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Recesso del contratto per informativa prefettizia negativa illegittima

Recesso del contratto per informativa prefettizia negativa illegittima

Svolgimento a cura di Giuseppe Ronzino

La disciplina concernente il sistema di aggiudicazione dei contratti pubblici è diretta, in via prioritaria,  alla tutela della concorrenza, essendo finalizzata ad evitare discriminazioni basate sulla nazionalità nell’affidamento delle commesse pubbliche e a consentire, mediante un’effettiva apertura al mercato concorrenziale, la conclusione  del contratto con il miglior offerente (in conformità ai criteri selettivi del prezzo più basso ovvero dell’offerta economicamente più vantaggiosa), e, in via residuale, a perseguire esigenze di pubblico rilievo: tra queste ultime assume notevole importanza la neutralizzazione del rischio di affidare il contratto pubblico ad operatori economici coinvolti ovvero legati all’associazionismo mafioso. E’ stato così introdotto l’istituto dell’ informativa antimafia, che, accanto alle misure di prevenzione e alle sanzioni penali,  costituisce uno strumento idoneo  a implementare i mezzi per arginare e fronteggiare il fenomeno della  proliferazione delle associazioni mafiose: il legislatore  ha dedicato un intero libro del Codice Antimafia (rubricato “nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia”) alla regolamentazione della documentazione antimafia, che rinviene la sua  ratio nella constatazione che uno degli obiettivi  preminenti delle cosche mafiose è quello di aggiudicarsi appalti pubblici tramite società finanziate ovvero sottoposte a controllo da parte delle organizzazioni mafiose, stante l’enorme disponibilità di risorse economiche da parte di queste ultime; l’ordinamento giuridico, pertanto, intende evitare che la societas sceleris possa, in via indiretta, essere affidataria di contratti pubblici (effettuando opere o fornendo beni e servizi che determinano la spendita di mezzi pubblici riferibili alla collettività) ovvero essere destinatarie di concessioni, vantaggi od agevolazioni pubbliche. Descritta la finalità che orienta l’istituto in esame e passando alla analisi del meccanismo operativo dell’informativa antimafia, è possibile affermare che sussiste il divieto di concludere il contratto in presenza di una documentazione antimafia che attesti la sussistenza di elementi che accertino la presenza di infiltrazioni mafiose nei confronti dell’operatore economico risultante aggiudicatario all’esito della procedura di evidenza pubblica; inoltre, in caso di documentazione antimafia (attestante il coinvolgimento del soggetto aggiudicatario con le trame dei clan mafiosi) rilasciata successivamente alla stipulazione del contratto, è consentito alla P.A. di recedere dal contratto. Ricostruita brevemente la fisionomia della documentazione antimafia, è opportuno approfondire i profili problematici  concernenti l’istituto in commento, affrontando in primis l’evoluzione che ha segnato la disciplina dell’informativa antimafia, e, successivamente, la peculiare natura del diritto di recesso concesso  alla stazione appaltante a seguito del rilascio della documentazione antimafia, alla luce dei poteri, riservati in via generale alla P.A., di recesso unilaterale del contratto. La documentazione antimafia era contemplata, prima dell’entrata in vigore del Codice Antimafia, nella l. n. 575/65, che fissava l’obbligo, posto in capo alla stazione appaltante, di richiedere il rilascio dell’apposita informativa, prima di stipulare, approvare e autorizzare i contratti e subcontratti relativi ai lavori, servizi e forniture pubbliche che superavano gli importi prefissati dalla legge: con maggior impegno esplicativo la stazione appaltante era tenuta a richiedere la cosiddetta “comunicazione antimafia”, che poteva contenere la presenza di causa interdittive alla stipulazione del contratto (rientravano nel novero delle cause interdittive la sentenza definitiva di condanna per uno dei reati di cui all’art. 51 c.3 bis c.p.p. ovvero l’applicazione di una misura di prevenzione). Accanto all’obbligo di richiedere la comunicazione antimafia, per contratti pubblici che oltrepassavano  una determinata soglia, era previsto  anche l’obbligo di richiedere all’Autorità prefettizia la cosiddetta informativa prefettizia che presentava un triplice ordine di informazioni:  in primis erano previste le informazioni volte a confermare la sussistenza di cause interdittive alla stipulazione  del contratto (in linea con  il contenuto informativo della comunicazione antimafia); inoltre l’informativa prefettizia doveva prevedere le cause ostative alla conclusione del contratto elaborate secondo la discrezionale valutazione effettuata dal Prefetto (deputato così a valorizzare determinati elementi probatori in grado di svelare il rischio della presenza  di infiltrazioni mafiose); infine, erano individuate anche le cosiddette informazioni atipiche che, pur non integrando fattori causali interdittivi della stipulazione del contratto (espressamente previsti dalla legge o in forza di valutazioni di competenza dell’Autorità prefettizia), la stazione appaltante poteva autonomamente qualificare come cause impeditive della conclusione del contratto, manifestando il potenziale tentativo di infiltrazioni mafiose. In questo senso, in attesa del rilascio della comunicazione e dell’informativa prefettizia, la stazione appaltante non poteva procedere alla conclusione del contratto,ed inoltre, nelle ipotesi di ritardo nel rilascio della comunicazione o dell’informativa prefettizia, o in presenza di una documentazione sopravvenuta alla conclusione del contratto, era fatto salvo alla stazione appaltante il potere/dovere di recedere dal contratto. Le esigenze di semplificazione e di armonizzazione della legislazione antimafia hanno determinato una profonda evoluzione normativa, culminata con l’adozione del Codice Antimafia (d.lgs. n. 159/2011) che riserva alla disciplina sulla documentazione antimafia gli artt. 82 ss d.lgs. n.159/2011. Si segnala, preliminarmente, al fine di perseguire l’obiettivo di semplificazione e di ottimizzazione del sistema concernente la documentazione antimafia, l’introduzione della Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, destinata a raccogliere i dati concernenti le informazioni antimafia elaborate su scala nazionale. L’art. 83 d. lgs. n. 159/2011  definisce l’ambito di applicazione della disciplina relativa alla documentazione antimafia, disponendo che i soggetti tenuti al rispetto della disciplina ad evidenza pubblica nella selezione del contratto, prima della stipulazione, approvazione o autorizzazione di contratti o subcontratti relativi ai lavori, servizi o forniture, il cui valore complessivo sia superiore ai 150.000 euro, devono acquisire la documentazione antimafia. La documentazione, in linea con la disciplina previgente, si risolve nella comunicazione e nella informativa antimafia, che devono presentare il medesimo contenuto originariamente fissato dalla legislazione precedente: la comunicazione antimafia può dunque prevedere le cause interdittive della stipula del contratto ex art. 67 d. lgs. n. 159/2011, mentre l’informazione antimafia deve attestare non solo la sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art. 67 d. lgs. n.159/2011, ma altresì deve indicare  la presenza di elementi attestanti eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa, rimessi alla discrezionale valutazione dell’autorità prefettizia, in base ai parametri scolpiti ai sensi dell’art. 84 c.4 d.lgs.n.159/2011. Giova considerare che, a differenza dell’antecedente normativa antimafia, l’informazione antimafia non contempla le informazioni cosiddette atipiche che devolvevano alla stazione appaltante la valutazione concernente la presenza di tentativi di infiltrazioni mafiose in grado di condizionare le scelte e gli indirizzi delle imprese o società; l’art. 1septies d.l. n. 69/1982 consente comunque alla stazione appaltante di utilizzare informazioni atipiche (dalle quali sia possibile dedurre il connubio tra l’operatore economico e le società mafiose) al fine di esercitare il potere discrezionale di non concludere il contratto con il soggetto aggiudicatario ovvero di recedere dal contratto pubblico.   L’art. 91 d. lgs. n. 159/1/2011 prevede le ipotesi in cui è necessaria l’acquisizione dell’informativa prefettizia. Prestando attenzione al procedimento di rilascio dell’informativa prefettizia, l’art. 92 d. lgs. n. 159/2011 dispone l’immediato rilascio dell’informazione antimafia liberatoria (o negativa, che consente di procedere alla stipulazione del contratto), qualora dalla banca dati non emergano cause interdittive di cui all’art. 67 d. lgs n. 159/2011; l’art. 92 d. lgs. n. 159/2011 statuisce che, qualora dalla consultazione della Banca dati si manifestano cause di decadenza, di sospensione, di divieto o di  tentativi di infiltrazione mafiosa, il Prefetto rilascia l’informativa entro il termine di quarantacinque giorni dal ricevimento della richiesta e, in presenza di indagini di particolare complessità, l’autorità prefettizia ne dà comunicazione senza ritardo alla  stazione appaltante e fornisce le informazioni entro i successivi trenta giorni.

La stazione appaltante, in forza dell’art. 92 c.3 d. lgs. n. 159/2011,  può comunque procedere alla conclusione del contratto, in caso di mancata acquisizione dell’informazione antimafia nel termine di cui all’art. 92 comma 2 d. lgs. n. 159/2011 (e, nei casi di urgenza, decorso il termine di quindici giorni): l’eventuale rilascio di una informazione prefettizia positiva (ostativa dunque alla conclusione del contratto) sopravvenuta alla stipulazione del contratto pubblico impone alla  stazione appaltante di recedere dai contratti pubblici, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite. Dal combinato disposto degli artt. 91-94 d. lgs. n. 159/2011 emerge, in  presenza di una informativa “positiva”,  non solo il divieto di stipulare il contratto con il soggetto aggiudicatario, ma altresì il dovere di recedere dal contratto, qualora l’informativa antimafia sia stata rilasciata posteriormente alla conclusione del contratto. Si sottolinea che l’architettura regolamentare concepita dal Codice Antimafia consente di configurare un sistema dinamico di documentazione antimafia, potendo l’autorità prefettizia procedere agli accertamenti funzionali ad evidenziare situazioni di contiguità e  collusione con le associazioni mafiose anche successivamente alla conclusione del contratto; alla stazione appaltante risulta comunque assicurata la possibilità di liberarsi dal vincolo contrattuale esercitando il potere di recesso ex art. 94 d. lgs. n. 159/2011. Inoltre, è consentito alla stazione appaltante,  alla luce del modello dinamico di acquisizione dell’informativa antimafia, di recedere dal contratto stipulato, in presenza di una informativa prefettizia negativa illegittima, nei casi in cui il vizio che affligge il provvedimento in esame sia stato oggetto di accertamento in sede giurisdizionale ovvero sia stato riscontrato a seguito dei successivi accertamenti posti in essere dalla medesima Autorità prefettizia (che può esercitare, pertanto, un effettivo potere di riesame).

Infine, l’art. 93 c. 3 d. lgs. n.159/2011 afferma, in simmetria con gli artt. 121, 122, 123 c.p.a., il divieto di procedere al recesso del contratto qualora l’opera sia in corso di ultimazione ovvero, in caso di fornitura di beni e servizi ritenuta essenziale per il perseguimento dell’interesse pubblico, qualora il soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidi: nelle ipotesi sopra descritte, pertanto, l’interesse di stampo pubblicistico che orienta il recesso dei contratti stipulati con operatori economici sottoposti a tentativi di infiltrazioni mafiose cede il passo ad ulteriori esigenze pubbliche ritenute preminenti dal legislatore codicistico.

Delineato il quadro normativo di riferimento concernente la documentazione antimafia, si può focalizzare l’attenzione sulla tematica avente ad oggetto  la natura giuridica del recesso di cui all’art. 94 d. lgs. n. 159/2011: in via preliminare è essenziale individuare i poteri e le facoltà, devolute alla stazione appaltante, dirette a risolvere, in via unilaterale, il contratto. Non v’è dubbio che la stipulazione del contratto segna il momento iniziale della fase privatistica, caratterizzata dall’instaurazione di un rapporto paritetico tra stazione appaltante e contraente privato, regolato da norme privatistiche, e che succede al rapporto di stampo pubblicistico, tra P.A. e operatore economico, conclusosi a seguito della emanazione del provvedimento di aggiudicazione definitiva. Logico corollario delle asserzioni sopra descritte è l’assoggettamento ai principi e alla disciplina privatistica del rapporto contrattuale che lega la stazione appaltante e il soggetto privato, come suggerisce l’art.1 c.1 bis l. 241/90: in questo senso, norma cardine della regolamentazione del potere di autotutela privatistica assegnato alla stazione appaltante risulta l’art. 21 sexies l. n. 241/90, che riproduce il contenuto precettivo delle disposizioni privatistiche di cui  agli artt.  1372- 1373 c.c. (consentendo  alla P.A. di recedere dai contratti nei soli casi previsti dalla legge o dal contratto). Ci si è domandati se, al fianco del potere di recesso, espressione del potere di autotutela privatistica, sia possibile ammettere l’esercizio del potere di autotutela pubblicistica ex art.21 quinquies l. n. 241/90 idoneo a impattare sul provvedimento di aggiudicazione definitiva del contratto. L’orientamento prevalente, suffragato da un recente arresto, in tema di potere di recesso da contratto relativo ai lavori pubblici,  dell’Adunanza Plenaria ( n. 14/2014 ), ha ribadito l’inammissibilità dell’esercizio del potere di revoca ex art.21 quinquies l. n. 241/90, dal momento che  quest’ultimo può venire in gioco esclusivamente in riferimento a provvedimenti aventi efficacia durevole (il provvedimento di aggiudicazione è qualificabile invero come provvedimento avente efficacia istantanea i cui effetti si esauriscono a seguito della conclusione del contratto);  si rileva inoltre che l’art. 11 c. 9 d. lgs. 163/2006 consente alla stazione appaltante l’azionabilità dell’esercizio di autotutela ex art. 21 quinquies fino al momento della stipula del contratto pubblico; si afferma la limitazione dell’applicazione dell’art. 21quinquies c. 1 bis l.241/90 esclusivamente alle ipotesi di concessione-contratto, ovvero ai casi in cui il contratto acceda al provvedimento amministrativo,  regolando i rapporti economici non espressamente disciplinati da quest’ultimo; ed infine, gli assertori della tesi in commento ritengono che dal momento della stipula del contratto non sia ammissibile l’esercizio di potestà autotutela pubblicistica, residuando invero esclusivamente poteri e prerogative di natura privatistica conferiti alla P.A. non in veste di autorità, ma come parte di un rapporto regolato dalla disciplina civilistica (e, dunque, le sopravvenienze funzionali, sono suscettibili di essere fronteggiate esclusivamente attraverso l’adozione di rimedi privatistici, anche al fine di evitare sovrapposizioni tra gli istituti dell’art.21 quinquies e 21 sexies l. 241/90, che presentano i medesimi presupposti che legittimano l’attivazione). L’impostazione maggioritaria in letteratura e giurisprudenza, quindi, opina nel senso di escludere, una volta stipulato il contratto, l’esperibilità del potere di autotutela pubblicistica ex art. 21 quinquies l. n. 241/90. Si precisa, comunque, che l’equiparazione della stazione appaltante ad un organismo di diritto privato a seguito della instaurazione del rapporto privatistico è meramente tendenziale, dal momento che l’ordinamento può prevedere una serie di disposizioni “speciali” rispetto alla ordinaria disciplina civilistica, che tengano conto delle peculiarità che caratterizzano l’agere della stazione appaltante (che, a differenza dei soggetti di diritto privato, può adoperare gli strumenti civilistici esclusivamente al fine di  perseguire interessi lato sensu pubblicistici) : in questo senso, a titolo meramente esemplificativo, accanto alla disciplina di cui all’art. 21sexies l. 241/90 (che richiama gli artt. 1372-1373 c.c.) è affiancato l’art. 134 d. lgs. n. 163/2006 che presenta una normativa speciale in materia di recesso di affidamento di appalti relativi a lavori pubblici. Nel solco della cosiddetta “equiparazione tendenziale” si insinua la previsione della normativa di cui  all’art. 94 d. lgs. n. 159/2011, che assegna alla stazione appaltante l’obbligo di recedere dal contratto in caso di rilascio dell’informativa antimafia “tardiva”, a seguito della conclusione del contratto: il recesso “speciale” di cui all’art. 94 d. lgs. 159/2011 esula dalle dinamiche dell’autotutela privatistica, risultando invero espressione del potere di autotutela pubblicistica ovvero autoritativa, dal momento che lo scopo della norma in commento è rivolto alla tutela di esigenze marcatamente pubblicistiche, consistenti nell’interesse della stazione appaltante ad aggiudicare contratti pubblici ad operatori assolutamente estranei e non collusi con le cosche mafiose. Il perseguimento di finalità di carattere spiccatamente pubblicistico, che animano il potere di recesso ex art. 94 d.lgs. n. 159/2011, è funzionale all’inquadramento dell’istituto in commento nel novero dei rimedi  di autotutela di tipo pubblicistico, potendo il privato vantare, avverso la attivazione del potere di recesso una situazione  giuridica di interesse legittimo, idonea ad attribuire la relativa controversie davanti al giudice amministrativo. Definito l’istituto della documentazione antimafia e individuati i tratti essenziali che caratterizzano il recesso da informativa antimafia (a seguito di rilascio di informativa positiva ovvero di informativa negativa illegittima),  è  emersa nel dibattito dottrinale una questione, recentemente composta dalla Adunanza Plenaria (n. 17/2014), riguardante la determinazione del giudice territorialmente competente, in riferimento a controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dell’informativa antimafia da parte del privato aggiudicatario. In primis, il diritto vivente ha stabilito che il provvedimento di informativa antimafia, stante la pluralità di effetti suscettibili di erogare ai sensi dell’art. 94 d.lgs. n.159/2011 in tutto il territorio nazionale (si ravvisa l’idoneità del  provvedimento in esame a produrre effetti ultraregionali ex art.13 I° comma c.p.a.) può essere impugnato davanti al TAR nella  cui circoscrizione territoriale ha sede l’Autorità prefettizia che ha rilasciato il provvedimento oggetto di contestazione. In presenza di una impugnazione congiunta dell’informazione antimafia e degli atti consequenziali (a titolo meramente esemplificativo la revoca o il recesso dal contratto) incidenti sulla procedura di affidamento di commesse pubbliche, ci si è chiesti se la competenza del g.o. nella cui circoscrizione ha sede l’Autorità prefettizia debba lasciare il posto alla competenza  funzionale ex artt. 14-119 c.p.a., che assegna inderogabilmente alla competenza del TAR nella cui circoscrizione si rinviene la sede della stazione appaltante, le controversie inerenti le procedure di affidamento dei contratti pubblici. Il Supremo Consesso Amministrativo, spinto dall’esigenza di evitare fenomeni  di forum shopping (che si traducono nella rimessione della selezione della competenza territoriale alle scelte difensive dell’operatore privato, a seconda che sia impugnata atomisticamente l’informativa antimafia ovvero contestualmente ai consequenziali atti di gara),  mantiene ferma la competenza territoriale del g.o. dove sussiste la sede del Prefetto, anche in caso di impugnazione degli atti relativi  al procedimento di affidamento regolati dalla competenza funzionale ex art.119 c.p.a. La soluzione elaborata dalla Plenaria, da un lato, risulta fondata in forza dal combinato disposto degli artt. 39 c.p.a. – 31 c.p.c. (quest’ultima disposizione, in presenza di procedimenti connessi, assegna al giudice territorialmente competente per la causa principale, la competenza relativa al simultaneus processus), e dall’altro esalta l’interesse a ricorrere, che risulta diretto in via prioritaria alla demolizione dell’informativa antimafia e in subordine, alla caducazione degli atti che incidono direttamente sulla procedura di gara e sul contratto (che  sono avvinti da un nesso di consequenzialità con il provvedimento prefettizio). Alla luce delle seguenti argomentazioni esegetiche, l’Adunanza Plenaria giustifica quindi l’attrazione delle controversie relative all’impugnazione del provvedimento prefettizio contestualmente alla contestazione dei cosiddetti atti consequenziali davanti al giudice competente nei confronti del ricorso ovvero l’informativa antimafia, in deroga alla competenza funzionale di cui all’art.14-119 c.p.a..

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