La responsabilità dello stato per violazione del diritto comunitario con particolare riferimento all’elemento soggettivo dell’ illecito

 La responsabilità dello stato per violazione del diritto comunitario con particolare riferimento all’elemento soggettivo dell’ illecito

Maria Lucia Baleani

La tematica della responsabilità dello Stato per la violazione del diritto comunitario è strettamente collegata all’analisi del sistema delle fonti legislative del nostro ordinamento che, a far data dalla costituzione delle Comunità Europee negli anni 50, oggi Unione Europea, si è dovuto confrontare con l’elaborazione di norme di matrice comunitaria.

È evidente, infatti, che detta tipologia di responsabilità nasce e si giustifica in ragione della rinuncia della sovranità operata dagli Stati membri in favore dell’Istituzione Comunitaria e della conseguente  supremazia del diritto comunitario rispetto al diritto interno sul piano del sistema delle fonti legislative.

Quanto alla collocazione delle fonti comunitarie, si sono succedute in dottrina e nella giurisprudenza della Corte Costituzionale quattro diverse fasi attraverso le quali si è giunti, spinti dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, da una visione dualista o separatista degli ordinamenti ad una visione monista ed integralista dei medesimi, tesi questa, ormai pacificamente accolta.

In particolare, risulta ormai assodato che la legge comunitaria non solo in forza dell’art. 117 cost. secondo cui “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonchè dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali” goda della primazia sulla legge interna, ma anche che il diritto UE integri il sistema delle fonti interne consentendo un controllo diffuso del giudice nazionale sulla pretesa violazione del diritto comunitario.

Chiariti i rapporti tra normi interne e comunitarie e la rilevanza delle stesse nell’ordinamento nazionale, può comprendersi la natura e il fondamento della responsabilità dello Stato per mancata applicazione del diritto dell’UE ed, in particolare, delle direttive non immediatamente esecutive.

Sappiamo, infatti, che queste ultime a differenze dei regolamenti e delle direttive c.d.“self executing” abbisognano di una legge di recepimento non essendo direttamente applicabili: qualora lo Stato non provveda nel termine prescritto dalla direttiva sarà suscettibile di procedimento di infrazione e di relative sanzioni per mancato, tradivo o inesatto adempimento della direttiva.

Tale responsabilità dello Stato, tuttavia, non sembra esaurirsi in tale contesto, in quanto, è fonte di acceso dibattito se altresì dovrà rispondere in veste di Stato-Legislatore, Stato-Amministrazione, Stato-Giurisdizione, nei confronti del cittadino che abbia subito un danno derivante dall’inadempimento della norma comunitaria.

Discussa altresì è la natura di detto illecito e se, in particolare, sia esso contrattuale o extracontrattuale in quanto, in particolare, in tale ultima ipotesi dovremo poter riscontrare tutti gli elementi costitutivi di tale responsabilità quali: la violazione della norma, il danno, il nesso di casualità e l’elemento soggettivo dell’illecito, elemento quest’ultimo, al contrario, non riconosciuto dal diritto comunitario.

Sul piano del diritto interno, a sensi del 2043 c.c. “Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno” da cui discende per chiaro e indiscusso dettato normativo che la lesione di un interesse giuridicamente tutelabile implica responsabilità se si è prodotta dolosamente o è stata cagionata per colpa .

In estrema sintesi, nel primo caso si presuppone la piena coscienza e intenzionalità dell’atto da parte del soggetto, mentre ai fini della individuazione della colpa, il criterio di valutazione del comportamento dell’agente è costituito dalla diligenza propria del buon padre di famiglia che si traduce nella condotta che, con riferimento alla natura dell’attività esercitata, può essere richiesta al soggetto.

La circostanza, quindi, che l’elemento soggettivo, come sopra accennato e meglio di seguito esposto, risulti sconosciuto al diritto comunitario impedisce la perfetta identificazione del preteso illecito compiuto dallo Stato in violazione della norma comunitaria con l’illecito extracontrattuale lasciando dubbia la corretta qualificazione della natura del medesimo con tutte le conseguenze relative come, ad esempio, la decorrenza dei termini di prescrizione quinquennale o decennale.

Partendo dall’analisi della cd. responsabilità dello Stato- legislatore la costruzione di fondamenti teorici sul piano interno che possano giustificare in capo al legislatore una qualche responsabilità è stata ed è tuttora una questione molto delicata e complessa.

In via preliminare, la difficoltà del poter individuare una responsabilità del legislatore sta nel fatto che essendo il potere legislativo attribuito dalla Carta Costituzionale al Parlamento (art. 70 Cost.) espressione della volontà popolare, tale organo non può che godere di piena ed effettiva libertà, certamente in qualche modo limitata dal potenziale giudizio di una qualche responsabilità.

Peraltro, sarebbe altresì difficile individuare il concreto responsabile, in quanto certamente vi sarebbe una lesione dell’art. 68 cost. qualora si pensasse di attribuire al singolo parlamentare, limitato così nella sua funzione rappresentativa della volontà popolare.

D’altra parte la Corte di Giustizia Europea con la nota sentenza Francovich del 1991 ha stabilito la risarcibilità del danno al cittadino per violazione delle direttive comunitarie qualora queste attribuiscano ai medesimi delle chiare situazioni giuridiche attive, prescindendo tuttavia dalla dimostrazione dell’elemento soggettivo dell’illecito; secondo la Corte dimostrato il mancato ottemperamento del legislatore alla direttiva, il danno del cittadino e il nesso casuale tra i due elementi la responsabilità sarebbe per ciò solo imputata allo Stato senza necessità della valutazione dei requisiti del dolo e della colpa in capo allo Stato medesimo.

Tale ricostruzione ha posto una rilevante problematica, che si aggiunge a quella sopra esposta di una responsabilità dello Stato legislatore per la sua natura rappresentativa del popolo, nella qualificazione di tale responsabilità.

Infatti, volendo immaginare una responsabilità dello Stato, la dottrina si è interrogata sulla natura della medesima, sia essa contrattuale o extracontrattuale, con conseguente diversa determinazione del termine prescrizionale.

È evidente a tal proposito che  volendola inquadrare nell’area della responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 cc non può prescindersi, come suddetto, dalla valutazione dell’elemento soggettivo, elemento costitutivo della responsabilità aquiliana, elemento, al contrario, non preso in considerazione dalla citata pronuncia della Corte di Giustizia Europea.

La questione, ancora non del tutto definita e risolta è stata in parte chiarita da una pronuncia a S.U. del 2009 della Corte di Cassazione cha ha immaginato l’esistenza, nell’ottica tuttavia, della visione, che si era detto superata, di ordinamenti giuridici separati, di un illecito che è esistente solo nel sistema del diritto comunitario, e non in quello interno, non potendosi in quest’ultimo configurare una responsabilità dello stato legislatore godendo questo di una sorta di immunità per le ragioni sopra esposte.

La Suprema Corte, quindi, elabora la costruzione di un “illecito anfibiologico” vale  dire il c.d. illecito da attività lecita che darà luogo non già al diritto ad ottenere un risarcimento ma bensì un mero indennizzo.

Quanto alla problematica relativa alla prescrizione questa si ritiene ormai superata per previsione legislativa e si ritiene maturata in 5 anni: da ciò deriverebbe la qualifica di responsabilità di tipo extracontrattuale anche se sul punto sussistono ancora non pochi dibattiti.

Certo è che quanto alla decorrenza della prescrizione deve farsi riferimento al momento in cui l’illecito è cessato e, quindi, dal momento in cui viene emanata la legge di esecuzione, non tollerando l’ordinamento norme che consentano e legittimino l’uso dell’ inadempimento quale “scudo” per la maturazione del termine prescrizionale.

Ci si è interrogati, altresì, sulla configurabilità della responsabilità dello Stato- Giurisdizione per l’emanazione di una decisione contraria al diritto comunitario.

Tale questione è senza dubbio legata non solo alla tematica, anche questa oggetto di discussione, della c.d. responsabilità civile dei magistrati, disciplinata dalla legge Vassalli, attualmente in corso di modifica, che, tuttavia, prevedeva una responsabilità solo in caso di dolo e colpa grave del magistrato in contrasto con la disciplina comunitaria, tanto da vedere sottoposto lo Stato Italiano alla relativa procedura di infrazione, ma anche e soprattutto alla questione della c.d. intagibilità del giudicato ex art. 2909 cc.

Infatti, quanto alla prima delle citate questioni la disciplina comunitaria impone la necessaria tutela da decisioni assunte in violazione dei diritti dei singoli qualora provochino un danno, ancora una volta, prescindendo dall’elemento soggettivo.

Quanto alla seconda, quale rimedio alla lesione del diritto comunitario da parte di sentenze divenute definitive la Corte di Giustizia Europea nella nota sentenza avente ad oggetto i “traghetti del Mediterraneo” si è pronunciata stabilendo la reintegrazione in forma specifica del diritto leso come disciplinata sul piano interno dalla norma ex art. 2058 c.c.

Senonché tale orientamento sembrerebbe porsi in contrasto con il concetto di giudicato, pilastro fondante la certezza del diritto,  non solo dell’ordinamento nazionale ma anche di quello comunitario.

Tale questione rimane molto dibattuta in quanto nonostante la sentenza “Lucchini” del 2007 abbia in apparenza disapplicato il diritto comunitario ha, a ben vedere, consentito la “violazione del giudicato” solo per violazioni delle norme sulla giurisdizione in materia dei c.d. aiuti di Stato.

Infine, l’analisi sulla responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario impone la verifica della possibile configurabilità della stessa in capo allo Stato – amministrazione quanto all’ emanazione di regolamenti che siano contrari al diritto comunitario.

Subito è da precisare che in questo caso la violazione è in qualche modo mediata dall’esistenza della legge di attuazione della direttiva che pure deve essere rispettata dal regolamento, trattandosi, di fonte secondaria.

Si tratta inoltre di una violazione che ha come effetto la annullabilità del provvedimento amministrativo e non la sua nullità.

A tal proposito si è molto dibattuto in giurisprudenza e in dottrina in quanto per alcuni il rimedio della nullità era ritenuto più coerente con l’indiscussa supremazia del diritto comunitario che invece sarebbe rimasta svilita dalla mera annullabilità dell’atto.

La questione è ormai risolta dal dettato legislativo non prevedendosi tra le ipotesi della nullità dell’atto amministrativo (21 septies L. 241/90 come modificato legge 15/2005) la violazione delle norme comunitarie.

Pertanto, l’atto amministrativo sarà annullabile su istanza di parte, mediante l’impugnativa, in mancanza, l’amministrazione potrà provvedervi in via discrezionale nel rispetto dei termini di decadenza.

Accenniamo solo in questa sede che l’atto, o meglio, il provvedimento viziato per contrasto con la legge comunitaria, potrà non solo essere annullato su istanza di parte mediante l’impugnativa c.d. congiunta innanzi al giudice amministrativo, ma potrà, altresì essere disapplicato dal medesimo giudice previo rispetto del contradditorio sul punto, in maniera analoga a quanto accade per la disapplicazione della norma anti-comunitaria in sede civile.

Chiarite le sorti dell’atto amministrativo contrario al diritto UE passiamo all’analisi della responsabilità dello Stato amministratore che ha emanato detto atto.

Sul punto la corte di Giustizia si è pronunciata sulla risarcibilità di detto danno non conoscendosi per altro, nella normativa comunitaria la nozione di interesse legittimo, potendosi, quindi, applicare il medesimo ragionamento sulla risarcibilità per violazione dei diritti a parte dello stato legislatore.

La sentenza a S.U. della Corte di Cassazione 500/99 ha recepito tale orientamento e ponendosi quale collegamento della citata sentenza Francovich, sopra richiamata, e la risarcibilità degli interessi legittimi, ha configurato una responsabilità dello Stato- amministrazione.

Tuttavia, rimane anche in relazione a detta responsabilità la problematica inerente l’elemento soggettivo dell’illecito la cui presenza è essenziale nel diritto interno e non in quello comunitario come sopra esposto.

Possiamo concludere affermando che la supremazia del diritto comunitario su quello interno e l’integrazione dei due ordinamenti derivanti dalla rinuncia da parte dello Stato alla propria sovranità in favore dell’Istituzione Comunitaria abbia di fatto progressivamente gettato il fondamento per la costruzione di una responsabilità statale per la violazione del diritto comunitario con la conseguente dovuta risarcibilità del danno per i cittadini italiani-comunitari che abbiano subito un pregiudizio a seguito di tale inadempimento.

Tuttavia, si sono frapposte nel tempo non poche resistenze alla costruzione di tale responsabilità dovute alla necessita di rendere coerente il sistema della responsabilità dello Stato al pensiero giuridico fondante il nostro sistema democratico e agli istituti cardine del nostro ordinamento.

Certamente una delle problematiche più rilevanti e ricorrente in tutte e tre le “tipologie” di responsabilità statali sopra analizzate a seconda del ruolo rivestito dallo Stato (legislatore, amministrazione o giurisdizione), riguarda l’elemento soggettivo dell’illecito statale.

La questione non è di poca rilevanza in quanto nel nostro ordinamento la responsabilità di tipo oggettivo per la condotta illecita è sostanzialmente una tipologia di responsabilità “eccezionale”, mentre l’esistenza dell’elemento soggettivo è la condicio sine qua non per la “rimproverabilità” della condotta e quindi dell’applicabilità della relativa sanzione.

Al contrario il diritto comunitario, come confermato dalla costante giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, non conosce l’elemento soggettivo dell’illecito tanto che non ne richiede la dimostrazione imputando allo Stato membro inadempiente una responsabilità di tipo oggettivo.

Per quanto esposto è di fatto ancora in corso la costruzione della  responsabilità statale per l’illecito comunitario risultando tuttavia pacifico che a fronte di una lesione di situazioni giuridiche attive dei cittadini questi avranno il diritto riconosciuto dal nostro ordinamento e da quello comunitario ad ottenere il relativo risarcimento del danno.

Guarda anche

  • Il potere normativo della p.a.: limiti nel sistema delle fonti

  • BREVI RIFLESSIONI IN MERITO AL REGIME PATRIMONIALE DEI BENI DESTINATI AD UN PUBBLICO SERVIZIO.

  • Ipotesi di svolgimento. Traccia estratta prove scritte carriera prefettizia 2021. La prima. Diritto Amministrativo/Costituzionale.

  • NOVITA’ IN MATERIA ESPROPRIATIVA: BREVI RIFLESSIONI SULLE MODIFICHE AL CODICE DELLE COMUNICAZIONI ELETTRONICHE DEL 2022