Il principio di tassatività nella disciplina relativa agli stupefacenti

Il principio di tassatività nella disciplina relativa agli stupefacenti

Svolgimento a cura di Paola Montone

Il principio di tassatività rappresenta un corollario del principio di legalità, al pari dei principi di riserva di legge, di irretroattività della legge penale sfavorevole e del divieto di analogia. Tutti questi principi concorrono ad affermare la centralità che nel nostro ordinamento riveste la legge, sia in termini di fonte di produzione normativa che, per i fini che qui interessano, di tipizzazione della fattispecie e di conseguente descrizione della fattispecie penale. Secondo una parte della dottrina, infatti, tassatività equivale a sufficiente determinatezza della norma, il cui rispetto da parte del legislatore garantisce il comune cittadino dagli arbitri del potere giudiziario e dall’eventuale ricorso all’analogia, che pone problemi di compatibilità anche col principio di certezza del diritto.

Il principio di tassatività, essendo un corollario di quello di legalità, trova copertura costituzionale nel comma secondo dell’articolo 25 della Costituzione, nonostante siffatto principio non trovi nel suddetto articolo un riconoscimento espresso.

Eppure, è innegabile l’immanenza del principio di tassatività nel nostro ordinamento, anche in considerazione dello stretto collegamento che esso presenta con altri principi basilari vigenti in materia penale. Il riferimento è, in primis, ai principi di materialità ed offensività, in quanto solo attraverso il ricorso ad una tecnica di formulazione della norma rispondente al principio di tassatività è possibile operare non soltanto la selezione delle condotte ritenute meritevoli di pena da parte del legislatore, ma soprattutto selezionare quelle condotte realmente offensive del bene giuridico che il codice penale ha ritenuto necessario proteggere.

Il principio di tassatività, poi, si correla a quello di colpevolezza ed alla funzione rieducativa della pena, ex articolo 27, comma 3 Cost., considerato che soltanto la chiarezza del testo normativo consente al cittadino di comprendere il significato della norma, di prevedere le conseguenze della propria condotta e di non considerare ingiusta la pena inflittagli per la violazione del dettato normativo. Viceversa, l’oscurità del testo legislativo, avallato da contrasti giurisprudenziali circa l’interpretazione dello stesso contenuto dispositivo, influiscono su quella che la giurisprudenza della Corte E.d.u. chiama significativamente accessibilità della legge e prevedibilità delle conseguenze penali, quali estrinsecazioni sostanziali del principio di legalità. In realtà è stata già la stessa giurisprudenza della Corte Costituzionale ad evidenziare, con la significativa sentenza numero 364 del 1988, come alla base di ogni addebito in materia penale vi deve essere la piena conoscenza delle legge, di guisa che a fronte dell’oscurità del testo normativo ben si potrà ritenere inevitabile una ignoranza della legge stessa, escludendo di conseguenza il profilo di colpevolezza, in quanto verrebbe a mancare quel necessario nesso di riferibilità pischica tra il soggetto attivo del reato e la condotta violativa del precetto penale.

Ecco, allora, che un ruolo decisivo svolge il rispetto del principio di tassatività, visto che esso concorre ad una piena intelligibilità del testo normativo e ad una corretta autodeterminazione del soggetto agente circa la scelta di delinquere o meno. Inoltre, gli effetti conseguenti al rispetto del principio di tassatività possono afferire anche alla sfera processuale, nel senso che una violazione del principio in esame può comportare una violazione del diritto di difesa dell’imputato ed in particolare del principio della ragionevole durata del processo, ex articolo 111 Cost. e, a livello di fonte sovranazionale, ex articolo 6 C.e.d.u.. Si consideri, infatti, che l’indeterminatezza del contenuto dispositivo crea incertezze e problematiche nella scelta della strategia processuale da seguire, oltre che la necessità di attendere la pronuncia della Corte Costituzionale, previa remissione della questione da parte del giudice a quo, laddove il deficit di tassatività non possa essere superato per via ermeneutica.

Così delineato il fondamento del principio di tassatività, importa evidenziare in premessa come mentre una parte della dottrina utilizza indifferentemente i termini tassatività e determinatezza, una differente ricostruzione dottrinale procede a distinguere i due concetti e ve ne aggiunge anche un terzo, quello di precisione.

Nello specifico, per precisione deve alludersi più propriamente alla tecnica di formulazione della norma da parte del legislatore in termini di chiarezza e di intelligibilità intrinseca della terminologia utilizzata, mentre la determinatezza afferisce alla possibilità di operare una verifica empirica della fattispecie. Questa distinzione può essere agevolmente colta se si fa riferimento a due importanti pronunce della Corte Costituzionale, quella avente ad oggetto la fattispecie di cui all’articolo 708 c.p. e la pronuncia sul plagio.

La prima delle sentenze citate ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del reato di possesso ingiustificato di valori, argomentando, tra l’altro, proprio dalla violazione del parametro della precisione terminologica. Infatti, quando il legislatore collega la sanzione penale alla circostanza per cui il soggetto viene colto in possesso “di altre cose” per di più “non confacenti al suo stato” appare chiaro come la vaghezza descrittiva della fattispecie non può essere superata nemmeno con un sforzo ermeneutico. Il profilo della indeterminatezza, invece, è stato messo in evidenza dalla Corte Costituzionale, che, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale del delitto di plagio ex articolo 603 c.p., ha evidenziato come l’elemento costitutivo della fattispecie, rappresentato da un evento di tipo psichico e descritto dal legislatore in termini di riduzione in un “totale stato di soggezione” trova difficilmente un riscontro materiale. Ecco, allora, che la determinatezza della fattispecie sottintende la possibilità che la stessa possa verificarsi in concreto e di conseguenza essere oggetto di un accertamento processuale.

Così intesa la distinzione tra precisione e determinatezza, col termine tassatività si deve più correttamente fare riferimento a quella che è la proiezione esterna della norma, ossia al momento della sussunzione della fattispecie concreta in quella espressamente tipizzata in astratto, di guisa che al giudice deve essere precluso il ricorso al procedimento analogico. Orbene, la valorizzazione del principio di tassatività, quale criterio ermeneutico alla stregua del quale valutare la compatibilità della legge penale con i principi ed i valori costituzionali costituisce un risultato raggiunto dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale in tempi relativamente recenti.

Si consideri, infatti, che in una prima fase i Giudici delle Leggi hanno adottato un atteggiamento di chiusura o di self-restraint, nel senso che si sono limitati a constatare la tecnica di formulazione della fattispecie adottata dal legislatore, senza entrare nel merito della compatibilità della normativa penale col principio di tassatività.

In un secondo momento, la presa di coscienza del fondamento costituzionale del principio di tassatività nel più ampio principio di legalità, veicolato dall’articolo 25 della Costituzione, ha portato i Giudici della Corte Costituzionale a valorizzare il diritto vivente, ossia quell’attività ermeneutica posta in essere dai giudici di legittimità in relazione al singolo caso specifico, che si traduce nell’elaborazione di un orientamento giurisprudenziale consolidato. In una terza fase, poi, la Corte Costituzionale ha proceduto ad un’autonoma valorizzazione del principio di tassatività, attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata delle fattispecie di legge sottoposte al suo vaglio e giungendo a dichiarare l’illegittimità costituzionale della norma per violazione del principio in esame, laddove il deficit di tassatività fosse tale da comportare un’indeterminatezza intollerabile, proprio in considerazione dei principi vigenti in materia penale aventi rilievo costituzionale.

Orbene, appare chiaro come la verifica della compatibilità col principio di tassatività della legge penale passa attraverso la disamina della tecnica di formulazione della fattispecie. In merito a ciò, gli elementi rigidi della fattispecie non pongono alcun problema di interferenza col principio di sufficiente determinatezza, in quanto il giudice, in tal caso, compie un’operazione che si potrebbe definire di tipo automatico, verificando, ad esempio, se sussiste il numero necessario previsto dalla legge per l’applicazione di un aggravante (come accade ex articolo 625, n.5) ovvero se vi è un vincolo matrimoniale, quale presupposto rilevante ai fini del reato di bigamia ex articolo 556 c.p.. Anche gli elementi elastici superano il test di ragionevolezza insito nella verifica del rispetto del principio di tassatività; in tal senso, il riferimento a concetti quali l’onore, la reputazione o l’osceno presenta un certo grado di elasticità, che appare necessario a fronte dell’esigenza di completezza della norma.

Una legislazione penale che giungesse a definire aprioristicamente tutti i concetti rilevanti nell’ordinamento penale rischierebbe non solo di non essere completa, ma sarebbe destinata ad un sicuro deficit di effettività, considerato l’inevitabile progresso tecnico-scientifico e l’evoluzione di tipo sociologico che determina un mutamento anche della scala dei valori sociali.

Ed allora, il contrasto col principio di tassatività si registra in relazione a quelli che sono gli elementi vaghi o indeterminati della fattispecie, nella cui categoria rientra per antonomasia il concetto di cose o il ricorso all’espressione “qualunque altro”, come accade con riferimento al reato di cui al 434, nella parte in cui punisce anche “altri disastri dolosi”, dando vita a quella fattispecie che non a caso è definita disastro innominato.

In realtà, per gli elementi vaghi o indeterminati non può aprioristicamente inferirsi il contrasto con il principio di tassatività, dovendosi piuttosto valutare in concreto fino a che punto il nostro ordinamento, alla stregua del complesso dei principi che lo informano, può tollerare una vaghezza terminologica. Al fine di verificare la compatibilità o meno col principio in esame, importa seguire il dictum della Corte Cosituzionale e procedere preliminarmente ad un’interpretazione costituzionalmente orientata della fattispecie, che passa attraverso la disamina della ratio puniendi perseguita dal legislatore, un’interpretazione sistematica ed integrata, ricercando anche i profili di connessione tra le parole nonché il significato generalmente ascritto ad un determinato termine sempre all’interno del sistema penale.

Se all’esito di siffatta attività ermeneutica non risulta ancora possibile individuare con sufficiente precisione il significato attribuibile ad un elemento della fattispecie, allora si tratta di un’indeterminatezza irragionevole e contradditoria, in quanto un deficit di tassatività non può essere tollerato da un ordinamento che pone alla sua base principi tra i quali emergono quello di legalità, di materialità, offensività, di presunzione di non colpevolezza e che soprattutto attribuisce alla pena una funzione di rieducazione del condannato. Un esempio di interpretazione costituzionalmente è rappresentato proprio dal disastro innominato, laddove la Corte Costituzionale ha superato, in via esegetica, quell’apparente deficit di sufficiente determinatezza richiamandosi alle tipologie di disastro tipizzate dal legislatore e richiedendo per quello innominato un’omogeneità rispetto ai disastri “nominati”, sia per quanto concerne il profilo dimensionale (dovendosi trattare di un macro-evento di proporzioni straordinarie) che in termini di offensività (ossia di messa in pericolo in concreto della pubblica incolumità di un numero indeterminato di persone, al pari di quanto è richiesto per i delitti di cui al titolo VI).

Così sommariamente ricostruito il rilievo che il principio di tassatività riveste nel nostro ordinamento ai fini della verifica della legittimità costituzionale della normativa penale, importa soffermarsi sulla disciplina relativa agli stupefacenti, per verificare se la stessa è compatibile col principio in esame. Preliminarmente, occorre evidenziare come la normativa contenuta nel d.P.R. 309/1990, con particolare riferimento a quella contenuta negli articoli 72 e seguenti, è stata oggetto di numerosi interventi legislativi.

Si pensi all’adozione del D.P.R 171/1993 che, attuando il referendum abrogativo del medesimo anno, ha sostanzialmente espunto il criterio ponderale puro ai fini della distinzione tra l’illecito penale e quello amministrativo, sostituendolo col criterio finalistico dell’uso della sostanza, fino a giungere alla recente declaratoria di incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi (che aveva introdotto l’equiparazione tra droghe pesanti e leggere) e l’adozione della legge 79 del 2014, con cui il legislatore ha risolto le problematiche interpretative conseguenti alla suddetta pronuncia di incostituzionalità.

In verità, la disciplina degli stupefacenti è stata oggetto di molte pronunce, sia da parte del Giudice delle Leggi che della giurisprudenza di legittimità con precipuo riferimento all’asserita violazione del canone di offensività in relazione, ad esempio, alla condotta di coltivazione di piante stupefacenti. In particolare, per quanto concerne il principio di tassatività, oggetto della presente disamina, campo elettivo di applicazione del principio è stata l’esatta individuazione del significato da attribuire al concetto di ingente quantità di sostanza stupefacente, che ai sensi del comma 2 dell’articolo 80, costituisce una circostanza aggravante specifica, per di più ad effetto speciale, in quanto comporta un aumento della pena dalla metà a due terzi. Un analogo problema interpretativo non si registra per l’attenuante della lieve entità del fatto, che si configura ex articolo 73, comma 5, anche in considerazione della modesta quantità delle sostanze, in quanto in questa ipotesi la ratio ispiratrice è quella del favor rei, che accomuna, tra l’altro, anche l’espressa previsione di attenuanti generiche nella parte generale del codice penale.

Dunque, poiché dal riconoscimento dell’esistenza di una circostanza aggravante ne deriva un incremento della pena e dunque un trattamento sanzionatorio più sfavorevole rispetto alla pena base, non può tollerarsi alcuna indeterminatezza che non sia superabile attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata della fattispecie.

Questa esegesi, volta a recuperare in concreto il profilo di sufficiente determinatezza della circostanza dell’ingente quantità di sostanza stupefacente, è stata operata dalla giurisprudenza di legittimità e dalla Corte di Cassazione penale a Sezioni Unite, che si è pronunciata più di una volta ai fini della risoluzione della problematica de qua.

In merito, si possono ricostruire due tesi che hanno tentato di circoscrivere il concetto di ingente quantità. Secondo un primo orientamento, occorre tenere in considerazione il bene giuridico protetto dalla normativa sugli stupefacenti, volta a tutelare in primo luogo la salute pubblica, soprattutto quella delle giovani generazioni, evidentemente compromessa dall’utilizzo di sostanze stupefacenti. Ed allora, proprio partendo da un’interpretazione teleologicamente orientata della disciplina legislativa, la Corte di Cassazione è giunta a valorizzare il criterio della rilevanza del mercato. Con tale espressione si intende alludere alla circostanza per cui, per valutare se un quantitativo di droga è ingente o meno, bisogna avere come punto di riferimento quella che in gergo viene chiamata piazza di spaccio, ossia il luogo in cui la droga è destinata ad essere venduta. Il quantitativo sarà ingente per quel mercato cui è destinata, in considerazione del numero delle dosi ricavabili e dunque della concreta compromissione del bene giuridico tutelato, mettendo in pericolo la vita di tanti tossicodipendenti.

Questo orientamento, che ha il pregio di attribuire preponderante importanza alle circostanze concrete di ogni singolo caso, presenta, però, plurimi aspetti critici. Si consideri, infatti, che ai fini della considerazione di un mercato come “rilevante”, ossia in termini di un mercato in cui vi è un significativo traffico di droga, l’interprete si avvarrà dei dati statici relativi al materiale di droga sequestrato in quella particolare zona e quindi ad un dato che non è di per sé attendibile, in quanto non tiene conto di quell’inevitabile quantitativo di droga che può sfuggire alle operazioni di controllo e sequestro delle forze pubbliche.

Inoltre, il criterio della rilevanza del mercato non è pienamente compatibile col principio di tassatività. Se, infatti, come evidenziato in premessa, il pieno rispetto del principio in esame richiede che il contenuto dispositivo della norma o il significato che ad esso il diritto vivente attribuisce debba essere intelligibile in sé, accessibile e chiaramente percepibile, allo scopo che il diritto penale svolga a pieno la sua massima funzione (che in ultimo può ravvisarsi in quella funzione general-preventiva volta a disincentivare il comune cittadino dalla commissione di un fatto di reato), appare ictu oculi che quest’impostazione giurisprudenziale non si pone in linea col significato del concetto di tassatività.

Proprio al fine di superare le obiezioni legittimamente avanzate alla prospettata tesi, da parte dei giudici di legittimità era stata profilata l’opportunità di procedere ad una quantificazione della sostanza, idonea a configurare l’aggravante ex articolo 80, comma 2.

Soltanto in tal modo si giunge a rispettare alla lettera il principio di tassatività, con l’apprezzabile risultato di rendere una disposizione armonica con tutto l’impianto dei valori costituzionali. Quest’ultima impostazione è stata fatta propria da una recente pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione, che ha prospettato un parametro numerico desunto dai precedenti giudiziari in possesso dell’Ufficio del Massimario, che diverge, in realtà, da quello cui faceva generalmente riferimento l’ultimo degli orientamenti citati, ossia 2 chilogrammi per le droghe pesanti e 50 chilogrammi per le droghe leggere.

Al contrario, le Sezioni Unite ritengono quantitativo ingente di sostanza stupefacente quello che supera di 2000 volte il cosiddetto valore-soglia, ossia il limite quantitativo massimo detenibile, riferibile ad un uso esclusivamente personale, indicato dalla Tabella ministeriale di cui al D.M. 11 aprile del 2006 e differenziato in base alla natura della sostanza.

Il valore-soglia, utilizzato come limite verso il basso al fine di distinguere la detenzione per uso personale e quella penalmente rilevante, viene qui utilizzato come limite verso l’alto, nel senso che il mancato superamento del parametro quantitativo indicato dalle Sezioni Unite non consente di applicare l’aggravante specifica in esame.

Occorre evidenziare, però, come non sussista alcun automatismo tra il superamento di 2000 volte del valore-soglia e la contestazione dell’aggravante, dovendosi comunque procedere da parte dell’interprete ad una valutazione in concreto, valorizzando le specifiche caratteristiche del caso concreto. Tale precisazione è importante e necessaria, visto che l’attività ermeneutica giudiziale non può spingersi fino a stabilire in maniera assoluta e aprioristica il valore quantitativo penalmente rilevante ai fini dell’aggravante, trattandosi di una determinazione che spetta in via esclusiva al potere legislativo.

Così individuato il parametro per orientare l’interprete ai fini della configurazione o meno della circostanza aggravante di cui all’articolo 80 ed operata un’armonizzazione del contenuto dispositivo del medesimo articolo rispetto al principio di tassatività, occorre chiedersi se il principio di diritto da ultimo evidenziato possa trovare applicazione anche a seguito della declaratoria di illegittimità della legge Fini-Giovanardi, essendosi dubitato in giurisprudenza della persistente validità della tabella ministeriale sovracitata.

Un recente arresto della Corte di Cassazione ha dato risposta positiva al quesito, soprattutto in considerazione della circostanza che subito dopo la pronuncia della Corte Costituzionale è stata adottato il D.L. 36/2014, convertito nella legge 79 del 2014, con cui è stato inserito all’interno dell’articolo 75, il comma 1 bis.

Ebbene, la nuova previsione di legge contiene espressamente il riferimento, tra gli altri elementi, alla quantità massima detenibile indicata con decreto del Ministero della salute, “ai fini dell’accertamento della destinazione ad uso esclusivamente personale”. La scelta del legislatore di mantenere in vita il sistema tabellare depone a favore della persistente validità delle indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite sul concetto di ingente quantità, che risultano, allo stato, pienamente compatibili col principio di tassatività.

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