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MISURE DI SICUREZZA E APPLICAZIONE DEL PRINCIPIO DI RETROATTIVITÀ IN MATERIA PENALE: L’IPOTESI DELLA CONFISCA ANTIMAFIA

 

MISURE DI SICUREZZA E APPLICAZIONE DEL PRINCIPIO DI RETROATTIVITÀ IN MATERIA PENALE: L’IPOTESI DELLA CONFISCA ANTIMAFIA

Pubblicato il 18/11/2015 autore Oriana Cossa

Premessi brevi cenni sulle misure di prevenzione e sulle misure di sicurezza, si soffermi il candidato sull’applicazione del principio di retroattività in materia penale all’ipotesi della confisca antimafia.

Il principio di legalità che nel nostro ordinamento disciplina la materia penale, si occupa anche delle misure di sicurezza e delle misure di prevenzione le quali, pur assolvendo a funzioni parzialmente assimilabili in quanto entrambe dirette alla prevenzione dal pericolo della commissione di fatti di reato, si distinguono sotto il profilo strutturale in quanto, mentre le misure di sicurezza presuppongono la commissione di un fatto di reato o, come nei casi di cui agli artt. 49 c.p. e 115 c.p. di un c.d. quasi reato, le misure di prevenzione prescindono da tale presupposto e sono applicate sulla base di indizi di pericolosità contemplati da specifiche norme di legge (ad esempio, l’art. 1 della L. n. 1423/1965).

Mentre le misure di prevenzione costituiscono, secondo la prevalente dottrina, provvedimenti di natura giurisdizionale, le misure di sicurezza, invece, misure amministrative, sia pure soggette al controllo giurisdizionale nonché, in taluni casi, affidate all’autorità giudiziaria.

Parte della dottrina ha ravvisato nell’art. 25 Cost. che menziona espressamente al comma 3, le sole misure di sicurezza, il fondamento di entrambe.

Le misure di sicurezza sono previste e disciplinate dagli artt. 199 del codice penale, e come suindicato dall’art. 25 comma 3 della Cost. che estende espressamente alle misure di sicurezza il principio della riserva di legge.

Le suddette misure sono state introdotte nell’ordinamento penale dal codice Rocco del 1930  e rappresentano la forma con la quale il codice penale ha concretizzato la teoria del doppio binario secondo cui mentre la pena doveva assolvere alla funzione di retribuire il reo per il reato commesso e di reintegrare l’ordinamento giuridico, la misura di sicurezza aveva la funzione di prevenire il pericolo di un’ulteriore condotta criminale da parte dell’autore di un fatto di reato o di un quasi reato attraverso la sua risocializzazione.

Parte della dottrina sostiene che la natura delle misure di sicurezza sia amministrativa, sono applicate dall’autorità giudiziaria e sulla loro esecuzione vigila il magistrato di sorveglianza.

Tra gli ulteriori elementi di distinzione tra misure di sicurezza  e pena vi sono: l’applicabilità delle misure di sicurezza sia ai soggetti imputabili che ai soggetti non imputabili mentre le pene possono essere applicate soltanto ai primi; le pene sono sempre afflittive mentre le misure di sicurezza potrebbero anche non esserlo; le pene hanno una durata prestabilita sia pure entro i margini della cornice edittale mentre le misure di sicurezza sono determinate soltanto nella loro durata minima.

Secondo la più recente dottrina le misure di sicurezza presenterebbero numerose affinità con la pena sotto il profilo della funzione, nel senso che, a seguito dell’entrata in vigore della Carta Costituzionale, anche alla seconda è stata assegnata la funzione specialpreventiva di risocializzazione del reo; in tale prospettiva, si osserva che, ai sensi dell’art. 204 c.p. i parametri di valutazione per l’applicazione delle misure di sicurezza sono gli stessi previsti per la pena e, cioè, quelli indicati all’art. 133 c.p.

La distinzione tra pene e misure di sicurezza, entrambe dirette alla difesa sociale ed alla lotta contro il delitto, sarebbe, dunque, da ravvisare nelle peculiarità strutturali ed applicative delle due misure e nel fatto che le misure di sicurezza sarebbero maggiormente connotate dalla funzione specialpreventiva.

In particolare, mentre la tesi tradizionale sostiene che il presupposto per l’applicazione delle misure di sicurezza sia la pericolosità del destinatario della misura, essendo il fatto di reato commesso una mera occasione per la sua applicazione, secondo altra parte della dottrina, anche le misure di sicurezza sarebbero applicate come conseguenza della commissione di un fatto di reato, del quale debbono sussistere tutti gli elementi costitutivi, sia sotto il profilo materiale, sia sotto il profilo psicologico, essendo tassative le ipotesi in cui le misure di sicurezza sono applicate a prescindere dalla commissione di un fatto di .

Oltre al presupposto oggettivo della commissione di un fatto di reato, ai fini dell’applicazione della misura di sicurezza è necessario che sia accertata in concreto la pericolosità sociale del destinatario della misura .

Le misure di sicurezza non possono essere applicate se non in forza di una disposizione di legge; sotto il profilo temporale sono regolate dalla legge vigente al momento della loro applicazione e non da quella vigente al momento della commissione del reato.

Le misure di sicurezza  hanno una durata variabile  che può modificarsi nel tempo in relazione alla pericolosità sociale del destinatario, nel senso che, trascorso il periodo minimo stabilito dalla legge, il destinatario viene sottoposto a controllo per verificare la persistenza o l’esaurimento della sua pericolosità; a seconda dei casi, a seguito dell’esito del controllo, il giudice può fissare un nuovo termine o la revoca della predetta misura.

Le cause di estinzione del reato o della pena estinguono le misure di sicurezza.

Le misure di prevenzione sono oggi disciplinate, in via generale, dalla L. n. 1423 del 1956 che ha sottratto alla competenza esclusiva dell’autorità di polizia il compito di applicarle sottoponendo le medesime al controllo dell’autorità giudiziaria, nonché, in taluni casi, all’applicazione diretta da parte della stessa.

Discusso, in dottrina, è il fondamento costituzionale delle misure di prevenzione.

Secondo l’orientamento dottrinario che ne ravvisa la legittimità costituzionale, i riferimenti che legittimerebbero le misure di prevenzione sono:

1) l’art. 2 Cost. che, nel tutelare i diritti inviolabili, delle persone legittimerebbe misure, come quelle di prevenzione, dirette a tutelarli;

2) l’art. 13 della Cost. secondi cui sono ammesse limitazioni del diritto di libertà sulla base di tassative previsioni di legge ed a condizione che esse si fondino su provvedimenti dell’autorità giudiziaria;

3) l‘art. 25 Cost. che, nel contemplare espressamente le misure di sicurezza, sarebbe il riferimento naturale anche per le misure di prevenzione in chiave d‘estensione analogica della portata della norma;

4) l’art. 27 Cost. che, nel prevedere la funzione di risocializzazione della pena, avrebbe reciso il vincolo necessario tra il fatto di reato e le conseguenze penali che potrebbero, in considerazione dell’esigenza specialpreventiva, anche discostarsi, sotto il profilo della specie e della durata della pena, dalla sanzione necessaria alla retribuzione del reo.

La Corte Costituzionale, più volte investita della questione relativa alla legittimità costituzionale delle misure di prevenzione, ha sempre avuto modo di precisare come siano ammesse le restrizioni alla libertà che non siano espressamente escluse dalla carta Costituzionale (Corte Cost. n. 68 del 1964).

Le misure di prevenzione, secondo parte della dottrina, presenterebbero profili di contrasto anche con l’art. 5 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali.

Le misure di prevenzione patrimoniali,invece, sono previste dalla L. n. 646 del 1982 e consistono nel sequestro dei beni e nella loro eventuale confisca.

La confisca che costituisce una tipica misura  di sicurezza patrimoniale, regolata dall’art. 240 c.p. consiste nell’espropriazione a  favore dello Stato dei beni che servirono o furono destinati a commettere il reato e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto.

La collocazione dell’istituto a chiusura del libro I del codice penale, titolo VIII – Delle misure amministrative di sicurezza “, capo II “Delle misure di sicurezza”, non è bastata a sopire l’acceso dibattito sviluppatosi in ordine alla sua natura giuridica. Nell’originaria intenzione del legislatore e pur con le connotazioni ad essa proprie, la confisca nasce come misura di sicurezza patrimoniale e come tale è catalogata agli artt. 215 e 236 c.p.

 Parte della dottrina ne ha rilevato la natura di sanzione sui generis, di pena accessoria o ancora di sanzione civile del processo penale, rinvenendo in essa un carattere prevalentemente repressivo. Tale natura emergerebbe dal fatto che, diversamente dalle altre misure di sicurezza, la confisca è del tutto svincolata dal presupposto di pericolosità sociale del reo (l’art. 236 c.p. non richiama infatti l’applicabilità della previsione dell’art. 202 c.p.) e non condivide le caratteristiche proprie delle altre misure di sicurezza. A ciò si aggiunge che la confisca oltre a prescindere dalla pericolosità del reo, neppur richiede sempre la pericolosità della cosa (è il caso della confisca facoltativa e della confisca obbligatoria del prezzo del reato) venendole così a mancare il carattere di provvedimento preventivo che caratterizza le misure di sicurezza.

In netto contrasto con tale posizione, l’orientamento della dottrina e della giurisprudenza prevalenti che qualificano la confisca una misura di sicurezza patrimoniale conformemente alla scelta operata dal legislatore. Si è al riguardo rilevato che non esiste una netta linea di demarcazione tra la pena e la misura di sicurezza non esistendo caratteri dell’una che non siano propri anche dell’altra. La differenza tra i sue istituti risiede della prevalenza del loro aspetto teleologico. La suprema Corte al riguardo, richiamando il pensiero del legislatore, è intervenuta affermando che la confisca è una misura di sicurezza patrimoniale tendente a prevenire la commissione di nuovi reati, mediante l’espropriazione a favore dello Stato di beni che restando nella disponibilità del reo, manterrebbero in vita l’attrattiva al reato.

Essa ha carattere cautelare e non punitivo anche se, al pari della pena, i suoi effetti ablativi si risolvono spesso in una sanzione pecuniaria.

La dottrina maggioritaria ne ha poi rimarcato il carattere di misura di sicurezza sottolineando che essa prescinda solo dal requisito di pericolosità sociale della persona e fa notare come tale interpretazione non esaurisce l’intero concetto di pericolosità: la confisca presuppone la pericolosità della cosa. Pericolosità quest’ultima, che va intensa non in senso di pericolosità intrinseca della cosa a produrre un danno, quanto piuttosto come una probabilità che essa lasciata nella disponibilità del reo, costituisca per lui incentivo alla commissione di ulteriori illeciti.

In tale prospettiva la pericolosità passa dalla cosa al reo e costituisce un concetto relazionale in forza del quale la pericolosità della cosa deve essere valutata in rapporto alla persona che la possiede.

Detta pericolosità del rapporto cosa/persona è presunta dalla legge nelle ipotesi di confisca obbligatoria e va accertata di volta in volta dal Giudice in quelle di confisca facoltativa.

Una tendenza all’utilizzo della confisca in un’ottica prevalentemente repressiva si registra invece nella legislazione speciale. Nel corso degli ottanta anni dalla emanazione del codice penale la confisca ha cambiato radicalmente volto con l’introduzione, accanto alla tradizionale confisca di beni pericolosi, di numerose ipotesi speciali di confisca obbligatoria, in un’ottica tipicamente repressiva.

L’analisi della disciplina della confisca deve tener conto anche della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo che ha individuato una serie di canoni applicativi rilevanti, stabilendo i principi minimi di garanzia che il provvedimento ablativo deve rispettare.

Dalla qualificazione della confisca in termini di misura di sicurezza (patrimoniale) deriva che, ai sensi dell’art 200 c.p. essa non è sottoposta al principio di irretroattività della legge penale di cui agli art 25 comma 2 della Cost. e 2 comma 2 c.p. Ne consegue che tale misura di sicurezza può essere disposta anche con riferimento a reati commessi al tempo in cui non era legislativamente prevista o era prevista con modalità diverse quanto a tipo, qualità e durata. Parte della dottrina e della giurisprudenza,  ravvisando in quest’orientamento profili di illegittimità costituzionale, propende per una lettura restrittiva dell’art 200 c.p., tale da non ledere le fondamentali garanzie del cittadino.

Stante il carattere reale della confisca essa può avere ad oggetto solo beni e/o animali, mai una persona.

In mancanza di un espresso richiamo dell’art 207 c.p. da parte dell’art 236 c.p. la confisca una volta disposta non può più essere revocata avendo pertanto carattere perpetuo. E’ da tale connotazione che alcuni ne fanno discendere la finalità repressiva. Detto carattere di perpetuità è rafforzato dalla giurisprudenza che esclude che l’abolizione del reato possa comportare, ai sensi dell’art 2 c.p., il venir meno della confisca disposta in relazione alla condanna per il reato medesimo.

Di regola la confisca è facoltativa (art. 240 c.p. comma primo). Essa può essere ordinata dal giudice per le cose che servirono o furono destinate alla commissione del reato (c.d. mezzi di esecuzione del reato) ovvero per quelle che sono il profitto o il prodotto.

Profili problematici sono connessi alla tutela dei terzi che ruota intorno all’interpretazione della formula “persona estranea al reato” utilizzata dall’art. 240 commi 3 e 4 c.p. quale causa preclusiva. Al riguardo la Corte Costituzionale ha individuato un nucleo di tutela inderogabile, rappresentato da un minimo di colpevolezza rimproverabile al terzo, descritto in termini di difetto di diligenza, in assenza del quale si finirebbe col configurare una responsabilità oggettiva  per un reato commesso da altri, in chiara violazione del principio della personale responsabilità penale ex art 27 Cost. Le Sezioni Unite hanno specificato che non può essere ritenuto estraneo al reato chi abbia tratto in qualsiasi modo profitto dal reato, salva la sua buona fede ovvero la non conoscibilità – con l’uso della diligenza richiesta nel caso concreto- della derivazione della propria posizione da un reato commesso dal condannato. La buona fede incolpevole è requisito essenziale della tutela del terzo solo quando questi abbia tratto un qualche vantaggio dal reato, perché altrimenti la condizione  di estraneità si evidenzia sul piano oggettivo, preesistendo il suo diritto al reato e non risultando in alcun modo collegato ad esso. Tuttavia è il terzo che è tenuto a provare la sua condizione di estraneità al reato e quindi non solo di essere proprietario del bene anche di aver acquistato il diritto in buona fede nonostante l’osservanza di tutte le cautele e la vigilanza del caso.

Nella legislazione antimafia il ricorso allo strumento della confisca è andato incrementandosi negli anni, tanto da divenire lo strumento privilegiato di contrasto alla criminalità organizzata .La dottrina evidenzia che la finalità primaria della confisca antimafia è quella di sottrarre dal circuito economico beni che siano frutto di attività illecite e di contiguità mafiosa, in modo da annullare anche i possibili effetti distorsivi sulla concorrenza (posto che in molti casi il fenomeno trova linfa nella realtà d’impresa).

 Le diverse confische previste dalla legislazione antimafia possono così suddividersi: la confisca di sicurezza (art. 240 c.p.) la confisca sanzionatoria (art. 416 bis comma 7 c.p. e 12 sexies D.l. 306/92 per la persona fisica e artt. 19 e 24 ter comma 1 d.lgs. 231/2001 per le persone giuridiche) e la confisca di prevenzione (art. 24 d.lgs. 159/11 recante il nuovo codice antimafia e delle misure di prevenzione).

Più nello specifico accanto a misure tipicamente incentrate sul peculiare vincolo di pertinenzialità della cosa rispetto al reato commesso, si distinguono forme di confisca allargata applicabili all’intero patrimonio di un soggetto sul presupposto di una pericolosità sociale qualificata da indizi di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso o assimilate. Gli esempi più noti quelli della confisca di prevenzione e di quella sanzionatoria speciale prevista dall’art 12 sexies D.L. 306/92 (convertito nella L 356/92). Quest’ultima anch’essa fondata sulla presunzione secondo cui i beni rientranti nella diretta o indiretta disponibilità di un soggetto e di valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato, all’attività economica o al suo tenore di vita costituiscono il frutto o il reimpiego di attività illecite, salvo che l’interessato riesca a giustificarne la legittima provenienza.

SI tratta quindi di provvedimenti ablatori svincolati dall’accertamento di un nesso causale tra la presunta condotta criminosa e la titolarità dei beni e fondati esclusivamente sulla presunzione dell’illegittima provenienza di questi ultimi nell’ambito di un “processo al patrimonio” autonomo ovvero complementare rispetto a quello penale.

Quanto all’oggetto l’unica differenza risiede nel fatto che mentre nella confisca ex art 12 sexies D.L. 306/92 possono essere confiscati tutti i beni di cui non sia stata fornita la giustificazione (a prescindere dal momento del loro acquisto), relativamente alla confisca di prevenzione si contrappongono attualmente due diversi indirizzi giurisprudenziali: il primo volto a richiedere una correlazione temporale fra gli indizi di carattere personale e l’acquisto, dovendosi verificare se i beni siano entrati nella disponibilità del proposto non già anteriormente ma successivamente o almeno contestualmente al suo presunto ingresso nel sodalizio criminoso; il secondo, più recente, incentrato sul presunto nesso di pertinenzialità tra beni di cui non sia provata la legittima provenienza e soggetti portatori di pericolosità sociale con la conseguenza  di includere i beni acquisiti dal proposto in epoca antecedente a quella cui si riferisce l’accertamento dell’inizio della pericolosità, purchè sia avviato un procedimento per l’applicazione di una misura personale.

Il problema dell’apposizione di un limite temporale si pone perché mentre la confisca sanzionatoria (art 12 d.l. 306/92) presuppone una sentenza di condanna (o anche un patteggiamento ex art 444 cpp) la confisca di prevenzione è del tutto indipendente dall’esercizio dell’azione penale essendo sufficiente un accertamento solo  indiziario (la lettera della  norma si riferisce a  “persone nei cui confronti è instaurato il procedimento” così trovando il suo dies a quo nell’inizio delle indagini preliminari). Ciò con evidenti problemi di compatibilità con i principi costituzionali di legalità e del giusto processo, soprattutto se si considera che l’art 24 dispone l’applicazione della misura di sicurezza anche nei confronti di beni che comunque risultino essere il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego (consentendo così l’aggressione anche di beni formalmente leciti che siano però stati conseguiti attraverso l’utilizzo di fondi o beni direttamente collegati ad attività illecite

Presupposto di applicazione della confisca di prevenzione è la pericolosità sociale del soggetto qualificata dalla sussistenza di indizi di appartenenza ad associazioni di stampo mafioso e nella disponibilità, diretta o indiretta, di beni accompagnata dalla sussistenza di ulteriori indizi, primo fra tutti il loro valore sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati e all’attività svolta, tale da far ritenere che detti beni costituiscano il frutto o il reimpiego di attività illecita (artt. 20, comma 1 e 24, comma 1, d.lgs. 159/2011).

Occorre in particolare l’esistenza di un fatto noto in base al quale si possa affermare la circostanza di fatto dell’appartenenza del singolo ad un’associazione mafiosa, con una presunzione di perdurante pericolosità, in base alla quale una volta che detta appartenenza risulti adeguatamente dimostrata non sussiste alcun obbligo motivazionale per il giudice sull’attualità di tale condizione, salvo emerga la prova di un recesso dell’interessato dall’ass.ne medesima rispetto alla quale non sarebbe comunque sufficiente il riferimento al mero tempo trascorso dall’adesione o dalla concreta partecipazione ad attività illecite.

Nella disponibilità dei beni rientra invece ogni situazione in cui quest’ultimo ne risulti effettivo dominus, tanto che si afferma la possibilità di procedere alla confisca di un ramo aziendale nella titolarità di una società qualora ne sia accertata la disponibilità indiretta da parte del proposto e la provenienza illegittima. A questo riguardo si è sempre distinto in giurisprudenza a seconda che il terzo sia completamente estraneo o abbia vincoli di parentela col proposto, atteso che in questo secondo caso è verosimilmente più accentuato il pericolo di interposizione fittizia e di disponibilità effettiva del bene da parte del medesimo.

L’efficacia della confisca di prevenzione è stata notevolmente rafforzata con la previsione – già introdotta dal D.L. 92/2008, convertito con L. 125/2008, all’art, 2 bis comma 6 bis, L. 575/1965 e oggi contenuta all’art. 18, comma 1, d.lgs. 159/2001 – della possibilità di un’applicazione disgiunta rispetto alle misure di prevenzione personali, indipendentemente dalla pericolosità del soggetto al momento dell’applicazione della misura. In tal modo il legislatore ha voluto garantire che ove pur venga a cessare la pericolosità del soggetto il vizio genetico che caratterizza la formazione del patrimonio sia comunque rimosso mediante la sottrazione dal circuito economico di un bene illecitamente acquisito.

La tutela dei diritti del terzo su beni sequestrati o confiscati alla criminalità organizzata costituisce da sempre un tema estremamente complesso, in cui vengono continuamente in rilievo opposti interessi, aventi natura pubblicistica o privatistica, tutti meritevoli di considerazione.

Da un lato si tratta di evitare il rischio della precostituzione di posizioni creditorie di comodo che consentano di aggirare o di eludere gli effetti delle misure di prevenzione; dall’altro di evitare che le istanze del terzo possano pregiudicare il vincolo di destinazione pubblicistica derivante dalla devoluzione del bene al patrimonio indisponibile dello Stato, quale effetto del provvedimento irrevocabile di confisca.

Da ciò consegue l’esigenza per cui si richiede al terzo di dimostrare che il proprio diritto sia sorto in condizioni di buona fede ovvero di affidamento incolpevole, quale prova dell’assoluta estraneità al sodalizio criminoso. La giurisprudenza ha più volte affermato che neppure i provvedimenti ablatori possono pregiudicare i diritti acquisiti da terzi in buona fede, in quanto la confisca realizza un acquisto del bene a titolo  derivativo e non originario o espropriativo per pubblica utilità, pertanto, i terzi sono legittimati ad intervenire nel procedimento di prevenzione (per svolgere deduzioni, chiedere la revoca ex tunc del provvedimento definitivo di confisca)  non ostando a ciò l’irreversibilità dell’ablazione determinatasi (art 52 d.lgs. 159/2011).

Quanto ai diritti personali o reali di godimento, la confisca ne determina sì l’estinzione ma ai rispettivi titolari spetta in prededuzione un equo indennizzo commisurato alla durata residua del diritto medesimo (art 52, commi 4 e 5, d.lgs. 159/2011).

Nell’ottica di un più deciso contrasto ai patrimoni mafiosi è intervenuta la riforma del 2009 che ne ha dilatato i confini di applicazione. Difatti il legislatore ha scelto di prescindere dalla pericolosità attuale dell’imputato per la confisca dei beni, accontentandosi a tal fine della pericolosità originaria, cioè del collegamento tra i beni oggetto di apprensione e l’attività mafiosa (o comunque illecita) mentre non si richiede che detto legame permanga fino al momento dell’applicazione della misura. La prova del collegamento viene raggiunta non solo attraverso l’accertamento dell’incapacità dell’imputato di fornire la prova della provenienza dei beni e la sproporzione del loro valore rispetto ai redditi dello stesso, ma anche attraverso la valutazione della circostanza che non vi sia stato un significativo lasso temporale tra la presunta entrata del soggetto nella consorteria criminale e l’acquisto dei beni

Senza dubbio l’eliminazione del requisito dell’attualità della pericolosità del reo costituisce per quest’ultimo una modifica in malam partem consentendo l’applicazione della misura in un numero maggiore di casi, ci si chiede, quindi, se possa applicarsi la confisca antimafia nella sua rinnovata conformazione anche ai procedimenti in corso. La risoluzione della questione richiede la determinazione della natura giuridica della confisca in esame.

In effetti, la ricostruzione della confisca antimafia in termini di misura di prevenzione conduce a negarne natura afflittiva, dunque penale. Ne consegue che non possono trovare spazio i principi penalistici scolpiti nella nostra carta costituzionale, in particolare, il principio di irretroattività di cui all’art 25 comma 2 Cost. dovendosi applicare la differente disciplina codicistica sancita dall’art 200 c.p.. Detto rilievo assume importanza con riferimento alle modifiche introdotte dalla riforma del 2009 , che dovrebbero produrre effetti anche nei confronti dei procedimenti in corso alla data della entrata in vigore della legge 94/2009.

Sul punto giova evidenziare che a fronte di un orientamento prevalente della Suprema Corte volto a riconoscere la retroattività della disciplina della confisca antimafia, qualificandola una misura di prevenzione (in quanto l’apprensione dei beni è volta non a prevenire la probabile commissione di reati, bensì a contrastare gli arricchimenti avvenuti illecitamente)- come tale non sottoposta al principio di irretroattività della legge penale – vi è stata una recente presa di posizione del tutto differente ad opera della Corte che ha ritenuto di inquadrare la confisca antimafia nell’alveo della sanzioni penali. A sostegno di tale interpretazione, la circostanza che ormai si prescinde dalla pericolosità attuale del reo elevata a sintomo inequivocabile della sopravvenuta natura sanzionatoria della confisca in esame.

A fronte del contrasto registratosi sul tema, la questione è stata rimessa al vaglio delle Sezioni Unite della Cassazione la cui recente pronuncia del 02 febbraio 2015 non ha mancato di tenere in debita  considerazione l’approccio sviluppatosi nell’ambito della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo e della Corte di Giustizia.

Le Sezioni Unite in tale pronuncia ribadiscono la natura preventiva e non punitiva della confisca in esame con conseguente assoggettamento alla disciplina dettata dall’art. 200 c.p. in tema di successione di leggi nel tempo.

Ad avviso dei giudici della Suprema Corte ciò da cui si può prescindere è il solo requisito dell’attualità della pericolosità e non della pericolosità in sé, considerato che di attualità ha senso parlare solo con riferimento alla prevenzione personale e non anche a quella patrimoniale, laddove la connotazione di pericolosità è immanente alla “res”  e come tale essa persiste anche se la persona cessa nel frattempo di essere pericolosa.

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