RESPONSABILITÀ DELLA P.A. PER AFFIDAMENTO ILLEGITTIMO DI UN CONTRATTO

RESPONSABILITÀ DELLA P.A. PER AFFIDAMENTO ILLEGITTIMO DI UN CONTRATTO

Pubblicato il 19/01/2016 autore Pola Montone

La responsabilità della p.a. per affidamento illegittimo di un contratto. Si soffermi il candidato sulle differenze tra le ipotesi di procedure aperte e ristrette oltre che sul concorso del danneggiato per non aver attivato tutti i rimedi processuali ed extra processuali a sua disposizione

La configurabilità di una responsabilità della pubblica amministrazione, in veste di stazione appaltante, per affidamento illegittimo del contratto pubblico, rientra all’interno della più ampia tematica della responsabilità civile della P.A..

In merito, importa preliminarmente precisare la fonte della responsabilità, la natura della posizione giuridica vantabile dall’operatore economico che partecipa alla gara e il quantum risarcitorio e, a tal fine, occorre distinguere le differenti procedure di affidamento di un contratto pubblico previste proprio dal Codice degli appalti.

Il riferente normativo è, dunque, rappresentato dal d.lgs. 163 del 2006, che già nel suo comma 3, orienta l’interprete nella summa divisio tra procedure aperte, ristrette e negoziate, prospettando una puntuale definizione per ciascuna categoria. Le procedure aperte si caratterizzano per la circostanza per cui tutti gli operatori economici possono presentare un’offerta, purché “nel rispetto delle modalità e dei termini fissati dal bando di gara”. Tale aspetto differenzia le procedure aperte da quelle ristrette, considerato che in queste ultime gli operatori economici presentano una richiesta di partecipazione ed all’esito di una fase di prequalifica, assimilabile a quella che è la fase preselettiva dei concorsi pubblici, soltanto gli operatori invitati dalla stazione appaltante possono presentare un’offerta. In via residuale vi sono, infine, le procedure negoziate, che gli articoli 56 e 57 del Codice prevedono in specifiche ipotesi, tra cui la più frequente è quella della gara andata deserta, perché non è stata presentata nessuna offerta ovvero sono state presentate offerte inappropriate.

Nella procedura negoziata, che può avvenire anche senza previa pubblicazione di un bando di gara, la stazione appaltante, dopo aver scelto e consultato soltanto alcuni operatori economici, “negozia con uno o più di essi le condizioni dell’appalto”.

Orbene, questa distinzione è fondamentale al fine di verificare quale posizione giuridica viene in rilievo in caso di illegittimo affidamento del contratto. Con riferimento alle procedure negoziate, venendo meno le garanzie dell’evidenza pubblica, la mancata aggiudicazione del contratto può rilevare in termini di violazione del canone di buona fede e di lesione del diritto soggettivo che l’operatore economico vanta nei confronti della stazione appaltante.

Con maggior sforzo esplicativo, si deve evidenziare come nelle procedure negoziate venga in rilievo la responsabilità precontrattuale della stazione appaltante per violazione dell’articolo 1337 c.c., che impone alla p.a. di comportarsi con correttezza.

La moderna visione del diritto amministrativo, infatti, riconosce la possibilità di configurare una responsabilità di tipo precontrattuale non soltanto nei rapporti in cui la p.a. agisce iure privatorum ed in cui si va di conseguenza a valutare se l’amministrazione si è comportata da corretto contraente, ma anche laddove l’amministrazione faccia esercizio di un pubblico potere, ledendo l’affidamento del privato. In tal senso, si veda il recente orientamento della giurisprudenza della Corte di Cassazione che configura una responsabilità della p.a. a fronte di un’attività provvedimentale legittima (come può essere la revoca per motivi di merito), ma frutto di una scorrettezza comportamentale della p.a.. che, ad esempio, come in uno dei casi esaminato dalla giurisprudenza, nonostante fosse ben consapevole della mancanza di copertura finanziaria, ha comunque emanato un provvedimento favorevole al privato, seppur illegittimo: in tal modo si lede l’affidamento che il privato ha riposto proprio nella legittimità e stabilità del provvedimento a lui favorevole.

Nell’ipotesi delle procedure aperte o ristrette, la scorrettezza comportamentale si risolve, in realtà, in una violazione del bando di gara, configurando in capo all’operatore economico escluso una posizione di interesse legittimo, la cui lesione sarà integralmente risarcibile, non limitandosi, come accade per la responsabilità precontrattuale, al ristoro dell’interesse giuridico negativo a non essere coinvolto in trattative inutili ma anche all’interesse positivo, parametrato alla stipula del contratto.

Nello specifico, bisogna distinguere tra risarcimento del danno da illegittima esclusione, circostanza che può verificarsi quando all’esito della fase di prequalifica, l’operatore economico non viene invitato a presentare un’offerta, e il risarcimento del danno da mancata aggiudicazione.

Al fine di verificare la configurabilità di siffatta posta di danno, bisogna tenere in considerazione qual è stato il criterio di selezione dell’offerta stabilito dal bando di gara, ovvero se si è trattato del criterio del prezzo più basso ovvero dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

La selezione dell’offerta sulla base del prezzo più basso implica un calcolo di tipo automatico, previsto dall’articolo 82 del codice, differente a seconda che si tratti della stipula di un contratto a misura, a corpo ovvero misto, in parte a misura e in parte a corpo. Al contrario, il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa presenta un grado di discrezionalità valutativa di tipo tecnico, da parte della stazione appaltante, totalmente assente nella scelta dell’offerta con prezzo più basso.

Questo profilo ha profondi riflessi anche sul piano processuale, considerato che il ricorso da parte della stazione appaltante al criterio del prezzo più basso consente a posteriori al giudice di verificare se l’operatore economico aveva realmente titolo all’aggiudicazione, per il tramite di una mera ripetizione virtuale della gara. Valutando tutte le offerte presentate e ricorrendo ad un calcolo aritmetico è agevole identificare con certezza chi sarebbe dovuto essere in realtà l’aggiudicatario del contratto.

Discorso analogo non può prospettarsi quando nel bando di gara si faccia riferimento al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, laddove piuttosto che operare una ripetizione virtuale della gara il giudice dovrebbe avvalersi dell’apporto di un consulente tecnico.

In tale ipotesi si ritiene che l’operatorio economico vanti più correttamente una chance di aggiudicazione, ossia una probabilità di ottenimento del risultato finale.

In merito, importa precisare come il riconoscimento della risarcibilità della posta di danno rappresentata dalla chance è stato operato grazie al formante giurisprudenziale, il quale si è a lungo interrogato circa la natura del danno che qui viene fatto valere.

Secondo una prima impostazione, nota come tesi eziologica, la chance assolve a quella che è emblematicamente definita una funzione esplicativa: spiegherebbe, cioè, da un punto di vista della ricostruzione del nesso causale, come in assenza di un determinato fatto illecito, qui rappresentato in tesi dalla mancata aggiudicazione, le probabilità di aggiudicazione del contratto sarebbe state maggiori rispetto alla mancata aggiudicazione.

Così inteso, ai fini del risarcimento della chance, il soggetto deve dimostrare l’an e il quantum risarcitorio che, trattandosi in realtà del ristoro di un’occasione perduta, non può non circoscriversi che al mero lucro cessante. Secondo una differente impostazione, l’ordinamento giuridico non può tutelare situazioni giuridiche di mera aspettativa, reputando necessario che il danno presenti i caratteri dell’attualità, della certezza e della concretezza.

Si assiste, così, ad un vero e proprio cambio di prospettiva, ritenendo che la chance è bene già presente nel patrimonio del soggetto, di guisa che quando le probabilità di ottenimento di quel bene siano superiori al 50 per cento, al soggetto non spetta che dimostrare solo il quantum risarcitorio, essendo superato in tesi il problema dell’an. Si tratta della cosiddetta tesi ontologica che, per l’appunto, valorizza la chance come bene in sé e giunge a statuire la risarcibilità del danno emergente, che viene liquidato per il tramite di un’operazione economica che vede la sottrazione rispetto al vantaggio economico finale ottenibile un coefficiente pari alla probabilità che quel soggetto aveva di conseguire il bene. In via alternativa, quando non risulta percorribile il ricorso a siffatto metodo può sempre operarsi da parte del giudice una liquidazione di tipo equitativo, che è ammessa proprio perché la stessa va ad incidere solo sul quantum e non sull’an, che si dà per validamente presupposto.

Ritornando al danno da mancata aggiudicazione, una volta esperita la ripetizione virtuale delle operazioni di gara e verificato che l’operatore economico ha titolo all’aggiudicazione, occorre chiedersi quali sono le modalità per quantificare l’importo del danno.

La giurisprudenza amministrativa ha sostanzialmente fatto ricorso a dei criteri di forfettizzazione del danno, individuati, ad esempio, del 10% dell’offerta presentata in gara ovvero nell’utile d’impresa. Il riferimento al 10% dell’offerta non è estemporaneo ma fa riferimento ad una previsione contenuta nell’allegato F della legge abolitrice del contenzioso amministrativo, relativa al recesso dai contratti.

Inoltre, un altro criterio utilizzato è stato quello del 5% del danno curriculare; si consideri, infatti, che la mancata aggiudicazione incide negativamente sul curriculum aziendale ai fini dell’espletamento di altre procedure di gara, considerato che ben possono essere richiesti dei requisiti esperienziali particolari, che rischiano di non essere soddisfatti proprio a causa della mancata aggiudicazione di quel contratto. In particolare, la giurisprudenza è stata sollecitata in merito alla ristorabilità delle spese sostenute per la partecipazione alla gara stessa, che concorrerebbero nell’esatta identificazione del quantum risarcitorio.

Sul punto, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha chiarito che le spese per la partecipazione alla gara possono essere rimborsate soltanto nel caso in cui venga configurato un danno da illegittima esclusione, dove ancora una volta viene in rilievo una chance all’aggiudicazione.

Viceversa, in caso di danno da mancata aggiudicazione non può trovare spazio il rimborso di siffatte spese in considerazione dell’assorbente ragione per cui esse non vengono rimborsate neanche all’aggiudicatario, visto che colui che partecipa ad una gara assume su di sé i rischi insiti nella partecipazione ad una procedura basata sulla comparazione della propria offerta con quella degli altri competitori.

In particolare, la possibilità di far ricorso a dei criteri di forfettizzazione del danno è stata messa in dubbio soprattutto a fronte del contenuto dispositivo di cui all’articolo 124 c.p.a., laddove prescrive la risarcibilità del danno per equivalente “subito e provato”. L’utilizzo di siffatta espressione, invero già contenuta nell’articolo 245-quinquies del Codice degli appalti, ha fatto propendere per l’inutilizzabilità dei criteri di liquidazione del danno sovracitati, anche se una parte della dottrina ritiene che si tratti di un’espressione meramente tautologica. Ciò significa che ben potrà il giudice far ricorso ad un parametro di liquidazione di tipo equitativo qualora il danno non sia provato nel quantum.

Quanto, infine, al profilo del concorso del danneggiato per non aver attivato tutti i rimedi processuali ed extra processuali a sua disposizione, lo stesso articolo 124, al comma 2, conferisce rilievo alla condotta della parte che non abbia presentato domanda di conseguire l’aggiudicazione ovvero che, una volta ottenuto il contratto, non abbia dato la propria disponibilità al subentro, ritenendo che la stessa è oggetto di valutazione ai sensi del 1227 c.c., disciplinante il concorso del fatto colposo del creditore.

Una disposizione dall’analogo tenore letterale è rinvenibile sempre all’interno del codice del processo amministrativo ed è rappresentata dal secondo comma dell’articolo 30, relativamente alla proposizione della domanda risarcitoria.

Sul punto, la giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha avuto modo di evidenziare come il legislatore del codice del processo amministrativo, pur decidendo di espungere ogni riferimento alcuno ad una pregiudiziale di annullamento rispetto alla proposizione dell’azione risarcitoria e dunque ad una pregiudiziale di rito ha, in realtà, optato per una pregiudiziale temperata, di merito. Con tale espressione si fa proprio riferimento alla circostanza per cui viene escluso il risarcimento dei danno evitabili secondo l’ordinaria diligenza, “anche attraverso gli strumenti di tutela previsti”.

Il chiaro riferimento al comma secondo dell’articolo 1227 rappresenta una espressa valorizzazione del “due to mitigate”, ossia di quel dovere, che trova la propria fonte nel principio di buona fede e di solidarietà sociale ex articolo 2 Cost, incombente sul danneggiato, che consiste nel mitigare le conseguenze del fatto illecito relativamente a quelle conseguenze dannose che sono a lui colposamente imputabili.

Così chiarita la ratio legis giustificativa del rilievo ascritto all’“esperimento degli strumenti di tutela previsti”, è possibile evidenziare come nel novero di tali strumenti si fa rientrare l’istanza di autotutela, il ricorso amministrativo ma anche l’atto di diffida, attraverso i quali si evidenziano le doglianze del privato, in modo tale da dare la possibilità all’amministrazione di attenuare le conseguenze dannose derivanti dalla sua attività negoziale o provvedimentale illecita.

In particolare, tra gli strumenti di tutela non può non inserirsi il preavviso di ricorso, previsto dall’articolo 243-bis del Codice dei contratti pubblici, che, altro non rappresenta, se non un’istanza qualificata di autotutela, inscrivibile all’interno delle forme di a.d.r. (alternative dispute resolution).

Tale inquadramento dogmatico trova conferma in considerazione della collocazione dello stesso articolo 243-bis che, non a caso, si trova subito dopo le disposizioni dettate in tema di transazione, accordo bonario ed arbitrato.

Si tratta di un’informativa rivolta alla stazione appaltante con cui la parte chiarisce il proprio proposito di presentare ricorso giurisdizionale e che consente all’amministrazione di prendere atto della presunta violazione prospettata dall’interessato. Tale strumento di tutela condivide il carattere di non obbligatorietà di tutti i meccanismi di tutela azionabili dal privato, eppure la funzione assolta dal medesimo è esplicitata proprio dal comma 5 dell’articolo in esame che, ancora una volta, ribadisce come l’omissione della comunicazione è valutabile non soltanto ai fini della decisione sulle spese ma anche “ai sensi dell’articolo 1227 del codice civile”.

La presentazione del preavviso di ricorso rappresenta, dunque, l’assolvimento in concreto di quell’obbligo di buona fede, che impone, come nel caso in esame, una prestazione di facere, la quale rimane pur sempre nei limiti dell’apprezzabile sacrificio.

Ciò è tanto più vero se si considera come il comma 6 dell’articolo 234-bis è stato interpretato nel senso che il privato non è obbligato ad impugnare il diniego di autotutela, al fine di non vedersi dichiarata l’improcedibilità del ricorso giurisdizionale, perché ciò sarebbe troppo gravoso.

Vi è, dunque, una facoltà di impugnazione che può venir meno soltanto laddove la stazione appaltante abbia negato l’autotutela adducendo una motivazione, perché in quel caso c’è stata una discovery e dunque un’anticipazione del contenuto della difesa della p.a. sulla base di motivazioni che pregiudicano direttamente la posizione giuridica del futuro ricorrente.

Infine, un’ulteriore conferma della valorizzazione del principio di buona fede richiamato dal codice del processo amministrativo per il tramite del riferimento all’articolo 1227 c.c., è stata operata dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha ritenuto configurabile una responsabilità solidale ex articolo 2055 tra la p.a. ed il privato aggiudicatario: il soggetto danneggiato potrà invocare siffatto regime, con la precisazione, però, che si deve trattare di una violazione grave da parte della stazione appaltante, tale che l’illegittimità possa configurarsi ictu oculi e per tabulas ex articolo 121 c.p.a,  non generando così alcun legittimo affidamento sull’efficacia del contratto da parte dell’operatore economico risultato aggiudicatario.

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