Recesso dal contratto per informativa prefettizia negativa illegittima: profili processuali e sostanziali.
Recesso dal contratto per informativa prefettizia negativa illegittima: profili processuali e sostanziali.
svolgimento a cura della D.ssa Silvia Rea
corso magistratura Justowin 2016-2017
La ratio sottesa al sistema dell’aggiudicazione dei contratti pubblici è fondamentalmente quella di perseguire esigenze di pubblico rilievo garantendo la qualità delle prestazioni nel rispetto dei principi di libera concorrenza, trasparenza e non discriminazione.
Nell’ambito di tale prospettiva risulta di primaria importanza la neutralizzazione del rischio di affidare il contratto pubblico ad imprese che possono essere collegate alle cosche mafiose di qui, la necessità da parte dello Stato di approntare una serie di controlli con riguardo ad ogni soggetto economico che si accinga a contrattare con la pubblica amministrazione.
In questo ambito un ruolo centrale riveste ,accanto alle misure di prevenzione ed alle sanzioni penali, l’acquisizione della “documentazione antimafia”.
Questa rappresenta una anticipazione della soglia della difesa sociale ai fini di una tutela avanzata nel campo della criminalità organizzata.
Le cautele antimafia,a differenza delle sanzioni, non obbediscono a finalità di accertamento di responsabilità ma rappresentano la massima anticipazione dell’azione di prevenzione rispetto alla quale sono per legge rilevanti fatti o vicende anche solo sintomatici ed indiziari al di là della responsabilità penale.
La disciplina della documentazione antimafia è contenuta nel relativo Codice di cui al d.lgs. 159/2011 ed ha,appunto,lo scopo di contrastare infiltrazioni malavitose in uno dei settori maggiormente ambiti dalla criminalità organizzata quale, appunto, quello degli appalti pubblici.
Le disposizioni ivi contenute sono figlie di una evoluzione legislativa in materia che prende le mossa dalla L.n.575/65.
Quest’ultima già subordinava la stipulazione dei contratti da parte della p.a. alla presentazione ,ad opera dell’istante o del richiedente, della c.d. certificazione antimafia rilasciata dalla Prefettura.
Da tale documentazione potevano emergere cause interdittive alla stipulazione del contratto quali la sentenza definitiva di condanna per uno dei reati di cui all’art. 53 co.1 bis c.p.p. ovvero l’applicazione di una misura di prevenzione.
La cennata disciplina imponeva,inoltre,per i contratti pubblici che oltrepassavano una determinata soglia l’acquisizione da parte delle amministrazioni della cosiddetta informativa prefettizia che, oltre a confermare le cause interdittive alla stipulazione, conteneva cause ostative alla conclusione del contratto elaborate secondo valutazioni discrezionali ad opera del Prefetto.
Accanto alle informative tipiche ,in quanto rilasciate dal Prefetto a seguito di apposita attività istruttoria ,vi erano ,inoltre, le cosiddette “informative atipiche” che non presupponevano la raccolta di elementi probatori certi circa la compromissione del soggetto considerato in rapporti con la criminalità organizzata ma venivano emanate sulla base di elementi indicativi di una situazione poco chiara e tali da imporre alla p.a. di non concludere o proseguire rapporti contrattuali con i soggetti coinvolti.
Il codice Antimafia viene,dunque, adottato nell’ambito del presente quadro normativo e risponde fondamentalmente ad una esigenza di semplificazione e di ottimizzazione della disciplina delle “comunicazioni antimafia”.
A tal proposito, viene innanzitutto istituita la “Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia” con lo scopo di agevolare la raccolta delle informazioni su scala nazionale.
All’art. 83 del d.lgs.158/11 viene ,invece, circoscritto l’ambito di applicazione della detta documentazione definendo i soggetti che sono tenuti all’acquisizione della documentazione in parola prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici.
Inoltre, il legislatore,ricalcando la previgente disciplina, chiarisce che la “documentazione antimafia” è costituita dalla comunicazione antimafia e dalla informazione antimafia.
Mentre la prima ha valenza di sei mesi dalla data dell’acquisizione e consiste nell’attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, sospensione o divieto di cui all’art. 67 del d.lgs.159/11, l’informativa antimafia deve essere acquisita solo nel caso in cui il contratto stipulato con la p.a. abbia un valore superiore a centocinquantamila euro.
Essa consiste nella certificazione della sussistenza o meno di una della cause di decadenza, sospensione o divieto di cui all’art.67 nonché nell’attestazione della sussistenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi della società o imprese interessate alla contrattazione con la p.a.
Ancora, viene chiarito che l’esistenza dei detti tentativi di infiltrazione mafiosa è desunta , tra le altre cose, dagli accertamenti disposti dal Prefetto anche avvalendosi dei poteri di accesso e di accertamento delegati dal Ministero degli interni.
Il Codice antimafia disciplina ,poi, i termini entro i quali deve essere rilasciata la cennata documentazione stabilendo che il rilascio sia della comunicazione sia del l’informazione deve essere immediatamente conseguente alla consultazione della Banca dati ove non emerga a carico dei soggetti censiti la sussistenza di una causa di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art. 67 .
Di contro, qualora dalla consultazione della Banca dati nazionale emerga una della condizioni di cui sopra, il Prefetto è tenuto a rilasciare la comunicazione entro trenta giorni dalla data di consultazione elevando il termine a quarantacinque giorni per le informative le cui verifiche presentino particolari complessità.
Decorsi i termini previsti dall’art. 92 co.2 per l’acquisizione della informativa antimafia il Codice prevede che in caso di “urgenza” il soggetto pubblico può comunque procedere alla stipula del contratto.
In tale ipotesi il legislatore, sempre in un’ottica di perseguimento e tutela delle esigenze pubbliche, ha stabilito che l’eventuale rilascio di una informazione prefettizia positiva sopravvenuta alla conclusione del contratto pubblico impone alla p.a. di recedere dallo stesso “fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite ed il rimborso delle spese sostenute per la esecuzione del rimanente nei limiti delle utilità conseguite”.
Orbene, la disciplina del Codice risponde ad un sistema cosiddetto dinamico in quanto stabilisce che l’autorità prefettizia può procedere ad effettuare controlli anche successivamente alla stipula del contratto con la p.a..
Anche in questo caso, qualora vengano accertate le cause di decadenza, sospensione o divieto di cui all’art. 67 la stazione appaltante deve procedere al recesso dal contratto non essendole riconosciuto alcun margine di discrezionalità in merito.
Tuttavia, al solo fine di tutelare l’interesse pubblico attraverso una valutazione di convenienza ricondotta fondamentalmente al tempo dell’esecuzione del contratto,l’art. 94 co.3 ha stabilito in via eccezionale che qualora successivamente alla conclusione del contratto con la p.a. venga accertata con informativa prefettizia la sussistenza di una causa di divieto indicata nell’art. 67 nonché la sussistenza di elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa, è concesso alla p.a. appaltante di non recedere dal contratto già stipulato.
Ciò avviene ove l’opera sia in corso di ultimazione ovvero la fornitura di beni e servizi sia ritenuta essenziale per il perseguimento dell’interesse pubblico e sempre che il soggetto che fornisce il detto servizio non sia sostituibile in tempi celeri.
Il nuovo dato normativo reca quindi una forte limitazione a quella che nella disciplina previgente pareva essere un’ampia discrezionalità della p.a. in tema di recesso atteso che la prosecuzione del rapporto contrattuale, in caso di informativa negativa illegittima, viene circoscritto alle sole ipotesi sopra menzionate.
In ogni altro caso l’amministrazione risulta invece obbligata a recedere dal contratto.
Come è noto, l’art. 21 sexies L.241/90 riconosce alla stazione appaltante,una volta intervenuta la stipula del contratto, la possibilità di recedere unilateralmente dal contratto nei soli casi previsti dalla legge o dal contratto medesimo
Dunque, come ampiamente chiarito anche dalla giurisprudenza ( A. Plenaria n.14/14) la p.a. a seguito della conclusione del contratto, venendosi a trovare in una posizione equiordinata rispetto al privato ,dovrà necessariamente ricorrere all’istituto privatistico del recesso e non a quello della revoca ,di cui all’art. 21 quinques L.241/90, espressione invece di un potere di autotutela pubblicistica, invocabile dalla p.a. esclusivamente nella fase procedimentale della scelta del contraente e , dunque, sino alla stipulazione del contratto.
Ancora, circa la natura giuridica del recesso dal contratto di appalto ex art. 94 D.lgls. 159/11 ,parte della giurisprudenza sostiene che esso rappresenta una specificazione della fattispecie più generale della sopravvenienza in corso di rapporti incompatibile con il prosieguo della sua esecuzione.
Di contro,altro filone giurisprudenziale ha invece osservato che il recesso unilaterale cui ricorre la p.a. in caso di informativa positiva,sopraggiunta successivamente alla conclusione del contratto, non trova fondamento in inadempienze verificatesi nella fase di esecuzione del medesimo bensì essendo consequenziale alla informativa prefettizia è espressione di un potere di valutazione di natura pubblicistica.
Ciò in quanto l’art. 94 D.lgs. n.159/11 impone alla stazione appaltante, in una prospettiva di tutela di esigenze pubblicistiche, uno specifico obbligo di recedere dal contratto in caso di informativa antimafia positiva tardiva.
Dunque, in ragione di quanto detto il privato sarebbe legittimato a vantare avverso l’attivazione del potere di recesso una situazione giuridica di interesse legittimo idonea ad attribuire la relativa controversia alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Altra questione che si pone con riferimento al recesso dal contratto da parte della p.a. a seguito di informativa prefettizia negativa illegittima è quello della individuazione del T.A.R. competente a giudicare.
In particolare la problematica emerge allorquando vengono contestualmente impugnati l’informativa inderdittiva prefettizia ex art. 91 d.lgs.159/11 ed i conseguenti atti applicativi adottati dalla stazione appaltante ai sensi dell’art. 94 del d.lgs.159/11 per effetto del quale, come visto, è fatto obbligo a tutte le amministrazioni destinatarie dell’informativa di revocare le autorizzazioni e le concessioni nonché di recedere dal contratto.
La questione è stata ampiamente risolta da una recente pronuncia della Adunanza Plenaria ( A.P. n. 17/14) che, discostandosi da un suo precedente indirizzo ermeneutico, ha ricondotto la competenza a conoscere dell’impugnazione della informativa prefettizia al T.A.R. del luogo ove ha sede la prefettura che ha adottato l’atto è ciò anche nel caso in cui vi sia stata impugnativa contestuale dell’informativa e degli atti applicativi.
La cennata decisione fonda il proprio presupposto sulla circostanza che l’informativa prefettizia esplica i propri effetti su tutto il territorio nazionale.
A tale conclusione il Supremo consesso approda dopo essersi discostato dalle sue precedenti pronunce emanate ,tra l’altro, sulla scorta di un quadro legislativo differente rispetto alla disciplina posta dall’art.91 d.lgs.159/11.
E difatti, con riferimento al precedente assetto normativo l’Adunanza Plenaria. aveva ritenuto che l’informativa prefettizia tipica non costituiva atto a portata generale sull’intero territorio.
In ragione di ciò si riteneva che la stessa poteva dispiegare i suoi effetti solo in seno al singolo rapporto cui atteneva e ,perciò, limitatamente all’ambito di circoscrizione territoriale ove questo si svolgeva.
Ne discendeva dunque che in caso di impugnativa congiunta dell’informativa prefettizia e dei successivi atti applicativi adottati dalla stazione appaltante la competenza territoriale spettava al T.a.r. del luogo ove aveva sede quest’ultima prevalendo ,a parere della giurisprudenza, il criterio degli “effetti territoriali limitati” di cui all’art. 13 co.1 c.p.a.
Con una recente pronuncia l’Adunza Plenaria ha spiegato che le dette conclusioni non sono più compatibili con l’attuale quadro normativo ove, come noto, all’art. 91 dlgls 159/11 il legislatore, dando attuazione ad una esigenza di trasparenza ed informazione, ha previsto che l’informativa antimafia è un provvedimento che dispiega i suoi effetti su tutto il territorio nazionale.
Difatti, essa va comunicata ad una serie di altri enti che a loro volta posso adottare ,in conseguenza della detta informativa ,ulteriori provvedimenti e non tutti predeterminabili a priori nel loro contenuto.
Da ciò ne discende che in caso di contestuale impugnativa dell’informazione prefettizia e degli atti applicativi adottati dalla stazione appaltante, quale ad esempio il recesso dal contratto, non può trovare applicazione il co.4-bis dell’art. 13 cpa.
Quest’ultimo ,infatti, presuppone che in tema di competenza territoriale il provvedimento da cui deriva l’interesse a ricorrere attrae a sé gli atti presupposti dallo stesso provvedimento, tranne che si tratti di atti normativi o generali.
Ebbene, come chiarito dalla giurisprudenza dominante l’informativa prefettizia non può essere annoverata tra gli “atti presupposto” atteso che devono considerarsi tali quelli “non immediatamente lesivi e ,dunque, non autonomamente impugnabili”.
È pacifico ,infatti, che l’informativa prefettizia è immediatamente lesiva sia per l’impresa sia in considerazioni delle conseguenze negative che produce in ordine ai contratti in essere e come tale è quindi suscettibile di impugnazione autonoma.
Pertanto,la giurisprudenza aderendo ad una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 14 c.p.a sostiene che in caso di recesso della p.a. dal contratto di appalto per informativa negativa illegittima l’interesse a ricorrere della società si appunta innanzitutto sulla informativa prefettizia.
L’interesse principale del ricorrente è dunque quello di contestare la sussistenza dei presupposti che hanno condotto all’emissione della informativa con la conseguenza che il giudizio avente ad oggetto gli atti applicativi assume carattere accessorio.
Orbene, in forza dell’applicazione ,ex art. 39 c.p.a., dell’art. 31 c.p.c. che disciplina i rapporti di connessione tra causa principale e causa accessoria si giunge a ritenere competente in caso di contestuale impugnazione dell’informativa prefettizia e dell’atto applicativo di recesso dal contratto il giudice competente a conoscere della prima.
La detta conclusione coniuga tra loro diverse soluzioni atteso che innanzitutto previene il fenomeno del c.d. “forum shopping” che il nuovo c.p.a. ha inteso evitare e ,non da ultimo, garantisce l’ esigenza di concentrazione dei procedimenti nonché la realizzazione del simultaneus processus nel rispetto della effettività della tutela giurisdizionale secondo i principi comunitari e costituzionali di cui agli artt. 24 e 111 Cost..