluralità delle azioni quando l’azione è, rispettivamente, unica o plurima dal punto di vista giuridico, cioè dal punto di vista dell’evento giuridico preso in considerazione dalla norma. Sarebbe cioè il numero degli eventi a determinare il numero delle azioni.
Infine, secondo un’ultima teoria, c.d. “normativa”, l’unità o pluralità dei reati dipenderebbe dalla considerazione che di essi ha la norma penale. Occorrerebbe cioè vedere se la norma penale considera questi reati come unici o plurimi. Decisivo, quindi, circa la pluralità o meno di reati, è il fatto in quanto qualificato dalla norma.
Tutte le suesposte teorie non riescono a fornire un criterio certo ed esaustivo ai fini dell’individuazione della condotta unica, pertanto essa è, di fatto, valutata dall’interprete.
Premessi, in breve, i tratti essenziali del concorso di persone e del concorso di reati ci si può soffermare sulla loro applicabilità al reato di autoriciclaggio di cui all’art 648ter 1 c.p., introdotto dalla legge 186/2014, recante “ le Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero nonché per il potenziamento della lotta all’evasione fiscale. Disposizioni in materia di auto riciclaggio.”
Ai sensi del predetto articolo, commette il delitto di autoriciclaggio “chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”.
Si tratta di una disposizione che configura una nuova fattispecie di reato, poiché una simile incriminazione non era presente all’interno del previgente codice penale.
La ratio della norma è quella di evitare inquinamenti dell’economia legale e, quindi, di sanzionare l’autore del delitto presupposto che autoricicli i proventi del delitto precedentemente commesso.
Si tratta, dunque, di reato plurioffensivo: il bene giuridico protetto è l’ordine pubblico economico e finanziario (in relazione alla libera concorrenza), nonché l’amministrazione della giustizia.
Dal punto di vista soggettivo, l’autoriciclaggio è un reato proprio, poichè il soggetto agente è necessariamente l’autore del reato presupposto (da cui provengono i proventi) o il concorrente nello stesso.
L’elemento soggettivo è il dolo generico consistente nella coscienza e volontà di impiegare, sostituire o trasferire in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di un delitto non colposo anteriormente commesso.
Per quanto riguarda l’elemento oggettivo, la norma sull’autoriciclaggio punisce soltanto quelle attività di “impiego”, “sostituzione” o “trasferimento” di beni od altre utilità commesse dallo stesso autore del delitto presupposto.
La locuzione “impiego” si riferisce a qualsiasi forma di re-immissione del provento illecito nel circuito economico legale; la “sostituzione” consiste in tutte le attività dirette alla “ripulitura” del provento criminoso, separandolo da ogni possibile collegamento con il reato che lo ha prodotto; il “trasferimento” si riferisce a tutte le attività che implicano uno spostamento di valori di provenienza illecita da un soggetto a un altro o da un luogo all’altro.
Tali condotte devono essere connotate da due fattori qualificanti: devono riferirsi ad attività economiche/finanziarie/imprenditoriali/speculative e devono essere tali da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
Per attività economica può farsi riferimento alle norme di matrice civilistica (art. 2082 c.c.), mentre per attività finanziaria è utile rapportarsi all’art. 106 del D.lgs. n. 385/1993 (Testo Unico Bancario), disposizioni queste che, sebbene non risolvano del tutto le incertezze, certamente denotano una indubbia valenza orientativa.
Con riguardo alla destinazione dei proventi illeciti, va precisato che, ai sensi del 4°comma, art. 648 ter 1 c.p., non sono punite le condotte di mero utilizzo o godimento personale. Pertanto, se l’autore (o concorrente) del reato presupposto si limita a un utilizzo/godimento personale del provento illecito sarà punito per il reato presupposto, ma non anche per l’autoriciclaggio, dato che l’utilizzo personale è il normale sbocco del reato presupposto e perciò privo di un autonomo disvalore; se,invece,utilizza i proventi illeciti in attività economiche/finanziarie/imprenditoriali/speculative,allora sarà punito non solo per il reato presupposto, ma anche per l’autoriciclaggio dato che il re-impiego del provento in attività economiche esprime un disvalore autonomo rispetto a quello espresso dal reato presupposto.
La clausola di non punibilità delle condotte con cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale è valida solo per l’autoriciclaggio e non per i reati affini.
Occorre, poi, che queste attività abbiano la caratteristica specifica di essere “idonee” ad ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa dei suddetti beni o altre utilità. Secondo i giudici, il legislatore ha utilizzato l’avverbio “concretamente” volendo proprio delineare una condotta dotata di particolare capacità dissimulatoria, di conseguenza non sarebbe rilevante una condotta che solamente rallentasse le operazioni di identificazione della provenienza illecita dei beni.
L’oggetto materiale di tale condotta è rappresentato dal denaro, beni o altre utilità. il presupposto poi dell’autoriciclaggio è che tale denaro, beni o altre utilità provengano dalla commissione di un delitto non colposo (c.d. reato presupposto). Il reato presupposto può essere qualsiasi delitto non colposo che genera proventi (così come nella fattispecie del riciclaggio ex art. 648 bis c.p.). Lo stesso autoriciclaggio può divenire il presupposto di un altro autoricilaggio.
L’ampiezza dei reati presuppostoè stata oggetto di critica in dottrina, la quale ha osservato che la dimensione onnicomprensiva dell’autoriciclaggio, oltre a non essere del tutto coerente con il principio di tassatività in materia penale, può portare a conseguenze paradossali in termini di pena, posto che anche i reati di scarsa gravità produttivi di proventi (esempio: furto non aggravato, appropriazione indebita) possono costituire la base dell’autoriciclaggio (considerazione, tra l’altro, avvalorata dall’ult. co art. 648 ter 1 c.p. da cui si deriva che la non punibilità del reato presupposto, non esclude la punibilità dell’autoriciclaggio). Alla luce di tali osservazioni critiche, parte della dottrina ha rilevato che, a salvaguardia della tassatività della fattispecie, sarebbe stato opportuno selezionare a livello legislativo i reati presupposto dell’autoriciclaggio.
La prima importante differenza tra la nuova fattispecie di reato e quella del riciclaggio di cui all’art. 648bis c.p. è legata all’autore: infatti, mentre può commettere riciclaggio solo chi non ha commesso o concorso a commettere il delitto presupposto da cui derivano i proventi del reato, nell’autoriciclaggio è esattamente all’opposto.
Inoltre, la condotta nel riciclaggio, consiste nel sostituire o trasferire i proventi del reato o compiere genericamente altre operazioni (con una formula ampia), mentre nell’autoriciclaggio essa può consistere nella sostituzione, nel trasferimento o nell’impiego (l’autoriciclaggio somma la condotta del riciclaggio e la condotta del successivo reato di impiego).
Le modalitàdella condotte si assomigliano, anche se nell’autoriciclaggio il legislatore ha aggiunto l’avverbio “concretamente” che dovrebbe far scattare il reato solo nel caso in cui gli operatori sul campo, pur compiendo con la dovuta diligenza le verifiche del caso, non siano in grado di ricostruire l’identificazione della provenienza delittuosa dei proventi, o questa sia particolarmente difficoltosa. Questa scelta dovrebbe stare a significare che il legislatore ha voluto sanzionare le sole condotte dotate di una particolare capacità ingannatoria. Pertanto, l’impiego, la sostituzione e il trasferimento trasparenti e tracciabili sicuramente non costituiscono autoriciclaggio.
La clausola di riservacontenuta nell’art. 648-ter c.p. “fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 e 648-bis” comporta che del delitto di reimpiego non possa rispondere il soggetto che abbia concorso nel commettere il reato presupposto da cui derivino i proventi illeciti o che abbia commesso, in relazione ai medesimi beni, ricettazione e riciclaggio: in questo senso la fattispecie si presenta come una sorta di completamento della previsione dell’art. 648-bis..
Altra differenza tra il riciclaggio e l’autoricilaggio è che, mentre nel delitto di cui all’art. 648-ter la condotta è solamente quella di impiego, nell’autoriciclaggio può essere indifferentemente l’impiego, la sostituzione o il trasferimento.
Infine, quanto alla destinazione dei proventi illeciti, essa nel delitto di impiego è circoscritta alle attività economiche o finanziarie (che peraltro possono essere indifferentemente lecite o illecite), mentre nell’autoriciclaggio si parla anche di attività imprenditoriali o speculative. Secondo alcuni “l’attività economica” è un genus che ricomprende in sé le species del carattere finanziario, imprenditoriale e speculativo.
Chiarita la portata della disposizione di nuovo conio occorre verificare le fattispecie in cui nel reato concorrano più persone, facendo particolare riferimento alla condotta dell’extraneus: il caso più frequente è quello in cui l’autore del delitto presupposto (intraneus), nel rimpiego dei proventi illeciti, chieda ausilio ad un altro soggetto (extranesus) che tuttavia non ha partecipato alla commissione del delitto presupposto.
In realtà, la problematica si innesta nel più complesso dogma della configurabilità del concorso di persone in un reato proprio. Occorre perciò capire se la condotta dell’extraneus debba essere inquadrata nella fattispecie di cui all’art 648bis c.p. (riciclaggio) ovvero, in virtù dell’applicazione alternativa degli artt.110 e 117 c.p., in quella di cui all’art 648ter 1 c.p. ( autoriciclaggio): la risposta è di notevole rilevanza se si considera che la pena prevista per il secondo dei reati è decisamente più mite.
Sul punto, si sono confrontati quattro diverse interpretazioni dottrinarie che ruotano attorno alla natura stessa del reato in questione.
Secondo un primo filone, la condotta dell’extraneus si qualificherebbe come riciclaggio semplice e dovrebbe essere, perciò, punita ai sensi dell’articolo 648 bis c.p.. Invero, secondo tale orientamento, l’autoriciclaggio di cui all’art 648 ter 1 c.p. si distinguerebbe dalla fattispecie di cui all’art 648bis in virtù della sussistenza di un elemento specializzante, da rinvenirsi nella qualificazione soggettiva dell’autore del reato presupposto. In sostanza, il rapporto tra le due fattispecie potrebbe essere rappresentato graficamente attraverso due cerchi concentrici di cui uno – l’autoriciclaggio – rappresenterebbe il nucleo centrale speciale nel quale rientrerebbe il solo comportamento dell’intraneus.
Alla stessa conclusione, seppur sulla base di un iter argomentativo diverso, perviene un secondo orientamento che configura l’autoriciclaggio come un reato proprio di “mano propria” ( come ad esempio l’incesto), pertanto configurabile solo in capo all’autore del reato presupposto. In sostanza, il disvalore penale del fatto si esaurisce proprio nella peculiare posizione rivestita dall’intraneus e non è estendibile ad altri soggetti, palesandosi altrimenti una violazione delle scelte legislative e, dunque ,del principio di legalità nei suoi diversi corollari.
Ne consegue che, nel caso in cui l’intraneus si limiti a mettere a disposizione il provento nelle mani del terzo affinchè quest’ultimo ne faccia perdere le tracce, il secondo sarà punibile ai sensi dell’articolo 648 bis, mentre il primo andrà esente da responsabilità in virtù della clausola di esonero prevista dalla fattispecie di riciclaggio (che recita “Fuori dai casi di concorso nel reato…”)
In senso contrario, un’altra parte della dottrina ammette la configurabilità del concorso di persone nell’autoriciclaggio ai sensi del combinato disposto degli artt.110 e 648ter1 c.p., facendo leva sulla portata applicativa generale delle norme sul concorso di persone nel reato.
Infine, un ultimo orientamento dottrinale sposta la questione dal piano del concorso di persone a quello del concorso apparente di norme: secondo tale impostazione dogmatica, essendo le due fattispecie in rapporto di sussidiarietà, la fattispecie più grave, ossia il riciclaggio, assorbirebbe l’intero disvalore soggettivo e oggettivo del fatto; pertanto per la condotta dell’extraneus è tale fattispecie che andrebbe applicata.
A fronte di siffatte ondivaghe ricostruzioni dogmatiche, la Suprema Corte è recentemente intervenuta nel tentativo di fornire un’interpretazione sistematica e teleologica della norma, partendo in primis dalla ratio dell’intervento legislativo che è quella, come già affermato, di colmare un vuoto normativo punendo le condotte( prima impunite) di coloro che provvedono, in piena autonomia, a far perdere le tracce dei proventi conseguiti attraverso il reato presupposto. In questo senso, è evidente come la disposizione sia riferita esclusivamente all’intraneus, esulando, invece, da detto portato normativo l’extraneus cui risulta applicabile la fattispecie criminosa di cui all’art 648bis c.p.. Dunque, nel caso di una realizzazione da parte di più soggetti di una fattispecie a soggettività ristretta, le condotte concorrenti ben possono diversificarsi, diversificandosi così anche i titoli di reato: pertanto, a fronte di tali condotte il reato di autoriciclaggio è ascrivibile al solo intraneus, mentre quello di riciclaggio all’extraneus.
Tale approdo sembra quello maggiormente rispettoso della portata precettiva dell’art 27 Cost sul giudizio di colpevolezza, per cui se, da un lato, il trattamento meno grave a livello sanzionatorio previsto dall’articolo 648 ter.1 si giustifica per la posizione peculiare dell’intraneus, responsabile sia del reato presupposto che di quello di autoriciclaggio, dall’altro, non vi sarebbe giustificazione perché possa trarne beneficio anche l’extraneus, la cui posizione non può mutare a seguito della novella del 2014, ma deve essere ricondotta comunque alla fattispecie di cui all’articolo 648 bis.
In sintesi, alla luce dell’interpretazione fornita dalla Suprema Corte, ciò che cambia rispetto al passato è il solo fatto che, se prima l’intraneus autore di comportamenti riconducibili al reato di riciclaggio non era punibile, ora invece lo sarà.
Resta da analizzare, infine, la configurabilità di un concorso tra la fattispecie di autoriciclaggio e le altre fattispecie delittuose previste dal codice penale che possono integrare il reato presupposto.
Orbene,come già affermato, è pacifico che l’intraneus sia tenuto a rispondere sia del reato di autoriciclaggio, sia del reato presupposto. Talvolta, può anche capitare che tali reati vengano giudicati e sanzionati autonomamente, se commessi in un arco spazio-temporale eccessivamente ampio.
Qualora, invece, le due fattispecie si innestino nel medesimo arco spazio-temporale opera la disciplina prevista per il concorso di reati, che prevede il cumulo materiale delle pene, salvo i temperamenti previsti dalla legge.
Tra la fattispecie de quo e la fattispecie presupposta, poi, può anche sussistere un vincolo di continuazione, se i reati vengono eseguiti in virtù del medesimo disegno criminoso. Pertanto, qualora si riesca a dimostrare che l’autore, già dalla commissione del reato presupposto, abbia ideato e programmato la successiva attività di illecito impiego dei proventi delittuosi, può operare, ai sensi dell’art 81, comma 2 c.p, il cumulo giuridico che prevede venga comminata la pena prevista per il reato più grave aumentata sino al triplo.
Se, invece, il reato presupposto è un reato associativo ai sensi dell’art 416bis c.p., il concorso non è configurabile.
Secondo la giurisprudenza, infatti, per il principio di specialità è escluso il concorso tra il delitto di autoriciclaggio e quello di associazione di tipo mafioso ex art. 416-bis aggravato dalla circostanza prevista dal comma 6 del medesimo articolo, il quale recita: “Se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti, le pene stabilite nei commi precedenti sono aumentate da un terzo alla metà”.
Allo stesso modo, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno escluso il concorso tra riciclaggio (art 648bis c.p.) o illecito reimpiego (art 648ter c.p.) con il reato di associazione mafiosa quando la contestazione di riciclaggio o reimpiego riguardi denaro, beni o utilità provenienti proprio dal delitto di associazione mafiosa, in virtù della circostanza che lo stesso delitto di associazione mafiosa è idoneo, già di per sé, a produrre proventi illeciti.