PROTOCOLLI DI LEGALITA’ NELLE PROCEDURE AD EVIDENZA PUBBLICA

I PROTOCOLLI DI LEGALITA’ NELLE PROCEDURE AD EVIDENZA PUBBLICA

Chiara Tavolaro

I protocolli di legalità si estrinsecano in accordi stipulati tra la stazione appaltante e le imprese che intendono partecipare ad una pubblica gara, attraverso cui la prima assume l’obbligo di inserire nel bando di gara, quale condizione per la partecipazione, l’accettazione preventiva da parte degli operatori economici di clausole dirette a prevenire il rischio di infiltrazioni mafiose, che possano minare la bontà e la regolarità dell’aggiudicazione della commessa pubblica e, a fortiori, la stipula del conseguente contratto.

Se ne inferisce che la finalità perseguita dalla stipula dei protocolli di legalità si muove lungo la stessa linea di quella delle comunicazioni e informazioni prefettizie antimafia di cui al d.lgs. 159/11, la sola differenza consistente nella collocazione temporale anticipata dei protocolli di legalità rispetto alle misure di contrasto alla criminalità organizzata contenute nel Codice antimafia.

In altri termini, i protocolli in commento vengono redatti e firmati in un momento anticipato rispetto alla eventuale richiesta – ad opera della stazione appaltante – al prefetto delle comunicazioni e  informazioni antimafia, con cui rispettivamente si chiede l’accertamento della sussistenza o meno di situazioni ostative alla stipula del contratto con la pubblica amministrazione (quali cause di sospensione, decadenza o sentenze penali di condanna nei confronti degli operatori economici) ovvero l’acquisizione di notizie inerenti a tentativi di infiltrazioni mafiose.

Il nesso tra i protocolli e le informazioni è ancora più stringente e supera la mera condivisione di finalità, se solo si considera che esempio paradigmatico di protocollo di legalità è l’accordo con cui si rende obbligatoria la richiesta dell’informazione prefettizia al di sotto delle soglie di valore economico previste dall’art. 91 del d.lgs. 159/11.

La redazione di tali protocolli di legalità ha avuto origine negli anni ’90, in un periodo in cui si è palesato con tutta la sua forza il fenomeno corruttivo e se ne è compresa la spiccata attitudine ad incidere, negativamente, nella vita economica e finanziaria della società. Tali forme di accordi assumevano la dizione di “patti di integrità” e contenevano un nutrito elenco di prescrizioni, oggetto di puntuale rispetto ai fini della partecipazione alle pubbliche gare da parte degli operatori economici interessati.

Indagando circa la fonte legittimante la suddetta prassi di redazione di accordi de quibus, occorre affermare – in assenza di adeguata copertura legislativa – che il fondamento poteva essere rinvenuto – ad una prima analisi – nell’art. 176. 3 lett. e) del Codice dei contratti pubblici vigente fino all’aprile 2016, perché sostituito con il più snello d. lgs. 50/2016.

La norma da ultimo citata, irtamentali contenute nel bando – in ossequio al patto di integrità – non possono essere punite nella fase esecutiva con l’esclusione dalla gara (per una mera questione di logicità temporale), tutt’al più potendo le stazioni committenti esperire il rimedio civilistico della risoluzione contrattuale.

Ad una più corretta interpretazione, conforme alla ratio ispiratrice della diffusione dei protocolli di legalità, la disposizione che ha dato copertura legislativa ai patti de quibus avrebbe dovuto prevedere come violazione punibile con l’esclusione dalla gara la mancata accettazione del contenuto delle clausole del bando contenute nei protocolli, non già il mancato rispetto delle clausole medesime.

Come già brevemente rilevato, il Codice degli Appalti (d. lgs. 163/2006) è stato di recente sostituito dal d. lgs. 50/2016, all’interno del quale – tuttavia – non è presente in rubrica alcuna menzione a tali protocolli di legalità, la quale avrebbe in modo chiaro e definitivo consentito il superamento del problema della copertura legislativa (a cui ha posto una soluzione solo parziale la legge 190/12 per le ragioni suesposte), con conseguente fuga di ogni dubbio in merito alla legittimità degli stessi.

Ad ogni buon conto, un implicito riferimento ai protocolli di legalità può essere rinvenuto nel combinato disposto dagli artt. 32 e 80, rubricati rispettivamente “Fasi delle procedure di affidamento” e “Motivi di esclusione”.

Infatti, ai sensi dell’art. 32.2 del d. lgs. 50/16, prima dell’avvio delle procedure di affidamento dei contratti pubblici, le stazioni appaltanti decretano o determinano di contrarre, individuando gli elementi essenziali del contratto e i criteri di selezione degli operatori economici e delle offerte; secondo l’art. 80.2, si aggiunge, costituiscono motivo di esclusione – oltre alla sussistenza di cause di sospensione, decadenza previste nelle informazioni e comunicazioni prefettizie antimafia – altresì i tentativi di infiltrazione mafiosa di cui all’art. 84 del Codice antimafia, al cui aggiramento sono preordinati i protocolli di legalità.

Pertanto, è di facile intuizione ritenere che i suddetti patti di integrità (o come di si voglia protocolli di legalità) possono collocarsi nei “criteri di selezione” previsti dall’art. 32 del nuovo Codice degli appalti, la cui mancata adesione comporta l’esclusione dalla gara – ai sensi dell’art. 80  – dell’operatore non ottemperante alle prescrizioni imposte dalla lex specialis, tra cui si annoverano anche quelle cristallizzate nei protocolli medesimi.

In conclusione, è doveroso evidenziare che le prescrizioni e le regole contenute nei protocolli di legalità, essendo limitative della libertà di organizzazione dell’impresa nonché della libertà di iniziativa economica privata di cui all’art. 41 Cost., vanno applicate nel rispetto dei principi di proporzionalità, al fine di ricercare un equo compromesso tra la prevenzione di condotte anticoncorrenziali aventi connotazione mafiosa e il principio di libera organizzazione dei mezzi imprenditoriali. Tale equo compromesso, in altre parole, si sostanzia nella valutazione plurima di una serie di voci, quali il numero di imprese operanti nel settore interessato, le loro dimensioni e il livello di rischio di infiltrazioni mafiose insito in ciascuna tipologia di lavori, beni o servizi oggetto della pubblica gara.

Ne consegue che, ogniqualvolta le clausole contenute nei protocolli siano il frutto di una attenta e scrupolosa valutazione condotta dalla stazione appaltante, non revocabile in dubbio è la bontà e la legittimità delle stesse, non potendosi assumere la lesione di alcun principio rilevante, quali la parità di trattamento, il divieto di discriminazione degli operatori economici nel mercato e per il mercato (che permea le procedure ad evidenza pubblica), né il principio di proporzionalità tra mezzi utilizzati e scopi perseguiti dalla pubblica amministrazione, che costituisce la base del contemperamento delle esigenze di natura diversa cui si è testè fatto riferimento….

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