SEMPLIFICAZIONE AMMINISTRATIVA E TUTELA DEL TERZO NEI PROCEDIMENTI EDILIZI

 

SEMPLIFICAZIONE AMMINISTRATIVA E TUTELA DEL TERZO NEI PROCEDIMENTI EDILIZI

Pubblicato il 16/04/2015 autore Paola Montone

La semplificazione rappresenta un principio dell’azione e dell’organizzazione amministrativa. In particolare, essa rappresenta un corollario giuridico del principio di buona amministrazione che, per essere definita tale alla stregua dell’articolo 97 Cost. e dell’articolo 1 della legge 241 del 1990, non solo dev’essere conforme alla legge, ma soprattutto essere efficiente e giungere al perseguimento del pubblico interesse nel modo più celere e meno gravoso possibile per il privato.

Ecco spiegato perché la legge sul procedimento amministrativo accomuna all’interno del capo IV, significativamente dedicato alla semplificazione dell’azione amministrativa, meccanismi procedimentali apparentemente disomogenei ma in realtà tutti assimilabili alla stregua della finalità sovra citata: il riferimento è alla conferenza di servizi, agli accordi tra le pubbliche amministrazioni, in cui si assiste ad una semplificazione decisionale, al meccanismo del silenzio devolutivo, in chiave di semplificazione istruttoria, fino alla d.i.a.(oggi s.c.i.a.) ed al silenzio assenso.

A questo punto, però, si impone una precisazione, in quanto quando si parla di meccanismi di semplificazione, soprattutto nel loro aspetto dinamico, ossia in funzione dei rapporti tra privato e p.a., ci si deve riferire più propriamente all’ipotesi del silenzio-assenso, ossia all’esistenza di un regime autorizzatorio. Infatti, la semplificazione del procedimento si realizza quando, in presenza della necessità di manifestazione del potere pubblico in termini di autorizzazione alla richiesta avanzata dal privato, il silenzio della p.a. ha valenza provvedimentale e nello specifico di accoglimento della domanda, configurandosi un’ipotesi di silenzio significativo, con conseguente riconoscimento di una tutela impugnatoria da parte del soggetto leso dall’accoglimento della domanda.

Sebbene sia evidente il favor legis rispetto alla diffusione del ricorso al meccanismo del silenzio-assenso, riscontrabile, ad esempio, anche con riferimento alla materia edilizia, si deve ritenere che l’istituto abbia carattere residuale; una sua generalizzazione, oltre i casi previsti dalla legge, comporterebbe, infatti, una deresponsabilizzazione degli organi amministrativi, che si sentirebbero legittimati a non provvedere espressamente, sulla base del rilievo che comunque il silenzio ha valore di accoglimento della domanda, con tutte le implicazioni che ne conseguono in riferimento al deficit di tutela che subirebbe il soggetto istante a fronte delle garanzie offerte dal provvedimento e rappresentate, tra le altre, dalla motivazione e dalla possibilità di opporlo ai terzi.

Dal meccanismo di semplificazione appena descritto che opera, dunque, in presenza di un’attività autorizzatoria della p.a. dev’essere distinto, invece, il concetto di liberalizzazione delle attività economiche, in cui un intero settore dell’economia non risulta più sottoposto ad un regime di autorizzazione, che, al contrario, opera ex lege.

Questo processo di liberalizzazione, incentivato anche dal diritto comunitario, con particolare riferimento alla direttiva Bolkestein, attuata col decreto legislativo 59 del 2010, si caratterizza per essere un sistema di liberalizzazione cosiddetto temperato, quindi non puro, come accade ad esempio nell’ordinamento anglosassone, considerato che residuano comunque in capo all’amministrazione poteri di controllo, seppur successivi rispetto all’inizio dell’attività.

All’interno del concetto di liberalizzazione delle attività economiche rientra proprio l’istituto della segnalazione certificata di inizio attività, comunque espressione del principio di semplificazione del procedimento in un’accezione lato sensu intesa, richiedendo al privato l’adempimento di minori oneri formali rispetto a quelli collegati all’emanazione di un provvedimento autorizzatorio espresso, che ivi manca del tutto.

Ed è proprio con riferimento alla s.c.i.a. che si pongono delicate questioni in tema di tutela del terzo, soprattutto con riferimento ai procedimenti edilizi. Prima di affrontarle nello specifico, s’impongono alcune considerazioni sul procedimento previsto dal legislatore ed in particolare sull’esatta individuazione della natura giuridica della s.c.i.a..

L’articolo 19, che originariamente era rubricato dichiarazione di inizio attività, oggi s.c.i.a., prevede la sostituzione di ogni atto autorizzatorio, si tratti di licenza, permesso, nulla osta, domande di iscrizioni ad albi, con una segnalazione dell’interessato all’autorità competente, ad esclusione di quelle attività per le quali è previsto un limite di contigentamento numerico, delle attività a carattere finanziario, dei casi in cui sussistano particolari vincoli ovvero si tratti di atti inerenti particolari categorie di interessi giuridici.

La segnalazione è detta certificata in quanto, ove previsto dalla legge (ed il riferimento è proprio alla materia edilizia), essa viene corredata da asseverazioni provenienti da tecnici abilitati, in quanto iscritti in appositi albi.

Grazie alle modifiche apportate all’articolo da parte della legge 69 del 2009 l’attività può iniziare immediatamente dalla data di presentazione della segnalazione, non essendo più necessario né attendere il decorso di trenta giorni dalla suddetta presentazione né fare comunicazione all’amministrazione contestualmente all’inizio dell’attività, pervenendo, così, ad un’ulteriore semplificazione del procedimento.

Viene contemplato, poi, il potere inibitorio-repressivo da parte dell’amministrazione, che può essere esercitato nel termine di sessanta giorni da quando l’autorità competente ha ricevuto la segnalazione, quale espressa manifestazione del principio di liberalizzazione cosiddetta temperata, cui si è accennato prima. Significativa e oggetto di successivo approfondimento è la previsione della seconda parte del comma 3 dell’articolo 19, laddove vengono fatti salvi i poteri di autotutela della p.a., con espresso riferimento al potere di revoca e di annullamento d’ufficio.

Si delinea, in tal modo, un meccanismo procedimentale per cui l’autorizzazione è ex lege, non essendo necessario un provvedimento abilitativo espresso da parte della p.a., ma residuando solo un potere di controllo sulla carenza dei requisiti e dei presupposti di legge, da esercitarsi in un predeterminato arco temporale, nonché i poteri di autotutela previsti dagli articoli 21 quinquies e 21 nonies della legge sul procedimento.

A questo punto, prima di approfondire la natura giuridica della s.c.i.a. ed individuare gli strumenti di tutela azionabili dal terzo in materia edilizia, occorre verificare se la disciplina di cui all’articolo 19 sia estendibile anche alla suddetta materia.

In realtà, questa è stata sempre una questione problematica, in quanto si riteneva che le disposizioni dettate dal D.p.r. 380 del 2001, con riferimento alla denuncia di inizio attività ed alla d.i.a. alternativa al permesso di costruire di cui all’articolo 22 del testo unico sull’edilizia, avessero carattere speciale rispetto alla previsione di cui all’articolo 19. Ciò veniva affermato in considerazione della diversità della disciplina e dei termini previsti, nonché alla stregua dell’originaria formulazione dello stesso articolo 19 che ne escludeva l’applicabilità alle “disposizioni di leggi vigenti che prevedono termini diversi”, sia per l’inizio dell’attività che per l’adozione dei provvedimenti inibitori da parte della p.a., nonché agli atti concernenti il paesaggio, con riferimento, dunque, al governo del territorio.

Sul punto, era intervenuto anche il Ministero per la semplificazione normativa che, per il tramite di una circolare interpretativa, giungeva però a ritenere applicabile la disciplina della scia anche alla materia edilizia. Le argomentazioni poste alla base di siffatta scelta esegetica venivano ravvisate nell’espressa scelta legislativa di sostituire con la parola scia le espressioni di dichiarazione di inizio attività e dia, “ovunque ricorrano, anche come parte di una espressione più ampia, come chiarito dal comma 4ter dell’articolo 49 del d.l.78 del 2010, ed escludendo l’applicabilità dell’articolo 19 soltanto agli altri titoli abilitativi diversi dalla dia, con riferimento, dunque, al permesso di costruire.

Confermativa di siffatta ricostruzione era anche la circostanza per cui già con la legge del 2009 erano venuti meno gli espressi limiti contenuti nell’originaria formulazione dell’articolo 19, di cui al primo ed al quarto comma, circa l’applicabilità della dia (oggi scia) alla materia edilizia. Inoltre, proprio la previsione per cui la segnalazione dev’essere corredata da “attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati”, per giunta, “ove espressamente previsto dalla normativa vigente” consente di ritenere perfettamente compatibile il procedimento della scia con la materia edilizia.

A tale presa di posizione ha dato seguito lo stesso legislatore che, nel 2011, ha inserito il comma 6bis all’articolo 19, facendo espresso riferimento alla scia in materia edilizia, ma precisando la dimidiazione del termine per l’adozione dei provvedimenti di cui al comma 3 e la salvezza delle disposizioni relative al profilo della vigilanza e delle sanzioni nella materia urbanistica.

A questo punto, però, il problema che si configurava era rappresentato dal fatto che essendo il governo del territorio materia di legislazione concorrente ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, erano state adottate differenti leggi regionali in tema di denuncia di inizio attività in materia edilizia, potendo le stesse, anche alla stregua del disposto di cui al comma 4 dell’articolo 22 del Testo unico sull’edilizia, ridurre od ampliare l’ambito applicativo delle disposizioni in tema di dia e di dia alternativa al permesso di costruire (cosiddetta super dia). Oltre, dunque, al problema di un’eventuale incompatibilità tra le normative regionali in tema di dia edilizia rispetto al procedimento fatto proprio dall’articolo 19 della legge sul procedimento, si era venuto a configurare anche un problema di violazione del riparto delle competenze, dal momento in cui la legge 122 del 2010 sanciva espressamente come la scia costituisce “livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” ai sensi della lettera m) dell’articolo 117 Cost., con conseguente rischio di invadere l’ambito di legislazione concorrente delle Regioni.

Siffatto rischio, sconfessato dal Giudice delle Leggi, chiamato a pronunciarsi in materia, sulla base della valorizzazione del principio di uguaglianza e di parità di trattamento delle medesime situazioni giuridiche, è stato poi del tutto neutralizzato a seguito dell’emanazione di una legge di interpretazione autentica, la legge 106 del 2011, la quale afferma che l’applicabilità dell’articolo 19 dev’essere esclusa con riferimento ai “casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale, siano alternative o sostitutive del permesso di costruire” nonché alle ipotesi in cui “la disciplina prevista dalle leggi regionali…abbiano ampliato l’ambito applicativo delle disposizioni di cui all’articolo 22, comma 3” del D.p.r. 380 del 2001.

Attualmente, dunque, è configurabile un quadro abbastanza composito, in quanto accanto alla scia edilizia, soggetta alla disciplina più semplificata di cui all’articolo 19, con esclusione dell’attività di vigilanza e dei poteri sanzionatori, troviamo la dia, per come disciplinata dalla singola regione in senso ampliativo rispetto alla prescrizione di cui all’articolo 22 del Testo unico, nonché la denuncia alternativa al permesso di costruire, oltre, ovviamente al permesso di costruire, che rappresenta un titolo abilitativo espresso, non sostituibile.

Così evidenziato il percorso che ha portato il legislatore a ritenere applicabile la disciplina della scia anche alla materia edilizia, pur con le opportune precisazioni del caso, si impone, ora, la disamina degli strumenti di tutela del terzo riguardanti la scia e, dunque, anche la scia nei procedimenti edilizi.

Come accennato, per dare risposta al quesito occorre partire dall’esatta qualificazione giuridica della scia. Sul tema sono stati prospettati essenzialmente due orientamenti, una tesi pubblicistica ed una privatistica, quest’ultima più conforme allo spirito della legge.

In particolare, secondo la tesi pubblicistica, la dia veniva considerato un provvedimento abilitativo tacito, dunque un provvedimento per silentium. Tale scelta esegetica, oltre a garantire al terzo la possibilità di esser maggiormente tutelato per il tramite della possibilità di chiedere al giudice amministrativo l’annullamento di un provvedimento, risultava pienamente compatibile con la previsione da parte del legislatore della possibilità da parte della p.a. di esercitare i poteri di autotutela di revoca e di annullamento d’ufficio. Il potere di autotutela, risolvendosi nell’emanazione di provvedimenti di secondo grado, hanno per l’appunto necessariamente ad oggetto un provvedimento, quale sarebbe in tesi, quello formatosi per silentium da parte dell’amministrazione che avrebbe autorizzato l’attività del privato.

L’accoglimento di questa tesi, però, comportava un’insuperabile aporia sistematica, pervenendo sostanzialmente ad assimilare l’istituto della scia a quello del silenzio-assenso, senza giustificare perché il legislatore avrebbe, al contrario, previsto due discipline differenti, alla stregua dell’articolo 19 e dell’articolo 20.

La disamina del procedimento di cui all’articolo 19 prestava più correttamente il fianco alla teorizzazione fatta propria dalla tesi privatistica, in base alla quale quella che è oggi la scia altro non sarebbe che un atto del privato, espressione del principio di liberalizzazione, con conseguente previsione di meri poteri di controllo da parte della pubblica amministrazione, che operano, difatti, ex post rispetto all’inizio di un’attività che viene autorizzata direttamente dalla legge.

Seguendo la tesi privatistica, due erano le possibilità di tutela che potevano essere riconosciute al terzo. Questi avrebbe potuto sollecitare il potere di intervento repressivo-inibitorio da parte della p.a. ed in caso di inerzia si sarebbe formato il silenzio-rifiuto o inadempimento, che, in quanto silenzio asignificativo dell’amministrazione, non avente natura provvedimentale ma di mero fatto, legittimerebbe la proposizione della domanda avverso il silenzio alla stregua del contenuto dispositivo di cui all’attuale articolo 31 del codice del processo amministrativo. L’obiezione amovibile a questa impostazione è che decorsi sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione da parte del privato affinché la p.a. adotti provvedimenti di divieto di proseguire l’attività si consuma il potere dell’amministrazione di provvedere, per qui non si potrà configurare un silenzio inadempimento che presuppone, in tesi, proprio la possibilità di poter “adempiere” ancora, ossia di emanare un provvedimento espresso.

Secondo un’ulteriore impostazione, sempre partendo dalla premessa comune per cui la segnalazione è un atto del privato e non un atto amministrativo implicito o a formazione progressiva, il terzo potrebbe compulsare l’esercizio dei poteri di autotutela ed impugnare, poi, il silenzio sullo stesso formatosi. Tale tesi, però, non può essere proprio accettata in considerazione che dalla domanda del privato di assumere determinazioni in via di autotutela non discende un obbligo di provvedere, in quanto il potere di autotutela non è vincolato nell’an così come nella scelta della modalità da parte dell’amministrazione di come esercitare il proprio jus poenitendi.

Al fine di ricomporre le variegate interpretazioni fornite dalla dottrina e dalla giurisprudenza circa la natura della scia, soprattutto allo scopo di delineare il conseguente meccanismo di tutela del terzo, si è pronunciata l’Adunanza Plenaria, con la nota sentenza numero 15 del 2011. La Plenaria perviene alla ricostruzione di un meccanismo rimediale alquanto articolato, che, però, appare chiaramente idoneo a soddisfare l’esigenza di effettività di tutela di un soggetto quale il terzo, che, anche con riferimento al procedimento edilizio, avrebbe dovuto pur sempre attendere il decorso dei termini previsti per l’esercizio dei poteri inibitori da parte della p.a., senza poter intervenire subito, pregiudicando in maniera irreparabile i propri interessi.

Nello specifico, il Consiglio di Stato, aderendo alla tesi privatistica e valorizzando il principio di liberalizzazione delle attività economiche di cui è espressione la disciplina della scia, delinea la possibilità per il terzo di esperire un’azione di annullamento, non avente però ad oggetto il silenzio-inadempimento della p.a.. Si ritiene, infatti, che qualora la p.a. sia stata sollecitata ad esercitare i poteri previsti dalla prima parte del terzo comma dell’articolo 19, non si forma un silenzio-rifiuto, poiché l’esercizio dei poteri si consuma col decorso del termine di sessanta giorni, quanto piuttosto un silenzio diniego sull’esercizio dei poteri inibitori, come se l’amministrazione, non esercitando i citati poteri inibitori, avesse implicitamente ritenuto l’attività del privato pienamente conforme ai requisiti ed ai presupposti di legge.

La tutela del terzo, poi, risulterebbe corroborata dalla possibilità riconosciuta dalla Plenaria di esperire un’autonoma azione di accertamento circa la mancanza dei requisiti di legge per l’inizio dell’attività, consentendo al terzo di non dover attendere lo spirare dei sessanta giorni per intraprendere una tutela giudiziale.

In questo passaggio si può cogliere la novità interpretativa che giunge a configurare un meccanismo di tutela sui generis per cui il terzo, che subisce un pregiudizio da un’attività illegittima del soggetto che presenta la segnalazione certificata, può in prima battuta esperire un’azione di accertamento innanzi al giudice amministrativo al fine di veder dichiarata la carenza dei requisiti o presupposti legali, per poi convertire siffatta azione in un’azione di annullamento avverso il silenzio-diniego serbato dall’amministrazione, laddove essa non abbia esperito i poteri inibitori-repressivi.

Tale soluzione, poi, non sembra confliggere con il contenuto dispositivo di cui al secondo comma dell’articolo 34 c.p., nella parte in cui fa divieto al giudice amministrativo di “pronunciar(si) con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati”. Difatti, nel distinguere i presupposti processuali dalle condizioni dell’azione, la Plenaria afferma che sono queste ultime a dover sussistere al momento della decisione. Nel momento in cui il g.a. esercita i propri poteri cognitivi, con riferimento alla domanda di annullamento, si può dire che il potere amministrativo già è stato esercitato, essendo in tesi decorsi i 60 giorni per la p.a. per esperire proprio i poteri repressivi-inibitori.

Ritornando, alla tutela del terzo rispetto alla scia ed in particolare alla scia edilizia, ambito al quale si estendono le presenti considerazione vista l’espressa previsione della scia in suddetta materia, bisogna evidenziare come a brevissima distanza dall’arresto della Plenaria sul punto della tutela del terzo è intervenuto direttamente il legislatore.

In particolare, con la legge 148 del 2011 è stato aggiunto all’articolo 19 il comma 6 ter il quale nel prevedere che la scia, la dia e la denuncia di inizio attività “non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili” conferma la tesi privatistica della scia, sotto questo aspetto, in continuità rispetto al dictum del Consiglio di Stato.

La seconda parte del comma 6ter diverge, però, dalle conclusioni sopra illustrate, in quanto giunge a delineare un esclusivo meccanismo di tutela per il terzo rappresentato dalla sollecitazione “delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, (nello) esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31” c.p.a., ossia il rito avverso il silenzio.

La soluzione legislativa, motivata forse dal timore che il sistema di tutela prospettato dal Consiglio di Stato avrebbe comportato un onere sull’erario statale, in considerazione dell’implicita possibilità di richiedere anche il risarcimento dei danni, oltre all’annullamento del provvedimento implicito confermativo della legittimità dell’azione del soggetto che ha intrapreso l’attività, è stata comunque considerata non pienamente satisfattiva.

Si è criticamente ritenuto che siffatta scelta legislativa si risolve in un palese contrasto col principio di effettività della tutela giurisdizionale, non potendo il terzo agire in tempo utile ad evitare che sia irreparabilmente pregiudicato il proprio interesse.

A tal fine, si è ritenuta percorribile una via interpretativa alternativa, agevolata da un ulteriore intervento del legislatore che nel 2011, col D.lgs. 195, ha provveduto a modificare il primo comma dell’articolo 31 c.p.a. estendendo l’esperibilità dell’azione avverso il silenzio non soltanto all’ipotesi di inutile decorrenza dei termini per la conclusione del procedimento amministrativo ma anche agli “altri casi previsti dalla legge”.

Orbene, il combinato disposto di cui all’articolo 19, comma 6 ter della legge sul procedimento ed all’articolo 31 c.p.a. consente di affermare la possibilità da parte del terzo di esperire l’azione avverso il silenzio anche prima che si sia manifestata l’inerzia amministrativa rispetto al sollecito circa l’esercizio delle verifiche di competenza della p.a., giungendo in tal modo a mitigare quell’arretramento di tutela operato dal legislatore con la legge 148 del 2011, oggetto, per tale aspetto, di sostanziale disapplicazione da parte di alcuni giudici amministrativi.

Ciò posto, considerata la natura privatistica della scia rimane un ulteriore dubbio da sciogliere e che concerne la compatibilità con la disciplina di cui all’articolo 19 della previsione della salvezza dell’esercizio del potere di autotutela da parte del g.a..

Rispetto a chi ritiene che il riferimento allo stesso da parte del legislatore si debba intendere in senso atecnico, solo in relazione al procedimento da osservare e, dunque, alla garanzia del contraddittorio, del principio della ragionevole durata del procedimento stesso ed al profilo della compensazione economica, si sono affermate altre tesi volte a definire esattamente siffatto potere di autotutela. In particolare, si è postulata la natura di autotutela esecutiva, che si configurerebbe quando l’amministrazione agisce iure imperii, portando ad esecuzione i propri provvedimenti, ex articolo 21 ter.

Eppure, tale tesi è sconfessata sia sulla base del rilievo che la previsione di cui al terzo comma dell’articolo 19 fa espresso riferimento agli articoli 21quinquies e 21nonies, sia perché non si rientra nei casi di legge fatti propri dall’articolo 21 ter, con conseguente impossibilità di legittimare l’assenza di quelle garanzie partecipative propria dell’imposizione coattiva di un obbligo. Più efficacemente e conformemente alla vera natura della scia, si è parlato di autotutela sui rapporti, che incide, cioè, su una situazione giuridica non collegata all’emanazione del provvedimento, qual è quella che si origina con la presentazione della scia.

Inoltre, a seguito della modifica apportata dalla legge 164 del 2014 alla disciplina dell’annullamento d’ufficio di cui al 21 nonies, alla stregua della quale viene fatta salva la responsabilità dell’amministrazione per il mancato annullamento del provvedimento illegittimo, il terzo trova oggi un’ulteriore tutela proprio nell’ipotesi di mancato esercizio del potere di autotutela previsto in materia di scia.

In conclusione, affermata la natura privatistica della scia, la questione della tutela del terzo, anche con riferimento alla scia in materia edilizia, trova oggi risposta non solo nel contenuto dispositivo di cui al comma 6ter dell’articolo 19, ma anche alla luce del nuovo testo dell’articolo 21 nonies e dell’articolo 31 c.p.a., che consentono un ragionevole allargamento delle maglie di tutela, ritenuto necessario alla luce del principio di effettività della tutela giurisdizionale.   

Guarda anche

  • Il potere normativo della p.a.: limiti nel sistema delle fonti

  • BREVI RIFLESSIONI IN MERITO AL REGIME PATRIMONIALE DEI BENI DESTINATI AD UN PUBBLICO SERVIZIO.

  • Ipotesi di svolgimento. Traccia estratta prove scritte carriera prefettizia 2021. La prima. Diritto Amministrativo/Costituzionale.

  • NOVITA’ IN MATERIA ESPROPRIATIVA: BREVI RIFLESSIONI SULLE MODIFICHE AL CODICE DELLE COMUNICAZIONI ELETTRONICHE DEL 2022