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INTERESSI DIFFUSI E RAPPRESENTATIVITÀ NEL PROCESSO AMMINISTRATIVO

 

INTERESSI DIFFUSI E RAPPRESENTATIVITÀ NEL PROCESSO AMMINISTRATIVO

Pubblicato il 25 febbraio 2016 autore Paola Montone

Con l’espressione interessi diffusi si intende far riferimento a quelle situazioni giuridiche soggettive indifferenziate, in quanto facenti capo alla generalità dei consociati. Esempi di interessi diffusi possono essere l’interesse alla salubrità dell’aria, dell’acqua ed in generale alla tutela dell’ambiente, di modo che il carattere diffuso dell’interesse si giustifica in considerazione della natura del bene cui l’interesse è sotteso, dovendosi trattare di un bene a godimento indifferenziato.

Ora, la circostanza per cui l’interesse diffuso sia caratterizzato dal fatto che si tratta, in realtà, di un interesse indifferenziato, non ne consente una tutelabilità all’interno del diritto amministrativo. Infatti, è solo col processo di personalizzazione, ovverosia di costituzione di un ente esponenziale di interessi collettivi che quel medesimo interesse passa da uno stato per così dire gassoso ad uno stato di concreta percezione dal punto di vista del mondo giuridico.

Si allude, cioè, al fenomeno della nascita delle associazioni ambientaliste nonché di quegli enti portatori di interessi di categoria e frutto dell’associazionismo spontaneo, che trova il proprio riconoscimento all’interno dell’articolo 2 della Costituzione.

Orbene, la tutelabilità dei soli interessi collettivi, quale frutto del processo di personalizzazione degli interessi diffusi sopra descritto, trova conferma già alla stregua della legge sul procedimento amministrativo, che, non a caso, ex articolo 9 legittima sì l’intervento nel procedimento ai portatori di interessi diffusi ma specifica che si deve trattare di portatori di interessi “costituiti in associazioni o comitati”, in quanto solo in tal modo l’interesse assume i connotati della differenziazione necessaria ai fini della configurabilità di una legittimazione ad agire nel processo amministrativo.

Il tema degli interessi diffusi, infatti, è strettamente connesso a quello della rappresentatività in giudizio degli stessi all’interno del processo amministrativo. Sul punto, si è fatto già riferimento alle associazioni o comitati di categoria rappresentativi degli interessi di una parte della collettività ma appare opportuno precisare come è soltanto con la legge istitutiva del Ministero dell’ambiente, legge 349 del 1986, che si giunge a legittimare la possibilità per le associazioni di protezione ambientale di rappresentare gli interessi dei propri consociati.

In realtà, il meccanismo delineato dal legislatore del 1986 prevede una legittimazione rappresentativa solo per le sole associazioni individuate con decreto del Ministero dell’ambiente e, dunque, inserite in un apposito albo e solo se rispondenti a specifici requisiti di legge, quali la vocazione nazionale dell’associazione o la presenza in almeno cinque regioni, accanto ad una valutazione delle finalità programmatiche, della democraticità dell’ordinamento interno nonché della continuità e rilevanza esterna dell’azione di programma.

Accanto al riconoscimento ex lege di una rappresentatività in giudizio degli enti esponenziali di interessi collettivi individuati per decreto, la giurisprudenza amministrativa ha nel corso nel tempo esteso la rappresentatività anche a quegli enti non formalmente riconosciuti dal Ministero, ma comunque rispondenti ad una serie di criteri aventi natura sostanziale, secondo la logica del doppio binario.

Emerge così la possibilità di accordare un riconoscimento di tipo sostanziale a quelle associazioni che, da un punto di vista istituzionale perseguono in maniera continuativa e non occasionale il fine della tutela di un interesse afferente ad una collettività ben determinata. Inoltre, si ritiene operante anche il criterio della vicinitas, nel senso che la legittimazione a partecipare al procedimento e al processo e dunque a rappresentare gli interessi di cui l’ente è portatore, è subordinata anche al riscontro di un collegamento di tipo territoriale tra l’interesse collettivo che si assume pregiudicato e l’ambito operativo dell’associazione.

Il concetto di vicinitas, dunque, non si esaurisce in una mera valutazione di una distanza chilometrica, che può intercorre ad esempio tra un’area oggetto di pianificazione urbanistica e la collettività riunita in associazione, ma fa riferimento al riscontro di un interesse di tipo strumentale e funzionale alla tutela del proprio territorio.

Ferma, dunque, la rappresentatività nel procedimento amministrativo degli interessi diffusi da parte di associazioni o comitati alla stregua dell’articolo 9 della legge 241 del 1990, occorre chiedersi se la rappresentatività nel procedimento comporta automaticamente una corrispondente rappresentatività in giudizio dell’associazione.

Sul punto, a fronte di un orientamento che ha rimarcato questo parallelismo operativo tra procedimento e processo, un differente orientamento ha più correttamente evidenziato come la partecipazione al procedimento è polifunzionale, visto che la stessa può assurgere non solo ad una funzione difensionale, nella prospettiva di un successivo giudizio di tipo impugnatorio ma anche ad una funzione meramente collaborativa. L’apporto che l’ente esponenziale degli interessi collettivi adduce può consistere anche in una mera di attività di consulenza e di ausilio nel procedimento, a fronte della qualificata esperienza che nel proprio campo di competenza l’associazione ha di certo maturato nel tempo.

A conferma dell’assunto vi è il rilievo per cui il Codice dei beni culturali e del paesaggio riconosce alle associazioni portatrici di interessi diffusi la possibilità di appellare le sentenze dei Tar che si sono pronunciate sulla legittimità dell’autorizzazione paesaggistica, anche nell’ipotesi i cui “non abbiano proposto ricorsi di primo grado”.

Sebbene si tratti di una legittimazione speciale, che non può essere oggetto di applicazione in via analogica, dalla stessa se ne può inferire una conferma indiretta dell’assunto per cui nel disegno del legislatore ben può ammettersi un intervento nel processo amministrativo disgiunto rispetto ad un precedente intervento nel procedimento medesimo.

Ora, il profilo della rappresentatività nel processo deve indurre anche l’interprete a chiedersi se anche le sedi locali di un’associazione a vocazione nazionale possano rappresentare in giudizio gli interessi dei propri associati. Sul punto, si è rilevato come anche il riconoscimento di un autonomo potere rappresentativo in giudizio da parte delle sedi locali può avvenire solo se è lo stesso statuto dell’associazione che contiene una clausola di disciplina di siffatta ipotesi, in quanto, in caso contrario, è evidente il rischio di una proliferazione incontrollata di giudizi.

Il tema della rappresentatività degli interessi diffusi è stato attenzionato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, oltre che con riferimento all’ipotesi dell’associazionismo spontaneo, anche riguardo alla costituzione di ordini professionali, che disvelano più propriamente la natura di soggetti che svolgono funzioni pubbliche: si consideri, infatti, a titolo esemplificativo come il consiglio dell’ordine professionale forense sia dotato di poteri certificativi, provvedimentali nonché di tipo sanzionatorio.

Ora, il problema che si è posto in giurisprudenza è stato quello di chiarire proprio il profilo della rappresentatività di siffatti enti: in altri termini, ci si è chiesto se essi rappresentano gli interessi dei singoli iscritti ovvero un interesse di categoria.

L’occasione per una riflessione sul tema è stata data dalla giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nel momento in cui la stessa è stata chiamata a sindacare la legittimità di una determina di un’università, che aveva dato vita ad uno spin-off accademico, costituendo una società lucrativa operante al suo interno e della quale facevano parte anche alcuni architetti professori universitari.

Ora, l’ordine professionale di categoria aveva rappresentato in giudizio l’interesse dei suoi iscritti a non vedersi pregiudicati da quella determina di costituzione societaria, che altro non era che un affidamento diretto operato dall’Università, in violazione dell’obbligo di esperimento di gara che sussiste, secondo la giurisprudenza comunitaria, anche in capo all’ente universitario.

L’Adunanza Plenaria del 2011 aveva evidenziato come l’attività posta in essere dall’università risultava violativa degli stessi fini istituzionalmente perseguiti dall’ente, che sono quelli di ricerca e non certamente fini meramente lucrativi come quelli perseguiti attraverso il descritto meccanismo di spin-off.

La pronuncia dell’Adunanza rileva anche perché compone un contrasto giurisprudenziale circa il profilo della rappresentatività degli interessi collettivi. In tal senso, secondo una prima impostazione l’ordine professionale non ha la legittimazione in giudizio quando non rappresenta gli interessi di tutti i suoi iscritti, come d’altronde accadeva nel caso in esame visto che alcuni professionisti, svolgenti anche l’attività di professori universitari, erano stati avvantaggiati dallo spin-off, lavorando per la neo costituita società, a fronte di altri professionisti che si erano visti precluse le medesime opportunità lavorative solo perché non operanti nel mondo accademico. Si ravvisava, pertanto, un vero e proprio conflitto di interessi che inficiava la stessa possibilità dell’ordine professionale di rappresentare tutti i propri iscritti.

Secondo una differente impostazione, invece, fatta propria dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la legittimazione ad agire sussiste tutte le volte in cui l’ente esponenziale di interessi collettivi, qui costituito dall’ordine professionale, rappresenti in giudizio l’interesse della categoria, di cui è istituzionalmente portatore, dovendosi prescindere dal rilievo se in concreto vi saranno dei soggetti pregiudicati dalla richiesta di una tutela giurisdizionale.

Al di là, però, della costituzione di associazioni ovvero di enti professionali, che come detto in premessa consentono di attribuire all’interesse diffuso un carattere di differenziazione che ne legittima la tutela in giudizio, il diritto amministrativo conosce anche la mera rappresentatività di interessi diffusi, non attribuibili formalmente ad un ente esponenziale. Il riferimento è al potere riconosciuto dall’articolo 21-bis della legge numero 287 del 1990 all’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, nella parte in cui essa è “legittimata ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica”.

La portata innovativa della disposizione, aggiunta ad opera del legislatore del 2011, si coglie proprio nel riconoscimento di un potere ad agire in giudizio a fronte di qualsiasi violazione della concorrenza e del mercato, atteggiandosi l’Autorità garante ad un vero e proprio pubblico ministero, visto che quest’ultimo ha l’obbligo ex articolo 112 Cost. di esercitare sempre l’azione penale.

Proprio tale carattere appariva stridente rispetto ad una giurisdizione di diritto soggettivo quale quella amministrativa, in cui, cioè, l’interesse ad agire si correla al raggiungimento di un bene della vita e non ad un mero ripristino della legalità violata, come sembrerebbe suggerire il disposto di cui all’articolo 21-bis.

In realtà, questa impostazione è stata sconfessata dalla stessa giurisprudenza amministrativa, la quale sollecitata dal ricorrente a rimettere al Giudice delle leggi questione di illegittimità costituzionale del medesimo articolo, ha aderito alla tesi per cui l’Antitrust più che rappresentare in giudizio degli interessi diffusi, è espressione dell’interesse di una collettività ben definita composta non solo da operatori economici, ma anche da consumatori ed utenti al rispetto della concorrenza.

Il carattere di indipendenza delle Autorità, infatti, fa sì che le stesse si pongano al di fuori della struttura burocratizzata statale, di guisa che più che essere espressione di uno Stato-apparato sono espressione dello Stato-comunità di cui tutelano gli interessi, afferenti al loro peculiare settore di competenza ovvero aventi carattere trasversale.

Ed ancora, sempre in tema di rappresentatività degli interessi diffusi in giudizio è interessante evidenziare come il Testo unico degli enti locali preveda all’articolo 9 una peculiare azione popolare avente carattere sostitutivo, considerato che “ciascun elettore può far valere in giudizio le azioni e i ricorsi che spettano al comune e alla provincia”. Prima facie sembrerebbe che il T.u.e.l. abbia legittimato una rappresentatività in giudizio di interessi diffusi, come suggerirebbe il contenuto dispositivo dell’articolo 9, eppure l’elettore agisce a tutela di un interesse proprio anche se afferente ad un’intera collettività.

In tal senso, depone il meccanismo di partecipazione popolare delineato dall’articolo 8 del medesimo testo unico, laddove si prevedono nello statuto comunale forme di consultazione della popolazione e procedure per la presentazione di istanze, petizioni o proposte da parte del singolo cittadino ovvero di associati “per la miglior tutela di interessi collettivi”. Ecco, allora, che l’interesse rappresentato in giudizio è più propriamente quello del cittadino, che in quanto tale appartiene ad una comunità locale ben definita e che fa vantare un interesse proprio ad una buona amministrazione locale.

Un raffronto si può evidenziare tra questa tipologia di azione popolare e quella delineata dal codice del processo amministrativo in materia elettorale, laddove, tra i soggetti legittimati ad agire, l’articolo 130 c.p.a. fa riferimento espresso a “qualsiasi elettore dell’ente della cui elezione si tratta”.

Tale disposizione potrebbe essere interpretata come espressione della possibilità di rappresentare un interesse diffuso ma in realtà sembrerebbe più corretto evidenziare come l’elettore faccia valere un duplice interesse: un interesse proprio, quale elettore al corretto svolgimento delle operazioni elettorali nonché un correlato interesse alla correzione del risultato elettorale, una volta constatato il profilo di illegittimità denunziato, il che giustificherebbe appieno l’attribuzione della materia elettorale alla giurisdizione di merito del g.a., residuando la giurisdizione del giudice ordinario a fronte di eventuali questioni concernenti il diritto di elettorato attivo o passivo.

Orbene, alla luce delle considerazioni sopra articolate, è possibile evidenziare come il diritto amministrativo non consenta una tutela giudiziale dei meri interessi diffusi, dovendosi ammettere piuttosto una rappresentatività in giudizio solo da parte di enti esponenziali di interessi collettivi, che possono essere enti riconosciuti dalla legge, come gli ordini professionali e le associazioni ambientalistiche ex articolo 13 della legge istitutiva del ministero dell’ambiente, ma anche associazioni spontanee purché rispondenti ai requisiti della precisa individuazione nello statuto di una finalità di tutela di un interesse di categoria e al requisito della vicinitas.

Al di fuori di queste ipotesi, quelle che vengono definite dal legislatore azioni popolari devono essere interpretate nel senso che con le stesse si rappresentano in giudizio più che interessi diffusi interessi propri differenziati, anche se afferenti in ultima analisi ad una precisa collettività di appartenenza.

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