Principio di offensività e disciplina penale degli stupefacenti

Principio di offensività e disciplina penale degli stupefacenti

di Erika Tarquini

Il principio di offensività è un baluardo centrale del diritto penale moderno. Lungamente ignorato da dottrina e giurisprudenza, esso assurge oggi a parametro cardine di valutazione della punibilità, esprimendo l’esigenza che il fatto punito dal legislatore si ritenga tipico nella misura in cui sia idoneo a porre quantomeno in pericolo beni giuridici aventi aggancio costituzionale.

La travagliata storia sottesa al riconoscimento di questo principio nel nostro ordinamento giuridico non è di poco momento. Il codice Rocco, risalente agli anni 30 del secolo scorso, vide la luce in piena epoca fascista: lungi dal “preoccuparsi” della necessità dell’offesa al bene giuridico, esso piuttosto incardinava una concezione soggettivistica del reato. Il diritto penale, infatti, era strumento punitivo di comportamenti ritenuti contrari alla morale fascista che si riteneva doveroso imporre; in tal senso, esso si presentava come un diritto penale d’autore. I comportamenti qualificati come reato, in sostanza, erano tali non certo perché offensivi di beni giuridici, quanto piuttosto poiché espressivi di un’implicita inclinazione alla disobbedienza riconducibile al suo autore che, avendo trasgredito il precetto imposto dallo stato autoritario, era per ciò solo passabile di sanzione penale.

Questa concezione dello ius terribile quale “diritto penale del nemico” ovvero “diritto penale della mera disobbedienza” – peraltro, si badi, tuttora propria degli ordinamenti teocratici e assolutistici – non può trovare alcun accoglimento in un diritto penale laico, improntato al rispetto della sfera personale e familiare degli omnes, in cui la sanzione penale si giustifica soltanto in funzione di ultima ratio.

E’ in tal senso che, a partire dagli anni 60 del secolo scorso, è stata riscoperta la centralità del bene giuridico con conseguente nascita della teoria dell’offensività: uno dei fondamentali elementi costitutivi del fatto penalmente rilevante è l’offesa ai beni giuridici tutelati, che può configurarsi nella forma della lesione o del pericolo per l’integrità dei beni medesimi. Giova a tal fine precisare che il riferimento al bene giuridico meritevole di tutela deve essere inteso non solo nel senso di proteggere i beni giuridici aventi copertura costituzionale espressa, bensì, per sgombrare il campo da impostazioni eccessivamente restrittive, tutti i beni che vantino un aggancio alla Carta Fondamentale del 1948. Questo significa che nell’impianto giuridico attuale bisognerà procedere ad una lettura costituzionalmente orientata dei beni suscettibili di protezione e, dunque, dello stesso diritto penale. Non è un caso che, come più volte ribadito dalla Corte Costituzionale (sent. 360/95 e sent. 296/96), il principio di offensività operi su un duplice piano: quello della previsione normativa, quale direttrice imposta al legislatore che deve prevedere fattispecie astrattamente idonee ad esprimere un contenuto lesivo (offensività in astratto), e quello dell’interpretazione giurisprudenziale, quale criterio applicativo affidato al giudice che è chiamato a verificare che il fatto sussumibile sotto la fattispecie astratta abbia, in concreto,  effettivamente leso o messo in pericolo il bene tutelato (offensività in concreto).

Sebbene, dunque, sia pacifica la centralità del parametro suddetto nell’attuale sistema penale, cionondimeno sono state numerose le questioni dibattute concernenti il principio de quo.

In primis, proprio perché germogliato dalla raffinatezza degli operatori del diritto, l’offensività non trova fondamento esplicito all’interno della Costituzione né è in alcun modo definito ovvero richiamato tra la legislazione primaria. Dunque, indispensabile appariva la ricerca di un referente normativo di rango costituzionale, il solo idoneo a consacrare il principio di necessaria lesività una volta per tutte, così da porlo a riparo da eventuali interventi di espunzione del medesimo dall’ordinamento giuridico.

In particolare, la dignità costituzionale è stata ricavata dal combinato disposto degli artt. 13, 25 e 27 Cost.. L’art. 13, infatti, riservando ai soli casi e modi previsti dalla legge il compito di limitare la libertà personale, può ritenersi evocativo del principio di necessaria proporzionalità tra offesa e risposta punitiva: ove non sia neppure messo in pericolo il bene giuridico, appare sproporzionato l’intervento del diritto penale. L’art. 27, poi, codifica la rieducazione quale esigenza sottesa all’irrogazione della sanzione penalmente rilevante; così, se il reo venisse punito in quanto autore di fatti inoffensivi, non potrebbe neppure immaginarsi una finalità rieducativa. L’art. 27, quindi, mira ad evitare strumentalizzazioni del diritto penale ad opera del legislatore, precludendogli la configurazione di illeciti di mera disobbedienza. Infine, centrale è l’art. 25 che, riferendosi al fatto tipico, ricomprende in sé, per ciò solo, la necessità dell’offesa al bene giuridico tutelato.

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