Principio di effettività della tutela giurisdizionale ed assorbimento dei motivi.

Principio di effettività della tutela giurisdizionale ed assorbimento dei motivi.

 Adriana Forastiere – corso “solo tracce” magistratura

Il principio di effettività della tutela giurisdizionale ha un rilievo centrale nel sistema processuale nazionale e sovranazionale e ha come destinatari, da un lato, il legislatore, il quale di tale principio deve tener conto nell’approntare gli strumenti di tutela azionabili dal soggetto cha abbia subito la lesione di una posizione giuridica soggettiva riconosciutagli dall’ordinamento e, dall’altro, il giudice, il quale nell’esercizio della funzione giurisdizionale deve lasciarsi orientare da tale principio al fine di fornire al soggetto la tutela più ampia e satisfattoria delle sue ragioni.

Nel sistema processuale amministrativo, il principio di effettività è enunciato dall’art 1 cpa che affida alla giurisdizione amministrativa l’obiettivo di assicurare una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo. Quanto ai principi della Costituzione, l’effettività della tutela giurisdizionale ha fondamento nell’art 24 Cost che, nell’enunciare il diritto atipico di azione, riconosce pari dignità e meritevolezza di tutela  ai diritti soggettivi e agli interessi legittimi, dettando un precetto di effettività e pienezza della tutela in relazione ad entrambe le situazioni giuridiche soggettive, senza possibilità alcuna di discriminazione. Inoltre, con specifico riferimento agli atti della PA, il principio di effettività e pienezza di tutela trova fondamento nell’art 113 Cost, che ammette sempre la tutela giurisdizionale avverso gli stessi ed esclude che la stessa possa essere sottoposta a limiti di qualsiasi sorta. Quanto al diritto europeo e al diritto internazionale, il principio trova riconoscimento esplicito nell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e nell’art 13 della CEDU, che sancisce il diritto ad un ricorso effettivo a favore di ogni persona i cui diritti e libertà fondamentali riconosciuti dalla Convenzione stessa siano stati violati.

Si può rilevare, poi, che il principio di effettività della tutela trova realizzazione nell’ambito del giusto processo, altro principio fondante del sistema processuale, enunciato dall’art 2 cpa, nonché dagli artt. 111 Cost e 6 CEDU.

Riguardo ai suddetti principi, in dottrina si è osservato che, mentre il principio del giusto processo attiene alle forme della tutela, imponendo il rispetto della parità delle parti, del contraddittorio, della ragionevole durata del giudizio, il quale deve svolgersi innanzi ad un giudice terzo e imparziale, il principio di effettività attiene al contenuto della tutela, che deve essere idoneo a soddisfare adeguatamente la pretesa sostanziale del ricorrente. In altri termini, il principio di effettività e pienezza di tutela implica che il processo deve essere lo strumento attraverso cui il soggetto leso possa ottenere, ricorrendo al giudice, tutto e proprio quello che gli spetta in base al diritto sostanziale e quindi la tutela specifica e più idonea ad attribuire allo stesso la concreta utilità che l’ordinamento gli riconosce.

Si osserva, poi, che l’effettività della tutela così intesa, nel processo amministrativo, è il risultato di un lungo itinerario di affinamento delle tecniche di tutela dell’interesse legittimo, itinerario svoltosi a latere dell’evoluzione della nozione stessa di interesse legittimo, il cui punto di approdo è il riconoscimento della valenza sostanziale dello stesso. Infatti, proprio l’affermazione della natura sostanziale dell’interesse legittimo e, quindi, del ruolo centrale che nella struttura dello stesso ha il bene della vita che il privato vuole conseguire ovvero proteggere dall’azione amministrativa, ha segnato il passaggio da un giudizio sulla mera legittimità dell’atto, a un giudizio incentrato sul rapporto che deriva dall’atto e, in ultima istanza, sulla fondatezza della pretesa sostanziale azionata.

In altri termini, se l’interesse legittimo cessa di essere considerato una mera facoltà processuale, un interesse solo occasionalmente protetto, un interesse alla legittimità ex sé dell’azione amministrativa e viene in rilevo come interesse ad un bene della vita, come situazione sostanziale direttamente riconosciuta dall’ordinamento, la tutela effettiva dello stesso non può che essere una tutela che soddisfi l’interesse sostanziale del privato e, quindi, riconosca allo stesso il bene della vita.

Prima di esaminare come il principio di effettività trova oggi attuazione nel codice del processo amministrativo, specie in seguito alle modifiche apportate dal secondo correttivo (d.lgs. n 160 del 2012), nonché l’operatività del principio nell’ambito del singolo giudizio come criterio che il giudice deve seguire nell’esaminare i motivi di ricorso, appare opportuno ricostruire brevemente le tappe evolutive del sistema delle tutele invocabili avverso gli atti della PA.

Inizialmente, la legge abolitrice del contenzioso amministrativo del 1865 prevedeva all’art 2 la possibilità per il privato di adire il giudice ordinario per la tutela dei diritti soggettivi nei confronti della PA. Le situazioni soggettive diverse dai diritti soggettivi, quindi le situazioni che sarebbero poi state riconosciute come interessi legittimi, invece, erano totalmente sfornite di tutela giurisdizionale, prevedendo per queste l’art 3 LAC esclusivamente la tutela giustiziale in sede amministrativa. In questa fase, quindi, gli interessi legittimi erano considerati alla stregua di meri interessi di fatto, sostanzialmente non tutelati dall’ordinamento, vista la scarsa propensione dimostrata dalla PA a modificare la propria opinione sul potere esercitato in sede di ricorso amministrativo, gerarchico o in opposizione.

A partire dalla istituzione nel 1889 della IV sezione del Consiglio di Stato, gli interessi legittimi venivano tutelati giudizialmente tramite l’azione di annullamento innanzi al giudice amministrativo istitutito. Vigeva, infatti, un principio di rigorosa tipicità per cui l’unica tutela che il privato poteva esperire a protezione dell’interesse legittimo era quella caducatoria, mentre a protezione dei diritti soggettivi era esperibile ogni azione costitutiva, dichiarativa o di condanna, tipica o atipica, innanzi al giudice ordinario. La sentenza che accoglieva il ricorso, poi, determinava l’annullamento ex tunc del provvedimento lesivo e faceva salvo il futuro esercizio del potere da parte della PA, non pronunciandosi in alcun modo il giudice sulla fondatezza della pretesa del ricorrente. Si trattava, quindi, di un modello oggettivo di giurisdizione, in quanto attraverso il processo, che aveva come oggetto esclusivo l’atto amministrativo, trovava attuazione l’interesse oggettivo dell’ordinamento alla legittimità dell’azione amministrativa, senza che potesse avere alcun rilievo la pretesa sostanziale del ricorrente. Tale modello di giurisdizione era in grado di fornire adeguata tutela per l’interesse legittimo oppositivo, c.d. interesse leso da un provvedimento, con cui il privato intende proteggere un bene già esistente nella propria sfera giuridica dall’azione della PA, ma non poteva dirsi altrettanto per l’interesse legittimo pretensivo, c.d interesse bisognoso di un provvedimento, e vale a dire l’interesse del privato a conseguire un bene della vita tramite l’esercizio del potere amministrativo. Infatti, mentre per il primo l’annullamento ex tunc del provvedimento lesivo era tutela idonea a reintegrare la sfera giuridica del ricorrente del bene illegittimamente sottrattogli dalla PA, per il secondo non rappresentava una tutela effettiva, poiché lasciava insoddisfatta la pretesa del ricorrente ad ottenere il provvedimento richiesto. In altri termini, essendo l’interesse pretensivo teso ad ottenere un ampliamento della sfera giuridica del privato, tramite l’attribuzione da parte della PA di un bene della vita,  risulta evidente che l’annullamento del provvedimento di diniego non era misura idonea, di per sé sola, a determinare l’attribuzione del bene.

Al riguardo, infatti, si può osservare che l’unico modo con cui l’interesse legittimo pretensivo può trovare soddisfazione e tutela è l’adozione del provvedimento che attribuisce il bene della vita al privato, oltre che l’annullamento del provvedimento illegittimo di diniego. Tale obiettivo di effettività della tutela può dirsi oggi raggiunto con il superamento della centralità dell’azione di annullamento e l’accoglimento del principio di  pluralità e atipicità delle tecniche di tutela dell’interesse legittimo, dapprima in giurisprudenza e dottrina, poi anche dal legislatore con il c.p.a. e, soprattutto, con il dlgs 160 del 2012. Quest’ultimo, infatti, ha espressamente riconosciuto l’ammissibilità della c.d. azione di condanna pubblicistica di cui all’art. 34 co 2, attraverso la quale il privato può ottenere, accanto all’annullamento del provvedimento illegittimo, la condanna della PA al rilascio del provvedimento richiesto, nei limiti di cui all’art 31 comma 3 del cpa. Tale norma, relativa all’azione avverso il silenzio, prevede infatti la possibilità che il giudice, accertato l’inadempimento dell’obbligo della PA di provvedere nel termine per la conclusione del procedimento, valuti la fondatezza della pretesa sostanziale del ricorrente, qualora si tratti di attività vincolata ovvero quando la PA abbia consumato la discrezionalità originariamente spettante alla stessa.

Si è osservato che queste novità hanno determinato il passaggio da un modello oggettivo ad un modello soggettivo di giurisdizione, teso non più soltanto a ripristinare l’interesse oggettivo dell’ordinamento alla legittimità dell’operato della PA, ma a soddisfare l’interesse soggettivo del privato ad un bene della vita e, quindi, a valutare la fondatezza della pretesa sostanziale dello stesso, con un conseguente spostamento dell’oggetto del giudizio amministrativo, dall’atto, al rapporto che dall’atto deriva.

Si tratta, quindi, di un modello di giurisdizione in cui il privato può esperire tutte le azioni, dichiarative, costitutive e di condanna, tipiche e atipiche, necessarie per la protezione dell’interesse sostanziale che l’ordinamento gli riconosce e che nell’ambito del processo può ottenere una tutela specifica e piena, allo stesso modo di quanto già in passato accadeva per i diritti soggettivi.

Come anticipato, poi, il principio di effettività della tutela si rivolge anche al giudice, il quale, in un modello di giurisdizione soggettiva, in cui l’interesse legittimo non può considerarsi mera posizione legittimante ma è l’oggetto principale del giudizio, deve farsi orientare nello svolgimento della propria funzione non più, come accadeva in passato, dall’interesse oggettivo dell’ordinamento alla legittimità, ma dall’interesse soggettivo al bene della vita.

Ciò rileva, in particolare, in relazione alla prassi giudiziale dell’assorbimento di motivi.

Al riguardo, si osserva, che l’assorbimento dei motivi si basa sulla considerazione per cui, nell’ambito dei motivi di ricorso, ve ne sarebbero alcuni prioritari e pregiudiziali rispetto ad altri.

Di conseguenza, il giudice, in un’ottica di economia processuale, valuta prioritariamente i motivi di ricorso principali e pregiudicanti e, qualora questi siano fondati, accoglie il ricorso senza passare all’esame degli altri motivi secondari e consequenziali, i quali, invece, esamina solo in caso di infondatezza dei primi.

In passato, il giudice attendeva alla descritta operazione in base ad un ordine di priorità logica di tipo oggettivo e, vale a dire, in base all’interesse oggettivo alla legittimità dell’azione amministrativa. In altri termini, il giudice esaminava prioritariamente i motivi di ricorso attinenti alla legittimità della procedura amministrativa, e in relazione a questi, esaminava con precedenza i motivi relativi alle fasi iniziali del procedimento e, in subordine, quelli relativi alle successive fasi procedimentali. L’accoglimento di tali motivi, poi, determinava l’annullamento, integrale o parziale, della procedura e la conseguente necessità di ripetere, in tutto o in parte, la procedura stessa, con assorbimento degli altri motivi di ricorso. Quindi, il giudice non esaminava neppure gli altri motivi, relativi alla legittimità degli atti a valle della procedura, quand’anche questi fossero stati tali da attribuire al ricorrente un’utilità maggiore rispetto alla ripetizione totale o parziale del procedimento.

Si osserva, infatti, che, nell’ambito dei motivi di ricorso è possibile distinguere tra  motivi che soddisfano l’interesse sostanziale del ricorrente, motivi, cioè, il cui accoglimento determina l’immediata attribuzione al privato del bene della vita cui ambisce, e motivi che soddisfano un interesse strumentale del ricorrente e, vale a dire, i motivi relativi ai vizi della procedure, che, se accolti, determinano la ripetizione totale o parziale della stessa. Tali ultimi motivi soddisfano un interesse che è solo strumentale, in quanto il privato mira non alla legittimità ex se dell’azione amministrativa, ma alla legittimità della stessa come strumento per conseguire o conservare un bene della vita.

Si può considerare, ad esempio, l’ipotesi del soggetto, secondo classificato di una procedura di gara per l’aggiudicazione di un appalto pubblico, il quale impugni l’aggiudicazione, sostenendo che il primo classificato non aveva i requisiti per essere ammesso alla gara e al tempo stesso lamenti un vizio della procedura di gara o addirittura del bando. Ebbene, secondo un ordine logico su base puramente oggettiva, il giudice dovrebbe esaminare prima i motivi che attengono alla legittimità del bando, in secondo luogo, in caso di infondatezza dei primi, passare all’esame dei motivi relativi ad eventuali vizi della procedura di gara e solo in ultima istanza, in caso di infondatezza di questi ultimi, passare all’esame dei motivi relativi alla legittimità del provvedimento di aggiudicazione. In altri termini, secondo un ordine di priorità logica oggettiva, dovrebbero ritenersi prioritari e assorbenti i vizi che attengono alla legittimità della lex specialis e al rispetto delle forme procedimentali piuttosto che l’illegittimità dell’aggiudicazione, quand’anche l’accoglimento del motivo relativo all’aggiudicazione determinerebbe sic et simpliciter l’aggiudicazione della gara al ricorrente.

Invero, l’ordine descritto, ha orientato in passato la giurisprudenza, attenta più alla legittimità dell’azione amministrativa che all’interesse sostanziale del ricorrente, coerentemente al sistema di giurisdizione oggettiva allora vigente.

Inoltre, in simile sistema, si riteneva che il motivo relativo al vizio di incompetenza avesse una valenza naturalmente prioritaria ed assorbente rispetto a tutti gli altri motivi di ricorso, stante anche il disposto dell’allora vigente art. 26 L. Tar. Tale norma, infatti, prevedeva che, in caso di incompetenza, il giudice dovesse annullare il provvedimento impugnato e rimettere l’affare all’autorità competente, senza poter entrare in alcun modo nel merito della questione, della quale doveva occuparsi la PA competente. Si riteneva, quindi, che, in caso di incompetenza, anche solo relativa, al giudice fosse precluso ogni esame della questione dedotta in giudizio, pena la violazione del principio di separazione dei poteri. In altri termini, l’incompetenza era considerata un’ipotesi di mancato esercizio del potere, poiché, si affermava, l’amministrazione competente non aveva avuto la possibilità di esercitare il proprio potere, con la conseguenza che il giudice non avrebbe potuto  conoscere di un potere non ancora esercitato e così introdurre condizionamenti e vincoli alla azione libera della PA.

Ebbene, oggi l’art 34 cpa non prevede più questa valenza prioritaria del vizio di incompetenza, in  quanto si è ritenuto, contrariamente al passato, che nel caso di incompetenza (relativa) la PA abbia già esercitato il proprio potere, anche se in modo illegittimo, tramite un organo diverso da quello che sarebbe stato effettivamente competente. Peraltro, in dottrina si è osservato che il vizio di incompetenza relativa sarebbe addirittura uno vizio secondario e meramente formale e vale a dire uno di quei vizi che, ex art. 21 octies della L 241/90, non determinano neppure  l’annullamento del provvedimento, nel caso di esercizio di un potere vincolato.

Alla luce del mutato quadro normativo, quindi, si deve ritenere che l’incompetenza dell’organo che ha adottato il provvedimento non comporta più alcuna preclusione per il giudice rispetto all’esame degli ulteriori motivi di ricorso, che non devono per ciò solo ritenersi assorbiti.

Invero, si è osservato che, con il passaggio ad un modello di giurisdizione soggettiva e con l’accoglimento del principio di effettività della tutela dell’interesse legittimo, l’assorbimento dei motivi deve operare con una logica completamente diversa da quella meramente oggettiva, che in passato orientava la giurisprudenza. In altri termini, si deve ritenere che, in un processo volto a stabilire non più solo se la PA ha legittimamente esercitato il potere ad essa attribuito ma, prima ancora, se al privato spetta l’utilità che invoca, l’assorbimento dei motivi non può tradursi in una minorazione della tutela delle ragioni sostanziali del ricorrente.

Ne consegue che il giudice, nell’esaminare i motivi di ricorso, deve seguire un ordine di priorità soggettiva e, quindi, esaminare prioritariamente i motivi il cui accoglimento soddisfi maggiormente l’interesse soggettivo del ricorrente, al di là dell’interesse oggettivo dell’ordinamento.

Pertanto, il giudice deve ritenere prioritari e assorbenti i motivi che soddisfano direttamente l’interesse al bene del ricorrente e, solo se questi risultano infondati, passare all’esame dei motivi che lo soddisfano in modo solo indiretto e, vale a dire, i motivi che soddisfano l’interesse strumentale alla ripetizione della procedura, da quello che comporta la ripetizione minore a quello che comporta la ripetizione più ampia della stessa.

Nell’ipotesi sopra esemplificata della procedura di affidamento di un appalto, quindi, il giudice deve esaminare innanzi tutto il motivo relativo alla illegittimità della aggiudicazione. Infatti, l’accoglimento dello stesso, con assorbimento degli ulteriori motivi afferenti alla legittimità della procedura di gara, determinerebbe l’immediata attribuzione al ricorrente del bene della vita cui aspira, cioè la vittoria della gara. Solo qualora tale motivo dovesse risultare non fondato, il giudice potrebbe passare all’esame dei motivi che tutelano l’interesse strumentale del ricorrente alla ripetizione della procedura di gara.

In conclusione, si può osservare, quindi, che l’assorbimento dei motivi, nel moderno sistema processuale amministrativo, può continuare ad operare soltanto nei limiti in cui non si traduca in un ostacolo alla piena attuazione, nel singolo giudizio, del principio di pienezza ed effettività della tutela.

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